A Milano, a cavallo degli anni Cinquanta, si forma quella prima grande generazione di collezionisti che farà la storia di molte istituzioni museali

Amedeo Modigliani, Testa di giovane donna – Collezione Emilio Jesi, Pinacoteca di Brera, Milano – Fonte: pinacotecabrera.org

Se dare una datazione precisa alla nascita del collezionismo italiano contemporaneo è considerato da molti studiosi un’impresa ardua, più semplice è identificare un luogo d’origine ed una protagonista: Milano. È proprio nel capoluogo lombardo che, a cavallo degli anni Cinquanta, si forma quella prima grande generazione di collezionisti che farà la storia di molte istituzioni museali. <14
In quegli anni Milano è ancora attraversata dal clima di ricostruzione postbellica; la citta porta i segni della guerra, la società è chiusa in sé stessa, e le conseguenze della politica nazionalista fascista rendono ancora difficili gli scambi con l’estero, privilegiando la cultura artistica italiana. <15 Nonostante il clima non sia dei più favorevoli alcune personalità importanti si fanno strada nel grigiore di quei giorni per dar vita ad alcune collezioni tra le più importanti di quegli anni; si fa riferimento in particolar modo a Riccardo Jucker, <16 Emilio Jesi <17 e Gianni Mattioli. <18
I collezionisti di questi anni sono figure uniche nel panorama italiano: esponenti della borghesia milanese con grossi capitali a disposizione e competenze maturate attraverso la frequentazione delle gallerie e al rapporto diretto con molti artisti, di cui spesso diventano anche committenti. <19
I Mattioli si interessano al futurismo di Balla, Boccioni e Severini e gli Jesi e gli Jucker si avvicinano alla metafisica di Morandi e di De Chirico. <20
Ma la grande particolarità è che le scelte di questo gruppo di collezionisti d’avanguardia rivelano anche un’attenzione particolare alla scena artistica internazionale, con una predilezione per le avanguardie storiche. È un’apertura di non poco conto, soprattutto se inserita nel contesto del dopoguerra. Tale apertura, riscontrabile nel catalogo della prima mostra sul collezionismo italiano organizzata nel 1961 dalla GAM di Torino, <21 mette in luce questa nuova attenzione rivolta alla scena artistica internazionale; il collezionismo italiano inizia così ad occuparsi anche di arte straniera, e abbandona la sua vocazione unicamente nazionalista.
La mostra presenta oltre duecento opere di pittura straniera, con l’intento di dare voce ad un collezionismo che non documenta più i gusti delle classi privilegiate, ma coinvolge tutto l’ambiente sociale del paese. <22
Altro elemento rilevante in questa generazione di artisti è senz’altro il rapporto con le istituzioni.
Queste collezioni storiche sono infatti entrate a far parte di musei importanti: le collezioni Jucker e Jesi sono conservate nella Pinacoteca di Brera, mentre la collezione Mattioli è esposta in parte alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia.
È stato proprio Gianni Mattioli a dimostrarsi tra i più attenti nel dare una dimensione pubblica alla propria collezione, acquistando fin da subito opere finalizzate a tracciare un percorso dell’arte italiana dei primi anni del Novecento. <23
Questo rapporto con le istituzioni verrà purtroppo meno negli anni seguenti, e sarà proprio tale elemento a creare una distanza tra i collezionisti italiani e quelli d’Oltreoceano; se negli Stati Uniti, infatti, i collezionisti continueranno ad impegnarsi nel cercare di dare visibilità pubblica alle proprie collezioni, che finiranno così per costituire i nuclei originali di istituzioni quali il MOMA o il Guggenheim, in Italia il collezionismo rimarrà relegato per molto tempo ad una dimensione privata e intima, forse determinata anche dalla mancanza di incentivi fiscali e da una quasi completa trascuratezza da parte dello Stato nei confronti di questo patrimonio. <24
Emblematico è a tal proposito il caso relativo a Giovanni Panza di Biumo, uno dei collezionisti italiani più importanti nell’arte contemporanea. Partendo da un capitale ridotto, dal 1955 in poi darà vita ad una collezione di duemilacinquecento opere di arte informale, espressionismo astratto, pop art, minimalismo, arte concettuale, arte ambientale, organica e monocroma. La particolarità del suo modo di collezionare sarà la scelta di una cerchia ristretta di artisti a cui dedicarsi con una gamma di acquisizioni il più vasta possibile per permettere anche un’analisi critica della loro opera e una visione più ampia possibile della loro ricerca artistica. La collezione così realizzata, nonostante gli innumerevoli tentativi da parte del collezionista per essere esposta in qualche museo italiano, ha visto una noncuranza da parte dello Stato e un disinteresse tale da venir poi venduta all’estero, esposta oggi in alcuni tra i musei più importanti di arte contemporanea del mondo; una perdita da parte dello Stato senza eguali. <25
Nonostante la presenza di questi collezionisti “storici” nel panorama culturale degli anni Cinquanta, sono ancora poche le gallerie a proiettarsi nel mercato internazionale e ad esporre artisti emergenti; una tra queste è la galleria Apollinaire diretta da Guido Le Noci, <26 gallerista affidabile interessato a ciò che succede all’estero, in particolar modo a Parigi; è proprio da questa galleria che prende vita il primo nucleo della collezione di Giovanni Panza di Biumo. <27
La Roma postbellica degli anni Cinquanta, pur assumendo un ruolo centrale per lo sviluppo di un’arte nuova, non si distingue tuttavia per la nascita di un collezionismo pari a quello milanese.
Eppure sono anni cruciali per la capitale, che ospita artisti, registi cinematografici, e vede la nascita di una gran quantità di riviste e di gallerie d’arte sparse per la città. Centrale è il dibattito tra “astratti e figurativi”, sia nel mondo dei critici che tra le file degli artisti stessi. Da una parte i sostenitori di un’arte che nega la rappresentazione della realtà a favore di ricerche basate sulle forme, le linee, i colori, una linea incarnata dall’arte ufficiale del tempo, l’Informale; dall’altra un rapporto ancora forte con l’arte figurativa e con la rappresentazione della realtà. In quel periodo chi si occupava d’arte era generalmente ostile all’astrattismo, nonostante vi fosse qualche critico e intellettuale che cominciava ad interessarsene. I pochi favorevoli si battevano in questo dibattito con energia, e la stampa dava largo spazio a queste tematiche. <28
Roma è in questi anni una tappa cruciale per tutti coloro che ruotano attorno al mondo dell’arte e della cultura, ma c’è un luogo in particolare che richiama e merita attenzione: lo studio Origine di Ettore Colla, <29 centro di una serie di sperimentazioni artistiche che puntano all’abbandono della tela a favore di una ricerca basata sulla materia e sull’energia, declinata attraverso l’allontanamento della pittura a favore dei più disparati materiali. È ancora un’arte legata alla forza del gesto vicina all’informale, ma declinata nei suoi sviluppi maggiormente materici preannunciando già in parte le ricerche successive. Questo distacco dal supporto tradizionale avrà sensibili ricadute sul modo di collezionare arte e di essere collezionisti.
Rilevante è anche il ruolo di Palma Bucarelli, a quel tempo direttrice della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma (GNAM), <30 non solo per il suo appoggio al Gruppo Origine e in particolar modo alle ricerche di Alberto Burri, <31 ma anche in virtù dell’organizzazione di mostre in grado di porre la capitale italiana al centro della scena artistica internazionale.
È difficile perciò capire come, nonostante il ruolo centrale di Roma nell’affermarsi di queste nuove ricerche d’avanguardia, e nonostante la presenza di un’ambiente stimolante ricco di gallerie e riviste, non sia possibile rintracciare parallelamente la nascita di una generazione di collezionisti ricca come a Milano. Le poche collezioni che prendono vita non sono destinate a durare e le ragioni possono essere di diverso tipo. Senz’altro l’assenza di una borghesia industriale illuminata, simile a quella che caratterizzava il capoluogo lombardo degli anni Cinquanta, è da considerare una delle ragioni fondamentali di questa lacuna; il collezionismo più illuminato e d’avanguardia è praticato infatti da personaggi dotati di una certa consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie risorse economiche, che non si limitano ai dibattiti nei salotti ma si impegnano a rischiare e a contribuire attivamente alla scena artistica, una categoria che in quegli anni manca ancora a Roma.
Due anomalie si impongono però all’attenzione: Riccardo Gualino <32 e Giorgio Franchetti. <33
Quest’ultimo, nipote dell’omonimo collezionista della fine del XIX secolo, si afferma come collezionista illuminato non solo comprando per primo gli artisti americani, ma promuovendo anche l’attività di alcuni artisti emergenti, primo tra tutti Cy Twombly, che diverrà anche suo cognato. Il suo è un collezionismo anticonformista, coraggioso, che nega in molti casi le mode imposte dal mercato (ancora legato all’esperienza informale), per rivolgere il proprio sguardo su esperienze nuove ed emergenti.
Se gli anni Cinquanta rappresentano un periodo di graduale passaggio, in cui le ricerche artistiche puntano sempre più verso un progressivo abbandono dei linguaggi tradizionali a favore di nuove forme di espressione, gli anni Sessanta rispecchiano il punto di maggiore diffusione e di arrivo di queste ricerche, determinando quel momento di frattura e quella svolta decisiva che distinguono oggi l’arte moderna dall’arte contemporanea.
[NOTE]
14 A. Polveroni, M. Aglittone, Il piacere dell’arte, pratica e fenomenologia del collezionismo contemporaneo in Italia, Johan & Levi, Milano, 2012, pp. 16
15 G. Panza di Biumo, 2006 cit., p. 55
16 Importante imprenditore dell’industria cotoniera. La collezione, raccolta insieme alla moglie Magda, comprende molte celebri opere del primo Novecento. Obiettivo di Jucker fu fin da subito quello di creare una collezione che avesse un livello e un’importanza museale, acquistando opere ricercate che seguissero un percorso di base relativo al futurismo e alla metafisica.
17 Commerciante di caffè e collezionista d’arte. Le opere che costituiscono la sua raccolta prendono in esame soprattutto l’arte italiana della prima metà del Novecento.
18 Nato da una famiglia modesta è solo dopo il secondo dopoguerra che, grazie ad un’attività commerciale ben avviata, riesce ad acquisire una disponibilità economica tale da operare i primi acquisti, perlopiù pittura. La collezione, più che per piacere privato, è una risposta alla presunta incapacità delle istituzioni pubbliche nel diffondere l’arte contemporanea nella società.
19 A. Polveroni, M. Aglittone, 2012 cit., pp. 15-17
20 L. Pratesi, 2010 cit., p. 9
21 AA.VV., La pittura moderna straniera nelle collezioni private italiane, Torino, Galleria Civica d’arte moderna, 4 marzo-9 aprile 1961, Galleria Civica di Arte Moderna, Torino, 1961
22 Ibidem, pp. 9-11
23 A. Polveroni, M. Aglittone, 2012 cit., pp.19-20
24 L. Pratesi, 2010 cit., p. 9
25 Le prime 80 opere della collezione, emblematiche testimonianze dell’arte contemporanea degli anni ’50 e ’60, sono state vendute al MOCA di Los Angeles per la cifra di 11 milioni di dollari. La collezione, rifiutata per una cifra di 7 milioni di dollari dalla Regione Piemonte, vale oggi 200 milioni. G. Panza di Biumo, 2006 cit., p.292
26 Di origini pugliesi ma trasferitosi sin da giovane a Milano, muove i primi passi come collezionista per poi decidere di aprire la sua prima galleria a Como per poi spostarsi nel capoluogo lombardo. Sarà questo l’inizio di varie collaborazioni che daranno poi vita alla galleria Apollinaire.
27 G. Panza di Biumo, 2006 cit., p.56
28 Ibidem, p. 198
29 Tra i protagonisti dell’astrattismo italiano, è conosciuto soprattutto per le sue sculture realizzate con elementi di recupero. Lo studio da lui fondato prende il nome dal Gruppo Origine, fondato a Milano nel 1950 dallo stesso Ettore Colla e a cui aderirono Mario Balocco, Giuseppe Capogrossi ed Alberto Burri. La prima e unica mostra del gruppo sarà proprio a Milano nel 1951.
30 Palma Bucarelli sarà direttrice e sovrintendente del museo dal 1942 al 1975, promuovendo in particolar modo l’astrattismo e l’informale.
31 Emblematica a tal proposito sarà l’acquisizione da parte della GNAM del Grande Sacco, atto che farà esplodere ancora di più la polemica tra astrattismo e realismo.
32 Imprenditore impegnato in molti settori, da quello del legname all’automobilistico. La collezione di arte moderna da lui raccolta, messa insieme grazie ai consigli dell’amico e critico d’arte Lionello Venturi, fu sfortunatamente dispersa in seguito al fallimento dell’imprenditore.
33 A. Polveroni, M. Aglittone, 2012 cit., pp.21-25
Elisa Rugolo, Arte Contemporanea a Genova. La Collezione privata di Sergio Bertola, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2015/2016

Filippo de Pisis, Oggetti (Natura morta con i numeri), 1914 – Collezione Jucker a Palazzo della Permanente di Milano – Fonte: wwww.futur-ism.it

Una collezione, molto più di una semplice raccolta di opere, è soprattutto la trasposizione visibile di un modo di vivere, gustare e selezionare l‘arte in base ai propri desideri e all’evoluzione di questi in un determinato lasso di tempo.
Non si sottrae a questa regola la collezione di Riccardo e Magda Jucker, ospitata oggi nel Palazzo della Permanente di Milano, città in cui risiede dal 1992, anno dell’acquisizione da parte del Comune.
Accanto al corposo nucleo di opere futuriste, tutte di grandissimo rilievo, sono presenti alcune delle più importanti firme del novecento, da Mondrian, Kandinskij, Klee fino a maestri assoluti del cubismo come Picasso, Braque e Leger.
L’Arte italiana oltre al movimento d’avanguardia è indagata attraverso le esperienze fondamentali della Metafisica di Carrà, De Pisis e Morandi e di due artisti che seppure vicini al Futurismo intrapresero poi significative ricerche personali, Soffici e Sironi.
L’eccezionale vitalità artistica della Parigi di inizio secolo, di cui Riccardo Jucker aveva perfettamente intuito l’importanza rivive in due opere parigine di Severini, due Modigliani e un Matisse.
L’intera collezione disegna quindi un percorso storico nell’arte del novecento, non dettato da criteri cronologici bensi dal gusto personale e attento degli Jucker. Sempre supportati da preziosi consiglieri e da accurati studi nel momento dell’acquisto, seppero riconoscere le caratteristiche chiave del futurismo in capolavori come ELASTICITA’ di Boccioni del 1912, IL BEVITORE del 1914, e poi le ricerche sul dinamismo sia in Balla con AUTOMOBILE + VELOCITA’+LUCE del 1913, sia in Severini con IL DINAMISMO DI UNA DANZATRICE sempre del 1913, annettendo queste opere alla loro collezione.
[…]
La guida della collezione Jucker è pubblicata da Skira, Milano 2001
Redazione, La collezione Jucker e la scultura del novecento delle civiche raccolte d’arte. Palazzo della Permanente, Milano, 21 Giugno 2002 – 28 Febbraio 2003, wwww.futur-ism.it

Marino Marini, Ritratto di Emilio Jesi, 1947 (Bronzo; cm 24 x 25 x 20) – Collezione Emilio Jesi, Pinacoteca di Brera, Milano –  Fonte: pinacotecabrera.org

L’approfondimento dedicato all’arte del Novecento è imperniato sulla visita alla prestigiosa collezione Jesi, frutto della donazione di dipinti e sculture fatta da Maria Jesi nel 1976, e ampliata nel 1984, intitolata al marito Emilio Jesi, grande collezionista d’arte.
Le opere che costituiscono la raccolta presentano un vasto panorama dell’arte italiana della prima metà del Novecento. Il percorso di visita si apre con alcune opere cruciali di Umberto Boccioni, come Rissa in galleria, che segnano l’affermazione del Futurismo in pittura. Legati al movimento d’avanguardia guidato da Marinetti sono anche Mario Sironi e Carlo Carrà, di cui il museo conserva opere che testimoniamo la loro evoluzione, prima verso la pittura metafisica e poi verso la tendenza del ritorno all’ordine che segna gli anni del primo dopoguerra.
Il genere del ritratto è rappresentato da due splendidi dipinti di Amedeo Modigliani, mentre quello della natura morta trova ampio spazio grazie ai quadri di Filippo De Pisis e Giorgio Morandi e a una drammatica di Testa di toro di Picasso del 1942.
Allargheremo lo sguardo sulla scultura concentrandosi sulle opere di Medardo Rosso, Arturo Martini e Marino Marini, quest’ultimo autore del Ritratto di Emilio Jesi collocato all’ingresso di questa vasta e ricchissima collezione dedicata al Novecento.
Redazione, Visita di approfondimento alla Pinacoteca di Brera: l’Arte del Novecento della Collezione Jesi, Milano Guida

[…] Meglio, dunque, ricordare della lunga vicenda degli Amici di Brera una stagione molto più felice. Quella che vedeva tra i suoi soci Emilio e Maria Jesi, Paolo Gerli, Alberto Saibene, Paolo Stramezzi, o ancora Paolo D’ Ancona e Lamberto Vitali. È recentissimo il riallestimento della pinacoteca che ha destinato alle collezioni Jesi e Vitali le sale X e XI, da tempo escluse dal percorso espositivo, ricollocando nella galleria d’ingresso gli Uomini d’arme del Bramante e gli affreschi del Luini. Si lega invece al nome di Alberto Saibene un dipinto modernissimo per concezione come la Cleopatra morente, eseguito in pieno ‘600 dal romagnolo Guido Cagnacci e donato nel 1960. Così come spetta allo Stramezzi se dal 1951 Brera possiede il primo Autoritratto in cui Boccioni, che allora aveva studio in via Adige, raffigurò nel 1908 la periferia milanese. È una ricerca originale – coordinata da Matteo Ceriana e Cristina Quattrini, condotta da Marco Cresseri con l’aiuto di Silvia Paoli, Paola Strada e Michele Tavola – ad aver fatto riemergere, inaspettatamente, una vera e propria folla di donatori, raccontati attraverso le opere, ma anche in brevi profili biografici. Si apprende così che furono Gilberto Algranti e Giovanni Testori – un mercante d’ arte e uno scrittore non solo d’arte – a regalare un dipinto del Pitocchetto che proprio a Brera aveva il suo pendant. O che due funzionari di Brera, Corrado Ricci e Giulio Carotti, si spesero non solo nella gestione e nella conservazione del patrimonio, ma anche nel suo incremento. Il flusso più intenso di arrivi si è registrato tra il 1882 e il 1915 con 59 donazioni, scese a 30 fra il 1916 e il 1951 e ulteriormente calate nei decenni successivi. Ma mai del tutto interrotte. Tra i doni più recenti quelli di Arturo Schwarz, Virgilio Liccioli, Giovanna Giordano. Senza dimenticare, oltre al lascito Vitali, Fiumana di Pelizza da Volpedo, dipinto preparatorio del celeberrimo Quarto Stato (conservato nella Villa Reale di via Palestro), che la Sprind Spa acquistò all’asta da Finarte nell’86 per poi destinarlo alla Pinacoteca di Brera nell’88.
[…]
Silvia Dell’Orso, Quei milanesi generosi che fecero grande Brera, la Repubblica, 1 settembre 2004

Giacomo Balla, Mercurio passa davanti al sole, 1910 – Collezione Mattioli, prossimamente al Museo del Novecento di Milano – Fonte: Wikipedia

Un viaggio lungo un secolo attraverso le evoluzioni visionarie dell’arte. È questo quello che, dal 6 dicembre scorso, è possibile intraprendere visitando il nuovo Museo del Novecento, ospitato all’interno del Palazzo milanese dell’Arengario, posto al fianco di Palazzo Reale.
Proprio l’architettura monumentale di Portaluppi, di Muzio, di Magistretti e Griffini, che della patria italiana del Novecento si era voluta rendere portavoce, diventa oggi scrigno per custodire, mostrare, accogliere, alcuni dei più grandi capolavori artistici che hanno accompagnato l’eterogeneo evolversi di quel secolo conclusosi con l’apertura del nuovo millennio.
[…] Uno sguardo sull’avanguardia internazionale ci viene offerta da alcune opere provenienti dalla collezione di Riccardo e Magda Jucker. Georges Braque, Piet Mondrian, Wassily Kandinsky, Pablo Picasso, Henri Matisse, Giorgio Morandi, Amedeo Modigliani cominciano a mostrarci nuove interpretazioni del mondo. Un mondo mobile e immobile al contempo, un mondo che cambia e che l’uomo percepisce in una visione che esula dai canoni di una prospettiva rinascimentale, in qualche modo forzata, facente ormai parte del passato.
[…] I futuristi che incontriamo sono anche altri, troviamo Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Luigi Funi, Fortunato Depero, che sulla lezione del manifesto del Futurismo di Marinetti pubblicato sul numero di Le Figaro del 20 febbraio 1909 si avvicinano progressivamente a nuovi linguaggi. Vediamo così Boccioni in un ripensamento delle lezioni di Cézanne e Picasso e un Carrà che gradualmente si avvicina al repertorio metafisico di De Chirico con Natura morta con squadra del 1917.
Gli artisti si mostrano anche attraverso sale monografiche. L’opera del bolognese Giorgio Morandi è esposta attraverso una serie di quadri delle collezioni Juker, Boschi-Di Stefano e delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano. […]
Sara Benzi, A Milano, un nuovo viaggio, Post-it, 19 luglio 2011

Milano è la città del Futurismo. E il Museo del Novecento è il luogo dove vederlo tutto. O quasi. A pochi giorni dall’inaugurazione (il 30 settembre) del nuovo allestimento dedicato agli artisti futuristi nella galleria lunga dell’Arengario, il Comune annuncia l’approdo di un altro nucleo straordinario di opere della prima avanguardia storica italiana, destinate a completare un percorso già ricco. Fra i 35 pezzi in collezione e i 26 che giungeranno, cresce a oltre 60 il numero di dipinti e sculture del fondo d’arte futurista più ampio al mondo. Firmati da mostri sacri come Boccioni, Carrà, Sironi, Severini o Morandi, stimati nel complesso quasi 143 milioni di euro, i capolavori in arrivo in piazza Duomo escono dalla raccolta blasonata del collezionista milanese Gianni Mattioli (1903-1977) la cui biografia s’intreccia a quella dei futuristi sullo sfondo del ventennio.
Mattioli fu molto legato a Depero, frequentò Marinetti, assicurò come mediatore un lascito di sculture di Boccioni alla città di Milano da parte di un donatore torinese e, durante la guerra, aiutò Fernanda Wittgens, grande e commovente direttrice di Brera, sia con consigli per la Pinacoteca, sia nel suo impegno civile per la fuga in Svizzera degli ebrei perseguitati. La collezione cresciuta nel tempo fu notificata dallo Stato nel 1973 come patrimonio indivisibile (“insostituibile testimonianza di momenti capitali della pittura italiana” recita la nota della soprintendenza) e da allora la figlia, la storica dell’arte Laura Mattioli, s’è impegnata per trovare una giusta collocazione per custodire e valorizzare i beni del padre.
La sede naturale, visto il legame con Brera e con Milano, sarebbe stata Palazzo Citterio che, tuttavia, già all’epoca pativa dei problemi di restauro che ancora adesso – a cinquant’anni di distanza – ne ostacolano l’apertura. Stremata dai rimbalzi, la collezione ha lasciato a un certo punto Milano in direzione di Venezia dove, dal 1997 al 2015, è stata esposta al Guggenheim. Terminato il prestito in laguna, le 26 preziosissime casse hanno cominciato un tour mondiale per musei, da Madrid a New York alla Russia, che proprio oggi le ospita al Museo Russo di San Pietroburgo, pronte a passare al Puškin di Mosca, ma sempre col sogno di rientrare a Milano e occupare finalmente Palazzo Citterio. Peccato che, in via Brera, il cantiere interrotto abbia di nuovo rimpallato il comodato. E così, Giacomo Rossi, nipote del collezionista, ha deciso di tagliar corto e affidare al Novecento la tutela per cinque anni (prorogabili) di opere da troppo tempo senza fissa dimora. “La scelta del Novecento è altrettanto motivata – commenta Rossi – data la presenza del fondo Jucker che, insieme a Mattioli, andrà così ad arricchire un importante museo d’arte moderna indispensabile per la città. Mancherebbero solo le collezioni Jesi e Vitali per chiudere il cerchio”. Che però stanno fisse a Brera, sospirando anche loro Citterio. E bisognerà fare i conti con il direttore James Bradburne che, per colpa di un edificio eternamente inadatto, s’è visto a malincuore sfuggire il deposito.
Ma, a sentire la direttrice del Novecento Anna Maria Montaldo, non c’è competizione: “Con lo sguardo ampio al sistema museale milanese festeggiamo un dono alla città che permette a tutti di crescere insieme”. L’ideale sarebbe costruire un circuito che metta in rete gli altri luoghi del futurismo, dalla Gam al Castello che possiede centinaia di disegni. In attesa di spacchettare – fra un anno circa – giganti come “Materia” di Boccioni (che campeggia sulle copertine dei manuali del liceo) la “Balleria Blu” di Severini (farà coppia con quella bianca…), la “Galleria” (cubista) di Carrà e i Morandi prima di Morandi metafisico, si pensa alla collocazione. […]
Chiara Gatti, La collezione Mattioli al museo del Novecento: Milano diventa città del Futurismo, la Repubblica Milano, 19 settembre 2021

Giuseppe Panza e alcune opere della collezione – Fonte: Studio Zecchillo cit. infra

Giuseppe Panza di Biumo, nato a Milano il 23 marzo 1923 da Maria Mantegazza ed Ernesto Panza, è stato uno dei più grandi collezionisti d’arte contemporanea in Italia; creando dal 1955 al 2010 una raccolta di oltre duemilacinquecento opere ad oggi esposte nei principali musei d’arte contemporanea del mondo.
Egli inoltre è stato un vero e proprio mecenate per gli artisti sostenendoli attivamente nella produzione delle loro opere e investendo in movimenti pionieristici che solo diversi anni dopo sono stati accettati e consacrati dalla critica d’arte e dal pubblico, influenzando con il suo gusto collezionistico e la sua visione museografica, gli sviluppi della Storia dell’Arte sia in Italia che nel mondo.
Ernesto Panza, commerciante di vini dell’azienda di famiglia, acquista Villa Menafoglio Litta a Varese nel 1935 affidandone la ristrutturazione all’architetto Piero Portaluppi. Alla morte di Ernesto la Villa passa ai suoi quattro figli ed è, in particolare, Giuseppe ad amarla più degli altri tanto da scegliere di legarla alla propria celeberrima collezione d’arte contemporanea.
Liquidata l’azienda di famiglia a causa di una crisi nel commercio, Giuseppe, laureatosi in giurisprudenza, si dedica a nuovi investimenti al fine di valorizzare l’eredità paterna. Nel 1954 intraprende un viaggio verso l’America settentrionale da New York a Los Angeles che avrà una forte influenza sul suo gusto estetico e sarà di forte ispirazione artistica.
Al suo ritorno a Milano (1955) sposa Rosa Giovanna Magnifico e i due si trasferiscono nella casa a Porta Romana dove, con fondi limitati, iniziano a collezionare opere d’arte.
L’attività di collezionismo dei due coniugi cresce esponenzialmente negli anni e spazia dall’arte informale europea alla pop art (1955-1965) all’arte minimal concettuale e ambientale (1966-1976) all’arte organica e monocroma (1987-2010) includendo anche sculture d’arte primaria provenienti dall’Africa e dal Messico.
Agli inizi degli anni Settanta la collezione Panza comprende una tale vastità di opere da creare l’esigenza di trovare altre sedi espositive suddividendosi così in nuclei compatti destinati a musei come il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, il Solomon Guggenheim Museum di New York , la Fondazione Guggenheim, l’Albright-Knox Collection di Buffalo, l’Hirshhorn Museum di Washington, il San Francisco Museum of Mordern Art e sedi italiane quali il Museo Cantonale d’Arte di Lugano, il Palazzo Ducale di Gubbio, il Mart di Rovereto e l’Università Bocconi di Milano.
Con l’intento di consegnare intatta ai posteri l’abitazione e il vasto patrimonio artistico in essa raccolto, nel 1996 Giuseppe Panza dona al FAI – Fondo Ambiente Italiano Villa e Collezione Panza, aperta al pubblico nel 2000 dopo un lungo restauro e ancora oggi riconosciuta come una delle più alte testimonianze culturali della seconda metà del XX secolo.
La donazione inoltre permetterà ad alcune opere, create appositamente per quel luogo, di rimanere nella sede originaria di Varese conservandone l’integrità concettuale e spirituale legata all’ambiente circostante.
Redazione, Giuseppe Panza, Studio Zecchillo

Guido Le Noci e Giuseppe Ungaretti all’inaugurazione del XI Premio Lissone, 1959 – Fonte: ARTE.it cit. infra

A detta di Vincenzo Costantini, Guido Le Noci era un «puro e onesto idealista». Per Leonardo Borgese era un «eroe martire e vergine», per Pierre Restany un «eterno militante dell’avanguardia, senz’altra risorsa che il suo entusiasmo», per Luigi Carluccio un «mercante dell’insolito che si butta a capofitto nelle imprese più rischiose».
Le Noci aveva ammesso di aver «cominciato a fare il mercante d’arte nel ’40, ufficiosamente, e nel ’43 ufficialmente, a Como. […] Prima del ’40 avevo fatto tutti i mestieri, dal ’25, quando arrivai a Milano dalla mia Puglia, da solo, con un fagotto di sogni nella testa e un altro in mano con dentro la roba personale». La sua prima galleria, aperta a Como nel 1943, si trasferirà a Milano per proseguire la sua “vocazione culturale” fino al 1950. Seguiranno quindi diverse altre collaborazioni con Bompiani, Schettini e il Piccolo Teatro, finché, quattro anni più tardi (esattamente il 17 dicembre 1954, alle ore diciassette) Le Noci inaugura la galleria Apollinaire che lui definiva «aperta alle tendenze più avanzate, o assurde, come spesso sento dire».
In occasione del settantennale del Premio Lissone [1946-2016], il MAC di Lissone rende omaggio alla solerte e carismatica figura di Guido Le Noci, il cui operato all’interno dell’industriosa cittadina lissonese ha lasciato un segno indelebile. A testimonianza di ciò riportiamo le parole di Dino Buzzati, il quale affermava che «se il Premio Lissone attizza le ambizioni dei pittori di tutto il mondo, gran parte del merito è dovuto alla meravigliosa e commovente follia di Guido Le Noci». In qualità di Segretario del Premio Lissone, carica che lo vede impegnato dal 1953 fino al 1961, Le Noci aveva elevato il prestigio della rassegna a livello internazionale, intraprendendo un florido scambio con la Jeune École de Paris, la neonato “scuola Americana” e la compagine dei pittori informali giapponesi. Ed è sempre a lui che dobbiamo il merito di aver visto transitare sul territorio brianteo i grandi nomi della Pittura del secolo scorso.
Grazie alla calorosa disponibilità della moglie Eugenia e della figlia Marina, il MAC ha deciso di dedicare il quinto capitolo del ciclo ARC#IVE alla divulgazione di documenti e carteggi afferenti i contatti intercorsi tra Le Noci e il Premio Lissone. All’interno del percorso espositivo sarà quindi possibile consultare una serie di materiali inediti che negli ultimi mesi sono stati oggetto di studio e di approfondimento. Particolarmente nutrita è la selezione di lettere datate al 1957-1961, che corrispondono agli anni di maggiore vitalità del Premio, tra cui citiamo le missive di Emilio Vedova, Piero Dorazio, Karel Appel, Julius Bissier, Corneille, Achille Perilli, Antonio Saura, Emil Schumacher, Giuseppe Capogrossi, Vincente Aguilera Cerni, Zoran Music, Sadamasa Motonaga, Hisao Domoto, Minoru Kawabata, Kazuo Shiraga e Yasse Tabuchi.
L’Amministrazione comunale e il Museo di Lissone ringraziano gli Eredi Le Noci per aver acconsentito a questo piccolo ma significativo omaggio all’eclettico e pionieristico Guido Le Noci.
Redazione, ARC#IVE Vol. 5: Guido Le Noci, ARTE.it, dicembre 2007

Palma Bucarelli ad una serata di gala con Sibilla Aleramo, anni Sessanta – © Farabolafoto, Milano – Fonte: www.150anni.it
Alberto Savinio, Palma Bucarelli – Fonte: wwww.calabriacult.com

Palma Bucarelli è stata una delle più importanti direttrici di museo italiane del Novecento. In un panorama prevalentemente maschile, e in un’epoca – il secondo dopoguerra – in cui la direzione di un museo assumeva connotati del tutto nuovi, Bucarelli ha operato con grande apertura culturale e indipendenza di giudizio, promuovendo in particolare l’ingresso dell’arte contemporanea nelle sale del museo e favorendone la comprensione da parte del pubblico attraverso mostre didattiche e cicli di conferenze.
Amata e odiata, adulata e criticata, è stata la prima direttrice donna di un museo pubblico in Italia. Al “mito” di Palma Bucarelli hanno concorso, oltre alla sicura preparazione scientifica e alla forte personalità, la sua bellezza ed eleganza, riconosciute da tutti, e una certa aristocratica mondanità, certamente frutto di una precisa strategia di auto-rappresentazione (andò a lezione dall’attrice Andreina Pagnani per meglio impostare la voce; amò le auto e si fece un vezzo del saperle guidare spericolatamente..). “Palma e sangue freddo”, l’aveva ribattezzata Marino Mazzacurati, a sottolinearne lo stile algido e inflessibile, che le sarebbe stato utile nelle battaglie in difesa dell’arte astratta e informale.
Il profilo biografico di Bucarelli si sovrappone a quello del “suo” museo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, di cui è stata soprintendente dal 1941 al 1975. Nata a Roma nel 1910, vive un’infanzia nomade a seguito del padre, funzionario di prefettura, trascorrendo un periodo anche in Libia. Si laurea in Storia dell’Arte a Roma con Pietro Toesca. Durante il corso di perfezionamento conosce Giulio Carlo Argan, che sarà per tutta la vita un punto di riferimento personale e professionale. Dopo aver vinto il concorso “per la carriera direttiva degli storici dell’arte”, dal 1933 al 1936 lavora alla Galleria Borghese.
Successivamente viene trasferita alla Soprintendenza di Napoli, dove resta un anno. Dall’agosto 1937 è ispettrice alla Soprintendenza del Lazio, e dal dicembre 1939 ispettrice presso la Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, diretta all’epoca da Roberto Papini. Dal 1941, trasferito Papini a Firenze, è soprintendente unica.
Durante la guerra è promotrice di un avventuroso salvataggio di opere d’arte, ricoverate a Palazzo Farnese a Caprarola e poi a Castel Sant’Angelo. Il 1944 è un anno di riflessione e maturazione da cui nasce il diario Cronaca di sei mesi, pubblicato nel 1997. Quello stesso anno riapre – prima in Italia – la Galleria, con undici sale dedicate alla giovane pittura italiana. Emergono, da questo momento in poi, i gusti di Bucarelli: Morandi, Scipione, Savinio (che ne fa un famoso ritratto), mentre un presunto ostruzionismo nei confronti di de Chirico determinerà un’inimicizia duratura, e molte polemiche negli anni a seguire.
[…] Legata dal 1936 al giornalista del «Corriere della Sera» Paolo Monelli (che sposerà solo nel 1963), nel 1952 si trasferisce in un appartamento situato in un’ala del museo. Gli anni Cinquanta sono quelli delle grandi mostre che l’hanno resa celebre per le scelte anticonformiste, nonché per le polemiche che ne sono seguite: Picasso (1953), Scipione (1954), Mondrian (1956, con allestimento di Carlo Scarpa), Pollock (1958). Quest’ultima mostra, insieme all’esposizione del Sacco grande di Burri l’anno successivo, è il detonatore che fa esplodere la polemica astrattismo-realismo. Sono anni difficili per Palma, difesa da una generazione di artisti e di critici a lei affini (soprattutto Argan e Venturi), ma attaccata sia sul piano culturale che su quello gestionale, con accuse piuttosto pesanti: l’interrogazione presentata a proposito della somma pagata per l’opera di Burri, in realtà offerta a titolo gratuito, avvelena un’intera stagione della sua vita.
[…] Gli anni Sessanta sono punteggiati da grandi riconoscimenti: nel 1961 compie un tour di conferenze negli Stati Uniti; nel 1962 è nominata commendatore dal presidente Segni; viene invitata in tutto il mondo (Canada, Brasile, Giappone…), e ovunque riscuote successo e ammirazione.
Una nuova stagione polemica si apre con il decennio successivo, quando Bucarelli, ancora e sempre capace di vedere il nuovo e di promuoverlo, imprime un inedito corso al programma culturale della Galleria, ospitando gli spettacoli di Tadeusz Cantor, i concerti di Nuova Consonanza, la mostra di Piero Manzoni (1971). L’acquisto della Merda d’artista sarà oggetto di una nuova interrogazione parlamentare. Costretta a difendersi da accuse circa i criteri d’acquisto adottati durante la sua gestione, non cede di un passo, difendendo sempre in modo documentato la trasparenza del proprio operato. Nel 1972 riceve la Légion d’Honneur e diviene Accademica di San Luca; nel 1975 è nominata Grande ufficiale della Repubblica.
Ormai in pensione, dona una sessantina di opere d’arte della propria collezione alla Galleria, i carteggi all’Archivio di Stato e la biblioteca all’Accademia di San Luca. Muore in una clinica romana nell’estate del 1998.
Anna Chiara Cimoli, Palma Bucarelli, Enciclopedia delle Donne

Felice Casorati, Ritratto di Riccardo Gualino, 1922 – Fonte: wsimag.com

[…] La collezione di Riccardo Gualino è stata ed è considerata una delle più significative e importanti raccolte italiane del Novecento. Avviata negli anni dieci, fu alimentata da una straordinaria disponibilità di risorse, realizzate dall’imprenditore biellese nei settori del commercio, della produzione industriale e della finanza, in Italia e all’estero. Comprende sculture e dipinti, reperti archeologici, arredi, vetri e ceramiche, oreficerie, arazzi e tessuti, datati dall’antichità ai primi decenni del XX secolo, provenienti dall’area europea, orientale e mediorientale.
Condivisa con la moglie Cesarina Gurgo Salice (Casale Monferrato o Torino 1890 – Roma 1992), la collezione nasce come raccolta antiquariale con funzione d’arredo, per poi assumere un nuovo e più ampio orientamento, impresso dal sodalizio con lo storico dell’arte Lionello Venturi, coinvolto come consulente nel 1918. Nel corso degli anni venti, la collezione dei Gualino entra nella sfera del mecenatismo, con il sostegno offerto agli artisti attivi a Torino, in particolare a Felice Casorati e al gruppo dei Sei pittori. Nel 1925 Gualino inaugura il Teatro di Torino, uno spazio aperto al pubblico, di produzione e di ricerca nel campo della musica, del teatro, della danza e del cinema, modellato sull’esempio dei teatri “d’eccezione” di Parigi, Vienna, Londra e Berlino. Nel 1928 un nucleo consistente della collezione viene esposta nelle sale della Pinacoteca Sabauda di Torino.
L’attività dell’imprenditore s’interrompe alla fine del 1930 con il crack determinato da una serie di fattori tra cui la Grande crisi del 1929, le perdite della Snia Viscosa, la principale azienda del suo Gruppo, la bancarotta di un socio francese e l’ostilità di Mussolini. Per ordine del duce, il 19 gennaio 1931 Riccardo Gualino viene arrestato e condannato al confino di polizia che sconterà a Lipari e poi a Cava dei Tirreni. Le sue proprietà, compresa la collezione (in parte già assegnata nel 1930 alla Galleria Sabauda) e i beni mobili e immobili sono posti in liquidazione e consegnati alla Banca d’Italia. Il confino segna una netta cesura tra due epoche, un decisivo cambio di passo e di approccio esistenziale. Dopo un soggiorno a Parigi, i Gualino ritornano in Italia: acquistano una villa a Firenze e una serie di abitazioni a Roma. Le opere d’arte tornano alle pareti delle nuove case. Alla passione per il teatro subentra quella per il cinema che si concretizza con l’attività della Lux Film, la casa di produzione di pellicole come Riso amaro, del 1949, diretto da Giuseppe De Santis. Riccardo Gualino muore nella sua casa di Arcetri, sulle colline fiorentine, il 7 giugno 1964 all’età di ottantacinque anni (dal comunicato stampa della mostra: I mondi di Riccardo Gualino collezionista e imprenditore, Musei Reali Torino, Sale Chiablese, 2019)
Redazione, Riccardo Gualino (Biella, 1879 – Firenze, 1964), Museo Torino

Roma, 1960: Giorgio Franchetti con Tatia al rifornimento per la sua Alfa Romeo 6C 1750 GT Spider Zagato in occasione di una gita ai Castelli; sui sedili posteriori Cy Twombly e Fulvio Carosi – Fonte: Stefano d’Amico art. cit. infra

[…] Giorgio Franchetti Jr. (1920-2006). Tutti quelli delle auto storiche oggi ne scrivono e ne parlano, gli si intestano premi e si organizzano raduni motoristici a suo nome ma mi sono reso purtroppo conto che nessuno del settore sappia in realtà chi fosse o cosa abbia fatto. I Franchetti furono tutti personaggi incredibili ed eclettici; nominati baroni da Vittorio Emanuele II nel 1858, vantavano ricchezze ed amicizie internazionali di enorme spessore. Il nonno Giorgio, discendeva da una antica famiglia di banchieri, i Rothschild, e furono finanziatori delle campagne risorgimentali. Abilissimo imprenditore agricolo, industriale, proprietario di immense tenute, uomo coltissimo e grande appassionato d’arte, acquistò nel 1894 Palazzo Contarini a Venezia, meglio noto come Cà D’Oro; lo restaurò totalmente, ne fece la dimora della sua importante collezione di opere d’arte e nel 1916 la donò allo Stato Italiano.
[…] Il nostro Giorgio, detto Junior, meno viaggiatore e intimamente romano, dedicò invece la sua vita alle auto d’epoca e all’arte, in particolare le Avanguardie e il Futurismo, di cui fu illustre collezionista ed esperto valentissimo. Nel 1986, per conto della Fiat e in particolare dell’avvocato Agnelli, di cui era molto amico, ideò e promosse una magnifica ed importante mostra, Futurismo & Futurismi, fondamentale per il movimento, tenutasi a Venezia in Palazzo Grassi. A metà anni ’50 fondò a Roma con Plinio De Martiis la celebre galleria d’arte “La Tartaruga”, illuminato ritrovo di artisti, critici, letterati e intellettuali di ogni genere, scoprendo e sostenendo, da vero e grande mecenate, gli artisti Burri, Fontana, Rotella, Schifano, Angeli, Pascali, Bonalumi (quello del monumento all’Alfa Romeo), Castellani, Cy Twombly (fidanzato con la sorella Tatiana detta Tatia, che poi sposò), Manzoni (quello della merda d’artista), Tano Festa, Scialoja, ecc. (da lì nacquero la Scuola di Piazza del Popolo e il Gruppo degli Anacronisti). Vulcanica animatrice dell’iniziativa fu la pittrice Giosetta Fioroni, allieva di Toti Scialoja.
Fu anche promotore del Museo Storico Militare della Cecchignola a Roma, cui donò numerose ed importantissime vetture e vario materiale documentale. Ma per me, appassionato di auto e motori, fu un maestro e un idolo. Lo conobbi per caso, ovviamente a Roma, nei pressi di Ponte Flaminio, anzi quasi sotto il ponte stesso, verso la fine degli anni ’60. […]
Redazione, Giorgio Franchetti… chi era costui?, Stefano d’Amico