Con chirurgica filologia, Consolo sforbicia furbescamente la citazione epigrafica al punto giusto

Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo è un libro epocale. Pubblicato da Einaudi nel 1976, aveva alle spalle le rivolte studentesche del Sessantotto, i movimenti degli anni Settanta, e il ripensamento del Risorgimento attraverso i fatti di Bronte riportati all’attenzione da Leonardo Sciascia. L’interesse di Consolo per le scritte murarie associava, nel romanzo, due esperienze storiche e morali. Da una parte riprendeva l’attenzione per i graffiti, tipica del periodo delle rivolte. Dall’altra, si faceva forte dello studio che Sciascia aveva avviato sui «disegni e i graffiti delle carceri inquisitoriali dello Steri» di Palermo. Il sorriso nacque, peraltro, da una costola del Consiglio d’Egitto. E tuttavia, se l’Ulisse di Joyce, come diceva paradossalmente Borges, era la fonte dell’Odissea, per il semplice fatto che il romanzo dello scrittore irlandese aveva cambiato il modo di leggere il poema greco, allo stesso modo, si può dire che il romanzo di Consolo ha “barocchizzato” la lettura dell’apologo di Sciascia sull’impostura. Esiste un «plagiat par anticipation», come suona il titolo di un saggio di Pierre Bayard (Les Éditions de Minuit, Parigi 2009).
Il diciassette settembre di quest’anno, in una popolare rubrica del «Venerdì di Repubblica» dedicata agli imprescindibili classici del Novecento, Paolo Mauri ha “recuperato” il capolavoro di Consolo. L’articolo vale come indicazione di un riconoscimento, al di là dei confini ristretti della critica specialistica e dei riti accademici. E si riporta qui anche come traccia riassuntiva del romanzo, indipendentemente dall’analisi specifica, di lingua e scrittura, che seguirà nelle pagine di questa tesi: «Catena Carnevale è una ragazza molto bella, figlia dello speziale (o farmacista) di Lipari. È abilissima nel leggere le ricette, nello sciogliere la calligrafia intricata dei medici. Nella bottega c’è, montata come uno sportello, una tavoletta dipinta che ritrae un uomo sorridente: d’un sorriso sardonico e alla lunga inquietante. Catena gli ha già inferto due colpi di punteruolo, sfogando chissà quale malumore e il padre si è deciso a vendere al barone Mandralisca quel ritratto antico. Comincia così Il sorriso dell’ignoto marinaio […], un romanzo ormai classico che porta il lettore dritto nel cuore dell’Ottocento, tra le Eolie e la Sicilia e, potremmo aggiungere, tra tradizione e rivoluzione. Vi agiscono nobili eccentrici come sanno esserlo solo i siciliani (o gli inglesi), magari appassionati di arte e dello studio delle lumache come Enrico Pirajno barone di Mandralisca e giovani
cospiratori come l’avvocato messinese Giovanni Interdonato. Un uomo, quest’ultimo, che somiglia come una goccia d’acqua al giovane del ritratto: opera (la storia si tramanda per vera) di Antonello da Messina, oggi al museo Mandralisca di Cefalù cui fu donato proprio dal barone appena nominato.
La prosa di Consolo è il risultato di un intarsio di finissima fattura in cui figurano l’italiano letterario, quello d’uso e il dialetto. Una ricchezza, anche per il lettore».
[…] All’inizio dell’estate del 1976, un agiato e disteso lettore come Leonardo Sciascia sapeva accomodarsi con familiare disinvoltura nell’abitabile architettura testuale del Sorriso dell’ignoto marinaio. Dal portone della copertina, attraverso un’immagine a lui ben nota, poteva addentrarsi agevolmente nell’edificio letterario minutamente «costruito» da Vincenzo Consolo, percorrerne le ambagi interne; ed esplorarne anche le stanze invisibili, i sotterranei echeggianti e ingegnosi come vasti labirinti cui è possibile l’accesso solo per scale tortili e anguste <1. Sciascia era il dedicatario vistosamente implicito del Sorriso. E fin dalle soglie, ancor prima che la narrazione gli si svelasse entamente nelle sue macchinazioni, poteva riconoscersi facilmente anche nell’interlocutore privilegiato di una conversazione distesa sulla carta che, con parole mute e fatte d’inchiostro, principia nella seconda epigrafe che inaugura il romanzo, estrapolata con strategico ritaglio da una pagina del 1967 che lo scrittore di Racalmuto aveva dedicato al grande Antonello <2. Se «epigrafare è sempre un gesto silenzioso» <3 di laconica e allusiva eloquenza, una citazione posta in esergo esige confidenza furbesca: perché può dire in poche parole molte cose, e illuminare il testo con l’apporto complice e accorto del lettore. In una bellissima pagina intrisa di suggestioni manganelliane, Guido Almansi ha scritto: “Un libro non è completo se non incorpora un libretto di istruzioni per l’uso, un manuale che suggerisca al lettore le modalità di consumo. Ci sono cento porte, spiragli, aperture, passaggi, spaccature, orifizi attraverso i quali entrare nel mondo di un libro. Privo di istruzioni, il lettore tende ad entrare dalla porta principale, come se la facciata rappresentasse fedelmente la totalità di significati e di intenzioni dell’opera; e finisce così per prendere ogni parola scrupolosamente sul serio, fidando nella supposta onestà del messaggio. Invece quanto viene comunicato dall’opera non è quasi mai onesto perché deve passare attraverso una triplice barriera di inganni: dell’autore, del testo e dei personaggi. L’autore può essere sincero, o credere di essere sincero, o fingere di mentire, o comunicarci che sta mentendo, o mentire circa la propria vocazione menzognera” <4.
Accogliamo i suggerimenti di Almansi. E proviamo a considerare l’epigrafe sciasciana del Sorriso come l’elemento più luminoso del «sistema segnaletico» <5 messo a punto dall’autore per indirizzare il lettore verso il «libretto di istruzioni per l’uso» del romanzo. Mentre dialoga con il titolo e l’immagine in copertina, l’epigrafe in questione non ha «funzione di commento» del «titolo» o del «testo». Non è «un segnale […] di cultura», né «una parola d’ordine di intellettualità» <6. Ma, semplicemente, aprendo un varco nella barriera spessa dei fogli, introduce al centro del libro. «A chi somiglia» il ritratto «un poco stroppiato […] proprio sul pizzo delle labbra sorridenti» dell’ignoto marinaio? Con chirurgica filologia, Consolo sforbicia furbescamente la citazione epigrafica al punto giusto. Recide il riferimento all’«“assoluto fisiognomico”» <7 che Sciascia coglieva nei ritratti di Antonello. E lascia al lettore, e al suo erudito, blasonato protagonista, il compito di risolvere il «giuoco». Siamo nel sesto capitolo del romanzo, dopo un salto funambolesco spiccato proprio dall’ecolalico «tremplin» <8 epigrafico. È il «capitolo chiave» <9 del libro, il «libretto d’istruzioni per l’uso», il vestibolo testuale, spazioso e percorribile, da cui conviene partire per cominciare a curiosare nel laboratorio di scrittura dell’autore.
Il capitolo ha un’incamiciatura epistolare. Il barone siciliano Enrico Pirajno di Mandralisca è «l’estensore» della lettera che fa da «preambolo» alla «memoria» sugli «atroci fatti succedutisi in Alcàra Li Fusi» il 17 maggio del 1860. Con l’arrivo dei garibaldini in Sicilia e l’esplosione dei moti risorgimentali nell’isola, il malacologo ha visto gli «esiti» e i «fatti seguiti alla rivolta» di un gruppo di «villani e pastori» che hanno ferocemente massacrato i proprietari terrieri come lui. Abbandonata la «pazza idea dello studio sopra la generale malacologia terrestre e fluviatile in Sicilia», l’erudito ha smesso di rincorrere il «fango che si maschera d’argento» di «chiocciole e lumache». E chiuso in solitudine nel «gabinetto di scrittura», di fronte al criptico sorriso del ritratto, si è «armato di carta e penna e calamaro». Ha disposizione letteraria, questo barone. E «impellenza» scrittoria. Vorrebbe narrare la storia di quei «fatti orrendi e sanguinosi» all’amico procuratore Giovanni Interdonato; e piegare «gli svolazzi» e le «aeree spirali» dell’inchiostro nella scrittura di un rapporto «indipendente, obiettivo e franco, di fatti commessi da taluni che hanno la disgrazia di non possedere (oltre a tutto il resto) il mezzo del narrare».
[NOTE]
1 L. SCIASCIA, L’ignoto marinaio, in ID., Cruciverba [1983], Adelphi, Milano 1998, p. 44: «Anni, dunque, passati non invano, ma intensamente e fervidamente: a pensare questo libro, a scriverlo, a costruirlo […]. E lo ribadisco polemicamente, per aver sentito qualcuno dire, negativamente, che è un libro costruito. Certo che lo è: ed è impensabile i buoni libri non lo siano (senza dire dei grandi), come è impensabile non lo sia una casa. L’abitabilità di un libro dipende da questo semplice e indispensabile fatto: che sia costruito e – appunto – a regola di abitabilità. I libri inabitabili, cioè senza lettori, sono quelli non costruiti; e oggi sono proprio tanti».
2 Cfr. L. SCIASCIA, L’ordine delle somiglianze, in L’opera completa di Antonello da Messina, presentazione di L. Sciascia, apparati critici e filologici di G. Mandel, Rizzoli, Milano 1967, p. 6: «Il giuoco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di conoscenza. A chi somiglia il bambino appena nato? A chi il socio, il vicino di casa, il compagno di viaggio? A chi la Madonna che è sull’altare, il Pantocrator di Monreale, il mostro di villa Palagonia? Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello ‘somigliano’; sono l’idea stessa, l’archè, della somiglianza. A ciascuno si possono adattare tutte le definizioni che sono state date dei siciliani, da Cicerone a Tomasi di Lampedusa […]. A chi somiglia l’ignoto del Museo Mandralisca? Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente somiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un uomo onesto o un gaglioffo? Un pittore un poeta un sicario? ‘Somiglia’, ecco tutto». Il corsivo è mio, e corrisponde al testo dell’epigrafe che apre il romanzo di V. CONSOLO, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Einaudi, Torino 1976. Tutte le citazioni saranno tratte da questa edizione.
3 G. GENETTE, Soglie. I dintorni del testo [Seuils, 1987], a cura di C. M. Cederna, Einaudi, Torino 1989, p. 153.
4 G. ALMANSI, Bugiardi. La verità in maschera, Marsilio, Venezia 1996, p. 51.
5 Ibid., p. 54.
6 G. GENETTE, Soglie cit., pp. 153-57.
7 L. SCIASCIA, L’ordine delle somiglianze cit., p. 6.
8 A. COMPAGNON, La seconde main ou le travail de la citation, Seuil, Paris 1979, p. 337. Sull’uso e la funzione dell’epigrafe nella letteratura italiana contemporanea, cfr. E. BACCHERETI, Icone del testo. Epigrafi letterarie nel Novecento, in Il libro invisibile. Forme della citazione nel Novecento, atti del Convegno di Studi (Firenze, 25-26 ottobre 2001), a cura di A. Dei e R. Guerricchio, Bulzoni, Roma 2008, pp. 79-104.
9 C. SEGRE, La costruzione a chiocciola nel «Sorriso dell’ignoto marinaio» di Vincenzo Consolo [1987], in ID., Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Einaudi, Torino 1991, p. 79.
Salvatore Grassia, L’«impostura» della scrittura nel Sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo, Tesi di perfezionamento, Scuola Normale Superiore di Pisa, Anno accademico 2009-2010