Un pittore di Bordighera da Barcellona ad Algeri nel 1932

Barcellona: Port Vell
Fonte: Wikipedia

24 aprile 1932.  Dopo qualche chilometro Barcellona si annuncia col suo movimento imbarazzante. Troviamo un garage. Domandiamo ospitalità e siamo informati che comincia oggi la settimana catalonista per l’autonomia della Catalogna. Capitiamo a proposito per vedere un po’ di rivoluzione od almeno almeno qualche grande dimostrazione. Ci rechiamo subito verso il porto per cercare informazioni per il nostro passaggio verso Algeri […]

©Archivio Balbo 2018

Ritorniamo all’ombra del monumento a Colombo. Ci sediamo ad un caffè. Mentre gustiamo un “Martini e Rossi” comincia l’animazione. Appare una bandiera. Strisce gialle e rosse.

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La dimostrazione per l’indipendenza della Catalogna ha inizio qui. Tanto meglio. Siam capitati bene e non ci muoviamo. Soli, a gruppi, a moltitudini, giungono bandiere e uomini, uomini e cartelloni.  Ma tutti con un’aria di paese che, forse, ci disillude. Il raduno è appena cominciato e non perdiamo la speranza di assistere ad un po’ di rivoluzione. Ad un tratto battimani, urla e fischi ci fanno mirare ad un punto.

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Un uomo a cavallo, in borghese, berretto frigio in testa, vecchiotto anziché no.
Mario [il pittore Mario Cavalla] si fa sotto a fotografarlo. Il vecchio gli fa un saluto militare. Il cameriere ci spiega essere l’uomo a cavallo l’unico superstite delle guerre d’Africa del’70. Questo a dimostrare che tutti i partiti della Catalogna festeggiano l’indipendenza. Senza parzialità se la merita! Perché l’attività di questa popolazione è al pari di quelle delle altre nazioni e la ribellione nascosta verrebbe in chiaro solo dal fatto che i più parlano in catalano. Si domanda in spagnuolo-bordigotto-franco-piemontese. Si risponde in catalano. Hanno completa coscienza e non tollerano che il resto della Spagna abusi del loro lavoro e della loro produzione. La dimostrazione che ha avuto inizio alle undici si svolge piuttosto lentamente. Ad una ad una giungono le bandiere di tutti i partiti. Verso l’una le bandiere sono nugoli, gli uomini diventano moltitudine. Adagio si forma il corteo. Noi ne abbiamo abbastanza dell’integrità dello statuto catalano. Pensiamo sia meglio recarci a provvedere all’integrità del nostro stomaco.

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6 maggio 1932.  Domani dobbiamo partire. Naturalmente cominciamo i preparativi. Prima però ci alleniamo all’Africa. Così dice Mario. Incantiamo il serpente. La Caba è a bordo. Tutte le complicate manovre descritteci dall’agente consistevano poi in un breve lavoro di una gru elettrica e di quattro uomini. La macchina viene assicurata sopra coperta e noi ci troviamo finalmente in cammino per un continente da cui ci attendiamo non poche sorprese. Un carico di banane fa tardare la partenza fino alle undici. Siamo chiamati a tavola […]

All’una del pomeriggio Mario mi viene ad avvertire che l’Africa si profila all’orizzonte. Salgo sopra coperta […] Nel mentre si procede allo sbarco della macchina. La Caba, imbragata, viene scesa sul pontone, e di là passata sul molo. Una folla attornia la macchina. Ci si domanda se è una spedizione di caccia, scientifica. Rispondiamo a casaccio. Ultimate le operazioni di polizia e di dogana Mario si mette al volante. Io al suo fianco. Mohamed ci accompagna sul predellino. Dall’algerino ci facciamo accompagnare ad un serbatoio di benzina. Attraversiamo così parte della città. Belle strade, palazzi moderni, molto traffico. Facciamo qualche provvista, e prima di lasciare Algeri regoliamo il nostro debito verso la guida. È tutta un’operazione di alta finanza. Discussioni. Sulla base di dieci franchi Mohamed protesta indignato. Saliamo a quindici. Lo salutiamo. Lui resta. Vuole i soldi per il tramway. Ce ne liberiamo a diciassette. Attraversiamo i sobborghi di Algeri. Appena in aperta campagna guidiamo la macchina nel mezzo di una piazzola a lato della strada. Il digiuno forzato che abbiamo fatto durante la traversata ci ha lasciato un appetito formidabile. Il primo tramonto africano ci mette entusiasmo. Caldo e vaporoso è molto diverso da quelli che conosciamo ma non ancora come ci aspettavamo. Da ogni parte estensioni di campagna coltivata. La vegetazione rigogliosa e densa contrasta con gli arabi macilenti e sporchi che di quando in quando passano lentamente, appena degnando di un obliquo sguardo curioso la nostra vettura […]

Balbo vede per la prima volta l’Africa – Foto di Mario Cavalla – ©Archivio Balbo

Da molti molti giorni avevo abbandonato di confidare in queste pagine timori speranze ed avvenimenti. Di questi ultimi non vi è certamente abbondanza. I primi vanno e vengono si orientano secondo il vento, ne seguono le correnti e non servono a sciogliere la situazione. Ci preoccupa molto il problema della CABA.
Decidemmo di recarci ad Algeri. Ritornare nella città che avevamo abbandonato il 7 luglio con le più rosee speranze di proseguire il nostro viaggio, ci fece un effetto che non so spiegare. L’ing. Tarting ci rivide meravigliato nel suo ufficio, ma all’esposizione di quanto era accaduto, non solo ci promise il suo appoggio ma ci volle presentare al Direttore Generale delle Dogane d’Algeria onde facilitarci i passi che avevamo intenzione di fare presso quell’ufficio. La sorpresa che ci attendeva non ci fu affatto gradita. Due funzionari ci accolsero nel loro ufficio. Agghindati e gialli ci sorrisero come chi dicesse per pigliarci in giro. E non sapevano ancora che si voleva. Esponemmo il nostro caso. Si ricordarono d’un tratto e guardandosi l’un l’altro ci dissero senza preamboli e senza esporre ragioni che il proprietario della macchina era da loro ignorato, ma che per la macchina stessa era stata reclamata all’Automobile Club di Parigi la somma di Frs. 33.000 quale imposta doganale sull’importazione della macchina in Algeria. Nulla da fare per quanto a loro.
Uscimmo naturalmente dalle dogane e ci abbandonammo a commenti, discussioni, progetti intorno alla questione.
Affogammo il tutto in un capace bicchiere di birra e ci recammo a trovare i nostri amici. Saluti, abbracci, sorprese.

Archivio Balbo, La CABA a Barcellona ed in Algeria (1932), 24 marzo 2018