Un diario intimo in cui appuntare versi di poeti

Maria Lai, Telaio del meriggio (1967; legno, spago, tela, tempera; Ulassai, Collezione Fondazione Stazione dell’Arte). Ph. Credit Tiziano Canu – Fonte: Finestre sull’Arte cit. infra
Maria Lai (credit: Elisabetta Loi) – Fonte: www.giannellachannel.info

[…] Seppur vicina al gruppo Informale, grazie ad alcune tematiche in comune, Maria Lai non prende parti e agisce da sola con un bagaglio di esperienze e di vissuto tutto singolare, impossibile da associare a qualsiasi movimento. Nelle sue opere Maria Lai parla di se e del lavoro femminile della sua terra. Maria Elvira Ciusa, sua ex collaboratrice, a riguardo ha dichiarato: “Il mondo delle arti, quando esordì, era dominato dagli uomini…Maria Lai veniva assalita dallo sconforto di dover continuare a lottare e trovarsi a vivere all’ombra dei suoi compagni di strada, coi quali aveva condiviso negli anni Sessanta i nuovi linguaggi dell’arte, di artisti come Pino Pascali, Jannis Kounellis, Piero Manzoni e Alighiero Boetti”.
Maria Lai, biografia dell’artista tessile
Maria nasce il 27 settembre 1919 a Ulassai, piccolo paese sardo nella regione dell’Ogliastra, da una delle poche famiglie agiate presenti nella sua terra. Durante l’infanzia per problemi di salute passa i sei mesi dell’anno più caldi a Ulassai e gli altri restanti nella pianura di Gairo dai suoi parenti. Passando i mesi invernali a casa dei suoi zii dove l’aria è più salubre inizia a scoprire la passione per il disegno che l’aiuta ad evadere dal grigiore e dalla piattezza delle sue giornate. Nel 1928 suo zio decide di togliersi la vita in prigione dopo essere stato incarcerato ingiustamente a seguito di un’accusa di omicidio, per aver sparato al vicino. Da quel momento Maria inizia a passare anche i mesi invernali nel suo paese natale fino al 1932. Il suicidio dello zio purtroppo non è l’unico lutto della famiglia, in quanto, nel 1933 muore anche sua sorella Cornelia. Nonostante l’anno tragico, ha la possibilità di visitare lo studio dell’artista Francesco Ciusa, al quale chiede di posare come modella per rappresentare un ritratto della sorella scomparsa. Qui nel suo studio si appassiona e si avvicina all’arte per la prima volta, rimanendone colpita. Anni dopo i suoi genitori decidono di iscriverla alla scuole medie, dopo aver saltato asilo e elementari. A scuola incontra lo scrittore e insegnante Salvatore Cambosu che le fa scoprire il mondo delle parole. Seppur non incline alla scrittura è interessata e affascinata dal valore e dal ritmo della parola, che conduce al silenzio.
Nel 1939 si presenta un bivio davanti a lei: da una parte il destino che vorrebbero i suoi genitori con un matrimonio e dei figli e dall’altro la sua voglia di indipendenza.
Il suo amore per la libertà la porta a trasferirsi a Roma per continuare gli studi al Liceo Artistico della città. Durante questi anni, affina e incrementa ulteriormente le proprie tecniche artistiche, ciò le permette di essere notata dal docente e scultore Renato Marino Mazzacurati che vede in lei un particolare talento. Finito il liceo, con lo scoppio della guerra, si trasferisce a Venezia dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Qui ha l’occasione di avere come professore lo scultore Arturo Martini che tiene lezione sul vuoto, sulle ombre, sul volume del sasso influenzando così il suo modo di produrre e di vedere l’arte. Dopo il diploma e con la fine del conflitto nel 1945 torna in Sardegna dove prosegue il sodalizio con Cambosu, suo ex professore di lettere: per la prima volta Maria ha l’occasione di illustrare una copertina di un libro, in questo caso quella di Miele Amaro (1954). Lo stesso anno, sempre Cambosu la introduce alla mostra personale di Sassari e viene invitata a partecipare alla mostra collettiva L’arte nella vita del Meridione d’Italia al Palazzo delle Esposizioni di Roma. L’anno dopo, nel 1955, organizza una propria mostra personale a Bari e partecipa alla Quadriennale di Roma dove espone insieme alle opere di Lucio Fontana con i suoi famosi concetti spaziali e le opere di Alberto Burri con i suoi Sacchi. Sempre nel 1955 suo fratello minore muore a seguito di un rapimento: da quel momento la Sardegna non diventa un luogo sicuro per lei e così decide di trasferirsi in seguito, nel 1956, a Roma. Nel 1957 presso, la galleria L’Obelisco, tiene una sua mostra personale che vede esposti per la prima volta i disegni realizzati a matita dal 1941 al 1954. Subito dopo la mostra decide di aprire il suo studio d’arte.

Maria Lai, Progetto per ordito (1964; tempera, terracotta, fili di cotone, legno e chiodi su tavola, 123 x 62 cm; collezione privata) – Fonte: Finestre sull’Arte cit. infra

Segue un periodo di profondo silenzio dove per circa dieci anni si ritira e decide di non esporre più concentrandosi su nuove sperimentazioni. Passa qui dal figurativo all’informale dove i suoi segni si fanno più essenziali. In questa fase di silenzio inizia proprio a produrre opere ad oggi tra le più note come Tele e Libri cuciti, Pani e Telai.
Grazie allo scrittore Giuseppe Dessì, suo amico e scrittore, scopre il vero valore della sua terra natia cogliendo il senso del mito e della leggenda. Visitando il Canada con Marcello Venturoli entra in contatto con l’arte primitiva a cui si ispira per la realizzazione delle sue maschere in ceramica. Nel 1971 torna in scena con la mostra personale nella Galleria Schneider di Roma dove espone i Telai, ispirati fortemente all’Arte Povera. Sono gli anni più significativi per la sua carriera artistica, durante i quali produce opere polimateriche e con materiali spogli come i ready-made di telai o sculture di pani che ricordano le antiche tradizioni della sua Sardegna. Nel 1975 espone la sua mostra personale Tele e Collages presso la Galleria Art Duchamp e nel 1977 presso la Galleria Il Brandale di Savona organizza la mostra I pani di Maria Lai. Grazie al successo della mostra, la curatrice Mirella Bentivoglio decide di esporla alla Biennale di Venezia in un’esposizione esclusiva, dedicata alla produzione artistica di sole donne.

Un’opera di Maria Lai al Museo Madre di Napoli cit. infra

[…] Dove vedere le opere di Maria Lai
Molte opere di Maria Lai sono proprio situate nel suo paese natale in luoghi pubblici e costituiscono il Museo all’aperto Maria Lai, percorso museale dedicato all’artista che raccoglie oltre alle sue opere anche lavori di artisti conosciuto quali Nivola o Ciusa. Le opere più importanti del museo a cielo aperto sono Via Crucis (1981), La cattura dell’ala del vento (2009) e il Lavatoio comunale (1903-1905), che a sua volta ospita all’interno importanti installazioni artistiche.
Il Museo Maria Lai “Stazione dell’arte” è un museo creato e dedicato all’artista che si trova ad Ulassai, nella vecchia stazione ferroviaria. La fondazione è stata inaugurata l’8 luglio 2006 e ad oggi ospita circa centoquaranta opere d’arte, di cui la maggioranza dell’artista.
Oltre alla fondazione museale esiste un archivio in suo nome istituito presso la casa dell’artista a Cardedu con sede legale presso il Museo Diocesano di Lanusei. L’archivio si pone come obiettivo la salvaguardia e la catalogazione delle sue opere. Diverse opere di Maria Lai sono infine conservate in molti musei italiani e internazionali.
Redazione, Maria Lai, vita e opere della celebre artista tessile, Finestre sull’Arte

Ritratto di Maria Lai. Ph. Credit Pietro Paolo Pinna – Fonte: Finestre sull’Arte cit.

«L’arte è come una pozzanghera che riflette il cielo, ma può passare inosservata. Può essere calpestata, ma l’immagine del cielo si ricompone sempre.»
Per via della salute cagionevole, ancora bambina, Maria viene affidata a parenti che stanno in campagna. «La mia vita con gli zii fu un grande viaggio nella fantasia, nella vastità della grande casa, della campagna, dei giochi. Ero analfabeta ma piena di favole. Ciò che ho fatto dopo, da adulta, è iniziato a quell’età».
Vive così un’infanzia libera, serena e carica di suggestioni fino ai 9 anni, quando arriva a Cagliari e anche per lei comincia la scuola. Del periodo trascorso a Cagliari è fondamentale l’incontro, che evolve in una vera e duratura amicizia, con un professore, Salvatore Cambosu, il quale l’avvicina alla poesia orientando la sua attenzione al ritmo, più che al significato.
Nel 1940 si trasferisce a Roma per frequentare il liceo artistico e poi dal 1942 al 1945 è a Venezia dove segue il corso di scultura tenuto da Arturo Martini all’Accademia delle belle arti. «Durante quei tre anni di frequenza alle sue lezioni vivevo una condizione di disagio con insicurezze e incantamenti, e nello stesso tempo sentivo di essere al posto giusto, più che a Roma, più che in Sardegna.»
Finita la guerra torna nell’isola, dopo un viaggio rocambolesco compiuto fra treni, navi da guerra e scialuppe di salvataggio. Questo ritorno segna l’inizio di un periodo difficile, di disorientamento e sofferenza; durante la «convalescenza» riallaccia i rapporti con Cambosu che la sostiene e la incoraggia: nel 1954 riparte per Roma. Del 1957 è la prima mostra personale (unica donna a esporre in quell’anno alla galleria Obelisco). Negli anni Sessanta sperimenta nuove forme e nuovi materiali: telai e pani a cui nel decennio successivo si aggiungono i libri cuciti e le geometrie-geografie di stoffe: «le mappe astrali rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze. I libri cuciti, al contrario, chiedono di essere tenuti tra le mani, toccati, sfogliati pagina per pagina, perché il lettore si fermi più a lungo e con più attenzione.»
Il 1979 è l’anno del suo primo intervento ambientale La casa cucita, Selargius (Cagliari), a cui seguiranno moltissimi altri interventi sul paesaggio come Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981, sorprendente alternativa alla proposta del sindaco che aveva richiesto un monumento. Maria Lai, partendo da una leggenda locale, unisce insieme ai suoi concittadini tutte le case, una con l’altra, e le case alla montagna franosa che incombe, con 26 chilometri di nastro azzurro. «Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era l’amore veniva fatto un fiocco.» La strada del rito e Le capre cucite, Ulassai, 1992 sono altri esempi significativi. Nel 2004 le viene conferita la laurea honoris causa in Lettere dall’Università degli studi di Cagliari per il tratto fortemente narrativo e concettuale della sua opera che si realizza però con tecniche tradizionali, arcaiche. […]
Monica M. Manca, Monica Lai, Enciclopedia delle Donne

Maria Lai, Tenendo per mano il sole (1984-2004; filo, stoffa, velluto, 33 x 63 cm; Collezione privata). Ph. Credit Francesco Casu – Fonte: Finestre sull’Arte cit.

Maria Lai è figura d’eccellenza nel panorama della creatività contemporanea, sperimentatrice di materiali e metodi inconsueti nel fare artistico. Alcune tra le sue opere maggiormente rappresentative, ma più in generale molti aspetti caratterizzanti il suo lavoro, nascono e si determinano in diretta ed esplicita relazione con narrazioni mutuate dalla letteratura scritta e orale. Dalla trasformazione e trasfigurazione dell’assunto narrativo scaturiscono una ricerca e una conseguente produzione connotate da prerogative di originalità e afflato poetico.
Nata nel 1919 a Ulassai, nel cuore roccioso della Sardegna, nel 1939 Maria Lai si iscrive al Liceo artistico di Roma, dove incontra Renato Marino Mazzacurati (1907-1969), che sul principio di quel decennio era stato esponente della Scuola di Via Cavour. Dal 1943 al 1945 studia con Arturo Martini (1889-1947), all’Accademia di Belle Arti di Venezia: malgrado un impatto inizialmente non semplice, <1 la lezione dello scultore, tra i più influenti della storia dell’arte italiana del XX secolo, si sarebbe progressivamente sedimentata sulle attitudini di Maria Lai, la quale col procedere del tempo e dell’esperienza lo avrebbe riconosciuto come straordinario maestro d’arte, insieme con l’altro grande maestro, d’arte e di vita, lo scrittore Salvatore Cambosu (1895-1962). Il primo incontro con Cambosu, suo professore di Italiano e Latino alle scuole secondarie, a Cagliari, risale al 1932, lo stesso anno in cui lo scrittore pubblica, a Bologna, Lo zufolo; <2 sarebbe diventato compagno di viaggio <3 e riferimento culturale costante, dal quale Maria Lai acquisisce la piena consapevolezza dello stretto rapporto che intercorre tra arte e vita: <4
“Le qualità umane di Cambosu e la sua cultura mi conquistarono. Non era il grande artista che cercavo, ma il senso poetico della vita che lui mi comunicava”. <5
A Lo zufolo, «definito impropriamente un romanzo in quanto lo scritto è, stando alla Deledda, più prossimo al ‘poemetto in prosa’ che a un vero e proprio racconto», <6 fa seguito, due anni più tardi, nel 1934, Il carro, propriamente un romanzo, uscito a puntate sul quotidiano cagliaritano «L’Unione Sarda». <7 Da Cagliari, nel corso degli anni, Cambosu scrive articoli e racconti destinati alle pagine di periodici regionali e nazionali, <8 con interesse predominante per la realtà sociale e per i temi identitari della Sardegna, oltre che per la letteratura. <9 Momento culminante di una impegnata elaborazione culturale, l’opera Miele amaro, edita nel 1954 <10 da Vallecchi, <11 a Firenze, appare come un «bastimento carico di spezie e di fiabe, d’essenze e di storia, di immagini preziose e di racconti, di miele e di poesia»; <12 antologia di materiali eterogenei, che abbraccia le vastità di un sapere tramandato nei secoli, come sottolineato da Giuseppe Petronio: «Eroi antichi e moderni, fatti storici di tutte le età, documenti di archeologia e di arte, di letteratura e di folclore, tutto il Cambosu mette assieme, ora riportando testualmente documenti, ora riproducendo opere d’arte, ora riscrivendo lui leggende e tradizioni, a costituire così come un breviario di tutto ciò che un sardo può conoscere e amare della sua isola. E ne viene un’opera calda di affetto e fragrante di terra: canti popolari, pianti funebri, leggende sacre e profane…». <13 Tradizione e innovazione sapientemente congiunte, come rimarcato da Sandro Maxia: «L’idea centrale che ha guidato la composizione di Miele amaro è che la Sardegna debba essere raccontata dall’interno, o meglio che debba raccontare se stessa, sia attraverso i documenti storici ed etnologici, sia per mezzo della voce dei poeti che in varie epoche si sono espressi nella lingua locale; sia infine attraverso gli strumenti espressivi dello scrittore moderno che ‘traduce’ nella lingua nazionale gli autoracconti dei contadini, delle massaie, dei pastori, degli artigiani, introdotti direttamente a parlare». <14
[…] Anche quando, nei libri cuciti, il filo si dispone in composizioni astratte e oggettualizza scritture asemantiche <27 non rinuncia a essere modo di comunicazione, culturalmente consapevole, tra individui, alieno, anche se ingarbugliato, da tentazioni di autoreferenzialità. <28 In Trattato Borges (1979), dalla trama del bisso trapelano inserti di foglie di rosa e carta sottile, «come un diario intimo in cui appuntare versi di poeti, o pensieri lievi che tengano compagnia mentre fanno riflettere». <29 Il mare ha bisogno di fichi prende titolo da una citazione di Goethe: «elegia per i libri alluvionati di Firenze, canta le parole perdute che avremmo potuto leggere e dire insieme, a voce alta o sussurrandole all’orecchio». <30
Quando i libri germogliano come fiabe cucite, le scritture coincidono con le immagini e le immagini con le narrazioni: le pagine di stoffa si fanno luogo della contaminazione, dove s’intrecciano – trasformandosi e trasfigurandosi – le storie.
Maria Pietra, per l’ascendente di Cambosu, si riconfigura come adattamento, <31 attraverso il passaggio di codice dalla parola all’immagine, e come metatesto che attraversa e informa l’intero procedimento artistico. Si “traduce” in disegni – fin dagli anni Sessanta – con tratti perentori di matita nera su carta bianca; <32 nei libri cuciti, modulati anch’essi prevalentemente sul contrasto di bianco e nero, Le parole di Maria Pietra (1983) e Maria Pietra (1991); in una installazione-performance, La leggenda di Maria Pietra, allo Studio Stefania Miscetti di Roma (1991), con la Presentazione a cura di Federica Di Castro che costituisce il precedente diretto del testo La pietra e la paura, sopra citato; in una scultura-installazione di terracotta smaltata, allestita nell’ambito della mostra Cammino sul fondo del mare, alla Galleria A.A.M. Architettura Arte Moderna, ancora a Roma (1993), <33 oggi acquisita alla collezione della Stazione dell’Arte, progetto museale, che propone numerosi interventi anche nello spazio esterno, avviato con una ingente donazione di opere da parte di Maria Lai al suo paese natale. Ancora Maria Pietra in Su dolu, legno e terracotta, in La pietra della felicità e Cuore mio, tempera e terracotta, realizzate nel 2002 ed esposte nella mostra personale al Man-Museo d’Arte della Provincia di Nuoro.
La prima tra le fiabe cucite realizzate da Maria Lai si intitola Tenendo per mano il sole e risale al 1984; insieme a Tenendo per mano l’ombra, del 1987, non risulta legata ad una storia nota preesistente. Curiosape, del 1988, riprende liberamente la storia ideata da una bambina di nove anni. Tema comune rimane la centralità del rapporto tra arte e vita.
1 «Martini era nel pieno dei suoi dubbi sui significati del proprio lavoro e del destino della scultura. Entrai nel suo mondo come un fastidio, ma in qualche modo lo incuriosivo. Oggi so che ci eravamo incontrati per comunicarci qualcosa che sarebbe andata oltre quel tempo.
Durante quasi tre anni di frequenza alle sue lezioni vivevo una condizione di disagio con insicurezze e incantamenti, e nello stesso tempo sentivo di essere nel posto giusto, più che a Roma, più che in Sardegna». La testimonianza, tra le numerose di Maria Lai relative al periodo di apprendistato con Arturo Martini, si trova in: G. Cuccu, M. Lai, Le ragioni dell’arte. Cose tanto semplici che nessuno capisce, Cagliari, Arte Duchamp, 2002, p. 12.
2 S. Cambosu, Lo zufolo, Bologna, Edizioni La festa, 1932.
3 M. Lai, In viaggio con Salvatore Cambosu, in «La grotta della vipera», 95, 2001, pp. 50-51.
4 Così Maria Luisa Frongia, nell’occasione del conferimento della Laurea in Lettere honoris causa a Maria Lai da parte dell’Università degli Studi di Cagliari: M.L. Frongia, Tenendo per mano il sole, L’Università di Cagliari celebra Maria Lai, in «Portales», 5, 2004, p. 124.
5 M. Lai, in Ricordo di Cambosu e Dessì. Conversazione di Mimmo Bua con Maria Lai, in M.E. Ciusa, M. Bua, M. de Candia, F.A. Zaru, A matita: disegni di Maria Lai dal 1941 al 1985, Cagliari, Arte Duchamp, 1988, s.p.
6 B. Rombi, Nota bio-bibliografica, in S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Ilisso, 2004, p. 29.
7 Dalla rivisitazione de Lo zufolo Cambosu ricava successivamente un racconto, L’anno del campo selvatico, pubblicato insieme con Il quaderno di don Demetrio Gunales, a cura di U. Collu, Nuoro, Ilisso, 1999. Anche Il carro viene rivisitato da Cambosu e riedito in volume, postumo, con il titolo Lo sposo pentito, che deriva da un appunto dattiloscritto dell’autore medesimo: S. Cambosu, Lo sposo pentito, a cura di B. Rombi, Nuoro, Il Maestrale, 1992. Cfr. B. Rombi, Nota bio-bibliografica cit., p. 30.
8 Salvatore Cambosu collabora con «L’Unione Sarda» e con «La Nuova Sardegna», con le riviste «Mediterranea», «Ichnusa», «Il Convegno» e numerose altre, nell’ambito nazionale, tra le quali «Il Mondo», «Nord e Sud», «L’Illustrazione Italiana», «La Tribuna», il «Politecnico» di Elio Vittorini (M. Venturi, Cambosu a «Il Politecnico», in U. Collu, a cura di, Salvatore Cambosu tra due Sardegne, Nuoro-Orotelli, Comune di Nuoro-Biblioteca Nunzio Cossu Orotelli, 1995, pp. 129-132). Per un elenco maggiormente esaustivo di tali collaborazioni, si consultino anche la pagina web della Fondazione Cambosu http://www.fondazionecambosu.it/home/ e quella dedicata allo scrittore sul sito Filologia sarda http://www.filologiasarda.eu/catalogo/autori/autore.php?sez=36&id=427.
9 Per «L’Unione Sarda», Salvatore Cambosu scrive, oltre al già citato Il carro, reportage e racconti; cura, inoltre, Il Gazzettino delle lettere, rubrica settimanale dedicata ai libri.
10 S. Cambosu, Miele amaro, Firenze, Vallecchi, 1954 (2 edizione 1989, Introduzione a Salvatore Cambosu di M. Brigaglia); S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Tipolitografia F. Devilla, 1984, Prefazione di F. Masala; S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Il Maestrale, 1999; S. Cambosu, Miele amaro, a cura di B. Rombi, Nuoro, Ilisso, 2004.
Nel 1954, anno della prima edizione di Miele amaro, Salvatore Cambosu scrive la Presentazione per la seconda mostra personale di Maria Lai, tenutasi a Sassari, nelle sale dell’Ente Provinciale per il Turismo.
11 Con la casa editrice Vallecchi, dopo Miele amaro, Salvatore Cambosu pubblica nel 1955 Il supramonte di Orgosolo, sul fenomeno del banditismo in Sardegna. Nel 1957 esce a Milano, presso l’Istituto di Propaganda Libraria, Una stagione a Orolai, a cura di M. Massaiu (ripubblicato insieme con l’inedito Una stagione a Tharros, nel volume Due stagioni in Sardegna, a cura di B. Rombi, Genova, Marietti, 1992), che «ci racconta la breve storia di Cardellino, un fanciullo cresciuto in un paese immaginario della Sardegna centrale e costretto nella trappola delle inerzie di una tradizione che mostra i primi segni di intacco. A dire il vero tutto il racconto si concentra nella messa a fuoco di un momento particolare della vicenda umana di Cardellino: la fase cruciale (precoce ai tempi) del suo passaggio dalla spensierata fanciullezza al disincanto della vita adulta. Una linea di confine che in ogni società viene in vario modo ritualizzata, assumendo per chi la affronta e per l’intera comunità un rilievo tale da sintetizzare, nei suoi gesti complessi, i valori profondi della collettività»: D. Caocci, Nota Introduttiva, in S. Cambosu, Una stagione a Orolai, Nuoro, Ilisso, 2003, p. 5.
12 G. Pinna, Un bastimento carico di miele e di poesia, in «La Nuova Sardegna», 2 gennaio 1955, successivamente in M. Bua e G. Mameli, a cura di, Lo scrittore nascosto. Il meglio di Salvatore Cambosu, Cagliari, Della Torre, 1984, p. 264 (citato da B. Rombi, Prefazione, in S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Ilisso, 2004, p. 9).
13 G. Petronio, Sardegna vecchia e nuova, in «L’Avanti!», 29 aprile 1955, successivamente in M. Bua e G. Mameli, a cura di, Lo scrittore nascosto. Il meglio di Salvatore Cambosu cit. (citato da B. Rombi, Prefazione cit., p. 11).
14 S. Maxia, I fedeli di San Terroso, in «La grotta della vipera», 9, 1977, successivamente in M. Bua e G. Mameli, a cura di, Lo scrittore nascosto. Il meglio di Salvatore Cambosu cit., p. 297 (citato da B. Rombi, Prefazione cit., p. 24). Dello stesso studioso cfr. anche Cambosu e il paese dei racconti, in «La grotta della vipera», 66-67, 1994,
successivamente in U. Collu, a cura di, Salvatore Cambosu tra due Sardegne cit, pp. 47-53. Sulla lingua di Salvatore Cambosu si concentrano soprattutto i saggi di Cristina Lavinio: La lingua degli scrittori sardi (Cambosu, Fiori, Masala), in «La grotta della vipera», 9, 1977, pp. 53-66; Nell’“officina” di Salvatore Cambosu: Lo Zufolo e i suoi rifacimenti, in «Studi Sardi», XXVII, 1986-1987, successivamente in Narrare un’isola. Lingua e stile di scrittori, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 41-67; nello stesso volume, Salvatore Cambosu: «Una stagione a Orolai», pp. 19-26; Le scelte espressive di Salvatore Cambosu da Il Carro a Miele amaro, in «La grotta della vipera», 66-67, 1994, successivamente in U. Collu, a cura di, Salvatore Cambosu tra due Sardegne cit., pp. 95-104.
27 M. Lai, in G. Cuccu, M. Lai, Le ragioni dell’arte. Cose tanto semplici che nessuno capisce cit., p. 19.
28 Nel 1980, Anna Dolfi presenta la mostra Scritture, alla galleria Arte Duchamp di Cagliari, successivamente riproposta allo Spazio Alternativo di Roma: «Sul filo, in qualche modo potrebbe giocarsi (e questa pare la scelta di Maria Lai fin dagli anni Sessanta) l’avventura della vita e della morte, della perdita e del riconoscimento d’identità, della possibilità stessa, ardua, difficile della comunicazione. Da traccia di esistenza, da cordone non interrotto col mondo primitivo, archetipo dell’isola natale, il filo si è fatto infatti per Maria sostituto intenzionale della scrittura, quasi traccia che conduce ai margini della babele linguistica, a latere degli intrecciati sentieri borgesiani, a una nuova diversa comunicabilità».
29 M. Picciau, I libri, i percorsi, in M. Picciau, a cura di, I libri di Maria Lai cit., p. 11.
30 Ivi, pp. 16-17.
31 Il termine viene qui utilizzato con riferimento specifico all’apparato concettuale e metodologico proposto da L. Hutcheon, A Theory of Adaptation, London, Taylor & Francis, 2006 (traduzione italiana a cura di G.V. Di Stefano, Teoria degli adattamenti. I percorsi delle storie fra letteratura, cinema, nuovi media, Roma, Armando Editore, 2011).
32 M.E. Ciusa, M. Bua, M. de Candia, F.A. Zaru, A matita: disegni di Maria Lai dal 1941 al 1985 cit., passim. Nello stesso volume si vedano anche i ritratti di Salvatore Cambosu.
33 Mostra a cura di Antonello Cuccu. Presentazione di Giuseppina Cuccu.
Simona Campus, Storie intrecciate di arte e letteratura nelle opere di Maria Lai, Oblio, Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca, Anno II, 8, 2012

Maria Lai, Geografia (2008; stoffa, legno, acrilico, spago e filo; Lanusei, Archivio Maria Lai) – Fonte: Finestre sull’Arte cit.
Maria Lai, Senza titolo, 1991. Collezione privata. Photo credit Giorgio Dettori. Courtesy Archivio Maria Lai ©Archivio Maria Lai by SIAE 2019 – Fonte: www.artribune.com

[…] Nonostante gli anni sessanta siano un periodo di intense collaborazioni, Maria Lai sente emergere una sempre maggiore distanza dagli ambienti artistici e una più profonda vicinanza con gli ambiti della letteratura e della poesia, attraverso la frequentazione di autori come Giuseppe Dessì, che ricopre un ruolo fondamentale nella formazione dell’artista, facendole riscoprire il valore delle leggende e della storia della Sardegna. Da questo momento la relazione con le tradizioni della sua terra diventa centrale nel lavoro dell’artista, in un impianto concettuale di matrice antropologica: accanto al disegno, infatti, la sua produzione si arricchisce di soggetti e di materiali vicini a una cultura millenaria e popolare, come nel caso delle sculture di pane, in sé un prodotto deperibile e povero, legato alla quotidianità e al lavoro femminile.
Durante il corso degli anni settanta l’artista realizza inoltre una serie di opere centrali per lo sviluppo del suo linguaggio: i cosiddetti Telai, opere in cui pittura e scultura si incontrano e nelle quali la tradizione millenaria della tessitura si apre a nuove potenzialità compositive. La struttura stessa del telaio, i filati e la disposizione della trama e dell’ordito sono tutti elementi che l’artista interpreta e rielabora con assoluta libertà compositiva, evocando così l’intimità e la cura quotidiana di un mondo di gesti femminili, e producendo opere in cui astrazione e paesaggio, colore e materia, gesto e composizione si fondono tra loro.
Per quanto i Telai siano opere tridimensionali raramente esse abbandonano la dimensione del quadro, come nel caso di Ricucire il mondo (2008), l’opera presente nella collezione del Madre: in questa, come in altre opere, la tecnica e gli strumenti della tessitura sono trasformati in un linguaggio formale che dialoga idealmente con le esperienze di artiste come Anni Albers, Louise Bourgeois e Greta Bratescu.
Le Geografie e i Libri sono le serie cui l’artista si dedica dalla fine degli anni settanta: nel caso delle prime il racconto è organizzato intorno ad ampie composizioni realizzate con stoffe e ricami che rappresentano pianeti, geografie e costellazioni immaginarie, mentre i Libri rappresentano uno degli aspetti più noti della produzione dell’artista (che, nel 1978, presenta l’ormai celeberrimo Libro Scalpo alla Biennale di Venezia), di cui l’opera La leggenda del Sardus Pater (1990), esposta nella collezione del Madre, è uno degli esemplari più importanti.
Qui il legame tra tessitura, ricamo e scrittura diventa intenso e profondo, l’eco di una relazione antica che evoca gli albori della narrazione. In tutta l’opera di Maria Lai il gesto della tessitura diventa una meditazione condotta in solitudine, una riflessione intima sul senso della comunità, della storia e della tradizione, il tentativo poetico di ricostituire un legame tra un passato arcaico e un presente in cui la memoria e la sua trasmissione appaiono perdere valore.
L’istanza comunitaria, relazionale e memoriale trova una summa negli interventi ambientali dell’artista, come in occasione di Legarsi alla montagna (Ulassai, 1981), opera-azione che univa letteralmente un’intera comunità attraverso esili fili colorati, commentando la quale il critico Filiberto Menna scrisse: “è stato l’intero paese a ricostruire una rete di relazioni legando casa a casa, porta a porta, finestra a finestra e soprattutto persona a persona […] qui, l’arte riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto…”.
Redazione, Collezione Maria Lai, Museo Madre Napoli