Che idea hanno della guerra questi signori?

[n.d.r.: seguito di questo articolo]

24 Gennaio 1941
Domani si parte per ignota destinazione. Autotrasportati. Non sanno i soldati se vanno in guerra o se vanno a nozze. Bel modo di preparare gli spiriti
Gli inglesi hanno sfondato la frontiera del Sudan, nel Bassopiano occidentale dove andavo a caccia grossa con i Dalmasso. Siamo destinati a zone già conosciute. Dove ci incontreremo con gli inglesi?

25 Gennaio
Stamane partenza. Abbastanza ordinata. Teloni abbassati e mimetizzati con frasche. Lasciamo la città alle dieci. Ancora una tappa alla porta di Dessiè , poi si continua fucile tra le gambe.
Ci fermiamo a sera poco oltre Debraberan. Ci attendiamo. A notte ci passano il rancio. Acqua lunga. Si vede che i cuochi non sono ancora abituati alla cucina scomoda.

26 Gennaio
Partiti presto entriamo a Naldia. Ci passano davanti i bersaglieri autotrasportati da Mercedes. In omaggio alla tradizione che lo vuole un corpo celere devono precederci. Da un telone sollevato sul dietro di una macchina mi saluta un faccione sorridente. Lo riconosco. E’ Lionetti. Lascia cadere il fez rosso. Rincorro la macchina che ha attaccato la salita e tendo il fez all’amico. Mi son meravigliato dello scatto. Sono allenato.

27 Gennaio
Lunghissima la tappa. Abbiamo passato il Termaker, Desiè e siamo arrivati a notte alta. Ci hanno accampati nelle scuole. Poi è venuto il rancio. Domani pulizia e riposo.

28 Gennaio
Adunata. Il maggiore parla al battaglione. Finalmente ci mette al corrente della situazione. Andiamo incontro agli inglesi. Non ci dice come il generale che prima di sparare contro i carri armati dobbiamo guardare i conducenti nel bianco degli occhi. Il maggiore parla col cuore. Direi che piange. Finisce con l’augurio che tutti possiamo un giorno dire “C’ero anch’io!”.
Per lui i soldati sono uomini si vede. Non sarà perciò un Napoleone.
Nel pomeriggio esplosioni lontane soffocate ma distinte. Stanno bombardando vicino. Forse Gula dove c’è il campo d’aviazione.

30 Gennaio
Accidenti che giornate. Ieri siamo giunti all’Asmara. Siamo passati da Godaif davanti alla fabbrica di Dalmasso. E fermati poco dopo. Chiamo un negretto. Scrivo in fretta un biglietto per i Dalmasso e gli do cinque lire perché lo recapiti. I camions ci scaricano alla stazione sulla piazza ci imbarcheremo poi sul treno. Il viaggio finirà dove troveremo gli inglesi.
Nel pomeriggio scorgo Marino e Beppe che mi cercano fra i soldati. Ridenti mi abbracciano e subito mi propongono l’immediato esonero. Mi dicono che le notizie sono di guerra vera, carri armati ecc. Di non andare. Li ringrazio ma non posso lasciare i miei amici. Intanto mi mettono al corrente dei fatti loro. Hanno ambedue partecipato, all’apertura delle ostilità, alla conquista di Kassala. Come motociclisti. La fabbrica di piastrelle è diventata mulino per la soia. Fabbricano farina olio cioccolata ecc.
Non vorrebbero lasciarmi partire; hanno forti amicizie a Palazzo. Non mi capiscono. Vanno via solo quando il treno si muove.
Siamo arrivati alla stazione di Keren in tempo per ricevere il primo bombardamento di aerei inglesi la mattina del trenta. Poi altri camions ci imbarcano e ci portano sulla sinistra di Keren. Lasciamo la strada, ci arrampichiamo sulle alture e sostiamo in una selletta davanti alla quale si stende la pianura del Bassopiano Occidentale. All’orizzonte una fascia scura. Devono essere le palme dum del Barca.

31 gennaio
Prima notte all’addiaccio con pioggia. Malgrado i teli siamo fradici infreddoliti e affamati. Niente rancio. Ma arriva il sole a scaldarci. Nessuno dà ordini. E stiamo tutti lì ad aspettare come si fa la guerra.
Osservo la pianura che si stende ai piedi delle alture. Ricordo le partite di caccia a Biscra: due cacciatori di leoni, i baobab, le gazzelle, la paura e le sorprese della prima caccia, gli amici Dalmasso.
Ad un tratto mentre l’occhio scorre la fascia scura del Barca mi pare di scorgere luccichii intermittenti. Il cannocchiale Zeiss fa miracoli. Non distinguo che cosa ci sia laggiù ma è una colonna di mezzi, uomini e animali. Vado dal capitano, lo informo di quanto mi pare di aver visto. Ride quando gli porgo il minuscolo cannocchiale grosso poco più del mio pollice. Ma osserva. “Sono proprio loro” dice. Gli chiedo come devo sistemare il plotone.
La nostra compagnia è schierata su una selletta di circa seicento metri di larghezza. A destra un avvallamento a circa 300 metri. A sinistra il letto di un uadi impilato. Oltre gli avvallamenti a destra il Kaddok (1800) a sinistra il Laalamba (2100).
Il mio plotone deve essere schierato poco sotto la cresta. Il capitano mi nomina scherzosamente direttore delle fortificazioni. Si trova ancora con me quando gli viene portato un fonogramma il n° 1. Testuale:
“Mezzi corazzati e automezzi nemici sono stati avvistati verso il Narfa. Da questo momento considerarsi in prima linea. Firmato Colonnello Corsi”
E’ il comandante del 2° Reggimento Granatieri di Savoia. La compagnia si appresta a disporre la zona di difesa. Mentre vado in cerca di attrezzi vedo alzarsi verso la metà della selletta le tende del Comando della Cucina degli Ufficiali. Spiccano sulla terra brulla che è una bellezza. Ma Santo Dio! Che idea hanno della guerra questi signori? Ritorno ai miei senza attrezzi. Non ce ne sono.
Dispongo le squadre. Li persuado a scavare dei ripari rinforzati e protetti con un muricciolo di sassi. Disposti a scacchiera per due posti. Agli uomini non gli va di scavare con gli attrezzi in dotazione. Lo fanno mal volentieri. Ma almeno qualcosa è fatto. Li convinco poi a fare ancora delle buche sul versante opposto della selletta subito sotto la cresta. So che mi sto guadagnando la fama di fifone. Insisto e cerco di convincerli perché so che purtroppo non passeranno molti giorni che dovranno riconoscere utili i miei espedienti.
Il guaio è quando devo cercare di convincere il sergente maggiore che ha trovato un bello spiazzo di circa 10 metri quadrati. Ci ha piazzato le armi. Intorno un riparo di sassi di mezzo metro. Accanto alle armi le casse di munizioni e gli uomini stanno lì. La prendo alla larga. Parlo di cannoni, di fucilate, di mitragliatrici di guerra e di fantasia. Capisce ma se cedesse a riparare meglio uomini e armi dimostrerebbe di aver paura. Maledetto chi ha addestrato questi uomini. Sono un punto più degli ascari [nota di Marco Balbo: è una parola araba che significa “soldato”. Con questo nome furono chiamati, durante il colonialismo europeo in Africa, i soldati indigeni reclutati dalle potenze coloniali]. Chi gli farà capire che un uomo coraggioso morto val molto meno di un fifone vivo? Mi limito pensare ai miei. Mi chiama il capitano. Devo accompagnare una piccola pattuglia a prendere contatto sulla destra con le “Penne di Falco” (cavalleria indigena) che è schierata sulle pendici del Kaddok.
Mi presento al sottotenente. Lo trovo pronto. Pantaloni corti, camicia a maniche corte, casco coloniale, stivaloni gialli. Pantaloni e camicia bianchi di bucato. Io ho mandato a farsi benedire molta gente ma lui lo picchierei. Ma come si fa a dirglielo? Partiamo. Ordino ai quattro uomini che sono con noi di star dietro e di tenersi sempre al coperto, dove possibile. Mi capiscono. Mentre procediamo espongo i miei dubbi sul potere mimetizzante della divisa del tenente. Ne ho conferma quando fischiano le prime pallottole inviateci dalle Penne di Falco. Il contatto è preso. Lo assicuriamo.
Osservo l’avvallamento chiamato la “Carena” per la sua forma di nave. Di lì dovrebbero passare gli inglesi. E noi dovremmo impedirlo. Si stanno improvvisando nel fondo ostacoli anticarro. Quelle son cunette. Non fermeranno nessuno. Ritorniamo. Troviamo un fonogramma il n° 2 scritto a matita su un foglio di carta da taccuino, quadrettato:
“I granatieri dovranno eseguire le corveè in maniche di camicia per non sciupare le giubbe, firmato Colonnello Corsi”. Va bene!
Un ricognitore volteggia fino al tramonto sulle nostre teste. Viene sparsa la voce che stanotte passeranno, provenienti dalla piazza, truppe e profughi. Lasciarli passare.

1 Febbraio
Stanotte un gran tramestio confuso ma nessuno ha visto truppe e profughi. Alle dieci il primo bombardamento sulle linee. Sei Blenheim seminano bombe. Al primo passaggio vanno all’aria le tende del Comando e delle Cucine. I miei uomini sono appiattati nei ripari che ho fatto scavare. Troppo presto devono convenire con me che la mia fifa è benedetta.
Saltate le cucine di compagnia niente rancio. Ordine di consumare i viveri di riserva. E chi ce li ha più. Le due gallette e la scatoletta si sono già volatilizzati da un pezzo con tutti i pasti che abbiamo saltato dopo la nostra partenza da Addis Abeba. Come è lontano quel giorno! Ed è appena passata una settimana!
Però noi senza rancio, ma gli ufficiali no. Avevo sorpreso il menu. Rognoni e spaghetti. Poverini loro!
Tuttavia non so cosa sia successo. Ad un tratto vediamo arrampicarsi su per la china dalla parte del Buorchenà, il fiume che ci sta dietro, una colonna di animali. Ci giungono grida scomposte e grugniti. Ma sono cammelli caricati con casse di cottura. Sorpresi attendiamo il rancio. I granatieri ci informano che il bombardamento ha fatto fuori tutte le salmerie. Qualcuno ha pensato a noi e i granatieri si sono improvvisati cammellieri. Bravi ragazzi ci sarebbe da far miracoli con loro!
Stasera mi sorprendo ad osservare la posizione delle stelle. Sulla nostra sinistra, man mano che annotta si scorgono le alture di Keren. Ad un tratto una forte esplosione. Sono arrivati di già? Certo che sì, perché le esplosioni che si sono sentite sono la strada e la galleria che sono saltate.

Marco Balbo, Giuseppe Balbo, Diario di guerra 5: Verso Keren © Archivio Balbo 2018 – 10 febbraio 2018