Necessario tener conto del contesto storico, politico e culturale in cui Mantegazza ha svolto i suoi studi ed elaborato le sue osservazioni

 

Paolo Mantegazza, nel suo ultimo libro, Bibbia della speranza, pubblicato nel 1909, l’anno prima della sua morte, si autodefinisce “poligamo di molte scienze”. Patologo, igienista, antropologo, etnologo, esploratore, professore universitario, ricercatore e divulgatore scientifico, organizzatore e animatore di istituzioni e iniziative culturali, deputato per cinque legislature e, dal 1876, senatore del Regno, è una delle figure intellettuali più importanti e note dell’Italia postunitaria.
La sua vasta produzione scientifica e letteraria, tradotta in diverse lingue, ha avuto una amplissima diffusione nell’Ottocento e nel primo Novecento e alcuni dei suoi libri, come la notissima Fisiologia del piacere, sono stati ripubblicati anche negli ultimi decenni.
Compartecipe, sin dall’adolescenza (in quanto figlio di una delle più attive figure femminili del Risorgimento, Laura Solera Mantegazza) delle vivace e innovativa temperie culturale lombarda, è stato, per un cinquantennio, collaboratore, interlocutore e corrispondente di molte personalità della scienza, della cultura e della politica, sia italiane che straniere. La sua intensa e abilissima attività di pubblicista, per il tramite di libri, articoli, almanacchi e di conferenziere di successo, configura la sua opera di divulgazione come un peculiare impegno civile, apprezzato negli ambienti dei nuovi ceti borghesi urbani (salotti, quotidiani e periodici) e, anche, in quelli del primo associazionismo operaio (almanacchi e biblioteche circolanti).
La ricostruzione del profilo biografico, umano, professionale, intellettuale e politico di Paolo Mantegazza, costituisce un indubbio contributo per comprendere l’evoluzione del ruolo e della funzione dell’intellettuale “impegnato” dell’Ottocento, ma anche i mutamenti della società e della cultura italiana e europea, essendo egli figura straordinaria, ma anche esemplare.
[…] E’ un convinto assertore degli ideali risorgimentali, non sembra essere repubblicano né democratico: “In Italia non siamo ancora degni d’una vera democrazia e ne abbiamo alcune velleità puerili” <165. Per evitare aspri scontri famigliari, Mantegazza tenta di non discutere di politica con la madre, perché su posizioni più radicali rispetto a lui.
Nel Giornale del settembre 1860 si legge: “Ebbi l’imprudenza di aprire una discussione politica colla mamma, mentre da un pezzo era riuscito nel difficile eroismo di non parlar mai quando ella mette sul tappeto argomenti di politica. La discussone incominciò piana, pacata, ma divenne astiosa ed io la troncai dicendo che voleva proprio propormi di non parlar di politica con lei. Ella dice che io sono codino per amore degli impieghi e che Gibelli lo è per paura. E poi prese a parte la Jacoba pregandola a voler adoperar la sua influenza presso di me onde non scrivessi più nella Perseveranza. Partito dalla camera dell’Emilio dove avvenne la disputa mi sfogai collo scrivere a Gibelli, il quale si era sfogato alla sua volta in una lettera che aveva ricevuto nella giornata. Egli ha molto criterio pratico in tutto, quindi anche in politica” <166.
[…] Le vicende politiche nazionali si susseguono con vivacità e, tra l’attività di consigliere comunale e gli impegni di professore, Mantegazza assiste al compimento dell’Unità nazionale, quasi commovendosi: “Beati gli occhi che videro l’alba di questo giorno! Beato chi regna in questi tempi gloriosi, nei quali l’Italia risorge. Il cannone del Castello annunciò a tutti che nell’avvenire del nostro re si proclamerà per la prima volta il Regno d’Italia. Noi grado a grado parevamo abituati a così splendidi avvenimenti, che l’entusiasmo pare svanito, ma davvero c’è da impazzire di felicità. Alle 11 andai insieme a tutto il corpo universitario sul Duomo, dove si cantò una messa solenne e un solennissimo Re Deum. Io ero vicino a Gibelli e adoperavo il mio tempo per fare studi fisionomici comparati sulle teste e le faccie dei professori” <167.
[…] Gabriella Armenise sostiene che della cattiva fama dell’autore sia responsabile soprattutto il critico di scuola crociata, Luigi Russo: questi definisce la produzione mantegazziana “più superficiale e più irritante” della filosofia borghese imperante a cavallo tra i due secoli.
Russo e Croce valutano le opere di Mantegazza sotto il profilo estetico-letterario ispirata anche da chiare riserve moralistiche.
Tutti concordano nel sostenere che Mantegazza abbia peccato di superficialità o di insufficienza di spirito scientifico proprio a causa della sua incapacità di liberarsi dallo spirito moralista del suo tempo. Resta il fatto che Mantegazza si è posto in modo innovativo rispetto alla cultura dominante del suo tempo: è necessario considerare che proveniva da un ambiente borghese tipica del primo Ottocento, pur considerando l’indubbio peso che l’originale personalità di sua madre, Laura Solera, ha esercitato nell’infanzia e nella giovinezza dello scrittore.
A questo aspetto è necessario aggiungere la vita pubblica di Mantegazza: egli era un accademico, un parlamentare e, pur essendo considerato da molti un uomo singolare per quanto scriveva e diceva, era sempre desideroso di ricevere la stima oltre che l’affetto dai suoi amici, conoscenti e colleghi.
Egli si interessa a scienze che in questo momento vengono considerate scienze nascenti, si sforza sempre di trattare argomenti di ampio respiro, scegliendo di non chiudere gli occhi e di guardare nel suo insieme le problematiche sessuali sotto diverse sfaccettature, con un approccio sicuramente meno ipocrita rispetto ad altri suoi contemporanei. Senza riuscire mai ad entrare troppo nei particolari (come nel caso delle implicazioni morali dell’omosessualità), pur esibendo un atteggiamento antidomagico e anticonformista, si ferma ad un atteggiamento a sua volta moralistico, che Gabriella Armenise non esita a definire addirittura “in linea con le tesi cattoliche che afferma di combattere” <430.
Molti dei suoi libri vengono messi all’Indice dei libri proibiti, la “Civiltà Cattolica” degli anni 1865-1895 non li recensisce ma ne pubblica l’elenco.
Egli ha spianato la strada ad un genere letterario che ha dato il via ad una serie di testi scientificodivulgativi.
Gli insegnamenti di Mantegazza sono impostati su un preciso programma igienista imperniato su un concetto di “alfabetizzazione del sentimento” e di “controllo del corpo” tramite un preciso processo educativo ispirato al principio del “buon senso”.
Il giudizio migliore viene espresso, in un necrologio a firma di Luciano Zuccoli <431, nelle pagine della “Gazzetta di Venezia”, articolo che verrà poi utilizzato da Emilio Treves nella prefazione dell’opera postuma di Mantegazza, Parvulae. Pagine sparse <432.
Zuccoli evidenza non solo il percorso ideologico di Mantegazza, ma ne evidenzia anche le doti culturali e umane:
E’ morto un ottimista; un grande e tenace ottimista, ch’ebbe i suoi giorni di celebrità, che moltissimi addietro inaugurò in Italia una letteratura, la quale voleva render popolare la scienza, e parve ardita e nuova; è morto un medico, un fisiologo, uno scrittore che credeva nella felicità.
Paolo Mantegazza volle e seppe trarre dalla sua dottrina una collana di libri per il gran pubblico, che ne ammirò lo sforzo ingegnoso, anche quando il fine umanitario non era stato raggiunto, anche quando il libro riuscì a un fine diverso da quello che l’autore aveva desiderato.
Questo medico e fisiologo era edonista e moralista insieme, amava la vita e la morale a un tempo, e quelli che non amavan la morale gli perdonavan volentieri i suoi aforismi in grazia dell’amor della vita, e quelli che non amavan la vita si dilettavano ai suoi aforismi di morale. Così fu molto letto; era uno scrittore facile, piano, abbondante, un po’ trascurato e chiacchierone, e allettava.
Cominciò, credo, con la Fisiologia del piacere e concluse con la Bibbia della Speranza, or sono due anni. Tra i due capisaldi della sua numerosa opera, stanno alcuni libri celebri come Un giorno a Madera, Gli amori degli uomini e Testa, scritto questo, non dirò in opposizione al Cuore famosissimo del De Amicis, ma in sussidio, perché i bimbi e gli adulti non credessero che tutto il mondo fosse Cuore e che tutto si facesse col cuore e che il cuore si trovasse a buon mercato. Tra Cuore e Testa, i bimbi e gli adulti han creduto poi ciò che han voluto. Paolo Mantegazza, l’ho detto, credeva alla felicità; alla felicità di vivere, di lavorare e di amare. I suoi precetti eran pochi e solidi: ‘mangiate bene, lavorate bene, lavatevi bene, e fate bene all’amore’. Il curioso si è che questo medico e fisiologo non ha mia sospettato che l’amore fosse una passione, una tormentosa, instabile e inesorabile passione. Direi ch’egli vedeva l’amore nella sua parvenza fisiologica: una funzione, che le norme igieniche avevan da regolare; gli innamorati erano operai della vita, che dovevan rispettare l’orario e la digestione.
Per ciò, fin che egli scriveva intorno a mangiar bene e al lavarsi bene, tutti concordavano con lui; si trattava di pane e di sapone. Ma quando scriveva dell’amore, gli esperti sorridevano, i giovani si raffreddavano, le donne s’infastidivano. L’edonismo spino fino all’egoismo perde il suo fascino. L’amore temperato, lo sciampagna con l’acqua, non piace a tutti, quantunque tutti bevano l’acqua e lo sciampagna, ma in bicchieri diversi.
In questo, veramente, Paolo Mantegazza rivelava la sua candida natura di scienziato della vita ai suoi principi, invece d’adattare i principi alle turbolenti e ribelli circostanze della vita.
L’amore è proprio il solo sentimento pel quale un uomo non chiede né da consigli; ciascuno ama come sa, come può, come vuole. E Paolo Mantegazza ha speso la vita a dar consigli sull’amore, e consigli igienici, per di più! Ne parla in tutta la sua opera, nella Fisiologia del piacere e nella Fisiologia della donna, nelle Estasi umane, nell’Arte di prendere marito e nell’Arte di prender moglie, nell’Igiene della morale e nella Bibbia della salute. All’amore ha dedicato qualche libro speciale, I paralipomeni, e quell’inaspettato Amori degli uomini, in cui si piacque a raccogliere le costumanze di tutti i popoli sul tema interessante, costumanze che, com’è facile pensare, sono il più delle volte assai scabrose, specialmente tra i popoli orientali.
Io non so quale scopo, nel suo bel candore di fisiologo, il Mantegazza si prefiggesse con questo strano libro: so che produsse scandalo, e che il povero e ingenuo suo autore ne fu sorpreso e amareggiato. Senza volerlo, oltre la Bibbia della salute e in attesa della Bibbia della speranza, egli aveva gettato al pubblico la Bibbia… come dire? La Bibbia di coloro che non possono amare senza leggere.
Non si può disconoscere che, se non riuscì a persuadere gli amanti di esser ragionevoli, cioè a non essere amanti, Paolo Mantegazza fece molto bene, incitando gli uomini ad aver fiducia nella vita e in sé stessi, cantando le gioie della famiglia, le bellezze del lavoro, le consolazioni della bontà, dando egli stesso l’esempio d’una operosa e nobile esistenza e d’un instancabile desiderio di bene.
Fu il Mantegazza, che ideò la serie degli Almanacchi igienici, volumetti popolari, i quali diffusero nelle classi medie le norme del vivere sano, quando i giornali non si occupavano ancora della materia, e gli italiani amavano la libertà di non adoperare il sapone. Con quei suoi Almanacchi riuscì a sradicare non pochi pregiudizi e impedì i molti malanni, che vengono dall’intemperanza degli ignoranti. Che volete di più? Che di più si può chiedere a uno scrittore il quale non ha ambizioni di stile e non la pretenda ad artista? Il suo celebre libro Un giorno a Madera fece pensare e piangere; fece pensare alla leggerezza crudele con cui molti si sposano malati e procreano in felicissimi figliuoli destinati a morte lenta. Se quel libro ha salvato, come ha salvato, qualche illuso da un errore e da una cattiva azione, se ha impedito qualche matrimonio tra tisici, non vale esso tutta una biblioteca di bei versi e di prose scintillanti? Il pubblico lo comprese e gliene diede merito con la popolarità: vent’anni addietro La medicina delle passioni del Descuret e la Fisiologia del piacere del Mantegazza eran libri necessari, di quei libri che bisogna leggere, perché vi avviene d’udire parlare dovunque e vi avvedete, meraviglioso fenomeno in Italia, che tutti li comperano e nessuno che li chiede a prestito.
[…] E per onorare la memoria dell’ottimista, dobbiamo augurarci ch’egli non sia l’ultimo a veder così il mondo sotto una luce tenuemente dorata, e che vengano altri a parlarci delle cose belle, altri candidi uomini fiduciosi, perché come individui e come popolo abbiamo dell’ottimismo e della fede un estremo bisogno”.
Oggi la sua narrativa pare apprezzata; difatti nell’Enciclopedia della letteratura Garzanti si scrive: “per dare adeguata forma espressiva alla sua problematica complessa e ambigua Mantegazza si servì spesso di procedimenti ironici e parodistici, raggiungendo una perfezione letteraria che diventa talora virtuosismo. Mantegazza non si accostò mai al radicalismo formale delle avanguardie: volle richiamarsi all’eredità della grande cultura borghese, nella quale individuò i valori perenni, misurandola sempre con i grandi problemi del nostro tempo” <433.
Il “Lancet” in occasione della morte di Mantegazza scrive: “Con Paolo Mantegazza scompare dalla vita pubblica d’Italia una figura pittoresca”: come fa notare Paolo Govoni, il termine “pittoresco” si adattava alla perfezione all’uomo che aveva fatto dell’eclettismo la propria filosofia di vita, incapace di rinunciare ai suoi tanti interessi per coltivarne uno solo. <434
Mantegazza e il fascismo
Come è prevedibile supporre, le osservazioni di Mantegazza sulla razza sono state ampiamente rivalutate dall’ideologia fascista.
E’ però sempre necessario tener conto del contesto storico, politico e culturale in cui Mantegazza ha svolto i suoi studi ed elaborato le sue osservazioni. Partendo dal presupposto che egli considerasse tutti gli uomini appartenenti ad un’unica specie, divideva le diverse popolazioni in razze a seconda del grado di civilizzazione che considerava più o meno alto.
L’Ottocento è il periodo in cui l’antropologia nasceva e si delineava in un mondo di cui la cultura europea era convinta della propria egemonia mondiale.
Nonostante il richiamo alle teorie antropologiche mantegazziane, le innumerevoli opere di Mantegazza non sembra fossero presenti costanti nelle biblioteche scolastiche e popolari allestite durante il Ventennio. Stando allo studio condotto da Mario Isnenghi <435, nelle biblioteche scolastiche di alcune città italiane, nei cataloghi destinate ai professori e agli studenti, nelle opere scelte dal ministero per le Biblioteche Popolari e per una “biblioteca coloniale”, non compare mai alcun volume di Mantegazza, fatto singolare, specie se si considerano le opere destinate al self-help o ai viaggi intrapresi dall’autore intorno al globo. Probabilmente la valorizzazione dell’impegno del singolo individuo per un’ascesa sociale ed economica non era vista con grande simpatia dal Regime che, probabilmente, riteneva pericoloso tale mobilità sociale, ma è necessario ricordare che proprio Mantegazza era il primo a non voler stravolgere l’ordine sociale dello stato che lui vedeva nascere. Relativamente ai libri sui viaggi, invece, si può supporre che non fossero considerati perché riguardavano zone estranee a quelle prese in considerazione dalla politica coloniale italiana.
A queste ipotetiche ragioni, ovviamente, è necessario aggiungere il fatto che, nel corso degli anni si era prodotta molta letteratura che meglio incarnavano un deciso spirito d’avventura, come i romanzi di Salgari.
Paolo Mantegazza, per oltre sessanta anni, ha tenuto un diario personale da lui chiamato Giornale della mia vita, che ha iniziato a scrivere a sedici anni, nel gennaio del 1848, in piena temperie risorgimentale, mentre viveva ancora in famiglia, a Milano.
Il Giornale della mia vita, interamente manoscritto e a tutt’oggi nella quasi interezza inedito, è depositato presso la Biblioteca Civica di Monza e consta di ben 62 volumi, uno per anno. Del diario relativo al 1904 non si ha notizia.
Ogni volume è rilegato con la copertina di cartone e la costa in pelle; è incisa in oro la scritta Giornale della mia vita, con aggiunti il numero del volume e l’anno. Tale numerazione è riportata anche all’interno, nella prima pagina del volume. Dal 1904, però, si verifica una discrepanza tra la numerazione della copertina e quella del frontespizio: pur in assenza del 1904, dal 1903 al 1905 la numerazione prosegue senza interruzioni. Se ne può dedurre che la rilegatura sia stata fatta a posteriori e che il volume del 1904 fosse già scomparso al momento dell’acquisto da parte della Biblioteca civica di Monza nel 1964. <436
I tomi sono costituiti da fascicoli di diverso formato: le pagine sono contrassegnate con dei numeri arabi: tranne il primo anno del 1848 la numerazione è frequentemente discontinua anche se la narrazione non mostra interruzioni. Progressivamente appare un’altra incoerenza: le date in cima e in fondo alla pagina del diario di un giorno non sempre corrispondo, con sfasature anche di più giorni; l’autore, plausibilmente, non riuscendo a scrivere ogni giorno scrive a posteriori e la data che compare al termine del brano è quella in cui egli effettivamente annota i fatti dei giorni precedenti.
Dopo la morte di Mantegazza un primo tentativo di pubblicazione dei diari è stato fatto dalla figlia Maria, detta “Pussy” <437.
Sulla rivista “Illustrazione italiana”, nel 1931, in occasione del centenario della nascita del padre, è stato pubblicato una brevissimo sunto con stralci dell’anno 1848. Pussy, in seguito, operò delle correzioni nel testo nella prospettiva della pubblicazione. Il progetto non va in porto e nel 1964 i volumi (e i diritti di pubblicazione a stampa) furono venduti alla biblioteca di Monza per la somma di oltre un milione di lire.
Per il vero Paolo Mantegazza stesso negli ultimi anni della sua vita aveva pensato di pubblicare il suo Giornale con il titolo Sessanta anni di vita e avviato a tal fine una trattativa con la Società Editrice Nazionale.
L’accordo, però, non fu mai siglato. Mantegazza aveva disposto di lasciare il suo pluridecennale diario al biografo Carlo Reynaudi, ma questi morì prima di lui. I diari entrano, così, nell’eredità dalla moglie Maria che li passò alla figlia Pussy.
La biblioteca mantegazziana, con altre carte personali e lettere fu ereditata dal figlio prediletto Jacopo, che nel 1924 le donò al Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze.
La struttura e i cambiamenti avvenuti nel tempo
Ogni foglio è scritto fronte e retro, con inchiostro nero che, spesso, fa traspirare la scrittura anche sul retro della pagina rendendo talvolta la comprensione difficile per la sovrapposizione delle righe. A volte ci sono anche segni e annotazioni con la matita o con una penna biro rossa; sono operate anche cancellature con cui sono state fatte cancellature e annotati dei “si” e “no”. Con la matita sono riscritte parole dalla grafia originale poco chiara. Questo lavoro è stato compiuto, presumibilmente da Pussy Mantegazza, nel suo lavoro destinato alla pubblicazione mai avvenuta. Non è casuale il fatto che siano state cancellate con una grande “x” le righe relative alla vita intima di Mantegazza, in particolare alla vita sessuale o a quelli che egli stesso chiama “sentimenti bassi”, invidia e rancore verso amici e colleghi. Erano aspetti del “personale” di Mantegazza che la figlia non riteneva opportuno render pubblici. Queste
cancellature non riescono a rendere illeggibile il testo, sembrano piuttosto un lavoro preparatorio per una futura pubblicazione. In alcuni più rari casi, sulle righe sembra sia stata passata della ceralacca di colore nero, e rosso, per voler rendere indecifrabile il testo.
[…] Nei primi anni Mantegazza nella stesura del diario ha un indubbio horror vacui e le pagine sono scritte per intero senza lasciare margini.
Dal settembre del 1860 consolida l’uso (interrotto solo per brevi periodi) di lasciare in bianco la parte esterna di ogni pagina, in modo tale da poter apporre delle note a margine che costituiscono una sorta di indice del contenuto del testo a fianco. Questa modalità di scrittura agevola il compito del lettore e, probabilmente, permetteva a Mantegazza stesso di ritrovare a posteriori fatti e notizie annotati.
[…]
L’idea del diario. Motivazioni e scopi.
Nel diario oltre la cronaca delle giornate compare anche la descrizione del suo mondo affettivo e della sua vita familiare, dei sui percorsi di studio e di ricerca e delle sue idee e attività politiche.
In apertura del diario, nel febbraio del 1848 Mantegazza descrive ampiamente la propria infanzia e la propria adolescenza, i primi suoi diciassette anni.
Nella prima pagina dichiara espressamente di proporsi di scrivere ogni giorno descrivendo “senza veli” i suoi sentimenti e le sue riflessioni, con un duplice fine: imporsi una condotta moralmente irreprensibile che gli avrebbe permesso di accrescere la sua capacità introspettiva e di giudizio, e creare una fonte di consolazione per la sua vecchiaia, quando si sarebbe abbandonato alla reminiscenze.
“Da qualche tempo vagheggio il pensiero di scrivere giornalmente ciò che faccio e penso e vedo: ma ieri avendo scorso lo confessioni di Rousseau mi s’accrebbe la voglia ed oggi voglio proprio cominciare […]. Ciò che avrò soprattutto di mira sarà di dir sempre la verità, ed anzi di parlare fino a quelle intime cause di molte nostre azioni che cerchiamo di nascondere perfino a noi stessi, perché troppo false o colpevoli”.
Non è raro trovare parole volgari, per esempio “coglione”, modi di dire, voci del dialetto milanese e non mancano toscanismi o stranierismi. Appaiono termini di gergo militare ed altri appartenenti al linguaggio medico o scientifico […]
[NOTE]
164 P. Mantegazza, Giornale della mia vita, 17 settembre 1861
165 P. Mantegazza, Giornale della mia vita, 3 settembre 1865
167 P. Mantegazza, Giornale della mia vita, 14 marzo 1861
430 G. Armenise, Amore, eros, educazione in Paolo Mantegazza, Pensa Multimedia, Lecce, 2005, p. 51
431 Luciano Zuccoli, pseudonimo di L. von Ingenheim (Caprino, Canton Ticino 1868-Parigi 1929). Fondatore, a Modena, de “La provincia di Modena” e codirettore della “Gazzetta di Venezia”. Autore di romanzi sensuali e mondani, abile nel soddisfare desideri del pubblico borghese di primo Novecento, desideroso di storie d’eccezione, amori impossibili, situazioni ambigue e peccaminose. Le sue storie sono ambientate in ambienti lussuosi e nell’alta società. Abile nel condurre analisi psicologiche dell’anima femminile e adolescenziale. Fra i suoi titoli più noti: I Lussuriosi (1893), Il maleficio occulto (1902), L’amore di Loredana (1908), La freccia nel fianco (1913), Le cose più grandi di lui (1922).
432 P. Mantegazza, Parvulae. Pagine sparse, Milano, Treves, 1910
433 AA. VV., Nuova enciclopedia della letteratura, Garzanti, Milano, 1985.
434 P. Govoni, Un pubblico per la scienza, cit., p. 207.
435 M. Isnenghi, L’educazione dell’italiano. Il fascismo e l’organizzazione della cultura, Cappelli, Bologna, 1979
436 Federica Millefiorini, Nota storico-descrittiva del manoscritto monzese di Paolo Mantegazza con cenni su alcuni aspetti linguistici del “giornale della mia vita, in Cosimo Chiarelli e Walter Pasini (a cura di), Paolo Mantegazza.
Medico, antropologo, viaggiatore, Firenze Università Press, Firenze, 2002, pp. 136-142
437 Pussy Mantegazza Simonetti, è l’ultima figlia di Paolo Mantegazza nata dal suo secondo matrimonio con la contessa Maria Fantoni
Federica Cianfriglia, Paolo Mantegazza “poligamo di molte scienze” (1831-1910): animazione e organizzazione culturale, divulgazione scientifica e attività politico-istituzionale nell’Italia postunitaria, Tesi di Dottorato, Università degli Studi ROMATRE, Anno accademico 2006/2007