All’arrivo in Piazza Duomo ci fu un breve intervento di Gabriele Pagliuzzi del CCA dalla base del monumento a Vittorio Emanuele

Le mobilitazioni della maggioranza silenziosa che ebbero luogo a Milano furono le più grandi e le più note, tanto che diversi commentatori e studiosi quando parlano del fenomeno si riferiscono esclusivamente agli eventi occorsi in questa città. Come si è visto esistevano già, lì, dei gruppi anticomunisti al di fuori dei partiti; quello che promosse le manifestazioni del 1971 però prese le mosse da una riunione avvenuta nella sede del PDIUM milanese in Corso Genova 26 il 1° Febbraio di quell’anno. L’iniziativa era partita, sembra, da un invito di Giampaolo Landi, giovane monarchico, mandato per lettera a singole persone per chiamare a raccolta i movimenti giovanili con l’anticomunismo come valore comune, per «lottare insieme contro la violenza» <227. Alla riunione c’erano: Luciano Buonocore, MSI; Gabriele Pagliuzzi, PLI; Guido Pasqualino di Marineo, DC con simpatie monarchiche; Giampaolo Landi e Cristiano Fiore, PDIUM; Elena Manzoni di Chiosca, gruppo “Jan Palach”; Franco Nodari e Franco Formenti, “Bocconiani indipendenti” di idee liberali; Priori, “Nuova Gioventù liberale”; Giorgio Muggiani, “Comitato Tricolore”; infine Nava, “Nucleo genitori anticomunisti”.
Racconta Buonocore: “Il clima di quei giorni dava alle lettere di Landi un significato d’urgenza, almeno per i giovani a cui si rivolgeva. Da mesi essi subivano in prima persona quella vastissima, concertata, non contrastata opera di violenza con cui comunisti e militanti di estrema sinistra andavano prendendo letteralmente possesso di Milano, esercitando una presenza minacciosa nelle fabbriche, nelle scuole e nelle piazze, volta ad intimidire e a paralizzare chiunque non la pensasse come loro”. <228
Proprio per il clima suddetto, orchestrato a suo dire sotto la parola d’ordine dell’arco costituzionale e della vigilanza antifascista dal PCI e dalla sinistra DC, Buonocore dichiarò la massima disponibilità a patto che fosse caduta ogni pregiudiziale antifascista. Parimenti tutti avrebbero dovuto oltrepassare i confini dei partiti, a rappresentare un incontro di persone libere per difendere principi e valori comuni. Questa impostazione fu accettata <229. Guardando più da vicino alcuni protagonisti c’è da dire che Luciano Buonocore era giunto a Milano nel 1969 da Napoli come dirigente, non alieno ad azioni di forza che gli procurarono degli arresti <230, della Giovane Italia (che solo il 23 Aprile 1971 fu effettivamente sciolta insieme al Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori del MSI per confluire nel “Fronte della Gioventù italiana” <231). In particolare veniva indicato come “sanbabilino”, dal nome della piazza simbolo dei giovani estremisti di destra milanesi, animata nei primi anni proprio dalla presenza della sede della Giovane Italia poco distante, in Via Monforte.
Insieme a Gianluigi Radice avrebbe fatto parte di quella raccontata come la “prima generazione” sanbabilina, distinta dalle successive sempre più violente <232. Legato al MSI era anche il Comitato Tricolore, originariamente fondato nel 1966 da «alcuni ex generali della M.V.S.N. e della R.S.I.» con la denominazione di “Comitato Nazionale tricolore per l’Italianità dell’Alto Adige” con sedi in diverse città e quella centrale a Roma <233. Già aderente ad Italia Unita, ci furono contrasti interni nella sezione milanese nel 1970 che portarono alla sostituzione del presidente Pertoldi con Muggiani (noto per aver partecipato con Domenico Leccisi al trafugamento della salma di Mussolini); in città contava più di un centinaio di aderenti «per la maggior parte studenti e, pertanto, svolge attività prevalentemente nell’ambito di istituti scolastici mediante volantinaggio» <234.
Il Gruppo Spontaneo Anticomunista “Jan Palach”, era un’associazione che si chiamava precedentemente “Gli amici di Elena” dal nome della ispiratrice Elena Manzoni, fondata sul finire del 1969. Si definiva indipendente «da qualsiasi partito o movimento politico» anche se i suoi aderenti erano in effetti legati a ai partiti di centrodestra e destra. Sentiva «il bisogno» di osteggiare l’avvento dei comunisti al potere e ripristinare la legalità, tutelare il diritto allo studio, al lavoro, alla proprietà e alla libertà d’informazione <235. In occasione delle elezioni diffuse liste di candidati anticomunisti che spaziavano dal MSI al PSU/PSDI, costituì un comitato di solidarietà per i dissidenti sovietici, fece celebrare messe di suffragio per l’agente Annarumma <236.
Altri si aggiunsero nel tempo al gruppo che stava nascendo nella riunione del 1° Febbraio 1971. Il prefetto di Milano Mazza li definì: «indubbiamente persone di modesta notorietà e di scarso peso politico; tuttavia è notorio che esse siano appoggiate da gruppi politici di centro-destra e da talune personalità del mondo economico e imprenditoriale, che garantiscono all’associazione forza e disponibilità finanziaria» <237. In effetti nella seconda riunione, quando si decise di costituirsi come “Comitato Cittadino Anticomunista per la difesa della libertà” (formalizzato poi come sezione di un “Comitato nazionale anticomunista per la difesa della libertà”); Elena Manzoni, che proveniva come altri da una famiglia nobile milanese, si assunse l’incarico di contattare uomini politici e personalità del mondo economico al fine di costituire un comitato di garanti che chiedesse al questore il permesso per la prima manifestazione.
Nel terzo incontro del gruppo si approvò un volantino che chiamava alla “Manifestazione unitaria anticomunista” per Sabato 13 Marzo ore 16,30. Qualche giorno dopo la Manzoni riferì che personalità quali il capogruppo DC al consiglio comunale Massimo De Carolis e i socialdemocratici Vittorio D’Ajello e Paolo Pillitteri erano interessati ma anche scettici, e non volevano esporsi troppo. Si discusse allora se rimandare o annullare l’iniziativa, ed emersero i primi contrasti «tra quelli che pensavano da una parte che lo “scontro anticomunista” dovesse svolgersi a livello di “vertice” e quelli che invece[…] ritenevano necessario un coinvolgimento popolare nella lotta anticomunista» <238. Nel frattempo Nodari e Pagliuzzi vennero inviati a Torino alla simile manifestazione dell’OCI del 7 Marzo, e ne ricavarono, come si è detto, un’impressione sconfortante. Un senso rassicurante lo ebbe invece una cena a casa di Corrado Nodari, padre di Franco, con una «quantità di persone importanti[…] figure milanesi con nomi legati al Risorgimento» fra questi diversi ex partigiani. Si mostrarono interessati e pronti ad appoggiare l’idea rinunciando alla pregiudiziale antifascista <239.
I partiti di sinistra e i sindacati bollarono la manifestazione come fascista e invitarono tutti i partiti a rifiutare questa provocazione. Avanguardia Operaia organizzò per lo stesso giorno una contromanifestazione alla quale aderirono i principali gruppi extraparlamentari. Al contrario, grande appoggio il CCA lo ricevette dal quotidiano La Notte diretto da Nino Nutrizio, giornale di simpatie di centrodestra, che non solo redarguiva i partiti che avevano sempre parlato di argine al comunismo e ora erano indecisi, ma rifiutando l’etichetta di provocazione fascista diceva che la manifestazione del 13 marzo «è e deve restare una testimonianza che la Maggioranza Silenziosa esiste, che non è un fantasma» <240. Notare che il termine (citato anche da Il Tempo <241) in quel momento non era ancora utilizzato sui volantini e sui manifesti, né tantomeno nella denominazione del Comitato, come sarebbe stato in seguito.
Ancora la mattina del 13 Marzo L’Unità stigmatizzava «-come elemento di particolare gravità- che alla manifestazione hanno aderito i “Centri Sturzo” e i “Centri De Gasperi” e, sia pure a titolo personale, il capogruppo della DC al consiglio comunale di Milano» <242. Nel pomeriggio il corteo di diverse migliaia di persone sfilò senza incidenti fino a Piazza Duomo, passando anche per Piazza S. Babila. All’inizio, ricordano i protagonisti, sembrò mettersi male, con persone che sembravano essere lì per caso «per lo più buoni borghesi» che non avevano mai manifestato prima, ma si riebbero con l’arrivo dei giovani missini inquadrati e vocianti <243. Fu tutto all’insegna delle bandiere tricolori in tutte le forme, anche alcune sabaude e altre con la scritta CNR (Costituente Nazionale Rivoluzionaria, un gruppo neofascista); dagli altoparlanti delle auto che aprivano il corteo risuonavano l’inno nazionale e altri canti patriottici. Dagli spettatori e passanti sui marciapiedi arrivavano gli applausi sollecitati per le bandiere tricolori, e dal corteo altri applausi per le forze dell’ordine schierate. Alla fine fra le personalità politiche si contarono, oltre i dirigenti del MSI come Franco Servello: De Carolis, l’ex vicesindaco Giambelli e Ratti per la DC; Del Pennino e Bucalossi del PRI; Vittorio D’Ajello del PSDI; esponenti liberali e monarchici. C’erano anche le associazioni d’arma e dei reduci. Lo striscione di apertura recitava “Milano dice basta alla violenza rossa”, altri striscioni e cartelli erano “Fuori la teppa rossa dalle scuole”, “No alla schiavitù marxista”, “La libertà nelle scuole contro la violenza comunista”. Fra gli slogan: “Giustizia, ordine, libertà”, “Il comunismo non passerà”, “Milano unita contro il comunismo”. Non mancavano però le invettive contro il sindaco socialista Aniasi e altri esponenti della sinistra. All’arrivo in Piazza Duomo ci fu un breve intervento di Gabriele Pagliuzzi del CCA dalla base del monumento a Vittorio Emanuele. Non mancò un minuto di silenzio per le vittime del comunismo. In serata fu diffuso un comunicato in cui il Comitato offriva il successo della manifestazione a tutti i gruppi politici che avessero voluto, con unità d’intenti, portare avanti la battaglia contro il comunismo.
Furono anche inviati telegrammi al Presidente della Repubblica e del Consiglio, e al Presidente della RAI, protestando per la scarsa o assente copertura dell’evento. Alcuni neofascisti, lasciando la manifestazione ormai conclusa, presero prima a calci delle automobili, intonando cori per il duce con saluti romani davanti alla questura, fino a sparare alcuni colpi di pistola lanciarazzi in Piazza Tricolore. Dopo la ripetizione della cosa vicino ad una sezione del PCI la polizia li disperse <244.
Il Tempo, nell’articolo “In ventimila a Milano protestano contro la violenza” firmato da Bruno Borlandi, subito ci tenne a precisare «nessun vessillo nero, nessuna bandiera di partito, soltanto decine e decine di bandiere tricolori hanno svettato sul corteo della “Maggioranza Silenziosa”, di quella maggioranza consapevole e stanca che non si è trincerata dietro l’impegno del week-end». A torto, presentava il Comitato Cittadino Anticomunista come «non collegato con alcun partito politico, fatto di non tesserati, di gente che lavora e che vuole continuare a lavorare in pace» <245. Il quotidiano del MSI titolava in prima pagina “Grande e ordinato corteo della «Maggioranza Silenziosa»-Trentamila in piazza a Milano dicono «No alla sovversione»”, rispondeva al refrain della sinistra sugli anziani e le signore in pelliccia dicendo che erano presenti «moltissimi giovani, studenti ed operai», concludendo che «la manifestazione è stata per Milano una potente sveglia. E’ la prima volta dal dopo guerra che Milano tricolore si ritrova veramente in piazza» <246.
D’altra parte anche L’Unità riconosceva che l’iniziativa «ha rappresentato un fatto nuovo che merita una attenta riflessione.». Questo tentativo di creare un «blocco d’ordine» aveva trovato validi sostegni nei giornali «del grande padronato» come Il Corriere della Sera e Il Giorno, (accusati invece dal CCA di sinistrismo) e in quelli di tipo «filofascista» come La Notte. Le solidarietà sicuramente più scandalose erano però quelle di personalità della DC e del PSDI, che tra l’altro facevano parte della maggioranza comunale del sindaco Aniasi, insultato al corteo. Del resto la manifestazione avrebbe visto la presenza di: “vecchi rottami del fascismo come il direttore della “Notte”, Nutrizio, come il consigliere comunale missino Marchesi; torturatori della Repubblica di Salò, come il vicecomandante della Muti, Spadoni; teppisti pluricondannati per attentati contro le sedi delle organizzazioni democratiche, come Gianluigi Radice. Ciò era del tutto inevitabile quando si assume la linea del “blocco d’ordine” linea che inevitabilmente porta a schierarsi con la peggior parte reazionaria”.
Per il quotidiano del PCI, comunque, «la questione essenziale è e rimane dunque quella di evitare che la reazione possa trovare nuove basi di massa.» <247. Nutrizio rispose alle accuse chiarendo di aver sempre fatto il cronista sportivo per Il Popolo d’Italia. Aggiunse che Radice non lo conosceva, che Marchesi non c’era perché malato e Spadoni era assente perché operato di recente. La manifestazione del 13 Marzo ebbe ripercussioni anche in consiglio comunale, dove il giorno seguente Aldo Aniasi condannò la manifestazione come un turbamento della coscienza dei democratici, collegandola ad episodi di violenza di destra occorsi in altre città in quei giorni. Venne richiesta ai gruppi democristiano e socialdemocratico di dissociarsi ufficialmente dalle adesioni dei loro membri al corteo. De Carolis rispose che si trattava di un adesione a titolo personale, che anticomunista non voleva dire fascista e che le azioni inscenate dai fascisti a fine corteo non erano state volute dagli organizzatori come altri avevano accusato. Ma un richiamo all’ordine e alla linea dell’anticomunismo “non viscerale” venne sia dal vicesindaco DC Andrea Borruso che dalla segreteria provinciale del partito. Questa reazione delle forze politiche fu stigmatizzata dal segretario dell’OCI Sergio Gaddi in un suo articolo di solidarietà con i manifestanti: “E’ inutile dirsi anticomunisti alla vigilia delle elezioni e poi condannare le manifestazioni anticomuniste come ha fatto la direzione della Democrazia Cristiana a Milano[…] E’ inutile promettere ai cittadini una società libera e moderna come fa il Partito Repubblicano e poi definire filofascista (come ha fatto l’unione cittadina dello stesso partito) un corteo di 20.000 milanesi, che senza alcuna organizzazione di partito hanno spontaneamente manifestato per le vie di Milano contro il comunismo”. <248
Il successo della manifestazione portò alla convocazione di un secondo appuntamento per il 17 Aprile 1971. Nel frattempo aumentavano i consensi, tra cui quello dei partigiani della Federazione Italiana Volontari della Libertà (FIVL) espresso tramite i suoi dirigenti lombardi <249. I componenti del CCA furono però anche preoccupati che possibili nuove adesioni potessero rompere gli equilibri che si erano creati fra le diverse componenti politiche interne, inoltre dubitavano della tenuta delle personalità politiche imbrigliate dai propri partiti. Decisero così di non cooptare nessun altro per il momento <250.
Problematico a fronte di queste premesse è valutare ciò che emerge da documenti redatti dal prefetto Mazza per il Ministero dell’Interno. Quando questi descrive il preavviso arrivato il 6 Aprile per la manifestazione da tenere, presentato a nome del CCA da Piero Bicchi, Elena Manzoni e Guido Pasqualino, precisa che «sia i fondatori dell’associazione che i promotori della manifestazione erano persone diverse da coloro che avevano organizzato la manifestazione della “Maggioranza Silenziosa” del 13 Marzo scorso». Non solo ma aggiunge che con un lettera al questore quelli del 13 si dissociavano dalla prossima iniziativa temendo infiltrazioni di partito; «in effetti il MSI era riuscito a far inserire tra gli organizzatori il noto attivista Luciano Buonocore che ha particolarmente curato la diffusione di manifestini e volantini fatti stampare anche a proprie spese». Ma faceva altresì sapere «si apprendeva inoltre in via confidenziale che la manifestazione aveva l’appoggio del PSDI, del PRI e delle correnti moderate della DC» <251. In un altro documento precedente, scriveva che gli organizzatori della prossima manifestazione del 17 Aprile avrebbero accettato «elementi di estrema destra […] come semplici partecipanti» ma rifiutavano il Movimento Sociale Italiano i cui attivisti avevano conquistato la testa del corteo precedente, anzi «siffatta presa di posizione sembra rivolta principalmente a determinati attivisti del MSI, come Luciano Buonocore e Gianluigi Radice, i quali si erano particolarmente messi in vista il 13 Marzo scorso, suscitando notevoli commenti sfavorevoli dati i loro precedenti sul piano politico, essendo stati varie volte tratti in arresto per aver commesso azioni di violenza». I due avrebbero anche minacciato di organizzare una manifestazione concorrente <252.
Vengono allora alla mente tre possibili spiegazioni plausibili per spiegare queste parole: Mazza nonostante le sue fonti di informazione non aveva chiari i rapporti interni del Comitato Cittadino Anticomunista; si potrebbe essere generato un equivoco per il fatto che Buonocore non compariva fra i firmatari del preavviso, forse proprio per non compromettere con i suoi precedenti il rilascio dell’autorizzazione al corteo; nel libro di memorie si tace su questi contrasti, magari subito ricomposti. Certo è che per quasi tutto il 1971 le persone del CCA restarono sempre le stesse.
Nei giorni precedenti il secondo appuntamento della maggioranza silenziosa milanese, il clima divenne sempre più teso. Il giorno prima soprattutto accaddero fatti rilevanti sul piano nazionale e locale. Venne pubblicato da due quotidiani di centrodestra tra cui Il Giornale d’Italia il “Rapporto Mazza”, cioè un rapporto al Ministro dell’Interno Restivo risalente al Dicembre dell’anno precedente in cui il prefetto giudicava particolarmente grave la situazione dell’ordine pubblico a Milano, sotto attacco degli opposti estremismi di destra e di sinistra. In particolare metteva l’accento sull’organizzazione paramilitare e la consistenza numerica, e quindi sulla grave minaccia, della sinistra extraparlamentare. La stampa conservatrice e di destra gridò allo scandalo di un ammonimento inascoltato; “Clamorose rivelazioni in un rapporto al Ministero dell’Interno-il Prefetto di Milano denuncia l’azione di ventimila «guerriglieri»” titolava Il Tempo <253 o “Il Prefetto di Milano denuncia, il Ministro degli Interni ignora” scriveva in prima pagina Il Secolo d’Italia <254 parlando di «piano insurrezionale comunista». La sinistra, anche mettendo in relazione lo scoop giornalistico con la manifestazione del CCA, affermava ad esempio a nome del PSI che i cittadini di una città medaglia d’oro della Resistenza avrebbero dato «ben maggiore ascolto e credibilità alla voce di quella maggioranza palese della popolazione che rifiuta la mistificazione degli opposti estremismi e che individua nella destra fascista l’unico settore in grado di arrecare effettivi pericoli per la libertà e per la giustizia». <255
Su L’Unità i due articoli in prima pagina che si occupavano del rapporto erano significativamente intitolati “Provocatorio rapporto del Prefetto di Milano pubblicato da due giornali di estrema destra” e “E’ ora che se ne vada” <256. La notte del 16 Aprile in città ci furono poi le aggressioni da parte di militanti di sinistra ad uno studente dell’Università Statale e a due ragazzi del CCA che stavano attaccando manifesti; nel frattempo ci fu lo scoppio di una piccola bomba in una sezione del PCI e di un altro ordigno più potente nella sede provinciale del PSI, bombe rivendicate dalla sigla fascista SAM.
Considerato lo stato di tensione, e secondo i membri del Comitato Cittadino Anticomunista e de Il Secolo d’Italia anche le pressioni del segretario socialista Giacomo Mancini <257, il prefetto Mazza si riunì la stessa mattina del 17 Aprile con i funzionari e il questore, facendo convocare gli organizzatori alle ore 11 per comunicare la revoca dell’autorizzazione al corteo. Il CCA cercò di far sapere a tutti del divieto, emise un comunicato stampa in cui invitava a rinunciare e a non accettare provocazioni, facendo pressione in altro modo sulle autorità per il vergognoso e arbitrario provvedimento. Tuttavia molte persone si presentarono lo stesso nel pomeriggio ai Bastioni di Porta Venezia. Fra questi, diverse centinaia di missini e altri giovani di estrema destra provenienti anche da altre città italiane, che non obbedirono agli ordini di sgomberare la piazza e furono caricati. Dalla parziale dispersione di questo primo assembramento presero il via quattro ore di scontri che interessarono una buona parte del centro di Milano con sassi, barricate, lacrimogeni e caroselli dei mezzi della polizia. Le azioni più dure furono intraprese dai giovani neofascisti ma questi furono affiancati da molti piccoli cortei con bandiere tricolori che si dividevano, venivano caricati o dispersi e si riformavano subito dopo, puntando a Piazza Duomo, con il plauso o la partecipazione della gente assiepata sui marciapiedi. Franco Servello ad esempio ne guidò uno tentando un improvvisato comizio in Galleria Vittorio Emanuele. Fra gli episodi ricordati della giornata vi furono i fermi operati fin da subito dalla polizia, con la risposta rabbiosa dei dimostranti quando fu il caso di una ragazza o il loro accompagnarli con l’inno di Mameli; il lancio di lacrimogeni all’interno della stazione della metropolitana che coinvolse ignari passeggeri. Oppure l’incendio da parte dei manifestanti dell’Associazione Italia-Cina in Corso Buenos Aires, quello di un distributore di benzina in Piazza Oberdan, o il tentato assalto ad una sede del Partito Comunista. Vi fu anche il caso di un’automobile a cui venne tolto il freno e che fu lanciata in discesa contro i ranghi delle forze dell’ordine; o usata per un fallito blocco stradale in un’altra versione dei fatti. Episodio raccontato da tutti fu la scenica apparizione fra i disordini dell’avvocato Adamo Degli Occhi, avvolto nel tricolore (sulla testa, sulle spalle o alla cintura a seconda dei resoconti), che avanzò verso Piazza Duomo alla testa di un piccolo corteo arrivando fin sotto Palazzo Marino e chiedendo di parlare con il Sindaco. Gli fu detto che non c’era e lasciò una lettera di indignazione. La giornata si concluse verso le 20,30 con un bilancio pesante: un discreto numero di feriti da ambo le parti, 84 fermati di cui 8 arrestati e gli altri denunciati a piede libero per reati che andavano dall’oltraggio e la resistenza a pubblico ufficiale alla radunata sediziosa. In serata il CCA diffuse un ciclostilato in cui ribadiva la faziosità del questore ed invitava ad ascoltare l’indomani un comizio del democristiano Agostino Greggi al Teatro “Dal Verme” sul tema “Non consegniamo l’Italia al comunismo”, parte dei lavori del VII Convegno nazionale dei Centri Sturzo, in ricordo della vittoria del 18 Aprile 1948 <258.
I membri del Comitato imputarono la responsabilità degli scontri al ritardo con cui era stato comunicato il divieto, imposto per pressioni politiche e non per i fatti del giorno precedente. Una tesi fatta propria dai giornali di centrodestra ma ad esempio non condivisa dal Corriere della Sera che riteneva sensato il divieto, mentre sulle tempistiche non si pronunciava. Un’altra accusa, che appare infondata sulla base delle fonti analizzate, Buonocore e Blondet la rivolgono alla stampa che avrebbe prodotto un racconto falsato della giornata, quella dei neofascisti da soli contro la polizia: “Questa versione dei fatti non è veritiera ma rivela la speranza e i propositi di chi aveva vietato la manifestazione con tanto ritardo. Il proposito era quello di “far assaggiare” lo scontro di piazza al grosso dei simpatizzanti per la “Maggioranza Silenziosa”, considerati come un gregge pusillanime e poco politicizzato, inquadrato da un “nucleo duro” di militanti di destra; al primo accenno di violenza, i “moderati” e i “borghesi” si sarebbero volatilizzati, lasciando allo scoperto i “duri”, e “neri”, che invece, per vocazione e formazione avrebbero accettato lo scontro e la sfida; in questo modo si sarebbe potuto separare la massa, considerata passiva, dei benpensanti, dalla sua, diciamo così, “avanguardia””. <259
Si rivendica invece la partecipazione della gente comune nei cortei spontanei ricordando: «Signori in abito scuro e signore in pelliccia camminavano sui marciapiedi nell’aria irrespirabile delle bombe, per riunirsi al centro della strada tutte le volte che fosse possibile» <260. La violenza veniva presentata come non premeditata, una ovvia reazione ad una aggressione ingiustificata. L’OCI si pronunciò nuovamente in solidarietà con il CCA, il suo segretario pubblicò un “Memorandum a Colombo” nel quale esprimeva profonda indignazione «per questo ennesimo segno di parzialità dello Stato che è solo forte con gli indifesi ma strettamente accondiscendete verso gli Storti, i Lama, i Capanna e i Donat-Cattin. A conclusione di questa mia formale protesta le porgo gli auguri più vivi perché Ella non passi alla Storia come il Kerensky dell’Italia nostra.» <261. Da notare che da parte sua L’Unità metteva in risalto «la reazione delle forze democratiche milanesi» alle bombe della notte precedente, «energica, tanto da ottenere il divieto in extremis di una provocatoria manifestazione anticomunista in programma per ieri pomeriggio.[…] All’ampio fronte democratico, i fascisti della “Maggioranza silenziosa” hanno risposto con una vergognosa violenza»; precisando a proposito della partecipazione che «i picchiatori missini con caschi, bastoni, sassi, catene, con i distintivi, gli slogan del MSI, sono stati gli unici protagonisti degli scontri» <262.
Per la manifestazione del 17 Aprile avevano dato la propria disponibilità al CCA di Milano anche altri comitati simili nati sull’onda emotiva di quella esperienza in altre città. E’ il caso del “Comitato Cittadino Anticomunista” di Bergamo, nato su impulso di esponenti del PDIUM e del MSI, che aveva tentato di organizzare una “manifestazione patriottica”, proibita poi per motivi di ordine pubblico (un precedente citato dal gruppo milanese dopo il loro primo divieto), per il 3 Aprile 1971 <263. Anche a Parma si ebbero tentativi del genere, con un “Comitato Anticomunista” formato nel 1972 da elementi della Destra Nazionale che si prometteva di «combattere il comunismo in tutte le sue forme e di opporsi alla sua penetrazione ideologica specialmente nel settore studentesco», contando di finanziarsi proprio con i contributi degli studenti. L’anno seguente si costituì in città un “Comitato cittadino per la difesa delle libertà costituzionali”, animato da commercianti, studenti e professori universitari di fede monarchica, liberale o missina, che non superava comunque le 50 persone e sostanziò la sua attività nell’affissione di manifesti contro ogni violenza e contro lo strapotere del Movimento Studentesco <264. A Napoli un “Comitato di difesa delle libertà civili” organizzò una manifestazione per il 23 Maggio 1971 in cui avrebbero parlato De Lorenzo, Ranucci e il col. Rotundella (degli Amici delle FF. AA.), e per la quale la sinistra extraparlamentare aveva indetto una contromanifestazione <265. Gli echi delle iniziative milanesi giunsero anche a Bolzano, dove alcuni giovani legati al MSI diedero vita al “Centro Anticomunista Jan Palach” chiamando a raccolta i «cittadini, di ogni ceto sociale, che intendono rappresentare la cosiddetta “Maggioranza silenziosa”, stanca delle continue violenze dell’estrema sinistra e preoccupata dell’inerzia dei pubblici poteri», nonché scongiurare un governo del PCI, sollecitare le autorità ad intervenire <266.
[NOTE]
227 L. Buonocore, La maggioranza silenziosa e il progetto tecnocratico, Web edition-CSID La destra doctrina, 2007, p.4
228 Ibidem
229 Ivi, p.5
230 Fogli senza intestazione tranne Milano 22 Maggio 1971, con nomi e informazioni sui promotori della manifestazione del 29 Maggio 1971, in f. G5/12/130, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
231 G. S. Rossi, Alternativa e doppiopetto. Il MSI dalla contestazione alla destra nazionale 1968-1973, Roma, ISC, 1992, pp.185-186
232 Ritagli in f.9 “68 S. Babila 12 Aprile”, Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Fondo Franco Servello, serie 2-Materiali di documentazione
233 Allegato A-Elenco dei movimenti e periodici aderenti di Rapporto di fonte fiduciaria datato 4/5/1970, senza intestazione con nota a penna «avuto, nelle vie brevi», dalla Div. AA. RR. 12/12/72 in f. G5/39/13, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
234 Comunicazione questura Milano 14/3/1970, p.2, in f. G5/39/13, cit.
235 Comunicazione questura Milano 18/5/1970, in f. G5/35/112, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
236 Comunicazione prefettura Milano 13 /7/1970; Min. Int. Gab., Notizie di rilievo del giorno 22 /11/1970; in f. G5/35/112, cit.
237 Comunicazione prefettura Milano 10/4/1971
238 L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., p.6
239 Ivi, p.7
240 Ivi, pp.8-9
241 Il Tempo, 13 Marzo 1971, p.17
242 L’Unità , 13 Marzo 1971, p.2
243 L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., pp. 9-10
244 Descrizione basata su Il Corriere della Sera, 14 Marzo 1971, p.9; Il Secolo D’Italia, 14 Marzo 1971, pp.1 e 5; Il Tempo, 14 Marzo 1971, pp. 1 e 21; L’Unità, 14 Marzo 1971, p.2; Comunicazione prefettura Milano 5/4/1971, in n f. G5/12/120, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986; . Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., pp. 9-10
245 Il Tempo , 14 Marzo 1971, p.1
246 Il Secolo d’Italia , 14 Marzo 1971, pp.1 e 5
247 L’Unità , 14 Marzo 1971, p.2
248 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.3, Marzo 1971, p.11
249 Ivi, p.13
250 Ivi, p.14
251 Comunicazione prefettura Milano 24/4/1971, in f. G5/12/130, cit.
252 Comunicazione prefettura Milano 10/4/1971, in ivi
253 Il Tempo, 17 Aprile 1971, p.1
254 Il Secolo d’Italia , 17 Aprile 1971, p.1
255 Il Corriere della Sera , 17 Aprile 1971, p.8
256 L’Unità , 17 Aprile 1971, p.1
257 Comunicazione prefettura Milano 24/4/1971, in f. G5/12/130, cit.; L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., pp.15-16; Il Secolo d’Italia, 18 Aprile 1971, p.1
258 Descrizione basata su Comunicazione prefettura Milano 24/4/1971, in f. G5/12/130, cit.; Il Corriere della Sera, 18 Aprile 1971, pp.1 e 8-9; L’Unità, 18 Aprile 1971, pp.1-2; Il Tempo, 18 Aprile 1971, pp.1 e 17; Il Secolo d’Italia, 18
Aprile 1971, pp.1 e 5; L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., pp.16-17
259 L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., p.16
260 Ibidem
261 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.4, Aprile 1971, p.24
262 L’Unità , 18 Aprile 1971, pp.1-2
263 Risposta del ministro dell’Interno Restivo all’On. Simonacci 8/4/1971; L. Buonocore, La maggioranza silenziosa, cit., p.14
264 Comunicazione prefettura Parma 15/11/1972; Comunicazione prefettura Parma 2/4/1973, in f. G5/12/120, cit.
265 Ritaglio da Il Manifesto, 22 Maggio 1971, in f. G5/12/130, cit.
266 Comunicazione vicecommissario del governo per il Trentino-Alto Adige 14/4/1971, in f.G5/35/112, cit.
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio ’70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Roma – La Sapienza, Anno Accademico 2013-2014