Che cosa ha lasciato il movimento femminista alle donne – e agli uomini – di oggi?

Il femminismo tende oggettivamente a distruggere punti di riferimento culturali, immagini di tradizione storica, immagini che l’uomo interponeva tra sé e la donna nei suoi rapporti. Questo è tragico e può portare a conseguenze molto serie“. <1
Quando nel 1977 Franco Fortini rilasciava questa intervista, le “conseguenze molto serie” del femminismo non erano ancora chiare. La pars destruens del movimento delle donne era evidente già da alcuni anni, soprattutto agli occhi degli intellettuali e di chi più era riuscito a scorgere la portata eversiva che, pur con metodi inediti e talvolta carsici, caratterizzava il femminismo. Non era ancora chiaro – e per molti non lo sarebbe stato a lungo – quale contributo potesse dare il movimento delle donne alla nuova sinistra, in che modo le tematiche che sembravano del tutto particolari, incentrate solo sul genere, potessero arrivare ad avere uno sguardo più ampio, e a dare un apporto significativo anche agli uomini e, in generale, alla società.
Certo, non era un tema che appassionasse neanche le femministe stesse, focalizzate sulla liberazione delle donne e meno interessate all’“impatto sociale” delle loro lotte.
Eppure, a cinquant’anni di distanza, la domanda pare lecita: che cosa ha lasciato il movimento femminista <2 alle donne – e agli uomini – di oggi? Quali sono stati gli apporti significativi, quali i metodi, quali i risultati?
L’innovazione metodologica più importante del movimento femminista è stata l’autocoscienza.
Mi sono avvicinata a questo tema nei miei precedenti studi e nei lavori di riordino presso l’Archivio dei Movimenti di Genova, accorgendomi di come il metodo autocoscienziale avesse provocato una cesura tra le donne che l’avevano praticato e chi, pur femminista, aveva mantenuto una pratica di politica più strettamente attiva. Incuriosita da questo elemento, ho pensato di analizzare il metodo, per capire in che modo l’autocoscienza potesse aver modificato l’approccio verso la politica, il mondo, il vissuto.
E, al di là del modo, qual era stato l’elemento più radicale dell’autocoscienza? L’innovazione del metodo aveva forse permesso di trattare argomenti fino a quel momento inediti?
Mi è sembrato che la risposta più evidente venisse dalla sessualità, da quel tentativo estremo e totalizzante delle femministe di prendere in mano un argomento che ormai da qualche secolo sembrava essere appannaggio solo di esperti (ecclesiastici, medici, psicologi, guru, ovviamente per la maggior parte uomini), privato della sua dimensione umana, relazionale, di piacere: il riconoscimento della tematica sessuale come centrale nell’idea di rovesciamento della società patriarcale è stato un punto di forza dei collettivi femministi, che attraverso una “politica dei corpi” hanno preso il potere nella relazione interpersonale, cercando una relazione paritaria tra uomini e donne e sovvertendo le dinamiche di subordinazione allora vigenti anche all’interno della sinistra, tanto partitica quanto extraparlamentare e movimentista.
Autocoscienza e sessualità, quindi: un metodo che si centra sull’oralità e una tematica che non può che riguardare i corpi e la fisicità. In questa prospettiva, mi è stato subito evidente che non avrei potuto (né voluto) servirmi esclusivamente di documenti scritti: per quanto la produzione degli anni Settanta sia stata maggiore di quanto normalmente si pensi per una generazione che asseriva di essere solo “al presente”, e il femminismo abbia fin da subito compiuto molti sforzi per tenere memoria della propria storia <3, la mia indagine aveva bisogno delle fonti orali, della partecipazione attiva delle testimoni.
[NOTE]
1 F. Fortini, Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 182.
2 “I movimenti hanno inventato molto, non tutto, spesso hanno accelerato tendenze in embrione, in qualche caso ne hanno bloccate altre. Il che non toglie niente al loro peso. Anzi. Potevano non nascere, e infatti nessuno se li aspettava. Potevano prendere una strada progressiva o regressiva, avere una impronta ugualitaria o gerarchica, spesso le hanno mischiate in un quadro nuovo – non interamente nuovo, ma costruito a modo proprio. Non era scritto da nessuna parte che le cose sarebbero andate come sono andate.” (A. Bravo, A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Editori Laterza, Bari 2008, p. 6).
3 Per una mappatura, datata ma ancora parzialmente valida, degli archivi femministi, P. De Ferrari, O. Cartaregia (a cura di), Reti della memoria. Censimento delle fonti per la storia delle donne in Italia, Coordinamento Donne Lavoro Cultura, Genova 1996.
Virginia Niri, “Con questo nemico ci facevamo l’amore”. L’autocoscienza come metodo politico di costruzione di nuove identità nel lungo Sessantotto italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2020