La Rapallo ideale di Giorgio Ficara

I rapallesi conoscono da mezzo secolo la figura snella ed elegante di Giorgio Ficara, nato a Torino nel 1952 da madre Boccoleri e nonna Macchiavello. Professore universitario di letteratura italiana a Torino e negli Stati Uniti, direttore della prestigiosa Fondazione De Sanctis, Ficara ha scritto saggi sul romanzo e la poesia (Solitudini, 1993; Stile Novecento, 2007) e curato ottime edizioni di Leopardi, Petrarca e Manzoni. Ma da anni accarezzava il progetto di raccontare la sua Liguria, o meglio la sua Rapallo, come l’ha conosciuta quando portava i calzoni corti e come la vede tuttora dalla sua terrazza accanto al campanile della Parocchia. Una Liguria amata con lucidità, intessuta di figure curiose, i personaggi del passato e del presente: poeti, duchi, attori, pescatori, contadini, la “vecchia serva”. E le case, le barche.

Ognuno di noi raccoglie un’infinità di queste storie, tutte le volte che ci sediamo a chiacchierare con gli amici, sempre cercando il lato del divertimento, del piacere, qualche volta della riflessione e della commozione. Sicché ora, all’antivigilia dei fatali sessanta, Ficara si è regalato e ci ha regalato il suo album di immagini liguri in un bel libro. Si intitola Riviera. La via lungo l’acqua ed è edito da Einaudi con in copertina una felice e insolita immagine di Portofino del nostro Enrico Paulucci, anch’egli torinese-rapallese anch’egli inesausto cantore di porticcioli, spiagge, vele. E Paulucci aveva conosciuto in prima persona i mostri sacri dell’anteguerra: Pound, Montale, Sbarbaro, Beerbohm, le cui voci e immagini ritornano in queste pagine.

Infatti Ficara non ha lesinato le illustrazioni, come è giusto in un album di famiglia allargata. Max Beerbohm vi viene definito senza esitazione “autore del libro più ironico del Novecento, Zuleika Dobson”. Si passa dunque dai piaceri della luce e della tavola ligure alle raffinatezze della Oxford edoardiana. In effetti Beerbohm terminò a Rapallo nel 1911 il romanzo Zuleika Dobson – storia fantastica di una prestigiatrice inetta che fa strage di cuori di matricole oxfordiane proprio grazie alla sua incapacità… Paradosso nel paradosso, ghiribizzo nel ghiribizzo. Le famose caricature con cui Beerbohm aveva decorato le pareti del Villino Chiaro furono staccate dopo la sua morte nel 1956 e sono oggi esposte al Merton College di Oxford, dove Max aveva studiato. Recentemente ho chiesto al portinaio se potevo accedere alla biblioteca-museo del collegio ma mi è stato risposto che dovevo prenotare con alcune settimane in anticipo.

Mi sono lasciato tentare dalla divagazione prendendo spunto da una pagina di Riviera, libro appunto di storie intrecciate che stimola a ricordarne di analoghe o aggiungere dettagli. Infatti Riviera non è un libro di fatti, anche se contiene non poche citazioni di viaggiatori dal medioevo a oggi, e riesce a rivelarci piccole gemme, quel tal verso di Petrarca, quell’esclamazione di Montaigne, quell’invettiva di Dante. E’ piuttosto un libro di ricordi in cui tutto è avvolto da una patina dorata e vaga, anche idealizzata, giacché sembra che il tempo si sia fermato agli anni d’oro, che l’infanzia non sia mai finita, che il fossato di Monti sia ancora cosparso di “narcisi sul loro stelo di smeraldo” piuttosto che assomigliare a una fogna. Ma forse basta salire più su e troveremo i narcisi.

Il ragazzo Ficara si inerpicava verso Gravero e andava a trovare la contadina un po’ folle Marietta, che non aveva quasi mai messo piede a valle, e viveva in un antro nero con la sua mucca, unico interlocutore il mulattiere Bagagìn. Queste su Marietta sono fra le pagine più belle di Riviera, costellate di frasi in genovese. E a me viene in mente Agnese di Montepegli, da cui fino a dieci-quindici anni fa si andava a prendere l’olio, che abitava con la sorella, e arrivava con grandi carichi di fieno in spalla. Sarà ancora viva? Una volta a casa delle due sorelle si presentò a tarda ora un “signore” che affermò di essere stato mandato dal Comune a controllare le banconote da 10.000 lire che avevano in casa e a sostituirle con altre nuove, e le due tapine fiutarono l’inganno e tirarono fuori solo qualche biglietto spiegazzato di poco conto, e il sedicente controllore si arrabbiò dicendo che non gli credevano, “ma no, signore” rispose Agnese, “noi le crediamo e la rispettiamo signore ma in casa non abbiamo altro”… e insomma Agnese era semplice piccola e furbetta e se la cavò almeno quella volta nella notte ventosa di Montepegli.

Su questa furbizia e imperturbabilità dei liguri Giorgio Ficara fornisce parecchie delucidazioni. Li trova poetici proprio perché impoetici, romantici perché anche quando sbarcano a Rio non si scompongono, magari si rivolgono all’oste in genovese, e non di rado trovano che li capisce. Così Ficara in California trova un piatto dei pescatori liguri nel menù di una trattoria americanissima e l’indizio lo porta dritto a un corregionale.

Riviere è organizzato liberamente e variamente. Dopo un preludio in cui passeggiamo sulle pendici di Portofino godendo delle campanule azzurre e ricordando che nella notte dei tempi c’era un’altra catena di monti che congiungeva Portofino a Portovenere, ultime rimanenze di quei contrafforti possenti, Ficara presenta una galleria di vignette (Rive) intitolate a Portofino (i conti Carnarvon, Auberon Herbert, il cimiterino che ricorda i “benefattori” del borgo) e a Rapallo (Pound naturalmente, fotografato in barca a vela con l’amico medico-tennista Giuseppe Bacigalupo, a cui a luglio 2010 il Circolo Golf Tennis di Rapallo ha dedicato un “Torneo Bubi Bacigalupo” — Bubi era infatti il nome di battaglia del campioncino). Poi Bordighera, Portovenere (la leggenda del pescatore e del lupo), Genova (Andrea Doria e il suo gatto – da non mancare in questi giorni la mostra a Palazzo del Principe del Riposo nella fuga in Egitto del Caravaggio, quadro appunto di proprietà Doria Pamphili, fino al 26 settembre).

In queste vignette, episodi storici si alternano a giudizi critici dello studioso sulle vicende sotterranee della letteratura in Liguria (inesistente o quasi finché prorompe nel Novecento, da Montale a Caproni a – per aggiungere un nome recente – Vico Faggi). Questi a loro volta si intrecciano a racconti fantasiosi, vere e proprie storie del viaggiatore per mare terra e libri Giorgio Ficara, che ci tiene seduti a tavola su un ultimo bicchierino e un’ultima storia, la più bella, quella dell’orribile e tenera Marietta di Monti.

Dopo questo capitolo introduttivo, Ficara racconta Tre storie di saraceni, turchi e polene (fantasmi del Dragut!): “Un pomeriggio di dicembre, quasi correvo lungo il sentiero che dal Castello Brown, a precipizio, scende alla spiaggia dell’Olivetta. Avevo sedici anni. La macchia era gocciolante, lucida, e il cielo nuvoloso su tutto il golfo”. Tutto può succedere, per esempio si può trovare i resti di un’antica polena, ed ecco che nasce una storia. Breve e succosa per quanto svagata. Infatti Riviere ha il pregio della concisione. Le immaginette trascorrono veloci, e non facciamo a tempo a entrare in una storia che già ne comincia un’altra.

Una terza ampia sezione, Partenze, passa in rassegna Leudi, Gozzi, Finestre, Capitani, Emigranti, Naufraghi… e qui veramente i personaggi sono tanti, drammatici, comici, curiosi. Capitani che fabbricano un nuovo veliero e lo portano oltre Gibilterra, camoglini che naufragano a Tristan da Cunha dove però trovano accoglienza amichevole e si stabiliscono. Sono le storie degli ex voto. Basta andare in uno dei nostri santuari per iniziare un percorso che porta lontano. Così Ficara, pur non salpando per le Colonne d’Ercole, tiene dietro a Colombo e ai suoi seguaci molto pratici e mercantili (e a loro modo superstiziosi e religiosi).

Un secondo intermezzo, Due storie, racconta appunto di Giovanni Chichizola e del miracolo del 2 luglio 1557, di icone portate qua e là in volo da angeli sbrigativi. Ficara a suo modo dà parole e pensieri a Chichizola davanti al quadretto affidatogli dalla Madonna (un vecchio amico inglese sosteneva invece che il poveretto aveva alzato un po’ il gomito): “Capì che era un quadro triste e allegro nello stesso tempo, cosa del tutto inconcepibile per noi, nella vita, dove nessuno che sia triste potrà mai dirsi allegro, e viceversa. E all’improvviso, ignorante com’era, capì di non essere impazzito: amare una persona che non c’è, come la Madonna, era facile tanto quanto amare una persona che c’è. Si inginocchiò davanti al quadretto e lo baciò tre volte”.

Per quanto Ficara sia un illuminista romantico che smitizza poco dopo l’evento ricordando come nella Liguria del ’500 non ci sia pressoché collina senza la sua brava apparizione e cappelletta, nondimeno da vero rapallese tiene fede alla sua Madonna che in fondo lo ha guidato in questi decenni perigliosi (rendendolo anche nonno felice!), e così come un vecchio madonnaro ci regala a sua volta il suo quadretto. (Per chi non lo sapesse, esiste anche una divertente versione a fumetti della storia di Montallegro.) Ma, come dice qualcuno, se si sale lassù alle quattro del mattino per la Novena, la vista e il silenzio sono per davvero un miracolo.

Riviere si conclude decantando Il luogo felice, una Rapallo forse immaginaria, ma che per Ficara continua a esistere. Un luogo assolutamente libero, dove si può uscire all’alba di casa e correre fra gli scogli della Villa Robilant a staccare patelle con un coltellino e mangiarle con due compagni di avventura (che magari leggono Salgari). Un luogo sicuro dove al risveglio si sentono campane e voci famigliari provenienti dalla cucina.

Giorgio Ficara ha insomma realizzato un suo ex voto sofisticato e naif, adatto per i nostri tempi a giudicare dalle recensioni ampie e positive con cui è stato accolto dai critici un po’ sorpresi di incontrare l’arguto e sottile studioso per una volta “col cuore messo a nudo”.

Massimo Bacigalupo (da Rapallo Notizie – Mare Nostrum, agosto 2010) in biblioteca dell’egoista