L’interprete più originale dell’immagine del gruppo Montecatini negli anni Trenta è senza dubbio Bruno Stefani

Una fotografa di Bruno Stefani – Fonte: www.minervaauctions.com

L’impiego della fotografia consolida una lettura per frammenti che monumentalizza l’immagine e implica l’attivazione di uno sguardo non più assiale e statico ma trasversale, aperto e dinamico, lungo una linea contemporaneamente percorsa nelle pubblicazioni commerciali e nelle coeve riviste illustrate. Elementi caratterizzanti la nuova visione, che collega grafica editoriale e commerciale, sperimentazione fotografica e cinema, sono il montaggio delle immagini, i tagli insoliti e i dettagli fotografici. Le “gigantografie” ritagliate come elementi spaziali, i fotomosaici, le deformazioni ottiche sono strumenti espressivi di fortissimo impatto emotivo sul pubblico. Effetto, che tengo a precisare, è amplificato dal fatto che si tratta di immagini già viste, segmenti di un immaginario comune in via di costruzione.
Agente fondamentale del dispositivo comunicativo è in ogni caso il fotomontaggio: scompone l’oggetto per poi ricomporlo in un’unità superiore che non è semplicemente l’unione delle singole parti, garantendo la possibilità di vedere simultaneamente elementi lontani nel tempo e nello spazio, e intacca i più consueti paradigmi dell’interpretazione storica, partecipando di quella “pedagogia visiva” che caratterizza le strategie comunicative del ventennio.
Se ne avvale per primo El Lissitzky nel padiglione russo della Pressa Austellung di Colonia (1926) e vasta eco ha la mostra Film und Foto, promossa dal Werkbund tedesco e inaugurata a Stoccarda nel maggio 1929. La sezione che restituisce in modo esemplare il ruolo del montaggio di media differenti all’interno di uno stesso spazio espositivo è senza dubbio, precisa Rebecchi (2014), quella allestita da El Lissitzky, dove cineasti e artisti del calibro di Aleksandr Rodcenko, Varvara Stepanova, Lev Kulešov, Vsevolod Pudovkin, Dziga Vertov e Sergej Ejzenštejn sono chiamati a “montare” diversi film, sequenze di fotogrammi e serie di fotografie in un unico grande spazio. Le opere esposte, tratte dai campi più disparati, dalla pubblicità all’editoria, al fotoreportage, evidenziano la funzione antropologicamente rivoluzionaria dei nuovi media ottici.
Per comprendere il contesto prettamente mediale in cui l’immagine si trova ad essere inserita, merita qualche considerazione il nesso tra fotografia pubblicitaria e architettura pubblicitaria. Entrambe investono un problema essenziale: il passaggio dal concreto all’astratto, ovvero dal prodotto alla sua rappresentazione, affidando all’immagine un compito fondamentalmente propagandistico <5.
Il fotomontaggio, asserisce Veronesi (1934, p.278), è l’unica espressione dell’epoca moderna: «distrugge il realismo dell’immagine fotografica documentaria, perché propone associazioni tra figure diverse, unisce disegno e figura, staccando la figura dal contesto originario». È nel campo della pubblicità, ribadisce, che possono meglio e più liberamente esplicarsi le più moderne correnti della fotografia. Anche Antonio Boggeri, nel cui studio lavorano come esterni sia Marcello Nizzoli che Erberto Carboni, ai quali dobbiamo alcuni tra i più significativi allestimenti fieristici degli anni Trenta, individua nella fotografia pubblicitaria la possibilità di sperimentare e proporre infinite visioni del reale <6.
Una conferma dell’intermedialità l’abbiamo confrontando materiali d’archivio e allestimenti fieristici. Utile si è dimostrata l’analisi dei Fondi Marcello Nizzoli e Bruno Stefani del CSAC e dell’archivio fotografico Montecatini <7.
«Lo sforzo comunicativo messo in piedi dalla Montecatini fu davvero enorme, se rapportato agli standard dell’epoca, e finì per diventare in seguito null’altro che il modello comunicativo della moderna fotografia industriale» (Desole 2015, p.42).
L’Ufficio propaganda pianifica l’immagine che l’azienda vuole comunicare di sé, e la diffonde attraverso diversi media, dai manifesti alla pubblicistica aziendale, dalle riviste illustrate agli allestimenti.
La collaborazione di Marcello Nizzoli con la Montecatini inizia nel 1927, ma è dalla metà degli anni Trenta che progetta gli allestimenti più sorprendenti. I lavori del quinquennio 1936-1940 sono contraddistinti da alcune peculiarità compositive che molto devono allo “stile Casabella”, evidente nell’allestimento del Padiglione Montecatini alla Fiera del 1936.
Marcello Nizzoli aderisce alla linea progettuale della Fotoplastiken di Moholy Nagy, la sua è quindi una ricerca collegata alla cultura progettuale Bauhaus, mediata in ambito milanese da Xanti Schawinsky.
È in questo periodo che si avvale di materiale realizzato da importanti studi fotografici attivi nell’ambito della fotografia industriale. L’interprete più originale dell’immagine del gruppo Montecatini negli anni Trenta è senza dubbio Bruno Stefani.
La sua collaborazione con l’azienda, che data a inizio decennio, è particolarmente intensa e dà luogo a straordinarie campagne fotografiche, sulle miniere di zolfo a Grottacalda e sulle Cave di marmo di Carrara. E queste fotografie le ritroviamo in grande formato o accostate nei fotomontaggi utilizzati da Nizzoli negli allestimenti per il Padiglione Montecatini.
L’attività mineraria è un topos visuale dell’esaltazione della produzione nazionale: Minatori (1932) di Bruno Stefani, un’immagine che dialoga con Moholy Nagy, campeggia nello stand delle Piriti alla XIX Fiera di Milano del 1938 <8.
Nella Sala delle Piriti alla Mostra Autarchica del minerale italiano (Roma, Circo Massimo, novembre 1938-maggio 1939), dedicata alla produzione di risorse minerarie in Italia e nelle colonie, le composizioni fotografiche mostrano cantieri, stabilimenti e cave di marmo, vedute d’interni di fabbriche e altiforni. La spinta a consumare “prodotti autarchici”, accentuata dalle sanzioni conseguenti all’invasione dell’Etiopia, (1935-1936), è propagandata nella pubblicità delle nuove fibre e nelle esposizioni che ne esaltano la produzione.
L’immagine di specifici comparti produttivi, la trasmissione di dati e di concetti, l’esposizione di contenuti ideologici-educativi sono proposti al grande pubblico ricorrendo a un insieme complesso di mezzi di comunicazione: risultano determinanti la disposizione grafica e la composizione delle immagini fotografiche, elementi che concorrono a mettere in scena convincenti narrazioni rivolte al grande pubblico. Nel determinare l’utilizzo di queste immagini negli allestimenti non si deve sottovalutare il processo di selezione: «l’individuazione delle immagini più efficaci a svolgere la funzione per la quale è stato commissionato il servizio fotografico: pubblicità del prodotto, volumi celebrativi, illustrazione di fasi di lavorazione sulla stampa tecnica» (Bigazzi 1993, p.11).
Alcune immagini «esauriscono la loro funzione in quell’unica occasione di riproduzione; altre vengono utilizzate, con lo stesso o con un diverso scopo, in più occasioni» (Bigazzi 1993, p.12).
Infine ci sono le immagini-simbolo che incorporano valori di cui si vuole segnalare la permanenza nel tempo, pur nel mutamento dei processi tecnici o delle forme organizzative (Bigazzi 1993).
La forte valenza simbolica dell’azienda carrarese, entrata nell’orbita Montecatini, è bene esemplificata dalla reiterazione delle immagini realizzate da Stefani, dalla pubblicazione aziendale “I marmi e le pietre d’Italia” (1937), curato dallo Studio Boggeri, alla rivista Casabella (Desole 2015, pp.78-81), agli allestimenti fieristici di Nizzoli.
L’estetizzazione della vita politica e la messa in scena del tempo libero
Nella pubblicistica coeva il Padiglione Montecatini, presentato come la più organica mostra di prodotti, è esaltato come espressione dei risultati conseguiti dalla battaglia autarchica.
L’apparato comunicativo celebra l’industria al servizio della vita civile, dalle materie prime strappate al sottosuolo sino ai prodotti che vengono direttamente usufruiti dal consumatore o dall’industria manifatturiera.
Decaduto il mito del progresso esaltato nelle grandi Esposizioni Universali del “lungo” Ottocento, e le apologie dell’industria, negli anni tra le due guerre «alla meccanica del progresso l’uomo ha sostituito la propria viva realtà» (Veronesi 1941, p.31).
L’industria nazionale al servizio della vita civile: è questo il nuovo mito. Al centro del dispositivo multimediale si trova lo spettatore-consumatore, a lui deve apparire evidente come l’industria chimica nazionale provveda oramai a tutte le necessità della vita, dai prodotti per l’agricoltura a quelli per l’abbigliamento, da quelli per l’edilizia a quelli per le comunicazioni, da quelli per l’igiene e la salute a quelli per la difesa della Paese.
In piena fase di completamento del “consenso” «la spettacolarizzazione della vita politica durante il regime fascista non rappresenta né un momento episodico né un’appendice pittoresca del progetto totalitario, ma costituisce la base e il presupposto della strategia politica del regime» (Russo 1999, p.26).
Non va sottovalutato in tal senso il programma di nazionalizzazione del tempo libero e il ruolo svolto dalle associazioni dopolavoristiche. Partecipare agli eventi celebrativi e alle manifestazioni fieristiche rientra nel piano di orientamento dei costumi e delle abitudini tese a plasmare “l’uomo nuovo”. Il visitatore posto al centro della strategia comunicativa può identificarsi nella rappresentazione idealizzata di lavoratori eroicamente inquadrati dal basso verso l’alto e in diagonale, i minatori e gli operai al lavoro nelle cave di marmo, artefici del successo dell’economia autarchica.
Il tema del lavoro al centro della produzione artistica si lega, peculiarmente dopo la conquista dell’Etiopia nel 1936 e la proclamazione dell’Impero, a un nuovo concetto di virilità che entra nel linguaggio verbo-visivo dell’immagine maschile.
La gigantografia dell’operaio “con tanto di maglio in mano” per la sala della “Jeunesse ouvrière chrétienne”, progettata da Erberto Carboni alla Mostra Internazionale della stampa cattolica in Vaticano (1936), e che ritorna nel catalogo propagandistico SNIA Viscosa, è una citazione evidente del gigantismo positivo di tanti eroi dei manifesti sovietici di fine anni Venti e Trenta, di Rodčenko, di Klutsis (Bianchino 1998, p.31).
L’estetizzazione della politica, categoria ripresa da Walter Benjamin <9, si esprime dunque in strategie comunicative basate su “scritture” e “generi” narrativi ben consolidati.
Nel Salone d’Onore alla Mostra Nazionale dell’Agricoltura a Bologna (1935) prevale il riferimento alla pittura murale, anche se la composizione pittorica rimanda ancora alla frammentazione del fotomontaggio. Nei pannelli realizzati da Marcello Dudovich è possibile riscontrare i tratti tipici dell’iconografia standardizzata di un’arte di stampo ruralistico che esalta la sana anima paesana della stirpe italiana.
Di tono analogo sono i pannelli di Nizzoli nella sala dedicata ai prodotti chimici per l’agricoltura nel Padiglione Montecatini alla Fiera Campionaria del 1941. Le figure femminili paiono proprio riferirsi alla mitizzazione della donna rurale che accompagna la politica demografica del regime. L’esaltazione della donna contadina è la nuova icona femminile diffusa in questi anni nelle riviste periodiche illustrate <10.
[NOTE]
5 Aspetto accentuato da Angerlo Bianchetti e Cesare Pea (Binachetti & Pea 1941).
6 Antonio Boggeri ritorna in più occasioni sulla centralità della fotografia pubblicitaria in ambito sperimentale (Boggeri 1929, Boggeri 1930, Boggeri 1937).
7 Altre immagini sono dovute a Vincenzo Aragozzini dello Studio Crimella, ad Achille Bologna, condirettore della rivista «Il Corriere Fotografico», allo Studio Boggeri, a Riccardo Moncalvo e Ernesto Fazioli. Collaborano alla comunicazione dell’azienda anche lo Studio Ancillotti e Martinotti, l’Agenzia Publifoto, Tullio Farabola, e negli anni Cinquanta Federico Patellani e Ugo Mulas. Sull’archivio della Montecatini si vedano Magliulo (1999), Corazza (2008); per una contestualizzazione rimando alle ricerche di Duccio Bigazzi, che ha avviato in Italia gli studi sulla storia dell’impresa (Bigazzi 1990, Bigazzi 1993). Sull’archivio Edison si veda anche Casone, Corazza 2009.
8 Si veda a tale proposito la dissertazione di Stefano Moltrasio, Marco Vantusso (Moltrasio, Vantusso 1995).
9 L’estetizzazione della politica processo che Walter Benjamin individua riflettendo su fascismo e nazismo è, per lo studioso, caratteristica dei regimi totalitari (Benjamin 1966, p.46). Sulla spettacolarizzazione della vita politica durante il regime fascista insiste Antonella Russo (Russo 1999, p. 26).
10 Sulla nazionalizzazione di modelli di genere nel regime fascista rimando alle ricerche di Victoria De Grazia (1991).
Lucia Miodini, L’esposizione commerciale o di propaganda: dall’unicum al multiplo, dal materiale all’immateriale, Ricerche di S/Confine, Dossier 4 (2018) Esposizioni (Atti del convegno internazionale di Parma, 27-28 gennaio 2017) – www.ricerchedisconfine.info