Un artista di Bordighera alla guerra in Etiopia

Giuseppe Balbo in divisa – Fonte: © Archivio Balbo 2018

[n.d.r.: seguito di questo articolo]

11 giugno 1940
Il mio plotone deve andare in distaccamento a presidiare il fortino Fanni della cinta di fortificazioni di Addis Abeba. Il tenente è comandato altrove. Ci accompagna un sottotenente. Il sottufficiale si ammala subito e, prima di sera, mi sorprendo a comandare un plotone del Genio zappatori e un fortino.
E se vengono i ribelli? Mi consulto con gli amici. Faremo le cose per bene. Armi: 91 fucili. Comincio col rancio. Abbiamo i viveri in natura. Io aggiungo venticinque lire al giorno per il miglioramento. E ora lavoriamo, per salvare la pelle. Sentinelle e sbarazziamo il terreno dagli eucaliptus che possono favorire l’avvicinamento dei ribelli. E lontani gli indigeni, anche e soprattutto le donne. I ragazzi ci stanno.
12 giugno
Siamo in guerra. La prima notte di presidio è passata. Pochi di noi hanno dormito. E’ un affare in famiglia. Il cambio delle sentinelle, le ispezioni. Così concepisco la guerra in Africa. Tutti d’accordo per salvare i coglioni! Non dormo perché temo che le sentinelle siano capaci di sparare anche a chi gli dà la parola d’ordine..
13 giugno
Tutto a meraviglia. Si sta disboscando intorno a noi. Gli uomini hanno per di più il coraggio di rinviare le “sciarmutte” [nota di Marco Balbo: termine usato dagli Italiani, durante l’occupazione delle colonie dell’Africa orientale e settentrionale, per indicare le prostitute indigene ] che si avvicinano. Che pacchia poterne infilare qualcuna nel fortino che potrebbe aiutarci a far cucina. Ma rinunciano sospettosi e le fanno allontanare con gentilezza lasciandogli i sensi appresso.
Ottimo il rancio e si comincia a dormire bene a turno sicuri che chi veglia ci protegge bene.
18 giugno
Sto passando giorni bellissimi al fortino. Devo essere ingrassato. Ma ce ne sarà per poco. Stamane son stato chiamato al comando. E’ venuto a sostituirmi il sergente Iorio. Gli lascio gli uomini con rammarico. Anche per loro è finita.
Al Comando mi informano che, dati gli studi che ho fatto sono obbligato a fare un corso ufficiali il “306” che inizierà a giorni. Faccio la domanda e sento il brivido della vertigine.
Resto a casa. Non ho ancora licenziato Tesfai. Egli resta sempre a guardia. Dormo in villa la notte. Sono svegliato da un fruscio. Sorrido al pensiero che la bella signora europea che è a fianco riceverà qualcuno in assenza del marito. Ma sobbalzo sulla brandina. Non è così. Cercano di forzare la porta della mia camera. Accidenti. Al buio ritrovo il 91. lo armo e metto la pallottola in canna. Con un maledetto rumore di ferraglia. Passi strusciano rapidi intorno la casa. Dalla finestra nel chiaro di luna scorgo uno sciamma [nota di Marco Balbo: la toga, fatta di cotone, indossata ugualmente da uomini e donne] che fugge e svanisce nell’oscuramento di guerra.
Dovrò pensare a smobilitare le collezioni e le cose che mi stanno a cuore. Per ora dirò a Tesfai di dormire nella villa.
Giugno
I giorni passano in lavori stradali, opere varie un po’ d’istruzione. In attesa. Nulla di accelerato, di importante, di formativo per dei soldati che dovranno fare la guerra. I genieri non sono contenti delle mostrine dei granatieri di Savoia. Loro sono del genio – dicono – e, malgrado le spiegazioni degli ufficiali, continuano a brontolare.
Rivedo Nasia ogni tanto. Vado ancora qualche volta a mangiare in ristoranti conosciuti. Poi avverto come i borghesi tengono lontani i militari e poco a poco mi ritrovo nelle bettole dei soldati. Il fascismo non ha cambiato niente. La guerra ancora meno. Altro che prestigio! La divisa allontana sempre. Si comincia a parlare di imboscati. È considerato un fesso chi è soldato.
Non si risente ancora penuria di viveri. I generi non hanno ancora subito rincaro. Strano. Le notizie di guerra sono sempre buone. Quelle dell’alleato. Io sento dalla radio quanto succede dalle mie parti. Un treno blindato si fa colpire alla Mortola [zona di Ventimiglia (IM), al confine con la Francia]. Suicida! Le popolazioni sgombrate. Sfollamento, bombardamenti. Poi l’armistizio. Mi immagino il mio paese [Bordighera (IM)] in confusione. I nipotini?
Luglio
Accantonamento. Ogni tanto piazza d’armi. Ci si ritrova diversi battaglioni. Genio alpini, bersaglieri, granatieri. Poco a poco l’istruzione si fa seria si fa dura. Gli ufficiali, quasi tutti richiamati non sanno che fare. Non sono aggiornati su niente, nemmeno sul saluto. Poi si fa vedere un generale. È duro. Vuole la testa alta e vuole che si batta il piede sinistro sul colpo di tamburo, quando suona la banda militare. E la fa suonare fino a far scoppiare i suonatori. Raduna spesso gli ufficiali. Superiori e subalterni. Li inquadra vicino alla banda e fa intonare una marcia. Al colpo di grancassa tutti devono battere il piede sinistro.
Col mio plotone e la mia squadra faccio miracoli. C’è poco da nascondersi. La piazza è vastissima, liscia come un biliardo; ma trovo sempre modo di non fare sfacchinare i miei.
Un bel giorno il generale viene a trovarci all’accantonamento. Buono buono con un pancione voluminoso come un contrabbasso. Non fa complimenti. Raduna il battaglione dice che siamo delle merde e se ne va. Niente di cambiato. Schifo!
Episodi. Gennaro un battirame infermo. Monta di sentinella. Sulla strada non deve passare nessuno. Ma ci capita un colonnello. Vuole passare. Gennaro niente. O te ne vai o ti sparo. Manco a dirlo gli arriva l’elogio e un premio in denaro.
Mi dà a pensare. Che forse i comandi ci vorrebbero tutti uguali a Gennaro?
16 luglio
Son stato d’ispezione: son montato ieri sera un po’ nervoso. E’ la prima volta. Sento responsabilità. Durante la notte una iena brontola proprio accanto al corpo di guardia. Verso le quattro un indigeno resta impigliato nei reticolati. E’ la sua paura che vi è restata agganciata.
Luglio
Si cominciano ad avvertire i primi sintomi. Qualche genere comincia a scarseggiare. Cominciano a girare le prime auto a gas. Fornelli di carbone del tutto primitivi. Ma vanno. Sono i benefici dell’autarchia. Tipi di bagarini stanno appollaiati in Piazza Vittorio come avvoltoi in attesa della preda. Ci guardano con occhi vuoti. Si parla di azioni nel Somaliland, girano militari con speciali uniformi. Bandoliere gialle, fondine gialle, pistoloni, teschi.
In tutta segretezza tutti sanno che fanno parte di un corpo di 300 volontari che saranno condotti dal console Bonaccorsi alla conquista di Aden con un colpo di mano. Molti ci lasceranno la pelle. Quindi si prendono un anticipo di gloria.
Arrivano notizie dal Somaliland. Conquistato. Le truppe inglesi son scappate come lepri. Nemmeno un prigioniero. Berbera e Zeila sono nostre.
Assisto al trionfo del colonnello Lorenzini. In piazza 5 Maggio. E’ circondato dalle sue truppe. Barbetta brizzolata. Occhiali d’oro a stanghetta. Tutto il contrario del conquistatore. Siamo tutti leoni.
10 Agosto
E’ domenica. Siamo all’accantonamento a poltrire. Si sente rumore di motori. Una formazione un po insolita gira per Addis Abeba. Poi cominciano gli scoppi le esplosioni; si levano colonne di fumo laggiù verso il campo di aviazione. Confusione in tutto il battaglione. Poi il tenente cerca di mettere ordine prende il comando. “ Tutti fuori col fucile! ”. Ci troviamo intorno all’accantonamento, fra gli eucaliptus col 91 fra le mani. E’ la nostra antiaerea. Vediamo levarsi un nostro caccia. Sparisce alla nostra vista . Gli inglesi se ne vanno calmi.
Ancora ieri il generale comandante dell’aviazione aveva dato assicurazioni che gli inglesi non potevano arrivare ad Addis Abeba.
14 Agosto
Un caso di tifo petecchiale. E’ colpito il furiere. Arde di febbre nella tenda. E se qualche pidocchio si fosse preso confidenza anche con me? Il malato è prelevato. Disinfestazione generale. Quarantena. Per quanto?
Agosto
Siamo isolati e lo saremo forse per venti trenta giorni.
[seguito di questo articolo]
Giuseppe Balbo, Diario di guerra 2: al Fortino, pubblicato da Marco Balbo in © Archivio Balbo 2018 il 28 gennaio 2018