Eduardo Galeano: volano gli abbracci

Eduardo Galeano nel Café Brasilero di Montevideo – Fonte: Reti Dedalus

[…] Eduardo Galeano è stato uno di quelli che subito e con grande intensità si dedicò a studiare gli elementi di collegamento tra le nazioni latinoamericane e gli interessi in drammatico contrasto con gli Stati Uniti, così come con diverse potenze europee. Il primo libro in cui affrontò questo argomento guadagnò subito una grande accoglienza e diventò un punto di riferimento inevitabile per chi voleva studiare la storia latinoamericana: il libro era Las venas abiertas de la América Latina, pubblicato in spagnolo nel 1971 e qualche mese dopo tradotto in italiano come Il saccheggio dell’America Latina. Ieri e oggi, probabilmente perché sembrava che la drammatica metafora delle “vene aperte” non si potesse riproporre ugualmente in italiano. Purtroppo a volte traduttore o editore si lasciano condizionare da questi pregiudizi. Ma per fortuna qualche volta ci ripensano, e in effetti qualche anno dopo uscì una nuova edizione di questo libro – considerato “super best seller” nel mercato editoriale – con il titolo tradotto letteralmente: Le vene aperte dell’America Latina. Forse quello è avvenuto dopo che si diffuse anche in Italia la canzone di Mercedes Sosa che, quasi come un’eco del libro di Galeano, diceva:

Tenemos muchas heridas

Los latinoamericanos.

[…]

Tenemos venas abiertas

Corazones castigados

Somos fervientemente

Latinoamericanos.

[…]

Il grande legato lasciato da Galeano è questa coscienza latinoamericana, questo orgoglio di un’identità continentale che, malgrado le differenze di partenza, si forma attraverso cinque secoli di storia comune e sboccia in una fierezza identitaria: «Siamo ferventemente / latinoamericani», come dice la canzone già citata di Mercedes Sosa. Eppure la sua eredità non finisce lì: lui ci ha insegnato un modo diverso di affrontare la storia, un modo diverso di scriverla e di accattivare di conseguenza il lettore: con Memoria del fuoco, tre sostanziosi volumi usciti in spagnolo nel 1986 e in traduzione italiana tre anni dopo, ci racconta in brevi capitoli densi di contenuto e poetici nello slancio stilistico, la storia dell’America dalla scoperta fino all’epoca contemporanea. La sua originalità risiede innanzi tutto nel voler partire dalle radici preispaniche – troppo spesso dimenticate o riassunte brevemente nei libri di storia generale o nelle antologie letterarie –, evocando i vari miti delle varie culture originarie; e poi nel combinare fonti storiche con notizie giornalistiche in modo da rendere il racconto agile, incalzante e coinvolgente. Nessuno prima aveva combinato in questo modo giornalismo e storia.

Forse la cifra più personale di Galeano è stata quella di infrangere le frontiere dei generi letterari, di combinare il rigore del documento con l’invenzione narrativa, la cernita storica con il particolarismo giornalistico. Questa combinazione irriverente e accattivante ha sedotto i lettori e ha trasformato molti dei suoi libri in veri best seller, uno dei quali è senz’altro La canción de nosotros, scritto in Argentina, già in esilio dopo il golpe in Uruguay, pubblicato nel 1975 e vincitore subito dopo del prestigioso Premio Casa de las Américas di Cuba. Il libro colpì critici e lettori perché mescolava la finzione narrativa con la testimonianza degli orrori vissuti sotto la crudele repressione militare in Uruguay, il linguaggio puramente informativo con lo slancio lirico. Forse la migliore definizione di quest’opera la diede a suo tempo lo scrittore paraguaiano Augusto Roa Bastos, che dalle pagine della storica rivista argentina “Crisis” la definì come un «allucinante testimonianza sulla tragedia dei nostri tempi: straziante presenza della realtà nel mondo mitico dell’immaginazione, nell’ambito imperituro di un poema epico».

Il legato di Eduardo Galeano è ricco e duraturo e per quello la sua memoria accompagnerà noi e le generazioni future. Per questo gli saremo sempre grati. Ma per chi l’ha conosciuto e frequentato la sua assenza rimane un doloroso vuoto, come il tavolo del Caffè Brasilero dove si offriva generoso alla conversazione e all’interscambio di opinioni a chi lo voleva avvicinare. Personalmente cerco un inutile conforto nelle pagine delle sue lettere, scritte a mano e invariabilmente concluse con disegni espressivi, e soprattutto con frasi affettuose con le quali gli piaceva congedarsi. “Vuelan los abrazos” era una delle sue preferite. Certo che sì, Eduardo: volano gli abbracci. E volino verso di te, ovunque tu sia, e ti portino la nostra nostalgia e la nostra riconoscenza.

Martha L. Canfield in Reti Dedalus