La figura di Rosa Luxemburg continua ad essere studiata da storici e biografi, che ne rimarcano il coraggio e l’altruismo

In occasione del centenario dell’assassinio di Rosa Luxemburg è più che mai il caso di dire con enfasi: zichronà livrachà, possa il suo ricordo essere una benedizione. Il ricordo è il cuore pulsante della sua vita e della sua morte rivoluzionarie. Il principio di Pesach, che non c’è libertà senza ricordo della schiavitù subita, ha trovato nella Lega di Spartaco e nell’estremo sacrificio del suo capo la più alta realizzazione che la storia e la politica moderne gli hanno tributato.
Appena uscita dalle galere polacche dove fu rinchiusa dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 e ritornata a Berlino, la sua base operativa, una volta Rosa prende la parola in un’assemblea di lavoratori.
Una compagna di partito introduce il suo comizio: “Vi presento la dottoressa Rosa Luxemburg: viene direttamente da Varsavia, dove a rischio della vita si è prodigata per la rivoluzione russa”. Applausi, “brava!”. “compagne e compagni! chi mi ha presentato ha concluso facendo di me una martire e una vittima della rivoluzione russa. Devo contestare questa immagine”.
Non fraintendiamo, non vediamo qui un esercizio di umiltà. A Rosa non si addicono manfrine né falsa modestia.
Ecco cosa invece intendeva: “Dovete avere un’idea del tutto sbagliata di quello che è una rivoluzione: un immenso mare di sangue, inenarrabili sofferenze del popolo… Ma questo è il punto di vista della borghesia, non del proletariato! Per centinaia di anni il popolo russo ha sofferto in silenzio sotto il giogo dell’assolutismo. Si è mai chiesto qualcuno quanti uomini sono morti di fame, e di scorbuto, in assoluta miseria? quante migliaia di proletari sono caduti sui campi di battaglia, e del lavoro? quanti bambini denutriti ammalano nei villaggi e muoiono senza raggiungere il primo anno di vita? Capirete, che a paragone dei sacrifici e delle sofferenze di allora, quelli di oggi sono minimi. Oggi ciascuno sa perfettamente per che cosa muore, per che cosa soffre, per che cosa combatte”. Applausi molto più forti.
Per Rosa, il senso più profondo del materialismo storico sta in una dottrina della rivoluzione che insegna a guardare indietro per guardare avanti; a cercare nel passato il compito del presente.
Sotto la sua guida, il proletariato spartachista attinge le energie spirituali necessarie alla lotta di emancipazione e alla costruzione di un futuro umano nella disperazione delle generazioni di sconfitti senza nome e senza numero. La rivoluzione non è né il risultato ineluttabile delle leggi dello sviluppo economico, né un ideale utopico e soggettivo di una società perfetta. La rivoluzione – ci insegna Rosa la rossa, mai illusa, sempre certa della vittoria finale – la rivoluzione ha una sostanza materiale e vitale: questa sostanza è la sofferenza accumulata in secoli di oppressione e sfruttamento. I morti ci ammoniscono. Ecco perché il suo sacrificio – di sacrificio si tratta, agonia trionfale, apoteosi: Rosa va consapevolmente incontro ai suoi assassini – non può essere valutato come un errore strategico dettato da un qualche malinteso senso dell’onore.
Rosa è morta come morì Spartaco, massacrata e resa immortale dagli sgherri del potere.
È la rivoluzione che monta. Rosa vive ancora. Solo nel giorno della vittoria comunismo potremo finalmente seppellirla, e le diremo: ben scavato, vecchia talpa!
Rosa è antimilitarista, non pacifista. Per tutta la vita fa la guerra alla guerra, ma sa bene che il sovvertimento dei rapporti sociali e politici che nei quali “l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato e spregevole” non può essere conseguito senza la forza. Nonostante il suo rifiuto del revisionismo e del parlamentarismo che ormai determinavano l’indirizzo politico della socialdemocrazia tedesca (SPD), nonostante i contrasti con la direzione, milita nelle fila del maggiore partito operaio europeo nel tentativo di utilizzarne le strutture organizzative per la propaganda antimilitarista.
Solo la diserzione di massa e il coinvolgimento dei soldati in un grande sciopero generale internazionale possono impedire la prima guerra mondiale, un evento da lei previsto.
La sua opera teorica più importante è L’accumulazione del capitale, del 1913, ed è una spiegazione economica dell’imperialismo. In una critica a Marx, che mostra l’insufficienza di un’analisi basata esclusivamente sulle categorie del regime di libero scambio, Rosa spiega l’imperialismo come una reazione del capitale alle crisi periodiche di accumulazione. Il suo studio individua nella limitata capacità di consumo di una società capitalistica il limite interno dell’accumulazione. Al centro c’è il problema della realizzazione di quella parte di plusvalore che deve essere capitalizzata: una società capitalistica realizza di per sé la parte variabile del capitale (attraverso la riproduzione della classe lavoratrice); quella costante (attraverso la sostituzione dei mezzi di produzione consumati); e quella parte di plusvalore destinata al consumo della classe dominante. Ma quel che rimane, chi se lo compra? Da dove arriva quella parte di profitto che deve essere reinvestita nella riproduzione allargata?
“La realizzazione del plusvalore per scopi di accumulazione è, in una società che consiste solo di lavoratori e capitalisti, un compito irrisolvibile” (p. 272). La scoperta scientifica che segue dalla formulazione di questo problema è che il sistema capitalistico non è autosufficiente, e che le sue crisi periodiche possono essere superate solo attraverso un allargamento violento del mercato, quindi la conquista e il soggiogamento di territori e popoli non capitalistici. Di qui, il nesso organico fra l’accumulazione interna (basata su economia di mercato, produzione di plusvalore e lavoro salariato) e il rapporto del capitalismo con altri modi di produzione (basato sulla violenza, il saccheggio e la schiavitù). Sul fronte interno, lo sfruttamento è mascherato da scambio di equivalenti, e il compito dell’analisi scientifica è mostrare la realtà dell’espropriazione dietro il velo della proprietà e del diritto privati (Marx). Sul fronte esterno invece, nel colonialismo, dove oppressione e violenza hanno luogo alla luce del giorno, l’analisi scientifica deve mostrare il nesso di questi fenomeni non civili con l’accumulazione propriamente capitalistica (Luxemburg). Spiegazione economica della violenza bellica e spiegazione storica dei rapporti sociali su cui si basa l’economia borghese sono le due facce di un’unica scoperta scientifica, il principio di Luxemburg per cui il militarismo è un metodo necessario di accumulazione di capitale. La rivoluzione anticapitalista è dunque l’unica possibilità di risparmiare all’umanità il flagello della guerra.
Tertium non datur. “Socialismo o barbarie” – scrive durante il primo anno di guerra in La crisi della socialdemocrazia (l’SPD, non si dimentichi, votava l’anno prima i crediti di guerra). Aut-aut.
Rosa pensa sempre dal punto di vista dell’ultima battaglia, della lotta finale – dopo di noi, mai più guerra. La tattica della lotta di classe e politica, per lei, è sempre subordinata alla rivoluzione. La rivoluzione è il punto di culminazione cui tende il conflitto, senza focalizzare il quale ogni lotta è cieca. Nei comizi di Rosa non è un dirigente politico fra gli altri ad agitare le masse, è la verità stessa, la verità indubitabile della vittoria finale e della realizzazione di un ordine sociale degno del genere umano, una società che non conosce più sfruttamento né guerre. Rosa è la rivoluzione.
Ora o mai più. Nei primi quindici giorni del gennaio 1919 a Berlino si tratta di agire una volta per tutte. Dopo quattro anni di guerra è finalmente arrivata l’ora della battaglia finale.
Il 31 dicembre 1918 la Lega di Spartaco convoca il proprio congresso nazionale e fonda il Partito comunista tedesco (KPD), staccandosi dai socialisti indipendenti che partecipavano al governo socialdemocratico Ebert-Scheidemann. […]
Manuel Disegni, Io sono, io fui, io sarò. A Rosa Luxemburg per il centesimo anniversario, Ha Keillah (La Comunità), bimestrale, Organo del Gruppo di Studi Ebraici di Torino, Anno XLIII, n° 3 2° semestre 2018

“Per un mondo dove siamo socialmente uguali, umanamente differenti e totalmente liberi”
Rosa Luxemburg

Ròza Luksemburg nasce a Zamosc, in provincia di Lublino (Polonia), il 5 marzo 1871. Ultima di cinque figli, fin da bambina era piccola di statura e aveva una camminata pesante, a volte irregolare. Molto vitale ed intelligente, impara a leggere e scrivere da autodidatta in polacco, tedesco e russo, la lingua ufficiale dell’Impero del quale la Polonia faceva parte. La famiglia ebrea – il padre era un agiato commerciante di legname, istruito in Germania, la madre amava leggere la Bibbia e i classici polacchi e tedeschi – si trasferisce a Varsavia nel 1873.
Poco dopo Rosa viene colpita da una malattia che le deforma l’anca e la costringerà a claudicare per il resto della vita. Nel 1884 si iscrive al Secondo Liceo Femminile ed entra a far parte del gruppo rivoluzionario clandestino “Proletariat”, sciolto poi per le repressioni del 1886 e ricostituito da Marcin Kasprzak, operaio socialdemocratico. Nel 1887, a conclusione degli studi, il Consiglio di Istituto le nega la medaglia d’oro che avrebbe meritato “a causa del suo atteggiamento ribelle nei confronti delle autorità”. Ancora prima di compiere vent’anni, Rosa Luxemburg sente il bisogno di interessarsi in prima persona ai problemi del mondo: nei due anni successivi studia le opere di Marx ed Engels, in una Polonia infiammata da scioperi e manifestazioni, durante i quali il “Proletariat” e l’Unione dei lavoratori polacchi – altro gruppo di opposizione – vengono decimati dagli arresti, che minacciano anche Rosa.
Nel 1889 lascia Varsavia e supera la frontiera austro-ungarica nascosta in un carro di fieno, grazie all’aiuto di Kasprzak. Si stabilisce a Zurigo dove si iscrive alla Facoltà di Filosofia, mentre segue anche corsi di matematica e scienze naturali: è infatti grande appassionata di botanica e apprezza la natura in ogni sua forma: “Quando si ha la cattiva abitudine di cercare una gocciolina di veleno in ogni fiore schiuso, si trova, fino alla morte, qualche motivo per lamentarsi. Guarda, quindi, le cose da un angolo diverso e cerca il miele in ogni fiore: troverai sempre qualche motivo di sereno buonumore. […] Tutte le mattine ispeziono scrupolosamente le gemme di ogni mio arbusto e verifico dove ce ne sono; ogni giorno faccio visita a una coccinella rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su un ramo in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo; osservo le nuvole, sempre più belle e senza sosta diverse e in fondo io non mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso della mia infima piccolezza, mi sento ineffabilmente felice”.
Nel 1892 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della Polonia, pubblicata a Lipsia l’anno successivo: sostenendo che lo sviluppo economico della sua terra natia era da cinquant’anni strettamente dipendente dal mercato russo, Rosa si oppone alle rivendicazioni politiche dei nazionalisti polacchi. Dopo la sua adesione al marxismo diviene atea.
Negli anni Novanta si innamora di Leo Jogiches, un rivoluzionario di Vilnius: la loro relazione dura fino al 1907. Grazie al suo precedente matrimonio di comodo con l’operaio Gustav Lubeck, Rosa aveva ottenuto la cittadinanza tedesca; continua la sua battaglia con passione e radicalità e si oppone con fermezza e decisione alle teorie revisioniste di Bernstein, auspicando un ritorno all’originale pensiero di Karl Marx.
In questi anni si iscrive al SPD, il Partito Socialdemocratico Tedesco; alcuni avvenimenti le faranno, però, parzialmente cambiare idea: quando nel 1905 scoppia la prima rivoluzione russa, l’attivista appassionata torna in Polonia per prenderne parte. Il progetto rivoluzionario per il momento fallisce e Rosa viene arrestata. Dopo la sua scarcerazione vive in Germania dove insegna economia politica dal 1907 al 1914.
[…] Profondamente pacifista, poco dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale abbandona la carriera di insegnante e si dedica alla militanza politica: partecipa, in quel periodo, a molte manifestazioni contro la guerra e viene arrestata per ordine del kaiser Guglielmo II. Nel 1916, ancora in pieno conflitto, esce dalla SPD e fonda, con il suo migliore amico Karl Liebknecht, dapprima la “Lega di Spartaco” e in seguito il primo Partito Comunista Tedesco. Questi due movimenti politici tentano, nel gennaio 1919, un’insurrezione armata, che però viene soffocata nel sangue dall’esercito: Rosa e Karl vengono fucilati a Berlino il 15 gennaio delle stesso anno.
Nonostante fosse poco considerata dai bolscevichi russi che fecero la rivoluzione del 1917, la figura di Rosa Luxemburg continua ad essere studiata da storici e biografi, che ne rimarcano il coraggio e l’altruismo. Il suo ricordo viene onorato ancora oggi da milioni di tedeschi, spesso molto giovani, che continuano a commemorarla nel giorno della sua morte. Nel corso della sua breve vita e militanza marxista, Rosa ha ricevuto notevoli dimostrazioni di affetto anche da importanti uomini politici a lei contemporanei, Gramsci e Lenin su tutti, che guardavano con simpatia e ammirazione l’ascesa politica di una donna come lei.
Voce a cura della classe 4OA del corso di Ottica per il Noe (Nucleo Operativo Enciclopedia) dell’I.I.S. Galilei-Luxemburg di Milano, con la supervisione della prof.ssa Marialuisa Rizzi.
NOE IIS Galilei-Luxemburg (coordinato dalla prof. Beatrice Rossi), Rosa Luxemburg, Enciclopedia delle Donne

German revolutionary Rosa Luxemburg (1870 – 1919) who exercised considerable influence on Marxist political strategy and thinking. (Photo by Henry Guttmann Collection/Hulton Archive/Getty Images)

[…] Per i suoi discorsi contrari al militarismo e all’espansionismo militare, Luxemburg trascorse in carcere gli anni della Prima guerra mondiale. Dalla prigione, continuò però a collaborare con diverse riviste di sinistra e a scrivere opuscoli. Scrisse anche La rivoluzione russa. Un esame critico in cui contrappose il coraggio dei bolscevichi ai socialdemocratici tedeschi – che si erano resi complici del militarismo del loro governo – e in cui, però, per prima criticò “da sinistra” l’abolizione delle libertà democratiche messa in atto dopo la rivoluzione d’ottobre.
Nel frattempo, nel 1915, creò il Gruppo Internazionale, la futura Lega Spartachista, organizzazione socialista rivoluzionaria che fece parte in un primo momento del Partito Socialdemocratico e che poi divenne il nucleo del Partito Comunista di Germania. Alla fine della guerra, uscita dal carcere, Luxemburg partecipò con i compagni spartachisti a un’insurrezione armata (la Rivoluzione tedesca del novembre 1918). Il tentativo venne pesantemente represso dal nuovo governo socialdemocratico di Weimar e si concluse con l’eliminazione fisica di Rosa Luxemburg.
Nel 1926 a Luxemburg e ad altre figure a lei vicine venne dedicato un monumento di Ludwig Mies van der Rohe a Berlino. Nel 1935 il cimitero fu distrutto dai nazisti, e i resti di chi vi era stato sepolto andarono dispersi.
Redazione, “Socialismo o barbarie”: la storia di Rosa Luxemburg, il Post, 15 gennaio 2019

Rosa Luxemburg pensava che Berlino potesse nasconderla. Il 1919 era appena iniziato e la rivoluzionaria marxista insieme al compagno di lotte Karl Liebknecht era riuscita a trasformare un’ondata di scioperi e proteste in una rivoluzione, la Spartakusaufstand, Rivolta spartachista. Ma quando il governo socialdemocratico di Frederich Ebert diede ordine ai Freikorps di sedare i rivoltosi, non ci fu riparo o nascondiglio sicuro. Fu una soffiata a portare le milizie paramilitari di orientamento reazionario nell’appartamento sulla Mannheimer Strasse dove si erano rifugiati Rosa e Karl. Li condussero nel lussuoso Hotel Eden al cospetto del capitano Waldemar Pabst.
Pabst aveva sentito Rosa Luxemburg arringare ed era convinto che metterla a tacere avrebbe distrutto la più grande arma dei rivoluzionari. Perciò aveva già messo a punto uno squadrone della morte. Era il 15 gennaio, dopo avere interrogato e torturato Luxemburg e Liebknecht disse che li avrebbe fatti portare nella prigione Moabit in due auto diverse. Ma, su suo ordine, i due non raggiunsero mai il carcere.
Liebknecht fu portato nel parco di Tiergarten e giustiziato. Un colpo di pistola alla testa mise invece fine alla vita di Luxemburg. Il suo corpo fu gettato nelle fredde acque del canale Landwehr e recuperato solo cinque mesi dopo. È così che finì la Rivoluzione e iniziò la Repubblica di Weimar. Con due martiri della causa comunista. La Rosa rossa della sinistra aveva solo 47 anni e aveva dedicato tutta la sua esistenza alla lotta per l’emancipazione dei lavoratori.
“Ella fu – e resta per noi – un’aquila. E non solo i comunisti in tutto il mondo onoreranno la sua memoria, ma la sua biografia e la sua opera completa serviranno come utili manuali per formare molte generazioni di comunisti in tutto il mondo”, scrisse il leader della Rivoluzione russa Vladimir Lenin. Parole preveggenti: a cento anni da quella morte brutale, Rosa Luxemburg è tuttora riconosciuta come una delle menti più brillanti dell’ideologia marxista.
E dire che i rapporti tra Luxemburg e Lenin non erano stati dei migliori: Rosa non credeva nell’idea di imporre “l’emancipazione” del proletariato dall’alto o dell’avanguardia del partito che guida le masse verso la Rivoluzione. E soprattutto aveva subito intuito che la strada intrapresa dai bolscevichi nel 1917 portava in sé il germe di pericolose involuzioni dittatoriali, benché avesse fatto della Rivoluzione il suo sogno e obiettivo.
La sua prima Rivoluzione era stata contro le circostanze. Era nata ebrea, donna e zoppa a Zamosc, nella Polonia controllata dall’Impero russo. Ma non lasciò che fosse questo a definirla. Iscritta al Proletariat polacco a 15 anni, volò in Svizzera prima di stabilirsi nel 1898 a Berlino per essere – credeva – al centro della lotta comunista. […]
Rosalba Castelletti, Rosa Luxemburg, la donna che sognava la rivoluzione: “La libertà è sempre libertà di chi pensa diversamente”, la Repubblica, 14 gennaio 2019