Sui preparativi di ricerca per una tesi di dottorato sulla cronaca nera di Milano

Milano: uno scorcio di Via Solferino, indirizzo storico del Corriere della Sera

[…] Ho deciso così di seguire il lavoro dei cronisti di nera nella loro quotidianità, dall’incontro con le fonti al lavoro in redazione, con l’intento di fornire un quadro completo e, per l’appunto, non ovvio di questo specifico ambito giornalistico.
La definizione dell’oggetto di ricerca ha seguito un sentiero tortuoso. Pur partendo da un tema abbastanza delimitato – descrivere il funzionamento della cronaca nera a Milano – ho lasciato che l’esperienza sul campo guidasse ed ampliasse lo sguardo su questo specifico ambito sociale. Seguendo questo lavoro di continua ridefinizione dell’oggetto, ho elaborato un elenco di questioni alle quali l’analisi presentata nelle pagine successive cercherà di rispondere:
1. Come avviene il processo di selezione delle notizie di cronaca nera? Dove e come vengono raccolti i fatti che diventano notizia? Quali sono i criteri che determinano la scelta di uno specifico fatto rispetto ad altri? Il processo di selezione è individuale (a carico del singolo giornalista) oppure è una pratica collettiva condivisa da un gruppo di cronisti? Qual è il ruolo della redazione all’interno del processo selettivo? Quali limiti impone la redazione al lavoro del cronista di nera?
In primo luogo, quindi, ho concentrato l’attenzione sulle pratiche di newsmaking, ossia sul funzionamento della struttura organizzativa che rende possibile la raccolta dei fatti e la loro trasformazione in notizie. Durante la fase di progettazione della ricerca avevo pensato di focalizzare l’attenzione principalmente verso il gruppo dei cronisti del «Corriere della Sera» e sul lavoro all’interno della redazione locale milanese. Dopo i primi giorni passati sul campo mi sono reso conto che, nella fase di selezione, erano molto più importanti le relazioni e le interazioni che avvenivano quotidianamente all’interno del gruppo dei cronisti di nera durante la raccolta delle informazioni dalle fonti rispetto al lavoro in sede. Ho notato, infatti, che le scelte non erano affatto individuali (non era il singolo cronista che decideva quale fatto prendere o meno), ma c’era uno spirito cooperativo tra i giornalisti delle diverse testate presenti nei luoghi di incontro con le fonti. Era proprio questa interazione a determinare la scelta della notizia. Questo aspetto mi ha colpito molto, poiché è risultato subito chiaro che per capire come funzionava la cronaca nera a Milano avrei dovuto tenere conto delle dinamiche presenti all’interno di questo gruppo. Per tale motivo ho deciso di includere tra gli intervistati non solo i cronisti e i caporedattori del «Corriere della Sera» – come ipotizzato nel progetto – ma anche alcuni cronisti (di quotidiani nazionali e locali, nonché delle agenzie di stampa) che quotidianamente erano presenti durante l’incontro con le fonti.
2. Le Forze dell’Ordine (le principali fonti della cronaca nera) hanno subìto un processo di professionalizzazione? Quali sono le caratteristiche di tale trasformazione? Come influenzano il lavoro dei cronisti di nera? Che tipo di rapporti ci sono oggi tra queste fonti e i giornalisti? Quali conseguenze possono emergere da queste nuove forme di interazione?
Come nel caso precedente, la convinzione che fosse importante focalizzare l’attenzione su questi aspetti è stata rafforzata dal continuo dialogo con i miei principali interlocutori, ossia il gruppo dei cronisti di nera. Già dai primi giorni di osservazione, infatti, mi sono reso conto che il nuovo modo di fare comunicazione da parte delle Forze dell’Ordine,che appariva molto strutturato e professionalizzato, era un argomento assai dibattuto tra i giornalisti, i quali vedevano in questi cambiamenti un limite alla loro professione <19. La professionalizzazione, infatti, implica principalmente una centralizzazione delle modalità comunicative
(si cerca di sostituire alla pluralità di voci che il cronista poteva ascoltare tramite la sua rete di informatori la singolarità della versione ufficiale dell’Ufficio stampa) e una maggiore attenzione riservata alla comunicazione di fatti mediaticamente “appetibili” per i mezzi di informazione. Ho deciso, quindi, di concentrarmi anche sul modo in cui le fonti rendevano pubblici i fatti di loro competenza e su quale influenza potesse avere sulle notizie pubblicate dai quotidiani. Poiché su questi argomenti le opinioni tra cronisti e Forze dell’Ordine erano piuttosto divergenti, ho deciso di intervistare anche alcuni dirigenti della Polizia di Stato dei tre uffici che quotidianamente hanno un rapporto con il mondo dell’informazione: l’Ufficio stampa, l’Ufficio Prevenzione Generale e l’Ufficio Squadra Mobile.
In questo modo ho avuto la possibilità di conoscere come operano alcuni meccanismi alla base della comunicazione istituzionale di queste fonti, nonché potere raffrontare, in sede di analisi, i due diversi punti di vista, quello delle Forze dell’Ordine e quello dei giornalisti.
3. Come è cambiata la cronaca nera negli ultimi anni? Quali nuovi attori, oltre alle Forze dell’Ordine, trovano spazio nelle notizie di cronaca nera? Come gli stessi cronisti immaginano oggi la nera? Si può individuare un meccanismo che spieghi perché si selezionino alcuni fatti e non altri e come gli attori coinvolti cerchino di indirizzare a proprio favore tale selezione?
La lunga permanenza sul campo ha quotidianamente mostrato come la cronaca nera non sia più il mestiere di «mettere vero su bianco», quanto piuttosto si assista a quello che un cronista ha chiamato il passaggio dalla «cronaca dei fatti» alla «cronaca delle parole». In altri termini, ho potuto rilevare un sempre maggiore disinteresse per la “vecchia” cronaca nera – interessata a descrivere dettagliatamente l’evoluzione del crimine, gli attori coinvolti, le indagini condotte dalle Forze di polizia, etc… -, mentre si è imposta alla mia attenzione la rilevanza assunta da una “nuova” cronaca nera, orientata ad imporre temi, problemi e a
generare controversie politiche. È proprio il nuovo ruolo della politica a trainare questo cambiamento, tanto da diventare, insieme al cittadino, uno degli inediti attori delle crime news odierne. Si crea così un meccanismo che rende la cronaca nera sempre più permeabile ai processi di tematizzazione e di framing, i quali necessariamente orientano in modo differente i fatti e gli attori sociali che contribuiscono a costruirla.
[…] Poiché la ricerca si è svolta a Milano, la scelta non poteva che ricadere su uno dei principali quotidiani nazionali, ossia il «Corriere della Sera» <20. A livello locale, l’importanza di questo quotidiano è confermata dai dati Audipress, secondo i quali sia in Lombardia che nella provincia milanese risulta essere il giornale più letto (1.319.000 lettori, di cui il 49,4% nella provincia di Milano – dati Audipress 2011/3).
[…] Pur avendo potuto beneficiare di un canale di accesso informale al campo, il vero e proprio ingresso in redazione ha richiesto più tempo di quello preventivato nella stesura del progetto di ricerca. Sebbene, infatti, i pregressi buoni rapporti con un cronista del giornale – che ha svolto il ruolo di «mediatore culturale» (Cardano 2005:125) – mi abbiano permesso di evitare di contattare direttamente la Direzione del quotidiano, solo dopo alcuni mesi di attesa ho ottenuto la possibilità di fissare un appuntamento con uno dei caporedattori centrali <21 a cui spettava il compito di valutare la mia richiesta di svolgere attività di ricerca all’interno del giornale e di sottoporla al Direttore. Prima di fornirmi l’autorizzazione, è stato necessario rinegoziare alcuni punti del progetto, soprattutto sul fronte della durata del campo (la richiesta formale parlava di sei mesi) poiché, secondo il mio interlocutore, un periodo così lungo avrebbe potuto generare tensioni con il sindacato aziendale, per il quale il mio ingresso in redazione poteva somigliare ad una forma anomala di stage – in quel momento bloccati dall’azienda – celato da generici interessi di ricerca <22. D’accordo con la Direzione, mi è stato accordato un tempo massimo pari a due settimane, periodo che evidentemente mal si conciliava con la possibilità di comprendere a fondo il funzionamento dei meccanismi di costruzione quotidiana della cronaca nera. Decisi tuttavia di non insistere e accettare sul momento i limiti imposti dalla Direzione, con l’idea di rinegoziarli una volta avuto l’accesso vero e proprio al campo.
Il primo ingresso all’interno della redazione milanese del «Corriere della Sera» è avvenuto a dicembre del 2010. Il primo incontro è stato con il Capo Desk della redazione locale, al quale ho esposto gli obiettivi del mio lavoro di ricerca e con cui ho contrattato i tempi e i modi di accesso in redazione. Già durante questi incontri il Capo Desk si è premurato di presentarmi parte dello staff, in particolare i cronisti di nera, al fianco dei quali avrei dovuto lavorare nei mesi successivi.
Durante il periodo passato in redazione, la sezione di cronaca nera era composta da due giornalisti “senior” (con circa 20/30 e più anni di servizio) che si occupano in via esclusiva di questo settore, e da due/tre giornalisti più giovani (fino ad un massimo di 10 anni di servizio) che affiancavano o sostituivano i primi in caso di necessità, pur rimanendo a disposizione della redazione anche per altri tipi di notizie. È stato importante allacciare dei buoni rapporti con tutti i cronisti di nera non solo per poterli da subito affiancare nel loro lavoro quotidiano, ma anche per poter materialmente avere accesso alla redazione, poiché l’ingresso agli uffici è limitato da una fila di tornelli oltre ai quali si può passare solo con la propria tessera personale <23.
Dopo la pausa natalizia ho cominciato a frequentare assiduamente la redazione. Il passo successivo è stato seguire i cronisti durante i loro quotidiani incontri con le fonti, sui quali ancora non mi ero fatto un’idea chiara. Mi accordai così con uno dei cronisti per un appuntamento il giorno successivo davanti alla Questura. Mi resi conto da subito che si trattava di un passaggio molto delicato, poiché all’inizio non richiesi un’autorizzazione formale della Dirigenza della Polizia di Stato che giustificasse la mia presenza in Questura nei mesi successivi. Per questo ritengo opportuno offrire qualche maggiore dettaglio sul suo effettivo svolgimento.
Il giorno successivo alla conversazione col cronista arrivai in orario all’appuntamento, ma di lui non vi era traccia. Decisi allora di aspettare e solo dopo circa mezz’ora lo vidi uscire dall’edificio insieme ad un funzionario della Polizia di Stato: quel giorno aveva deciso di non seguire il quotidiano «giro di nera» <24, preferendo dedicare un po’ di tempo alla cura dei rapporti personali con il personale della Questura. Invitato a seguirli per un caffè, mi trovai a provare un certo imbarazzo essendo, mio malgrado, presente durante una conversazione che avrebbe dovuto essere privata. Tuttavia, i minuti persi al bar furono provvidenziali, poiché al ritorno in Questura incontrammo all’ingresso il questore.
Sino a quel momento, io non ero mai stato al «giro», quindi quella poteva essere una buona occasione per legittimare la mia presenza all’interno degli uffici nei mesi a venire. E così fu. Il cronista mi presentò al questore, al quale potei brevemente spiegare il lavoro che stavo svolgendo per conto dell’Università e il perché della mia presenza in Questura. Questo fugace incontro mi aiutò nel periodo successivo a superare i numerosi gatekeeper (Cardano 2011:113) che avrei incontrato all’interno dell’istituzione. In primo luogo, infatti, c’era il problema dell’accesso agli uffici della Questura, che era possibile solo dietro presentazione della tessera dell’Ordine dei giornalisti. Per ovviare a questo ostacolo, cominciai a presentarmi quasi ogni mattina, per tutta la durata del campo, al seguito di un cronista di nera del «Corriere della Sera», al quale nessuno poliziotto chiedeva di farsi riconoscere, dato che frequentava la Questura da almeno trent’anni. Non sempre però l’appuntamento veniva rispettato, e io mi ritrovavo con il dilemma di decidere se provare ad entrare lo stesso (con il rischio di essere respinto, poiché di fatto non avevo un’autorizzazione formale all’ingresso nell’edificio) o lasciare perdere e tornare il giorno successivo. I primi tempi preferii la seconda opzione, per il timore di bruciare definitivamente la possibilità di accedere al «giro di nera», oppure, quando possibile, aspettavo che arrivasse un cronista di qualche altro giornale per entrare con lui. Solo
successivamente iniziai ad entrare da solo, presentandomi come collaboratore del «Corriere della Sera», tecnica che il più delle volte ha funzionato (anche perché i poliziotti all’ingresso mi vedevano quasi ogni giorno), ma che in almeno un paio di casi non ha dato i suoi frutti. Una volta venni fermato all’ingresso dell’Ufficio di U.P.G. (Ufficio Prevenzione Generale) – prima tappa del «giro di nera» – da un dirigente dell’Ufficio stampa, con il quale non avevo mai avuto rapporti nelle settimane precedenti. Alla richiesta di identificarmi (nome, cognome e testata di appartenenza), io cercai di chiarire il motivo per cui ero lì, descrivendo la ricerca che stavo svolgendo e il mio legame con il «Corriere della Sera», spiegazioni che tuttavia non portarono ad alcun risultato, poiché io di fatto non ero un giornalista accreditato e quindi non avrei dovuto essere in quell’ufficio. A quel punto decisi di giocare la carta dell’incontro col questore che, in effetti, funzionò: sostenni così che era stato il questore in persona a darmi l’autorizzazione, il quale era informato della mia presenza al seguito dei giornalisti durante il «giro di nera». Questo bastò al dirigente per lasciarmi entrare nell’ufficio. Altre volte sono stato fermato all’ingresso, ma agli operatori della Polizia di Stato bastava poi contattare l’Ufficio stampa per avere ragguagli sulla mia posizione. Fortunatamente la situazione venne regolarizzata ufficialmente nei mesi successivi, quando chiesi il permesso per intervistare
alcuni dirigenti della Questura. In questo caso, infatti, dovetti consegnare una lettera di autorizzazione che di fatto poneva fine ad una situazione a tratti incerta <25.
Gli stessi problemi si sono riproposti con l’accesso al Comando dei Carabinieri, seconda tappa del «giro di nera». Grazie all’intraprendenza di uno dei cronisti del «Corriere della Sera», fui presentato già il primo giorno al capo Ufficio stampa, il quale – fidandosi probabilmente del cronista – non mi chiese alcuna autorizzazione, permettendomi quindi di seguire gli incontri quotidiani con la stampa. Nei mesi successivi non sono mai stato controllato all’ingresso, poiché entravo insieme al gruppo dei cronisti, dopo l’incontro in Questura. Solo una volta venni fermato. In quell’unico caso mi presentai come collaboratore del «Corriere della Sera» – ruolo che in un certo senso davo l’impressione di interpretare ogni giorno, partecipando al «giro», prendendo le notizie, frequentando le conferenze stampa, etc… Espediente che, ancora una volta, funzionò.
19 Durante il periodo che ho passato sul campo, per esempio, lo stesso gruppo cronisti invierà una lettera al questore (alla quale seguirà un incontro) per lamentarsi del sistema adottato per rendere pubblici i fatti, sempre più propenso a fornire una versione ufficiale e a bloccare il più possibile i contatti informali tra gli operatori di Polizia e i giornalisti in cerca di uno “scoop” (cfr. capitolo 4).
20 Secondo l’ultima indagine Audipress (2012/1), il «Corriere della Sera» è il terzo giornale per numero di lettori medi, pari a 3.353.000. Al primo posto c’è «la Gazzetta dello Sport» (sempre del gruppo editoriale RCS) con 4.420.000 di lettori, seguito da «la Repubblica», con 3.511.000.
21 Dopo un primo contatto via e-mail, nella quale esplicitavo i miei interessi di ricerca e le richieste relative alle modalità di accesso (durata dell’osservazione, quanti giorni alla settimana, in quali orari, etc…), sono rimasto in attesa dell’autorizzazione e delle indicazioni pratiche su come e quando iniziare il lavoro. Purtroppo è seguita una fase di stallo, durata all’incirca due mesi, durante i quali non ho avuto risposta dal caporedattore, per molto tempo impegnato in una trasferta di lavoro.
22 Ricordo che nel periodo indicato, e fino al 17 maggio 2011, il «Corriere della Sera» era in stato di ristrutturazione, con continui momenti di tensione tra il Comitato di Redazione e i rappresentanti della Direzione e dell’azienda.
23 All’inizio questa situazione mi ha creato qualche problema, poiché dovevo continuamente chiedere alla portineria di chiamare in ufficio uno dei giornalisti con cui ero in contatto, il quale confermava di conoscermi e dava l’autorizzazione a farmi entrare in redazione. Se nessuno dei cronisti che conoscevo era in quel momento nella sua stanza – come di fatto è successo qualche volta – non potevo fare altro che lasciare perdere e tornare il giorno successivo.
24 È l’espressione utilizzata dai cronisti per indicare il momento quotidiano di interazione con le fonti (cfr. capitolo 3).
25 Nella realtà tutti gli operatori di Polizia e i cronisti sapevano perfettamente quale fosse il mio ruolo, quindi il mio lavoro si basa comunque su un’osservazione scoperta.
Domingo Scisci, Dai fatti alle parole. Come sta cambiando la cronaca nera milanese, Tesi di dottorato, Università degli Studi Milano-Bicocca, Anno Accademico 2011-2012, pp. 42-48