In Monte Napoleone non passava un tram

Milano, cara Milano!… è un’opera che pone numerose sfide interpretative al lettore che vi si accinga con animo critico ed indagatore. Uscita negli ultimi giorni del dicembre del 1957, la prima copia dell’opera giunse sulla scrivania di Mario Puccini (Senigallia, 29 luglio 1887 – Roma, 5 dicembre 1957) quando questi era ormai scomparso. Quello che nelle intenzioni della casa editrice doveva essere il degno festeggiamento per le «nozze d’oro dello Scrittore con la letteratura» 1 – gli esordi pucciniani risalivano al 1907 con le Novelle Semplici – si tramutò in una pubblicazione commemorativa: il volume divenne il primo dei postumi di Puccini, l’unico fra questi però a venir pubblicato nella veste già corretta ed approvata dall’autore. Si tratta di un’edizione che si segnala per la ricca veste tipografica. L’editore Ceschina pubblica l’opera in grande formato, con doppia coperta e accompagnata da quaranta illustrazioni d’autore che ritraggono Milano tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Firmatario delle tavole illustrative è il celebre pittore milanese Giannino Grossi, che, formatosi all’Accademia di Brera, deve la sua fama proprio alle vedute prospettiche della città per le quali vinse nel 1922 il Premio Fumagalli. Il volume suggella l’amicizia e il legame pluriennale tra Puccini e la Casa Editrice, che di Puccini pubblicò svariati volumi, tra i quali Amore di Spagna. Taccuino di viaggio (1938), opera che si può considerare quasi la sorella maggiore di quella in questa sede esaminata. Il sodalizio editoriale tra Puccini e Ceschina, ricordato in Milano, cara Milano!…, rimonta agli anni milanesi dell’autore anche se in quel frangente i loro incontri non erano motivati da questioni editoriali. Renzo Hermes Ceschina era all’epoca un libraio e segretario generale della Associazione libraria italiana che si rivolgeva al libraio Puccini. Solo in un secondo momento, ormai conclusa l’esperienza milanese, Ceschina gli chiese di divenire un suo autore e questi accettò solo quando, come del resto ammette, «altrove qualche altra porta (una, o più di una) mi si erano chiuse o non … mi si erano aperte». Di questo Puccini gli sarà grato dedicandogli il capitolo Renzo Ermes Ceschina, editore gentiluomo e mettendone in risalto l’onestà intellettuale e la generosa prova di amicizia: Non mi chiese perché mi fossi mosso con tanto ritardo; non sofisticò; non discusse. E avrebbe avuto ragione di farlo: io bussavo da lui perché altrove qualche altra porta (una, o più di una) mi si erano chiuse o non … mi si erano aperte. Ed ecco un’altra ragione che me lo vuole caro nel ricordo, nella memoria: uomo, editore, amico […] <…>
Avendo registrato una carenza nella tradizione dei cantori di Milano, fra gli intenti di Puccini vi è anche quello di fornire una galleria dei personaggi tipici di ciascun quartiere. Quasi in ogni paragrafo uno sconosciuto assurge a simbolo di quella via: il macellaio e il calzolaio in quella via «di raccordo tra San Celso e il Corso Romana»; 23 le «cibot» in via Passerella, 24 la cartolaia a Manforte, 25 il signor Ambrogino proprietario del «trani» in via Cavallotti 26 e insieme a loro tanti altri. Una vera costellazione di personaggi minori messi in scena nella via dove erano stati visti dall’autore che, per tutte le sezioni odeporiche del libro si mostra nel tipico atteggiamento del flâneur. Non è necessario che nel testo sia presente la descrizione di un viaggio perché esso sia considerato appartenente al genere odeporico. 27 Di fatto la Milano di Puccini più che essere meta di un viaggio risulta essere una fondamentale tappa del suo cammino esistenziale: «in quello spicchio di via Monte Napoleone dove in un certo momento della mia vita (già scrittore, e non ancora scrittore; già editore, ma, prossima ormai la guerra, quasi in via di scordarmi di esserlo e di esserlo stato) mi assestai io». 28 L’autore ci presenta la città della sua giovinezza e rievoca, attraverso qualche celebre personaggio, quella della generazione che l’aveva preceduto: la Milano di l’altrieri – formula cara al Lucini e in omaggio alla memoria del Dossi – viste entrambe in prospettiva contrastiva con la Milano degli anni ’50. Protagonista è la città del secondo decennio del ’900, «da non confondere, in ogni modo, con quella di oggi», come avverte Puccini in uno dei primissimi capitoli. Qua, come in altre opere letterarie della postmodernità, la città cessa di essere lo sfondo delle peripezie dei personaggi, e diviene personaggio essa stessa. 29 Essa è colta nel suo mutare, in qualità di enorme crocevia di popolazioni. Il tipo umano che fa della città il soggetto principale delle sue riflessioni e annotazioni è il flâneur, figura sorta nell’Ottocento per indicare l’intellettuale che si aggira tra la folla dei cittadini e ne osserva criticamente i comportamenti. 30 Egli si fa indagatore dei significati urbani, talvolta con atteggiamento voyeuristico: 31 la sua attività è analoga a quella dello scrivere, che del viaggio costituisce talvolta il suo prolungamento. 32 Il flâneur, animato dal desiderio di sprovincializzazione, predilige le grandi capitali, ma torna con insistenza ai luoghi familiari. Perciò nel corso dei suoi vagabondaggi si assiste alla sintesi tra i due mondi entro i quali si articola il suo essere-nel-mondo: quello globale e quello domestico. Egli ha particolare attenzione nei confronti della geografia del luogo che attraversa e fornisce indicazioni precise sulle vie e le direzioni da prendere dando vita ad una mappa che potrebbe consentire al lettore di tracciare i luoghi della vicenda.33 Nelle sue narrazioni fiction e realtà si confondono; i due poli del continuum narrativo si intrecciano e in ciò trova una spiegazione anche l’ossessione spazializzante in quanto la sintesi tra realtà ed immaginazione trova senso in un ancoraggio ai luoghi.34 Analogamente Mario Puccini, all’epoca scrittore esordiente ed editore giovanissimo, lascia Ancona per recarsi a Milano, dove crede di poter avviare un’impresa editoriale più salda. Le sue impressioni sul capoluogo meneghino rientrano perfettamente nel canone della flânerie: La prima volta che ero venuto a Milano la città mi aveva interessato per la sua vastità e per il suo traffico, mi ero quasi smarrito, allora, nel gorgo delle sue grandi vie e delle sue immense piazze; uno smarrimento fisico, ma anche psicologico. Ma la seconda, due anni dopo, altra sensazione: non è più la vastità della citta che mi impressiona, è il frastuono: il frastuono prodotto da tutta quella folla anonima, da tutti quei mezzi meccanici che tentavo di sormontare ma senza riuscirci […]. Questa terza visita, invece, che non è poi soltanto una visita, io mi debbo fermare (resterò a Milano, diventerò quasi un cittadino di Milano) mi vuole tutto spostato verso il di fuori: quando salgo sul tram e siedo […] vedo […] ancora esseri umani che sollecitano il mio interesse, che chiamano che quasi succhiano la mia attenzione. 35
La città attrae giovani in cerca di successo e affermazione da ogni provincia della penisola. È soprattutto la Galleria ad offrire al flâneur Puccini un’adeguata vetrina d’osservazione, dalla quale descrive la Milano meta di sprovincializzazione, come del resto lo era stata per lui: Il nostro giovanotto provinciale fissa da tempo sbadigliando le lancette lassù dell’orologio: e quando ad un momento vede finalmente che quelle lancette si stanno per congiungere sulle dodici […]: è ora di mangiare. […] Benché senza allontanarsi troppo dalla Galleria: ma di tutto perché solo qui è sicuro di non perdersi, e poi perché soltanto qui, sotto queste vetrate, gli pare di sentirsi veramente a Milano […]. Il nostro giovanotto non è qua a divertirsi; lui è venuto a Milano o «per diventare un cantante» o «per trovarsi un posto»: e non gli importa mangiare bene o meno bene: «gli importa di non tornare laggiù a mani vuote». 36
Egli abbandonò le Marche per inseguire il progetto di un’affermata casa editrice, ma anche a Milano, come tutti i provinciali, cerca angoli più familiari che gli possano riportare alla memoria la tranquillità della vita spesa ai margini della penisola; talvolta è sufficiente anche un suono noto per rievocare l’«età favolosa dell’infanzia»: Perché, per quelle milanesi vere, Milan finiva sui bastioni; oltre i bastioni, o c’era la campagna oscura e deserta, o c’erano le luci fioche e rade delle vie suburbane […]. Invece chi veniva dalla provincia e non sapeva accettare sic et simpliciter la vita chiassosa della Milan centrale […] questi erano i paesaggi subito cercati e subito amati. […] Hic manebimus optime. In questo silenzio quasi campestre, dove le automobili passavano bensì, ma, o se ne perdeva subito così la vista come il rumore (quando non le assorbivano gli alberi dell’acqua bella) 37. Mentre percorrevo una via che abbandona piuttosto faticosamente […] il Corso di Porta Romana, e finisce […] nei pressi di Piazza Umanitaria, uscito appena da una barbierìa, ho avvertito uno strano ma insistito rumore. […] Ma, dopo qualche minuto sto in ascolto, afferro finalmente e comprendo: sono macchine tipografiche. […] Quel rumore ha avuto il potere di ricondurre di colpo il mio sentimento all’età favolosa dell’infanzia; io sono nato con una tipografia sotto casa, la tipografia di mio padre; […] fu questo rumore a scandire le mie prime e confuse sensazioni […]. Codesto rumore mi riconduce d’incanto in quel mondo, in quel clima; questa via non assomiglia neanche da lontano alle vie della mia città; benché abbia anch’essa un certo sapore antico e logoro. […] Ed ora, ora mi ritrovo con la stessa sospensione di allora. Come se abbia ancora sette o otto anni. 38
Per le vie di Milano, nel dispiegarsi dei capitoli e fra i molteplici bozzetti narrativi Puccini si racconta: la storia narrata è soprattutto memoria retrospettiva di uno scrittore che ripercorre un capitolo importante della sua formazione, chiuso bruscamente dall’avvento della prima guerra mondiale. Nel capoluogo lombardo, oltre a dare vita ad una nuova casa editrice, in società con Facchi e Linati, conosciuta con il nome di Studio Editoriale Lombardo, di cui, come si apprende dalle corrispondenze pucciniane, egli era il direttore tecnico, aprì anche una libreria che «non era propriamente una libreria, era, insieme, libreria, casa d’arte, cenacolo, casa editrice». 39 Lo Studio Editoriale Lombardo era il successore della casa editrice paterna, Giovanni Puccini e figli di Ancona. Per Puccini rappresentava un grande investimento: chiudere l’azienda di famiglia, a garanzia della quale vi era l’onorato nome paterno, e tentare una via propria nell’intricato scenario dell’editoria primonovecentesca. Un’impresa che abbracciò con fiducia e nella quale si buttò con l’incoscienza dei vent’anni, incurante della guerra imminente che già si preannunciava nell’atmosfera e, per stessa ammissione dell’autore, «segni di una possibile guerra, chi avesse saputo vederli, […] non ce n’erano davvero pochi»: Ma io obbedivo prima che ad una passione, ad una tradizione: anche mio padre oltreché editore era stato libraio. […] Io, malato di lettere fino al collo non solo, ma, come ho detto, già compromesso nell’ingrato mestiere di scrivere, […] vedo subito grosso: e non solo fornisco il mio negozio dell’intera collezione del «Mercure de France» (casa editrice, allora, assai stimata dagli intenditori) e della da poco nata «Nouvelle Révue Française» ma ordino in Inghilterra l’intera collezione dell’ «Everyman» nonché stampe inglesi, le più belle che trovavo nei cataloghi … Con la nascosta speranza di creare un ambiente: in tanta strada e così nutrito dovevo ben meritarmi una clientela. 40
La libreria era situata nella centralissima via Monte Napoleone al numero 18 e finché rimase aperta fu un punto di riferimento per molti artisti che gravitavano intorno alla città. Vi esposero Carrà e Boccioni – quest’ultimo la celeberrima Muscoli in movimento – e vi si recavano frequentemente scrittori, pittori, musicisti non solo ad acquistare, ma anche semplicemente a chiacchierare e ad animare quella sorta di cenacolo artistico che la guerra spazzò via insieme all’attività editoriale. La bottega era il centro dal quale si dipanavano le avventure milanesi, come in Viva l’Anarchia, 41 anche qui Puccini si rappresenta chiuso nella sua bottega, topos pucciniano per eccellenza, anche una domenica pomeriggio in cui è Boccioni a stanarlo e, in un altro episodio, lo stesso farà Medardo Rosso: Povero Boccioni! Era capitato da me un pomeriggio di domenica che la saracinesca del negozio era parecchio abbassata ma non del tutto […]. E Boccioni così, dal di fuori, aveva strillato: « ci sei o no?». C’ero; c’ero davvero: benché non per badare al negozio: vi ero venuto per lavorare con calma e in pieno silenzio (in Monte Napoleone non passava un tram) al mio nuovo romanzo che avrebbe dovuto seguire Foville 42. Ed ecco Medardo Rosso un giorno. […] «Tu qui? Che ci fai qui?». Spiego che, uscito da un’esperienza editoriale non fortunata, avevo pensato ad un tipo di negozio che potesse essere insieme libreria e luogo di ritrovo, galleria di esposizione e terreno d’incontro tra artisti, letterati, persone colte … […]. «Ma su, su chiudi un momento questo bugigattolo e vieni con me; […] adesso mettiti il cappello – ingiunge – e chiudi questo stambugio». 43
I due testi non condividono solo questo claustrofobico avvio – stambugio e bugigattolo sono termini sinonimici che evocano il senso della strettezza e della buia chiusura – ma si potrebbe quasi sostenere che Viva l’anarchia comincia là dove termina Milano, cara Milano!…, con l’intervallo della guerra. Se l’opera su Milano racconta, non osservando alcun ordine cronologico, avvenimenti collocati tra il 1910 il 1914, l’altra opera invece è il racconto del viaggio in Italia fatto dal libraio Puccini subito dopo la fine del conflitto mondiale, ad esperienza editoriale conclusa e quando ormai dell’esperienza in questione non salva alcuna memoria. Nella prima stagione della produzione pucciniana le vicissitudini editoriali erano tenute in gran conto, tanto da motivare la scrittura del Piccolo Mastro Spirituale, 44 un’opera che ad una raccolta di novelle fa seguire una sezione significativamente intitolata Incontri all’interno della quale troviamo Incontri d’editore e Incontri di poeta. Bastano i soli titoli ad avvicinare le due opere; tant’è che il terzo capitolo del testo in esame ha per titolo: Luoghi cari e cari incontri. Ma la guerra e la fine della stagione da editore indussero Puccini a dimenticare quella fase dalla sua storia che, come si legge in una lettera a Papini del 29 luglio del 1918, 45 gli causò solo dispiacere, perdita di quattrini e di amici e lo indusse a pentirsi di aver seguito dei sogni a scapito della laurea in legge alla facoltà d’Urbino <…>
1 Mario Puccini, Milano, cara Milano!…, Milano, Casa Editrice Ceschina, 1957, p. 3.
23 Mario Puccini, Milano, cara Milano!…, cit., p. 91. Ivi, p. 59.
24 Ivi, p. 89.
25 Ivi, p. 93.
26 Ivi, p. 113.
27 Domenico Nucera, I viaggi e la letteratura, in Introduzione alla letteratura comparata, a cura di Armando Gnisci, Milano, Mondadori, 1999, p.138.
28 Mario Puccini, Milano, cara Milano!…, cit., p. 15.
29 Giampaolo Nuvolati, Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 57.
30 Ivi, p. 7. 23
31 Ottimo esempio è il capitolo La vera felicità (pp. 59-63), nel quale Puccini osserva da una finestra la partita a carte tra il macellaio e il calzolaio.
32 Giampaolo Nuvolati, Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni,cit., p. 17.
33 Per ulteriori approfondimenti sulla connessione fra letteratura e mappe si veda: Piani sul mondo. Le mappe nell’immaginazione letteraria, a cura di Marina Guglielmi e Guido Iacoli, Macerata, Quolibet Studio, 2012.
34 Giampaolo Nuvolati, Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni, cit., p. 92.
35 Mario Puccini, Milano, cara Milano!…, cit., pp. 84-85.
36 Ivi, pp. 34-35.
37 Ivi, p. 42.
38 Ivi, pp. 75-76.
39 Ivi, p. 244.
40 Ivi, pp. 15-16.
41 Alfredo Panzini e Mario Puccini, Viaggi in Italia 1913-1920, Senigallia, Fondazione Rossellini, 2001. Il testo di Viva l’Anarchia è qui contenuto preceduto dall’opera di Panzini e da una Noterella bibliografica editoriale (con movenze di giallo) nella quale si dà ragione della storia delle sue ristampe: «Il mio negozio di libraio era in una vecchia via di Milano. […] Volle che chiudessi bottega e lo seguissi» (p.135).
42 Mario Puccini, Milano, cara Milano!…, cit., p. 16.
43 Ivi, p. 22.
44 Mario Puccini, Piccolo Mastro Spirituale, Ancona, Puccini, 1916.
45 Fondo Papini, conservato presso la Fondazione Primo Conti, Fiesole.
Francesca Corrias, Mario Puccini, Milano, cara Milano!, Oblio Anno IV, numero 14-15 Autunno 2014