Anche Monsignor Visintin dedicherà al partigiano Mario Dal Fabbro alcune pagine del suo diario

Sacile (PN): la caserma Slataper in un’immagine d’epoca

[…] a Sacile, alla caserma Slataper, a ricordare la fucilazione dei quattro partigiani Pietro Camarotto, Giovanni Pizzinato, Tullio Regini e Mario Dal Fabbro[…]
Redazione, Una rosa nelle case dei partigiani, IlGazzettino.it, 26 aprile 2020

Mario Dal Fabbro riceve la medaglia d’argento al valor militare perché “dopo l’armistizio si prodigava con decisione e fedeltà nella lotta di liberazione effettuando, con elementi da lui organizzati, importanti azioni di sabotaggio. Assunto il comando di un battaglione di partigiani dava bella prova di coraggio, di decisione e di capacità, particolarmente distinguendosi nei combattimenti di Mezzomonte, Longarone e sul Pian del Cansiglio. Caduto fortuitamente in mani nemiche e barbaramente interrogato nulla rivelava. Condannato a morte e tratto davanti al plotone di esecuzione pronunciava nobili parole di fede nella Patria e cadeva da eroe.”
A guerra finita, oltre a fra Benvenuto che scriverà del partigiano ucciso e della visita al fratello, anche Monsignor Visintin dedicherà a Mario Dal Fabbro alcune pagine del suo diario. L’Abate di Oderzo ha raccolto, durante il sacramento della confessione, e conservato, scrivendoli, gli ultimi pensieri del giovane martire […]

TESTIMONIANZA DI DON MATTEO VISINTIN, REDATTA POCO DOPO LA SCARCERAZIONE, SUL PARTIGIANO MARIO DAL FABBRO <179.
Siamo un gruppo di 54 persone, rinchiuse nella Caserma di Sacile. Esco dalla camerata per recarmi in bagno e incontro uno che mi dice: “Sono un partigiano già condannato a morte e mi fucileranno questa sera. Mi confessi padre.” Gli rispondo che sono soltanto uno studente di teologia e non un prete. “No, no, deve assolutamente ascoltare la mia confessione e darmi l’assoluzione.” Ci mettiamo a pregare insieme. Rientrato in camerata, riferisco di questo incontro e della richiesta fattami agli amici sacerdoti, e ancora preghiamo. Entra poi un militare tedesco e grida: “Pastore!” Esce Mons. Visintin, mentre in camerata si fa silenzio assoluto. Subito dopo arriva il suono secco degli spari: l’esecuzione è stata eseguita. Si ode anche il rumore di un camion: certamente quello che porta via i cadaveri dei tre giustiziati.
Le memorie del partigiano fucilato Mario Dal Fabbro di Ponte della Muda sono state raccolte dai suoi amici.
PAGINE DAL DIARIO DI MONSIGNOR DOMENICO VISINTIN, REDATTE UN ANNO DOPO LA SCARCERAZIONE, SUI PARTIGIANI CONDANNATI A MORTE A SACILE E IN PARTICOLARE SU MARIO DAL FABBRO <180.
19 settembre 1944. Ore 18.00.
Con i più stimati professionisti di Oderzo e vicinato e con numerosi confratelli trovomi incarcerato in un camerone della caserma di Sacile. Ondata di terrorismo scatenata dalle S.S. tedesche in tutta la plaga. Ogni giorno gruppi di deportati strappati dai campi e dalle famiglie arrivano tradotti con forme brutali. Giornate di terrore e di sangue quelle di settembre per tutte le nostre pacifiche popolazioni.
Verso le 18.00 col solito strepitio si apre la porta del camerone chiusa al lucchetto con due pesanti spranghe di ferro appositamente applicate e custodita giorno e notte da guardie tedesche con mitra alla mano.
Entra il Maresciallo custode capo. Chiama: “Monsignore, metta il soprabito e il cappello e venga con me.” Tutti i… ‘camerati’ in certa ansia. Qualcuno pensa: liberato? Accompagnato da due guardie con mitra attraverso un corridoio e sono introdotto in una stanza semi oscura con le finestre quasi del tutto murate, illuminate dalla luce fioca di una piccola lampadina. Serviva da prigione. Rinchiusi i quattro imputati. Il delitto? PARTIGIANI. Tre ufficiali tedeschi costituiscono il tribunale. Uno interroga in italiano e poi traduce in tedesco ai due giudici agli ordini del noto criminale Magg. Kobar.
Tre imputati erano già giudicati, compreso il Dal Fabbro. Ecco il giudizio per gli altri due: siete partigiani? Proteste di assoluta innocenza. La vita era affidata a quegli istanti. Le proteste si ripetono. Sentenza: SIETE REI DI MORTE!
Processo e sentenza in due minuti. Sentenza senza appello e senza speranza. Il giudice rivolto a tutti e quattro indicando mi dice: “avete dieci minuti di tempo.”
E’ possibile immaginare l’angoscia di simili momenti? La spada del dolore attraversa nel più profondo quelle anime.
Il Dal Fabbro giovanissimo appoggiato all’angolo del muro non proferiva parola. Il pianto straziante dei suoi compagni risuona ancora nella mia anima, dopo un anno mentre scrivo la presente memoria.
Come meglio potei, raccogliendo tutte le mie forze e invocando la mano di Dio, feci ogni sforzo per essere loro di conforto. Quali parole uscirono dalle mie labbra non potrei precisarlo. Non saprei dirlo. Le mie parole dovevano uscire stroncate. So tuttavia che parlai di Gesù crocifisso, innocentissimo, del suo sacrificio supremo… In quei momenti avevo anch’io bisogno di essere confortato! Li avvicinai ad uno ad uno per la confessione. Anime care, erano gli estremi minuti della loro vita! Mai la vostra fede e il vostro amore pur nello spasimo vi unirono più intimamente in un amplesso divino con Gesù. Finita la confessione chiesero un bicchiere d’acqua. Bruciavano dalla febbre e dalla sete. Così Gesù sulla croce! Malgrado il reiterato rifiuto insisto ed ottengo anche il conforto della S. Comunione. Mi sono offerto io stesso di recarmi al Duomo anche accompagnato col mitra. Dopo pochi minuti un Cappellano del duomo porta il Viatico per l’Eternità. Poche in vero le S. Comunioni in momenti così straordinari e raramente Gesù è entrato in anime bisognose di maggiore aiuto. Del dono Divino ho anch’io un grande conforto. Debbo uscire. I dieci minuti si
sono prolungati fino ai trenta. Fuori della cella attende il plotone di esecuzione. Come staccarmi? Abbraccio di nuovo, con quanto di cuore si possa avere in quei momenti, le vittime destinate così presto alla glorificazione in Cielo. Rivolgo le loro ultime parole: “Coraggio, presto in Paradiso!”
Due S.S. con mitra mi accompagnano tra i miei compagni. Pochi minuti dopo dal vicino poligono si odono i colpi ferali. Silenzio di tomba in camerata. Requiem aeternam dona eis Domine!
MARIO DAL FABBRO. Ed ora di te in particolare, caro Mario Dal Fabbro, voglio scrivere: ti ho conosciuto solo per pochi minuti che valgono però una vita intera.
Usciti i giudici dopo l’infame sentenza i tre più anziani costernati come e quanto nessuna immaginazione può dirlo si gettano ai miei piedi per implorare la mia intercessione. L’avessi potuto fare! Avessi potuto disarmare la mano assassina!
MARIO DAL FABBRO come ho detto se ne sta immobile appoggiato all’angolo del muro. Nato da famiglia cattolica e vissuto nella più aperta professione di fede, tutto dedito con ardente amore alla riscossa della patria – come scrisse di lui il confratello Don Carlo De Nardi – pare quasi sereno alla visione della morte; il suo bel volto, lo ricordo assai bene, pieno di giovinezza (aveva 24 anni e si sarebbe detto che ne avesse appena 18) era in quei solenni momenti qualche cosa di sublime: illuminato da una bellezza che direi celestiale, riflesso degli splendori del martirio.
Un altro particolare: era appena confessato. Dopo la confessione mi trattiene ancora un po’ in cui mi dice: “Ho detto male l’atto di dolore. Mi usi il favore di farmi ripetere l’atto di dolore; non l’ho detto bene.” Di’ così: “Gesù mio misericordia…” Ripete due volte con la più tenera pietà filiale: “Gesù mio misericordia…” “Ora sta tranquillo.” Sono costretto ad uscire. L’abbraccio una seconda volta. Ancora una grazia: “Mi promette finita la guerra di recarsi a casa mia da mia madre? Ne avrà grande conforto. Dica a mia madre che sono morto da cristiano. Porti a mia madre, al papà, a tutti i miei cari, a tutti, alla mia fidanzata, il mio ultimo saluto.”
Parlava con tanta naturalezza e fortezza d’animo da commuovere: di lacrime ne ho versate quella sera! Dovendo uscire mi richiama ancora una volta per dirmi: “Si ricordi di dire a mia madre che sono morto da cristiano.”
La mamma per avere le ultime notizie del suo adorato figliolo non attese la mia visita a Cordignano ma venne tosto essa stessa ad Oderzo: “Potrei morire! Non posso vivere senza sapere gli ultimi ricordi di mio figlio.”
Nella inseparabile sventura quale conforto per la mamma saperlo morto da cristiano portando nel cuore, negli ultimi istanti di vita, il supremo conforto: Gesù! E sulle sue labbra, prima che sulla terra avesse a spegnersi per sempre l’ultima parola, il cantico sacro di tenerissimo infinito amore: Mamma! Malgrado il più vivo desiderio non mi sono più recato a Sacile, dopo quel certo viaggio in camion tra quei famosi angeli custodi. Conto di farlo presto.
Una visita certamente alla camerata e a quell’angolo dove sono passate così oscure giornate e così dure notti ma una visita speciale dedicata a quella stanza ‘del terrore’ resa sacra e benedetta dal sacrificio dei tuoi compagni e tuo o caro Mario Dal Fabbro che hai saputo così nobilmente compiere il tuo dovere fino all’estremo sacrificio rendendolo ancora più glorioso nelle ore supreme della vita con le più sublimi virtù della Fede.
[NOTE]
179 Testimonianza conservata nell’Archivio Parrocchiale di Oderzo e riportata in: G. Strasiotto I quattro tedeschi scomparsi. Il Popolo, 12 agosto 2012. Anche in O. Drusian Il ‘vescovo’ della bassa – Mons. Domenico Visintin Abate di Oderzo, 2014. Anche nell’ex voto offerto dai prigionieri alla Madonna dei Miracoli e conservato nella Basilica francescana di Motta di Livenza (TV).
180 Testimonianza conservata nell’Archivio Parrocchiale di Oderzo e pubblicata in: O. Drusian Il ‘vescovo’ della bassa – Mons. Domenico Visintin Abate di Oderzo, 2014
Davide Drusian, Il diario di fra Benvenuto Grava e altre testimonianze inedite sull’occupazione nazifascista a Motta di Livenza (TV), Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2021-2022