Gli dèi – scrive Calasso nel “Cacciatore celeste” – non erano una fede, ma un’evidenza

La ricerca [n.d.r.: Il Libro Unico di Roberto Calasso] propone uno studio dell’«Opera in corso» di Roberto Calasso, un insieme di otto volumi – dalla Rovina di Kasch (1983) al Cacciatore Celeste (2016) – refrattari a una precisa indicazione di genere letterario e volti a indagare la modernità attraverso i più diversi campi del sapere, dalla critica d’arte alla filosofia, dalla storia del pensiero economico alla scienza delle religioni. La tesi si compone di quattro parti. La prima illustra il concetto di «letteratura assoluta», nel quale si individua il filo conduttore del vasto work in progress calassiano, mette in luce i tratti di organicità dell’«opera in corso» enucleandone i principali temi ricorrenti e investiga il suo particolare assetto formale, a cavallo fra narrativa e saggistica. Indaga quindi: il significato degli apparati iconografici testuali e paratestuali; il particolare approccio di Calasso alla storia e alla storiografia; il rapporto dell’«opera in corso» con opere contemporanee e con la temperie postmoderna. La seconda parte è interamente dedicata al macro-tema della mente, uno dei più importanti per l’autore. La terza parte è incentrata sul sacrificio, altro caposaldo dell’architettura calassiana. L’ultima parte della tesi propone una rilettura dell’estetica di Calasso in chiave mistico-religiosa, indagando l’«opera in corso» attraverso i simboli della ninfa, della foresta e del serpente.
[…] Nella Rovina Calasso individua nella figura di Sigmund Freud, uno dei protagonisti dell’Impuro Folle, un esempio calzante di un simile atteggiamento; bollato nel volume dell’83 come qualcuno che «aveva la peculiarità di ricapitolare in ciascuno dei suoi tremori tutta la cronaca occidentale», <4 lo psichiatra diventa l’emblema dello scienziato moderno, appartenente a un’epoca che ha perso il legame con il sacro, <5 e con esso la capacità di percepire l’interconnessione tra Sé e Tutto. Secondo Calasso, Freud si rifiuta di riconoscere gli indizi del contatto profondo tra soggetto e natura. Per questo motivo nel Perturbante si interroga con sgomento sul significato di alcune ricorrenze di segni apparentemente casuali da cui la nostra mente è al tempo stesso angosciata e attirata. Lo “spaesamento” prodotto nel soggetto dal riproporsi di determinate circostanze, come è noto, sta alla base delle riflessioni freudiane sulla «coazione a ripetere» approfondite poi in Al di là del principio di piacere; tale coazione, non a caso, è ritenuta conferire «a determinati aspetti della vita psichica un carattere demoniaco». <6 «Perturbante» è nell’ottica freudiana qualsiasi significato non stabilito o prodotto da noi; il fatto che un simile stato sia ricondotto alla pulsione di morte è sintomatico, secondo Calasso, dell’incapacità di Freud di accettare, pur sperimentandola in prima persona, una connessione tra mondo psichico e mondo esterno: “Il sospetto più intollerabile, per Freud, è che fra il mondo esterno e la psiche vi sia una complicità: eppure la incontrò, nell’estuario dove le acque dell’inconscio e del mondo si mescolano. Non potendo ammettere che quella congiura implicasse un sovrappiù di significato, perché avrebbe scardinato tutta la sua costruzione, ammise che essa implicava soltanto la convergenza della natura e della psiche verso uno stesso punto: l’origine in quanto luogo dell’indifferenziato, della ripetizione insignificante, dove il significato – come ogni tensione – si annulla”. <7
L’immagine di Freud che emerge dal volume del 1983 trova una perfetta corrispondenza nei racconti del “discepolo traditore” Carl Gustav Jung. Nella sua autobiografia Ricordi, sogni, riflessioni, Jung racconta una conversazione avuta con Freud a proposito della sua teoria della sessualità, di cui riteneva necessario fare un «dogma»; alla richiesta di Jung di motivare tale necessità, Freud rispondeva che bisognava farne un baluardo «contro la nera marea di fango […] dell’occultismo». <8 Jung commentava così la strana determinazione di Freud: “Senza che allora lo capissi bene, avevo osservato in Freud l’insorgere di fattori religiosi inconsci. Evidentemente voleva che lo aiutassi a erigere una barriera comune contro tali minacciosi contenuti inconsci”. <9
Il profilo del padre della psicanalisi fin qui ricostruito ricorda quello tratteggiato da uno dei maestri di Calasso, Roberto Bazlen. In un articolo degli anni Quaranta rimasto inedito fino alla pubblicazione dei suoi scritti curata da Calasso stesso, Bobi, pur esaltando la genialità di Freud, ne evidenziava i limiti, bollandolo come «scienziato del diciannovesimo secolo»: “Freud, curvo sul suo microscopio, scopre i bacilli dell’anima. E scopre l’anima. Ma è uno scienziato del diciannovesimo secolo, ed è convinto che l’enigma dell’anima si risolva vedendone i soli bacilli”. <10
Secondo Calasso, Freud costruisce, in particolar modo con Al di là del principio di piacere, «la cosmogonia invalicabile del moderno»: <11 tratteggia il terrore che caratterizza l’uomo contemporaneo, che vive nel mondo della Scienza, del Progresso e della Tecnica, di fronte «all’origine non umana del significato». <12 È un tratto ineludibile del moderno per come lo intende Calasso: tutto ciò che può essere ricondotto a una sfera oltreumana non viene visto perché spaventa. Incapace di collocarsi in maniera organica all’interno della natura come una sua parte, l’uomo contemporaneo si illude di poterla guardare come qualcosa di estraneo, e si impegna in ogni modo per carpire e fare proprio un ordine al suo interno, trovando con essa il solo punto di contatto della pulsione di morte, chiamata «principio di costanza» nel Progetto per una psicologia scientifica di Freud. <13 Secondo Calasso, Freud è costretto a giungere a simili conclusioni per non rischiare di cadere «nella palude nefanda abitata dall’Ouroboros», <14 simbolo per antonomasia dell’eterno ritorno. Una riflessione sulla paura ancestrale di Freud per la palude si trovava già nell’Impuro folle, <15 a indicare il timore dell’uomo moderno per le acque acquitrinose e popolate di dèi della propria psiche. Se il mancato riconoscimento della componente divina di quest’ultima è, come più volte ribadito, un tratto caratterizzante la nostra epoca, meno chiaro, nel disegno calassiano, è l’inizio di questo atteggiamento nei confronti del sacro. Nelle Nozze di Cadmo e Armonia, Calasso cita il mito dell’empio Licaone come ideale riferimento di un simile approccio, che contraddistingue a tutt’oggi il nostro rapporto con il divino: “Tornando alle età anteriori: c’è un tempo in cui gli dèi siedono accanto ai mortali, in un banchetto come quello per le nozze di Cadmo e Armonia a Tebe. Dèi e uomini si riconoscono subito, talvolta hanno vissuto insieme certe avventure, come appunto Zeus e Cadmo, e in quel caso è stato l’uomo a dare un aiuto prezioso al dio. Non si disputano le parti del cosmo, che sono già assegnate, si riuniscono soltanto per una festa comune, e tornano infine ai loro affari. Vi è poi un’altra fase, quella in cui il dio può anche non essere riconosciuto. E allora il dio deve assumere il ruolo che non abbandonerà più sino a oggi: quello dell’Ospite Sconosciuto. Un giorno i figli di Licaone, re di Arcadia, invitarono a banchetto uno sconosciuto bracciante, nel quale si celava Zeus. «Desiderando conoscere se stavano ospitando un dio vero, sacrificarono un bambino e mescolarono la sua carne a quella delle vittime sacre, pensando che la loro impresa sarebbe stata scoperta se il visitatore era un vero dio». Zeus, furente, rovesciò la tavola. E quella tavola era il piano dell’eclittica, che da allora rimase inclinata. Seguì un immane diluvio. Dopo quel banchetto, è raro che Zeus compaia come Ospite Sconosciuto. Il ruolo è passato, per lo più, ad altri dèi”. <16
È un’idea centrale nell’«opera in corso», utile anche a capire la componente “numinosa” della letteratura assoluta: in un’epoca come la nostra, «che non riesce più a essere né empia né devota», <17 Calasso non rinviene una mancanza di fede, ma, in un certo senso, di attenzione: «gli dèi – scrive Calasso nel Cacciatore celeste – non erano una fede, ma un’evidenza – un modo di percepire il fatto di essere vivi». <18 Una volta di più è chiaro come la questione del divino sia per lui legata a doppio filo con la coscienza e con la conformazione della mente. Per questo motivo, secondo Calasso, parlare di “credenze” è poco utile a chiarire la natura del nostro rapporto col sacro: “Rispetto agli dèi, a tutti gli dèi, la questione non sta nel credere ma nel riconoscere. Ci sono luoghi, momenti, esseri, incroci di elementi, che fanno dire, come a Ovidio: «Numen inest», «Qui c’è un numen», quella potenza che non ha bisogno di nomi, ma dà origine ai nomi. Il discrimine sta nel riconoscerla e accoglierla – o invece passarci accanto”. <19
È, come si vede, una questione che attraversa l’intera produzione calassiana, essenziale a capire lo sguardo di Calasso sulla modernità.
[…] A dimostrazione dell’affinità tra le scaglie diverse del serpente adelphiano, si noti, di passaggio, che questa affermazione appare straordinariamente simile a quella di Marina Cvetaeva che Guido Ceronetti pone in epigrafe alla raccolta degli scritti di Cristina Campo, per la quale redige il saggio introduttivo: «…l’anima, che per l’uomo comune / è il vertice della spiritualità, / per l’uomo spirituale è quasi carne». <143
La forza ispiratrice sembra dunque provenire dal corpo dello scrittore come un fenomeno obbligato, necessario. Nella visione di Calasso, a distinguere l’attività dello scrittore “assoluto” è una sorta di destino tragico, che lo equipara in un certo senso agli eroi del mito. Non a caso, nelle Nozze di Cadmo e Armonia parla in termini equivalenti di Giasone e di Nietzsche, sottolineando che per loro «non esiste il lieto fine delle favole». A caratterizzare lo statuto dell’eroe tragico, com’è noto, è la sua obbligata sottomissione al “giogo della necessità”: «la sua parte è scritta prima di lui, l’impresa gli preesiste: non è mai scelta, ma gli viene incontro, come un alto flutto». <144 Non stupisce, allora, che Calasso faccia riferimento a Benn nell’articolo in cui – a vent’anni di distanza dalla pubblicazione delle Nozze – illustra i motivi della sua inesauribile fascinazione per il mito. Utilizzando la terminologia dello scrittore tedesco spiega uno degli elementi essenziali della letteratura assoluta, cioè la già citata capacità di esercitare uno «sguardo sommario», abilità che contraddistingue tutti i nymphōlēptoi – che potremmo altresì definire i suoi «autori inevitabili» <145 – […]
[NOTE]
4 Roberto Calasso, La rovina di Kasch, Milano, Adelphi, 1983, p. 242.
5 Utilizzo e utilizzerò sempre questo termine nel senso più ampio possibile, come ciò che è «connesso con la presenza o con le manifestazioni della divinità». Questa è una delle prime definizioni del termine secondo il GDLI: cfr. SALVATORE BATTAGLIA E GIORGIO BÁRBERI SQUAROTTI (a cura di), Grande dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1961-2017.
6 RK, p. 244. La citazione di Freud è tratta da SIGMUND FREUD, Das Unheimliche, in Freud-Studienausgabe, vol. IV, Frankfurt, S. Fischer, 1970, pp. 260-261.
7 RK, pp. 245-246.
8 Cfr. CARL GUSTAV JUNG, Sogni, ricordi, riflessioni. Raccolti ed editi da Aniela Jaffé, traduzione italiana di G. Russo, Milano, Rizzoli, 2014, p. 191.
9 Ibidem.
10 ROBERTO BAZLEN, Scritti, a cura di R. Calasso, Milano, Adelphi, 1984, p. 260.
11 RK, p. 247.
12 RK, p. 247.
13 Cfr. S. FREUD, Progetto di una psicologia, a cura di E. Sagittario, Torino, Bollati Boringhieri, 1976.
14 RK, p. 254.
15 Cfr. IF, p. 76. Anche l’episodio dell’Impuro folle riprende lo spunto di un racconto junghiano: «A Brema capitò l’incidente dello svenimento di Freud, del quale si è tanto discusso. Fu indirettamente provocato da me, per il mio interesse per i “cadaveri delle paludi”. Sapevo che in certe regioni della Germania settentrionale si trovavano questi cosiddetti “cadaveri delle paludi”: sono corpi di uomini preistorici che, o annegarono nelle paludi o vi furono seppelliti. L’acqua degli acquitrini nella quale giacciono i corpi contiene acidi dell’humus, che consumano le ossa e nello stesso tempo conciano la pelle, si che questa e i capelli sono conservati perfettamente. Sostanzialmente si tratta di un processo di mummificazione naturale, nel corso del quale i corpi sono schiacciati sino ad appiattirsi sotto il peso della torba. Tali resti vengono occasionalmente ritrovati da scavatori di torba nello Holstein, in Danimarca e in Svezia. Avendo letto di questi cadaveri di palude, me ricordai quando eravamo a Brema ma, essendo un poco frastornato, li confusi con le mummie delle cantine di piombo della città. Questo mio interesse diede sui nervi a Freud. Più volte mi chiese: “Perché ci tenete tanto a questi cadaveri”? Si arrabbiò esageratamente, e a tavola, mentre conversavamo sull’argomento, improvvisamente svenne. In seguito mi disse di essere convinto che tutto questo chiacchierare di cadaveri significava che io avevo desideri di morte nei suoi riguardi. Fui più che sbalordito dalla sua interpretazione: ero allarmato specialmente per l’intensità delle sue fantasie, tanto forti che potevano, come era evidente, causargli uno svenimento». Cfr. C. G. JUNG, Ricordi, sogni, riflessioni…, cit., pp. 197-198.
16 NCA, p. 69.
17 NCA, p. 138.
18 CC, p. 376.
19 CC, p. 377.
143 C. CAMPO, Gli Imperdonabili, cit. I puntini sono del testo.
144 NCA, p. 372.
145 FB, p. 56.
Elena Sbrojavacca, Il Libro Unico di Roberto Calasso, Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari Venezia, 2018