La famiglia Claudi cerca in vari modi di combattere la barbarie nazifascista che si stava abbattendo in quel periodo sulla Capitale

Una vista su Roma

Il definitivo trasferimento a Roma segna per Caludio Claudi l’inizio della sua maturità intellettuale e professionale. L’Italia il 10 giugno 1940 prende parte alla Seconda guerra mondiale e si appresta a vivere una delle sue più grandi tragedie, rappresentate in particolare dalle vicende successive all’annuncio dell’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943. Nonostante la guerra e la conseguente occupazione nazifascista della penisola, l’ambiente culturale romano è caratterizzato da un grande fermento che si concretizza intorno ad un eterogeneo gruppo di artisti di attitudine espressionista chiamato “La scuola romana” o “Scuola di via Cavour”. Costoro non sono uniti da un vero e proprio intento programmatico ma piuttosto da amicizia, da sintonia di intenti culturali e da una singolare coesione pittorica. A differenza dei “caffè” fiorentini, la cultura a Roma trova i suoi luoghi di ritrovo negli appartamenti e nei salotti. Claudi si inserisce in questo nuovo fermento culturale stringendo amicizia con artisti e letterati. Vittorio in un passaggio del suo diario descrive l’incontro tra il pittore Roberto Melli <1 e Claudi durante il periodo bellico:
“Durante l’occupazione tedesca un pittore Roberto Melli, per giunta ebreo, moriva di fame. Io e Claudio prendemmo qualcosa, forse un chilo di quella pasta nera, fatta con chi sa cosa, che ci forniva Santino, e qualcos’altro e ci azzardammo, fidando nella nostra tubercolosi, a fare il tragitto della circolare rossa da Piazza Ungheria a Testaccio, dove lui abitava” <2.
Il trasferimento a Roma per Claudi quindi non si annuncia semplice e privo di fatica. Probabilmente le cure somministrate negli anni precedenti non hanno sortito la guarigione sperata <3; i problemi di salute, infatti, nel corso degli anni successivi tenderanno a ripresentarsi e a complicarsi ulteriormente <4.
L’ambiente romano influenza la vita di tutta la famiglia Claudi desiderosa di riscattarsi dalla sua dimensione provinciale attraverso una rapida e importante ascesa sociale. La madre Anna e il fratello Vittorio, infatti, hanno imbastito nella Capitale la casa di cura “Villa Bianca Maria” attraverso la collaborazione di un’importante equipe medica <5. Durante l’occupazione nazifascista la clinica non si limita semplicemente a prestare soccorso medico, ma diviene un importante punto di riferimento per l’attività partigiana romana, come viene confermato da un documento rilasciato dal “Comando Raggruppamento Patrioti Castelli – Lazio Sud” in cui si specifica che «La Clinica “Villa Bianca Maria” di proprietà della signora Anna Claudi, diretta dal Dott. Leonardo Valletti […] Ha collaborato tangibilmente con questo comando» <6 prestando cure e ricovero agli ufficiali impegnati nella varie attività di resistenza. Nella lettera viene specificato che il maggiore Antonio Ayroldi, il tenente colonnello Rossi Gino e il capitano Pratesi sono stati accolti nella clinica e curati gratuitamente dal novembre 1943 al giugno 1944 <7. Oltre al sostegno all’attività partigiana, la clinica fornisce riparo agli ebrei perseguitati dai rastrellamenti operati dai nazisti.
“Ma la clinica ormai già nascondeva un sacco di ebrei. I primi ci erano stati raccomandati dal Vaticano a mezzo del nostro direttore sanitario Dr. Valletti, amico fraterno del marchese Salviucci, bibliotecario del Vaticano […] poi i contatti erano divenuti diretti tra un certo monsignore Montini e mia madre e per almeno tre volte mia madre fu da questi invitata ad andare a parlare in Vaticano di nascondere questa coppia o quella famiglia di ebrei” <8.
Pur consapevole dei gravi rischi a cui si esponeva, la famiglia Claudi cerca in vari modi di combattere la barbarie nazifascista che si stava abbattendo in quel periodo sulla Capitale <9. Anche Claudi cerca di maturare una sua personale posizione unendosi probabilmente ad un gruppo di resistenza come indicato da un manoscritto dal titolo Verbale n. 1:
“Il giorno 6 giugno 1944, nei locali dell’Irce [?], si sono riuniti i membri fondatori dell’U.C.D.,… sotto la presidenza del Gen. Dell’Ora, il quale, dopo mesi, compiaciuto degli sviluppi presi dal movimento, ne ha rifatta la storia, ricordando il lavoro assiduo di preparazione dopo il 29 luglio ‘43, e poi, dopo l’8 settembre l’attività clandestina svolta attraverso contatti molteplici e frequenti con i membri dei vari partiti, personalità della cultura, professionisti, cittadini di ogni categoria sociale. Il generale Dall’Ora ha sottolineato il carattere decisamente ricostruttivo che il movimento ha assunto fin dal primo delinearsi nella vita politica italiana dei vari partiti delle varie tendenze, nel senso di proporre un gruppo di tecnici e di preparati di sicura onestà e di provata fede per la risoluzione concreta dei problemi urgentissimi della vita nazionale. Nelle varie riunioni tenute nei giorni… in casa Tucci[?], all’Irce[?], in casa De Feo, sono stati prospettati e ne sono state anticipate dopo accurato studio da parte dei competenti le possibili soluzioni – dei vari problemi di carattere economico, culturale, sociale, ecc. Di pari passo si è andata stringendo – fin dall’ottobre ‘43 – e poi concretando in comune lavoro di studio e di propaganda, una stretta collaborazione col Movimento per il risorgimento d’Italia, che, ha ricordato il Gen. Dell’Ora, ha avuto nelle persone di… i suoi rappresentanti fra gli eroici prigionieri di via Tasso e di Regina Coeli” <10.
Sulla base degli elementi in nostro possesso, non riusciamo a contestualizzare maggiormente gli eventi e i personaggi riportati nel foglio <11. Molto probabilmente si tratta del verbale di un’assemblea di una formazione politica denominata “U.C.D.”, acronimo di “Unione per il controllo democratico”. La particolarità di questo documento conferma come la lotta al fascismo sia stata condotta da Claudi a partire da un’esigenza di libertà e di autodeterminazione che il critico Giacinto Spagnoletti identifica in uno «spirito repubblicano» <12. Il suo antifascismo quindi si richiama ad un ideale filosofico di autoaffermazione e autodeterminazione che affonda le sue radici in un’esigenza primariamente speculativa e filosofica. Un carattere, questo, che viene ulteriormente confermato dal dolore provato da Claudi per la morte del filosofo Giovanni Gentile, una figura per la quale l’autore – nonostante i trascorsi alla Normale – non serba alcun rancore, come emerge da un passaggio del diario 1943-1945 scritto a Roma il 16 aprile 1944:
“Giovanni Gentile è morto, assassinato per odi politici. Scompare con lui dall’esistenza di questa terra uno dei più grandi pensatori che abbiano onorato l’umanità. Passerà questo delitto alla storia come uno dei più gravi errori commessi in omaggio alle idee politiche contro la cultura, l’intelligenza, il sapere: ciò che gli uomini hanno di eterno e che per nessuna ragione dev’essere violato in quei rari eroici individui che ne sono i portatori. Domani, a più serene considerazioni, si saprà fino a quale punto Gentile avesse ragione o torto: una cosa sarà certa, che coloro che l’hanno colpito hanno torto in senso assoluto. Tuttavia è strano e indicativo insieme che non si riesca a considerare Gentile come scomparso. Come Dante, come Socrate, come Platone, come Kant, come pochi altri, Gentile è per noi presente come vivo, più che se fosse vivo. Le sue debolezze politiche, le sue manchevolezze umane, tutto ciò che poteva impoverirlo ai nostri occhi facendo velo ai valori eterni ch’egli incarnava, sono cadute: resta il pensatore che nessuna violenza può distruggere. Il suo pensiero del resto ha alimentato la nostra giovinezza, ci ha dato il senso dei
valori primi, la consapevolezza dell’indistruttibile valore dell’opera umana. Ha fatto di noi dei responsabili. Oggi che tutto sembra sovvertirsi, non vorremmo che il suo assassinio – Croce è sul limitare della tomba – volesse significare un simbolico assassinio dell’Europa, nella sua civiltà, nella sua personalità storica. Non vorremmo che fra qualche decennio, scomparso l’altro grande pensatore del nostro tempo, fosse chiara una lenta deriva delle forze che hanno fatto il travaglio e la fisionomia del nostro continente: come il dilagare di nuovi popoli e nuove concezioni potrebbero far supporre” <13.
Da questo passaggio possiamo notare come per il Nostro anche l’antifascismo debba sottomettersi alla pratica intellettuale: ogni attività umana trova la sua nobilitazione nella speculazione filosofica che sola può dignificare le assurde vicende della vita.
[NOTE]
1 Roberto Melli (Ferrara, 21 marzo 1885 – Roma, 4 gennaio 1958) è stato un pittore italiano considerato uno dei maggiori esponenti de “La scuola romana”. Di origine ebraica, in seguito alla promulgazione delle leggi raziali del 1938 gli viene impedito di partecipare a pubbliche esposizioni e di insegnare. L’unico sostegno durante il periodo bellico è rappresentato dalla vicinanza della moglie. È unanimemente considerato uno dei maggiori esponenti de “La scuola romana” e nel 1950 viene invitato alla Biennale di Venezia, che gli dedicherà una personale. Presso il Museo d’Arte Contemporanea “Filippo de Pisis” di Ferrara è conservato un ritratto di Claudi dipinto da Melli intorno al 1940-1942 (Per un approfondimento dell’opera di Melli cfr., M. L. PACELLI – B. GUIDI – C. VORRASI, Boldini, Previati e De Pisis. Due secoli di grande arte a Ferrara. Catalogo della mostra, Fondazione Ferrara Arte, Ferrara 2012). Claudi in Roberto Melli o dell’impossibilità descrive la novità dell’opera pittorica di Melli: «Il contributo dato da R. Melli all’arte contemporanea è noto. Il Tonalismo di cui egli è tutt’ora il più autorevole rappresentante, ha ricevuto da lui un impulso fondamentale, ciò vuol dire che la cosiddetta “scuola romana” trova in Melli uno dei punti di riferimento più sicuri per un’indagine delle origini e delle tendenze» (F.C., Roberto Melli o dell’impossibilità, Arte 40).
2 F.C., Diario Vittorio Claudi, p. 23.
3 In un altro passaggio del diario del fratello troviamo questa specificazione: «Mia madre aveva accettato questo tipo di malati [tubercolosi] per tante umane ragioni (mio fratello era ancora ammalato di TBC, convalescente)» (Ivi, p. 14).
4 Le sue precarie condizioni fisiche – come descritto in precedenza – vengono confermate anche dalla lettera del 30 novembre 1944 del “36° Distretto dei militari in congedo”.
5 Nel suo diario Vittorio descrive la nascita della clinica menzionando alcuni componenti dell’équipe medica: «Nella tarda estate del 1938 la signora F. di Roma ai bagni nella riviera adriatica antistante la nostra vallata, si ammalò di una dolorosa sciatica. La fama dei successi ottenuti con la cura con speciali “impiastri” da parte di un medico di San Severino, convinse questa signora a ricorrervi. La guarigione fu insperatamente pronta. La signora F. era alquanto addentro al mondo medico romano in quanto figlia di un piccolo industriale di lampade per camere operatorie o altri elettromedicali. Essendo il marito in procinto di ricevere una ragguardevole somma per la cessione della sua agenzia di assicurazioni e relativo portafoglio, ebbe l’idea di una clinica a Roma ove fossero praticate tali portentose cure. Nel giro di pochi mesi ne organizzò l’avvio inserendo nell’équipe, oltre al Dr. C. [Claudi?] di San Severino, il prof.
Lucherini, primario del Policlinico famoso per la sua competenza nelle malattie reumatiche, il prof. Giacobini, radiologo ancora giovane ma stimatissimo, laboratoristi di talento, un altro medico molto importante a Palazzo Venezia (era moschettiere del Duce). Presero in affitto nel cuore del quartiere Parioli, a pochi metri da Piazza Ungheria due lussuosi villini adiacenti circondati da giardino e provvidero alle modifiche piuttosto radicali, alla necessaria moderna attrezzatura e arredamento (Radiodiagnostica e Roentgenterapia, laboratorio, ambulatorio, camere). Era implicito che ne dovessimo far parte anche noi in quanto possessori e fornitori del farmaco quasi miracoloso e mantenuto segreto. Mia madre aveva il compito di sorvegliare l’applicazione degli “impiastri” (da lei spalmati su teli di lino) e la durata e gli effetti di questi sui malati. Malgrado che le cure dei primi malati dessero buoni risultati, fu presto evidente che gli introiti non sarebbero bastati a coprire le tante scadenze» (F.C., Diario di Vittorio Claudi, p. 11). Gli “impiastri” a cui si riferisce Vittorio si riferiscono probabilmente alla “Jodobalsamina”, farmaco galenico ideato dal padre Adolfo che consiste in «una soluzione in olio di vasellina di un complesso chimico formato dallo Jodio con sostanze organiche […] quali il mentolo, il timolo, la canfora, le essenze e l’acido salicilico. […] Con la sintesi di questi viene esaltata la sinergia e il potere di penetrazione attraverso la cute» (F.C., Bozze di Istruzione interna ed etichetta interna della jodobalsamina salicilata, A inv jod 7).
6 F.C., Lettera del Comando Raggruppamenti Patrioti Italia Centrale Raggruppamento “Castelli Lazio Sud”, 1944, (E Villa 1).
7 «Il prof. M.[Monaldi] ci fece nascondere cinque uomini, tra cui, Aldo Ayroldi, che si fece togliere pure l’appendicite per giustificare la sua presenza in clinica […] Ayroldi, l’uomo più coraggioso e sorridente che mi sia stato dato di incontrare, le notti che non andava in missione a far saltare vagoni, faceva ponticello cioè ad una data ora del buio (c’era il coprifuoco) saltava i muriccioli (mutili delle cancellate di ferro, date alla patria) delle due ville che separavano la clinica da casa nostra. Quasi sempre aiutato, faceva ponticello anche Oreste Biancoli, brillante commediografo scintillante di battute. […] Ayroldi era diventato ufficiale, dalla gavetta. Perduto il padre in giovane età, doveva mantenere la madre ed un nugolo di sorelline. Allora, poteva avere 33 anni, era maggiore dello Stato maggiore (nelle formazioni Badoglio, lo sapemmo dopo, era il vice comandante della zona Castelli e Lazio sud, il vice Montezemolo). Ma una sera, che aveva detto sarebbe rientrato al termine del coprifuoco ancora non c’era» (F.C., Diario di Vittorio Claudi, p. 14). Il maggiore Ayroldi venne arrestato e dopo essere stato torturato rivelò che veniva ospitato presso la clinica dei Claudi. A seguito di ciò, racconta Vittorio, «Un pomeriggio, verso le tre, una automobile nera entrò nel vialetto della clinica, ne uscirono fuori un maggiore delle SS, due SS e due civili. A fronteggiarli subito la Superiora che li fece entrare nella direzione. I tre si esprimevano bene in italiano. Cominciò l’interrogatorio e la nostra versione ufficiale. Anzi, per recuperare la stanza vuota, abbiamo messo nella sua valigia le sue robe. Anzi la valigia è in questo armadio. Le domande dei tre erano martellanti mentre scucivano i vestiti, sfibravano la valigia alla ricerca di elementi» (Ivi, p. 16). Ayroldi morirà fucilato in seguito ai rastrellamenti successivi all’attentato in via Rasella.
8 Ivi, p. 15. In altro passo delle sue memorie, Vittorio precisa: «il papa Pio XII viene accusato di aver avuto un atteggiamento ambiguo, ambivalente tra i tedeschi e gli ebrei, di non aver sufficientemente aiutato gli ebrei, ecc. a parte noi che siamo arrivati per interessamento di Montini a nasconderne 26, non c’era convento, opera religiosa che non ne nascondesse un numero tale da superare non solo il ragionevole, ma il ridicolo. E i tedeschi non potevano non saperlo» (Ivi, p. 17).
9 Le varie testimonianze della famiglia Claudi rappresentano importanti documenti storici per ricostruire l’occupazione tedesca di Roma. In particolare, molto significativa è la ricostruzione compiuta da Vittorio dell’attentato partigiano in via Rasella da cui seguì l’eccidio nazista delle “Fosse ardeatine”: «Esempi: Giorgio Amendola, coinvolto nell’eccidio di Via Rasella, ha negato, in una trasmissione televisiva, di essere di pubblico dominio, di sapere che la legge tedesca, per atti di terrorismo contro soldati tedeschi prevedesse l’esecuzione di 10 ostaggi per ogni soldato tedesco. Io ricordo perfettamente un manifesto affisso a Piazza Verdi di fronte al poligrafico (io non mi allontanavo, per qualche piccola necessità più di 200-300 metri e in quel giorno mi recavo a prendere un pacchetto di Milit a borsa nera, dal Tabaccaio) che recava tra due bande nere, una sopra e una sotto, l’avvertimento che qualora l’autore (o gli autori) dell’attentato non si fosse presentato ci sarebbe stata l’esecuzione di 10 uomini per ogni soldato ucciso, secondo la legge di guerra tedesca. Ma, ovviamente, questo era l’esatto scopo politico di quell’eccidio» (Ivi). Vittorio specifica che durante i rastrellamenti «Avrebbe potuto esserci anche mio fratello se, con la sua testa di poeta, non avesse fatto tardi (di qualche minuto) all’appuntamento a Piazza Verdi» (Ivi). Lo storico Paolo Simoncelli in un articolo sul quotidiano “Avvenire” indica l’importanza della testimonianza riportata da Vittorio soprattutto per chiarire le dinamiche politiche interne ai differenti gruppi partigiani romani (Cfr. P. SIMONCELLI, Il manifesto “scomparso”, “Avvenire” (18 febbraio 2009), p. 30. L’articolo è conservato anche nel fondo Claudi con collocazione E villa 22).
10 Il testo non è stato ancora archiviato ed è conservato nel faldone dove sono conservati altri documenti di contenuto politico redatti dell’autore.
11 Siamo riusciti ad ricostruire la biografia di alcuni dei nomi menzionati da Claudi. Il generale Fidenzio Dall’Ora (Salerno, 20 febbraio 1879 – Roma, 4 febbraio 1961) è stato un militare e politico italiano. Vincenzo De Feo (Mirabello Sannitico, 16 agosto 1876 – Roma, 17 gennaio 1955) è stato un ammiraglio e politico italiano. Entrambi al termine del conflitto sono stati processati e deferiti dalle loro cariche dall’“Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo”.
12 SPAGNOLETTI, Prefazione, p. 5.
13 Diario 1943-1945, p. 57. Oltre a questo passaggio, ricordiamo che nello scritto Ciò che accadde Claudi indica il pensiero di Gentile come una delle fonti più importanti della sua formazione speculativa.
Gabriele Codoni, Claudio Claudi: un episodio sconosciuto di umanesimo nel secolo breve. Biografia intellettuale, introduzione critica ed edizione filologica di ‘Realtà e valore‘, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2017/2018