Un territorio ribattezzato Regno del Sud

La sera del 10 settembre 1943, Radio Bari trasmette un proclama di Vittorio Emanuele III, da poco giunto a Brindisi dopo la fuga da Roma:
“Per il supremo bene della Patria che è sempre stato il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell’intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col Governo e con le Autorità Militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani! Faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento, come voi potete contare fino all’estremo sacrificio, sul vostro Re. Che Iddio assista l’Italia in quest’ora grave della sua storia” <498.
Il 24 settembre, la stessa emittente diffonde un nuovo proclama:
“Italiani, nella speranza di evitare più gravi offese a Roma, città eterna, centro e culla della Cristianità ed intangibile capitale della Patria, mi sono trasferito in questo libero lembo dell’Italia peninsulare, con mio figlio e gli altri principi che mi hanno potuto raggiungere. Mi è accanto il mio governo, presieduto dal Maresciallo Badoglio, sono con me le nostre valorose truppe che con rinnovato entusiasmo combattono per scacciare dal sacro suolo della Patria la furia devastatrice dell’inumano nemico della nostra razza e della nostra civiltà. Ogni giorno mi raggiungono, chiamati dalla voce dell’onore e fedeli al giuramento a me prestato, quanti riescono a sottrarsi al tradimento del nemico ed alle lusinghe dei rinnegatori della Patria […] Ritornerà presto a risplendere la luce eterna di Roma e d’Italia […] Italiani, ascoltate la voce del vostro Re; nessuno sia sordo all’appello della Patria. Il sacro suolo d’Italia deve essere al più presto liberato dal secolare nemico che non ha potuto nascondere l’innato istinto di oppressione e di odio […] L’ora che incombe sul nostro Paese è grave, sarà certamente superata se tutti ritroveranno la via dell’onore, se tutti sapranno dimenticare nel supremo interesse della Patria ogni propria personale passione […] Seguitemi: il vostro Re è oggi, come ieri, come sempre con voi, indissolubilmente legato al destino della nostra Patria immortale” <499.
Prima dell’annuncio alla radio, il sovrano viene presentato con il titolo di Re d’Italia e con quello di Re d’Albania e Imperatore d’Etiopia. Si tratta, evidentemente, di un errore ma questo basta per suscitare la reazione delle autorità inglesi che occupano Bari e i territori liberati nel corso della loro avanzata da Sud, dopo lo sbarco sulle coste calabresi, il 3-4 settembre. In effetti, Vittorio Emanuele III non è più Re d’Albania e Imperatore d’Etiopia. Continua a mantenere il titolo di Re d’Italia ma in un territorio ribattezzato Regno del Sud, ridotto a poche province (Bari, Brindisi, Lecce, Taranto) e per giunta posto sotto il controllo alleato. Tutti gli altri territori italiani sono occupati dai Tedeschi <500.
La monarchia si presenta, tuttavia, come espressione, sia pure condizionata e geograficamente limitata, della continuità dinastica e statuale. Altre forze, però, operano all’insegna della discontinuità e per una ricomposizione del quadro politico su basi nuove, anche se in un contesto caratterizzato da rapporti difficili e conflittuali. In questa direzione si muovono i Comitati di Liberazione Nazionale.
La situazione che si è venuta a creare dopo la caduta del fascismo e, soprattutto, dopo l’8 settembre, pone, infatti, il problema dell’organizzazione e del coordinamento delle forze antifasciste. Già da tempo, si assiste a una ripresa dell’attività dei partiti politici. Dopo vent’anni di dittatura, si ricostituiscono, lentamente e con difficoltà, quelle forme associative che erano state negate dal regime. In alcuni casi si riannodano i fili che, attraverso l’attività clandestina, avevano consentito di mantenere una rete di contatti sia in patria sia, soprattutto, all’estero; in altri casi, invece, si assiste alla nascita di nuove forze politiche o alla trasformazione di organizzazioni preesistenti. Il panorama politico è estremamente variegato, per posizioni, per elaborazione teorica, per obiettivi da raggiungere. Ai contrasti che caratterizzano il dibattito tra le diverse componenti interne si aggiunge il condizionamento, reale o percepito, che proviene dal legame solido che unisce alcuni partiti a potenze come l’URSS o la Chiesa, anche se non è da sottovalutare il forte peso esercitato dagli ambienti del notabilato che svolgono una funzione non solo di moderazione ma anche di freno e di contrasto. L’accordo non appare facile e, tuttavia, diviene necessario di fronte al dramma che si sta vivendo.
Il 9 settembre si costituisce, a Roma, il Comitato di Liberazione Nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi e composto dai rappresentati del Partito Democratico del Lavoro, Partito d’Azione, Partito Comunista, Partito Socialista di Unità Proletaria, Partito Liberale, Democrazia Cristiana. Il suo compito è quello di creare le condizioni per una unità d’azione nella lotta di liberazione, in vista dell’obiettivo generale dell’unità nazionale. Esiste, tuttavia, una “costante tensione tra le componenti degli stessi Cln tra le spinte ad anticipare le forme di un nuovo assetto istituzionale fondate su una forte pressione dal basso e una forte valorizzazione delle istanze di autonomia, di autodeterminazione e di autogoverno, e le resistenze di tipo moderato, sostanzialmente convergenti nel ridurre il rinnovamento dopo il fascismo al ripristino delle regole democratico-liberali, tipiche dell’Italia prefascista” <501.
Se nell’Italia meridionale si impone la necessità della mediazione politica, in un contesto caratterizzato dalla presenza del governo militare alleato, del governo Badoglio e della stessa monarchia, nell’Italia centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, si delinea invece una maggiore caratterizzazione politico-militare che avrà un’influenza notevole sulla direzione e sullo sviluppo della Resistenza.
Non mancano, comunque, episodi di resistenza anche al Sud. Le quattro giornate di Napoli (27 settembre – 1 ottobre 1943), ad esempio, sono il momento culminante della lotta, spesso spontanea e disorganizzata, combattuta per liberare i territori meridionali dall’occupazione tedesca. E’ un moto di ribellione che ha motivazioni lontane nel tempo, legate ai caratteri e alla composizione della società meridionale, ma trova una forza dirompente e liberatoria nella reazione alle sofferenze provocate dagli intensi bombardamenti e dalla fame. A questo si unisce la rabbia nei confronti degli invasori calati dal nord, gli ultimi in ordine di tempo.
I tedeschi impongono le loro regole in un paese che deve essere piegato e messo a ferro e fuoco, così come meritano i traditori <502.
[NOTE]
498 Agostino degli Espinosa, Il Regno del Sud, Editori Riuniti, Roma 1973, pp. 42-43.
499 Ivi, p. 100, nota 7.
500 Vedi: Enzo Collotti, L’Amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945. Studio e documenti, Lerici, Milano 1963; Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
501 Enzo Collotti, Natura e funzione storica dei Comitati di liberazione, in AA.VV., Dizionario della Resistenza, cit., pp. 235-236.
502 Proclama diffuso dal Colonnello Scholl il 12 settembre 1943 : “1. Con provvedimento immediato ho assunto oggi il Comando assoluto con pieni poteri della Città di Napoli e dintorni. Le autorità civili e militari italiane sono ai miei ordini. 2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze germaniche verrà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà vendicato cento volte. 3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero più vicino. 4. Esiste lo stato d’assedio. 5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato per le armi.[…]”. Pietro Secchia, Aldo dice: 26×1. Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano 1973.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011

La capacità produttiva del governo italiano era, nel settembre 1943, quasi nulla. La reale autorità di cui Badoglio disponeva era soltanto un’apparenza, una finzione giuridica concepita ad appannaggio della stampa internazionale. A descrivere alla perfezione la situazione di disordine istituzionale nella quale gli italiani si erano ritrovati con la fuga da Roma è un particolare aneddoto: il 22 settembre, quasi due settimane dopo l’arrivo della carovana romana in Puglia, le missioni diplomatiche italiane di Lisbona e Madrid erano ancora all’oscuro dell’ubicazione del proprio governo. Badoglio governava infatti soltanto su cinque province con una popolazione di circa due milioni, disponendo di tre divisioni dell’esercito, e non molto più, visto che tutti i ministeri civili erano rimasti nella capitale, occupata come il resto del paese dai tedeschi <267. L’importanza dell’amministrazione brindisina stava esclusivamente nella sua incontestata pretesa di legalità, dato che dal punto di vista militare poteva offrire soltanto qualche divisione alla deriva in territorio privo di tedeschi. Badoglio, per dirla con le parole di Ellwood, era sottoposto alla «unique humiliation of running a government from a hotel room in a seaside resort» <268.
Il governo stabilito a Brindisi, dunque, nonostante fosse soltanto un “guscio”, rimaneva la sola parvenza di legittimità istituzionale presente in quei mesi in Italia <269. L’alternativa al riconoscimento di questa amministrazione era, come era ben presente nelle menti degli strateghi alleati, l’instaurazione di un controllo militare diretto che avrebbe richiesto un enorme investimento in uomini ed energie da parte alleata. In mancanza di concrete alternative e riconosciuta l’ineluttabilità di affidarsi a Badoglio, gli Alleati avviavano la programmazione per un più stabile e duraturo rapporto con il gabinetto italiano. Tra il 9 e il 29 settembre, tra l’annuncio della resa e la firma dei long terms, infatti, si assiste ad un notevole rafforzamento della posizione del governo italiano da parte alleata. Alla metà di settembre, la questione dello status da accordare al governo Badoglio era al centro delle discussioni a Washington, Londra e Algeri. Ottenuta la resa, tuttavia, non vi era alcun accordo tra americani e inglesi su quale trattamento riservare all’Italia. In questo vacuum decisionale, l’iniziativa spettava di fatto ad Eisenhower, il quale, sulla base dei resoconti preparati dai suoi emissari a Brindisi, richiamava l’attenzione dei governi alleati sull’assoluta urgenza di prendere alcune decisioni, considerata la situazione di grave precarietà in cui il governo si trovava a vivere <270.
Ricevuti i rapporti di MacFarlane, Macmillan e Murphy sulle difficili condizioni dell’apparato brindisino, Eisenhower impostava la sua politica italiana per l’immediato futuro con due messaggi nei quali, sposando la linea inglese, raccomandava ai Combined Chiefs di rafforzare con ogni mezzo possibile l’autorità di Badoglio piuttosto che estendere le prerogative del governo militare e di avviare il processo di transizione alla cobelligeranza quanto prima in cambio di una democratizzazione del suo governo <271. La questione principale che si poneva per gli Alleati riguardava infatti lo status da concedere a Badoglio e all’Italia in generale. La dimostrazione di fiducia nei confronti degli italiani doveva essere soggetta alla garanzia di determinate condizioni che muovessero il governo in direzione di una coincidenza di obiettivi con la controparte alleata, dal rafforzamento del carattere nazionale del governo tramite l’innesto di rappresentanti dei partiti al suo interno, in una sorta di governo di coalizione nazionale, ad un decreto che ripristinasse la costituzione prefascista e promettesse libere elezioni per un’assemblea costituente appena terminata la guerra; dalla possibile abdicazione del Re in favore del figlio o nipote alla accettazione di una forma di controllo armistiziale che permettesse una graduale sparizione dell’AMG <272. Traendo le conclusioni due giorni più tardi, Eisenhower presentava due soli percorsi praticabili per gli Alleati in Italia: accettare e rafforzare il governo italiano, permettendone la massima collaborazione militare sotto la direzione del Comandante; mettere da parte Badoglio e il Re e instaurare un governo militare nell’intera penisola, accettandone il grave peso che da questo sarebbe derivato. Delle due opzioni, la prima era fortemente preferibile sulla base di considerazioni militari, dato che, con una campagna militare dura e rischiosa all’orizzonte, il rapporto con gli italiani «may mean the difference between complete and only partial success» <273.
Il progetto della cobelligeranza proveniva dal campo britannico, dove era andato maturando sin dall’8 settembre allo scopo di sfruttare ogni vantaggio che gli italiani fossero stati in grado di fornire nella campagna militare contro i tedeschi <274.
[NOTE]
267 I dati erano esposti da MacFarlane in un promemoria del 22 settembre, in ACC, b. 1.
268 Cit. Ellwood, Italy 1943-1945, p. 71.
269 Cfr. Komer, Civil Affairs, p. 5.
270 Eisenhower aveva inviato a Brindisi, a supporto della missione militare di MacFarlane e Taylor, anche Macmillan e Murphy, due emissari politici incaricati di rapportare sulle condizioni del governo italiano e di raccomandare il modo migliore di relazionarsi a questo nelle prime convulse fasi dell’occupazione.
271 Il 17 settembre Macmillan descriveva cosi la situazione del governo Badoglio nelle prime settimane dopo la resa: «the Brindisi party can hardly be dignified by the name of government. From the military and civil points of view it is little more than a name». Murphy riportava simili sensazioni a Roosevelt e Hull il 19 settembre invitandoli a far quanto in loro potere per semplificare e chiarire una situazione «where we are invoking terms of armistice we are at the same time calling on Italians for active cooperation in prosecution of war against Germans», WAR, OPD, b. 2.
272 Cfr. Eisenhower al War Department e ai CCS, NAF 409, del 18 settembre, in ACC, b. 1. Dopo aver elencato tutte le questioni calde che emergevano con il nuovo regime determinato dall’entrata in vigore dell’armistizio — disarmare gli italiani oppure favorire un loro contributo alla lotta contro il nemico tedesco, appropriarsi della flotta oppure lasciare che restasse in mani italiane, impiantare un governo alleato diretto o indiretto; il Comandante, realizzando la portata politica della proposta, chiedeva che «the burden be placed upon us, on the grounds of military necessity, which I am convinced should be the governing factor».
273 Cfr. il telegramma del 20 settembre di Eisenhower ai CCS, NAF 410, a conclusione del 409, WAR, OPD, b. 2. Già il 26 luglio, a poche ore dalla cacciata di Mussolini, il Comandante inviava una nota ai CCS nella quale si considerava della massima importanza che si sfruttasse appieno la confusione romana a vantaggio delle finalità alleate, avvertendo dei pericoli in cui sarebbero incappati i governi anglo-americani se si fossero troppo frettolosamente liberati di Badoglio, la cui dipartita avrebbe potuto lasciarli senza alcuna autorità con la quale confrontarsi, FDR, MRP, b. 34/2.
274 Per alcuni approfondimenti sul tema della cobelligeranza nel rapporto tra il governo italiano e gli Alleati si vedano M. DE LEONARDIS, Gli Alleati e la cobelligeranza italiana 1943-1945: necessità militari e valutazioni politiche, Milano, 1988; S. LOI, I rapporti fra Alleati e italiani nella cobelligeranza: MMIA-SMRE, Roma, Ufficio Storico SME, 1986; K. BETTS-WILMOTT, Working Italy’s Passage: the Italian Army and the Allies’ Hopes for It in the Co-belligerency, 1943-44, BA Thesis, Fredericton, University of New Brunswick, 2004.
Marco Maria Aterrano, “The Garden Path”. Il dibattito interalleato e l’evoluzione della politica anglo-americana per l’Italia dalla strategia militare al controllo istituzionale, 1939-1945, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, Anno Accademico 2012-2013

Alcuni militari non si limitarono a contrastare l’influenza dei partiti antifascisti sulle truppe solo con fervorini ai soldati. Ufficiali e soldati decisero di contendere il campo politico dell’Italia liberata attraverso delle azioni difficilmente ascrivibili ad altro che a forme di violenza politica. Per quanto attacchi alle sede dei giornali o dei partiti, o violenze nei confronti dei semplici militanti non fossero parte di una politica messa in atto dal Ministero della guerra o dallo Stato Maggiore, le prime aggressioni ai danni di partiti più ostili alla monarchia vennero approvate ai più alti livelli della gerarchia militare. Quando nel dicembre del 1943 un gruppo di militari del I Raggruppamento Motorizzato «distribuirono una buona dose di pugni» ad un gruppo di studenti universitari repubblicani di Avellino, rei di aver tentato di strappare lo scudo monarchico fatto indossare alle truppe cobelligeranti, il capo di stato maggiore Berardi si disse soddisfatto del comportamento degli allievi ufficiali coinvolti nella rissa. Allo stesso modo, approvò anche l’aggressione ai danni del direttore di “Irpinia Libera”, cui partecipò il colonnello Valfrè, un ufficiale dello stesso reparto <1103.
Giovanni Bonomi ricorda compiaciuto come «un certo signore volò dalla finestra per avere osato insultare alcuni nostri soldati» <1104. Ma queste azioni furono forse dei tentativi di rafforzare un’identità monarchica piuttosto fragile fra le truppe. A fine novembre il generale Dapino ricordò come i soldati stessero combattendo «nel nome augusto della Maestà del Re» <1105, «orgogliosi dello scudo sabaudo loro concesso e ne comprendono in pieno il significato» <1106. Un significato monarchico non molto ben inteso, se solo qualche giorno prima fu necessario ribadire alla truppa che la Croce di Savoia che fregia i petti dei suoi soldati è il distintivo del Raggruppamento e non un’insegna che voglia testimoniare, nel confronto di altri reparti, un’esclusiva o maggiore fede che è invece, per libera elezione spirituale e per il giuramento prestato, nei cuori e nella volontà di tutti i soldati d’Italia <1107.
[NOTE]
1103 AUSSME, F. I 3, b. 64, f. 3 Disciplina, disposizioni e provvedimenti dal 7.9 al 21.12.1943, Stato Maggiore R. Esercito. Ufficio Segreteria e Personale, 59/R.P., Incidente di carattere politico ad Avellino, 15 dicembre 1943. Sul quotidiano venne pubblicata una lettera, attribuita ad un sottufficiale del I Raggruppamento, secondo cui i militari non volevano più combattere per il re proprio per via di «quanto lo Sforza e il Croce avevano dimostrato delle colpe
e del carattere di lui [Vittorio Emanuele]», CROCE, Quando l’Italia era tagliata in due…, p. 59, 10 gennaio 1944. MACCANICO Antonio, Noi e l’antifascismo, in «Irpinia Libera», 13 novembre 1943, n. 3, a. I; AMORE Silvestro,
Lettera, in «Irpinia Libera», 27 novembre 1943, n. 5, a. I; MACCANICO Antonio, Perché e per chi?, in «Irpinia Libera», 4 dicembre 1943, n. 6, a. I.
1104 Bonomi asserì che i rapporti con la popolazione erano inizialmente normali, e si guastarono solo quando gli avellinesi si dimostrarono progressivamente timorosi del rischio di attrarre altri bombardamenti aerei tedeschi, vista la presenza di truppe nei pressi della città, Bonomi BONOMI, Dal Volturno al Po…, Vol. I, p. 72. Angelo Mario Castellaro invece descrisse dei rapporti sempre tesi con la popolazione. Nell’avvicinarsi ad Avellino, i militari italiani furono oggetto di un lancio di sassi da parte di alcuni ragazzi, e di fischi da parte della popolazione. In città, proprio l’organizzazione da parte della prefettura di un’accoglienza particolarmente calorosa fu accolta dai soldati con diffidenza, CASTELLARO Angelo Mario, Montelungo 1943. I giorni del coraggio, Bonanno Editore, Acireale – Roma 2010, p. 40.
1105 AUSSME, F. N 1-11, b. 2025, f. Allegati al Diario Storico Militare del 1° Raggruppamento Motorizzato. Anno 1943. Mese settembre-ottobre, Nucleo “A”, N° 3/Ass. di prot., Relazione sulla propaganda svolta fra le truppe, 1
novembre 1943.
1106 AUSSME, F. N 1-11, b. 2025, f. Allegati al Diario Storico Militare del 1° Raggruppamento Motorizzato. Anno 1943. Mese settembre-ottobre, Nucleo “A”, N° 104 di prot. Ass., Relazione sullo spirito dei militari e sulla propaganda dall’1 al 13 novembre 1943, 28 novembre 1943.
1107 AUSSME, F. N 1-11, b. 2025, f. Allegati al Diario Storico Militare del 1° Raggruppamento Motorizzato. Anno 1943. Mese settembre-ottobre, Comando I° Raggruppamento Motorizzato. Uff. Capo S.M. Sez.Pers. E Segr., N° 894/Pers.di prot., Assenze arbitrarie, 17 novembre 1943.
Nicolò Da Lio, Il Regio Esercito fra fascismo e Guerra di Liberazione. 1922-1945, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Tesi di dottorato, 2016

Non ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre, 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella Z.O. <85 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba (sic!). L’idea che dei combattenti clandestini si aggiustassero un distintivo (doppio nastro trasversale tricolore) in modo che la loro posizione fosse internazionalmente chiara e che le bande fossero gestite da un «comandante militare eventualmente appoggiato, per la parte relativa (sic!) agli elementi civili immessi […] dai comitati locali dei partiti» <86 rende evidente come sia lontano non solo il concetto della guerra per bande, ma anche la conoscenza della situazione.
A questa incoscienza situazionale, si affiancano una confusione organizzativa e una mancanza di prospettive. L’iniziativa del Regno del Sud è minata all’origine non solo dalla non esaltante messa in scena della fuga da Roma, ma è il comportamento complessivo della casta militare sul campo di battaglia che ha lasciato un segno indelebile negli uomini che sono rientrati dai vari fronti: si arena in un serie di “vorrei ma non posso” che rendono ancor più diffidenti i comandi alleati <87. Sono i singoli uomini che prendono in mano la situazione: ad un Umberto Utili nel Sud che riesce a farsi accettare dagli Alleati, corrisponde un Jerzy Sas Kulczycki che nel Nord tenta di tirare le fila di una rete dei militari.
I militari di professione però, non riescono a comprendere che si è innescato un movimento che li relega nelle retrovie. Non si tratta solo di riprendere in mano la situazione ante 1923; l’Esercito e il suo ceto hanno indissolubilmente legato i propri destini a quelli del fascismo, difficile ora separarli, anche perché i comandanti raramente comprendono il cambio di passo. Questo non vuole assolutamente dire che i militari, che hanno condiviso anni di vita, fatiche, anche sogni e sconfitte con i soldati che ora sono sui monti, non costruiscano e organizzino delle bande, è il passo successivo che non riescono a compiere, è il coinvolgimento diretto del Regno del Sud che viene a mancare.
Anche perché per arrivare in Z.O., per far pervenire materiali e risorse occorre appoggiarsi agli alleati i quali a loro volta si trovano in concorrenza tra loro: da una parte l’Oss americano e dall’altra il Soe inglese. Alla normale differenza di vedute, ora si debbono aggiungere le simpatie repubblicane e quelle monarchiche che ci sono in entrambi i campi ma soprattutto la diffidenza nei confronti di un Governo che oltretutto ha gestito in modo misero l’armistizio. Insomma ha dell’ingenuo pensare di riuscire ad accreditarsi come combattenti antifascisti quando fino il giorno prima si era alleati con i tedeschi, gli inglesi non dimenticano certo i loro morti in Africa del Nord, la disastrosa
gestione poi dell’armistizio non ha certo contribuito a far aumentare l’attendibilità dei realisti di casa Savoia. Scarsa, se non nulla, è l’affidabilità che hanno i generali che supinamente hanno trascinato nel disastro gli italiani, il ceto militare è legato a casa Savoia e conseguentemente il Governo del Sud fatica a essere preso in considerazione dagli Alleati. Ne è un espressivo esempio la sconfitta del progetto del gen. Giuseppe Pavone <88 relativo ai Gruppi Combattenti Italia e le difficoltà che incontra il gen. Utili nel costruire forze combattenti che si affianchino all’esercito degli alleati che sale verso il nord.
Ha molto più buon gioco Sogno che, dopo aver attraversato il fronte verso il sud, progetta il suo ritorno al nord come collaboratore del Soe. È lui che diventa il raccordo con le bande badogliane, è presente nel Cln di Torino come rappresentante del Pli, in altre parole è la sua organizzazione, La Franchi, che è portatrice di un progetto politico ben più radicato nel quotidiano che quello propugnato dallo Stato Maggiore dell’Esercito del Sud.
La ripresa dell’organizzazione in alta Valtellina nella primavera del 1944 non trova più sul terreno una struttura che aveva se non stimolato speranze suscitato interessamento da parte dei militari valtellinesi: la struttura dei Volontari armati d’ Italia. Quest’organizzazione non è più presente dall’aprile del 1944 in concomitanza con la cattura di parecchi suoi uomini compreso il comandante, Kulczycki che è catturato a Genova il 15 aprile.
La scomparsa del Vai rende evidente la difficoltà del Regno del Sud nel costituire le strutture armate di resistenza nella ZO. I militari dell’ex regio esercito non si sono trovati a lavorare in un ambiente adatto, lo sfacelo dell’8 settembre, la vigliaccheria o, nel migliore dei casi, la pusillanimità dei comandanti ha fatto il paio con i morti provocati dal governo Badoglio durante i 45 giorni. La mancanza d’idee, il banale adesso cosa facciamo, la ritrosia ad armare i civili ha messo tutto il peso dell’organizzazione sulle spalle di pochi militari animati da spirito di sacrificio e disposti al combattimento; la cattura di questi militari taglia le gambe ad una organizzazione che aveva i piedi di argilla e lascia aperta la strada a forme di combattimento che troveranno la loro dimensione sia nelle bande autonome, i fazzoletti azzurri e verdi, che nelle bande garibaldine o di Giustizia e Libertà.
Dell’incapacità dei militari nel muoversi, in Lombardia, sul terreno delle organizzazioni armate di montagna è sintomo il fatto che sia nel bresciano, sia nella bergamasca, è il clero che fornisce o direttamente, il comandante, don Antonio Milesi, o la direzione politica, don Carlo Comensoli; è illuminante invece l’indecisione, per non dire di peggio, del Comandante dei Carabinieri di Sondrio Edoardo Alessi.
Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fa riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa: a Lecco troviamo i colonnelli Umberto Morandi e Alberto Prampolini affiancati dal capitano Guido Brugger; a Mandello del Lario c’è il colonnello Galdino Pini mentre a Bellano il referente è Umberto Osio, salendo nella Valsassina Mario Cerati e il dott. Pietro Magni; nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata. Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi che a fine guerra esibirà il suo legame con il Soe, nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente <90.
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere: i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino.
[NOTE]
85 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIO STORICO, L’azione dello Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15.
86 «Le direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia Stato Maggiore Generale per lo sviluppo del movimento di liberazione, cit., p. 15. (Riservate alla persona dei Comandanti militari regionali e dei loro più immediati collaboratori).» sono in data 10 dicembre 1943: Ivi, p. 149-154.
87 Sull’evoluzione dei contatti con gli alleati si rimanda a: T. PIFFER, Gli alleati e la Resistenza italiana, cit.
88 Cfr. A. ALOSCO, Il Partito d’Azione nel ‘Regno del Sud’, Alfredo Guida, Napoli, 2002, pp. 61-63.89 Una sintesi della presenza delle formazioni militari che fanno riferimento al Regno del Sud la si trova in C. CERNIGOI, ALLA RICERCA DI NEMO una spy-story non solo italiana, dossier n. 46, Supplemento al n. 303 – 1/5/13 de La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste 2013. Per una analisi più articolata, Cfr. G. PERONA (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza, documenti, cit., p. 19-31.
90 Fondo: Morelli Dario, Serie: Forze partigiane e di liberazione, Sottoserie: Cvl – Fiamme verdi, Fascicolo: Cvl – Quartier generale del raggruppamento Fiamme verdi, Busta 31, Fasc. 276. Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu