Sull’artista Filiberto Sbardella

Filiberto Sbardella, La risaia, 1969 (presso Museo Sandro Pertini di Savona) – Fonte: arteoggiblog.wordpress.com

Filiberto Sbardella (Palestrina, 30 ottobre 1909 – Roma, 28 dicembre 1983) nasce come pittore: già a 14 anni entra nello studio del maestro orientalista Gustavo Simoni, e poi di Tito Venturini Papari. Dopo aver vinto a Firenze il Primo premio al concorso di pittura l’acquerello, dal 1929 inizia ad esporre le sue prime mostre, collettive e personali a Roma, San Remo, Pesaro, Savona. Sposa Franca Mocchi (dalla quale ha un figlio, Giovanni) e si trasferisce a Milano. Partecipa alla VI e VII Triennale di Milano, e alla XX Biennale di Venezia. Realizza importanti opere musive nel Tempio dei Caduti a San Pellegrino Terme e nella Chiesa di Graffignana, si diploma all’Accademia di Brera, e collabora con la Scuola di arazzeria di Esino Lario, costruendo così un’attività frenetica e prolifica; subisce gli influssi di artisti come Sironi, Carrà, Guttuso, Modigliani, riuscendo a creare e mantenere un suo stile personale, apprezzato dal pubblico e dalla critica.

Tuttavia, nel 1943-44 l’attività artistica di Filiberto Sbardella vede una brusca interruzione. Il fratello Mario lo richiama a Roma per aderire alla lotta partigiana e Filiberto, giunto nella Capitale, diviene uno dei comandanti di Bandiera Rossa, famigerato movimento di liberazione nonchè la più grande forza partigiana nella Roma occupata. Negli anni successivi lo vediamo esporre in nuove mostre, una delle quali dedicata ai suoi compagni trucidati alle Fosse Ardeatine, e intitolata “24 marzo 1953”.

Ma Filiberto è anche uomo di cultura, fonda e scrive su riviste come Tecnè, Movimento Nuovo e Voce Partigiana, frequenta amici del calibro di Sandro Pertini, Renato Guttuso, Guido Piovene, Maurizio Lanza, Raul Ricciardi, Riccardo Freda, Giò Ponti, Marcello Gallian, Aligi Sassu, Mario Sironi, Piero Fornasetti, Gianpaolo Lazzaro, Carlo Pagani, Carlo Lizzani, Cesare Gatti, Giuseppe De Santis, Mario Nascimbene, Antonio Valente, Bruno Begnotti, con cui spesso collabora anche professionalmente. Nel 1954 è scenografo per il film Teodora imperatrice di Bisanzio.

Alcune opere e documenti dell’artista sono esposte e presenti presso il Museo del 900 di Milano, il Museo Sandro Pertini di Savona, gli archivi dell’Accademia di Brera a Milano, della Triennale di Milano, della Biennale di Venezia, delle Diocesi di Bergamo e Palestrina, delle Università di Pavia, e Tor Vergata di Roma.

LE MOSTRE PIU’ IMPORTANTI:

1923 – Firenze – Mostra L’acquarello (collettiva: I premio)

1928 – Roma – Galleria Angelelli (personale)

1929 – Roma – Palazzo dell’Augusteo – Mostra di Fiamma (personale inaugurata il 19 maggio)

1929 – Milano – Galleria Barbaroux e Gian Ferrari (personale)

1933 – Milano – Galleria Milano (con G. Lazzaro, mesi di aprile e maggio)

1933 – Garegnano – Certosa di Garegnano (personale, mesi di giugno e luglio)

1933 – Milano – Palazzo della Permanente – IV Mostra del Sindacato regionale Fascista delle Belle Arti (collettiva, dal 1 al 31.03)

1934 – Pesaro – Palazzo Reggiani – II Mostra Interprovinciale d’Arte Marchigiana (collettiva)

1934 – Milano – Mostra per la V Fiera del Libro Cattolico (collettiva)

1936 – Milano – Palazzo della Permanente – VII Mostra del Sindacato regionale Fascista delle Belle Arti

1936 – Venezia – XX Biennale (collettiva)

1936 – Milano – VI Triennale (collettiva)

1936 – San Remo – Villa Comunale – I Mostra dei bozzetti di pittura e scultura (collettiva)

1939 – Milano – Mostra Sindacale (personale)

1939 – Milano – Galleria Gian Ferrari (con G. Lazzaro, mese di aprile)

1940 – Milano – VII Triennale (collettiva, dal 6 aprile al 9 giugno – Medaglia d’oro e I ° premio)

1941 – Milano – Galleria Gian Ferrari – Rassegna del bianco e nero (personale, mese di giugno)

1941 – Milano – Galleria Grande – Mostra del fiore (collettiva, nel mese di giugno)

1942 – Milano – Galleria Geri – Mostra arazzi della scuola di Esino Lario (collettiva, dal 9 al 24.05)

1950 – Roma – Circolo Gobetti (collettiva, mese di maggio)

1951 – Roma – VI Quadriennale (collettiva)

1953 – Roma – Ridotto dell’Eliseo – Mostra in occasione del “Convegno delle ragazze” (collettiva, mese di febbraio)

1953 – Roma – Galleria Il Pincio – Mostra “24 marzo 1953” (personale, mese di marzo)

1953 – Roma – Galleria Il Pincio (collettiva, mese di luglio)

1953 – Roma – Festa dell’Unità: Mostra “dell’al di qua” (collettiva, mese di ottobre)

1953 – Roma – Ass.ne Artistica internazionale via Margutta – I Mostra Sindacale Provinciale Romana (collettiva)

1954 – Venezia – XXVII Biennale (collettiva)

1955 – Roma – Galleria La Cassapanca (personale, mese di gennaio)

1957 – Milano – Galleria Schettini (personale, dal 7 al 21.11)

1973 – Parigi – Palais du Louvre – nella mostra “1928/1973 Domus: 45 ans d’architecture design art” (dal 31.05 al 23.09)

1998 – Milano – Biblioteca Nazionale Braidense – nella mostra “Ti saluto e vado in Abissinia” (dal 13.03 al 11.04)

2020 – Latina – Casa del Combattente – “Filiberto Sbardella, la terra è di chi la coltiva” (dal 22.02 al 01.03)

2020 – Latina – Museo della Terra Pontina – “Filiberto Sbardella, la terra è di chi la coltiva” (dal 22.02 al 30.11)

2020 – Viterbo – Circolo ARCI “Il Cosmonauta” – “Filiberto Sbardella, la terra è di chi la coltiva”, nella 16° edizione Festival RESIST 2020 (mostra virtuale, dal 24.04 al 01.05)

2020 – Cervia – I Magazzini del Sale – nella III Edizione de “I MiIle di Sgarbi” (collettiva, dal 03.07 al 12.07)

2020 – Latina – Museo della Terra Pontina, in mostra per l’evento “I Borghi al Centro” (il 18.09)

2020 – Latina – Museo della Terra Pontina, in mostra per l’evento “Giornate Europee del Patrimonio” (il 27.09)

2021 – Guidonia Montecelio – Piazza G. Matteotti – “Filiberto Sbardella, la terra è di chi la coltiva. 25 Aprile” (25.04)

Pasquale Biagio Cicirelli –  arch. Claudio Gatti, Filiberto Sbardella tra pittura scultura mosaico e cinema, www.filibertosbardella.com  Filiberto Sbardella

 

Filiberto Sbardella, Il regista e gli elementi a sua disposizione, 1939 – Fonte: Pasquale Biagio Cicirelli, art. cit. infra

Conversando con l’amico architetto Claudio Gatti, un paio di anni fa, ascoltavo come per lui fosse stato fondamentale – per la sua formazione e la scelta professionale – aver incontrato e conosciuto Filiberto Sbardella. Attraverso i suoi racconti, Claudio mi diceva di come da ragazzino gli capitava spesso di imbattersi in questo esuberante amico di famiglia dalla forte personalità. Sono state proprio queste conversazioni e queste parole piene di entusiasmo ad aver generato in me la forte curiosità su Sbardella: il suo apporto personale all’arte e alla politica italiana del 900 – prima con la pittura, la scultura e il mosaico, poi dopo l’armistizio con la Resistenza, e nel dopoguerra con l’architettura – era troppo importante per restare nell’ombra. Iniziammo così una vera e propria fase di ricerca presso archivi storici, librerie antiquarie, fondazioni, biblioteche universitarie, riportando alla luce opere e avvenimenti fondamentali per la ricostruzione della vita di questo personaggio, che dopo aver dedicato la prima metà della sua vita alla pittura, negli anni ’50 compie un viraggio verso la sua seconda passione, l’architettura.
Sbardella infatti (Palestrina, 30 ottobre 1909 – Roma, 28 dicembre 1983) nasce come pittore: già a 14 anni entra nello studio del maestro orientalista Gustavo Simoni, e poi di Tito Venturini Papari. Dopo aver vinto a Firenze il Primo premio al concorso di pittura l’acquerello, dal 1929 inizia ad esporre le sue prime mostre, collettive e personali a Roma, San Remo, Pesaro, Savona, Milano, dove poi si trasferisce per diversi anni. Partecipa alla VI e VII Triennale di Milano, e alla XX Biennale di Venezia. Realizza importanti opere musive nel Tempio dei Caduti a San Pellegrino Terme e nella Chiesa di Graffignana, si diploma all’Accademia di Brera, e collabora con la Scuola di arazzeria di Esino Lario, costruendo così un’attività frenetica e prolifica; subisce gli influssi di artisti come Sironi, Carrà, Guttuso, Modigliani, riuscendo a creare e mantenere un suo stile personale, apprezzato dal pubblico e dalla critica.
Tuttavia, nel 1943-44 l’attività artistica di Filiberto Sbardella vede una brusca interruzione. Il fratello Mario lo richiama a Roma per aderire alla lotta partigiana e Filiberto, giunto nella Capitale, prendendo contatti con il gruppo di Ezio Malatesta, Raffaele De Luca, Orfeo Mucci, Aladino Govoni, costituisce il famigerato movimento di liberazione Bandiera Rossa, la più grande forza partigiana nella Roma occupata. Negli anni successivi aderisce all’ANPI e al PCI, e abbandona quasi definitivamente la pittura, forse troppo legata ad un’epoca lontana, quella di regime, che ovviamente non gli corrisponde più. Lo vediamo esporre infatti in poche altre mostre – una delle quali dedicata ai suoi compagni caduti e intitolata “24 marzo 1953” – e intraprendere invece in maniera quasi totalizzante l’attività di progettista per importanti opere private e pubbliche in Italia e all’estero.
Ma Filiberto è anche uomo di cultura, fonda e scrive su riviste come Tecnè, Movimento Nuovo e Voce Partigiana, frequenta amici del calibro di Sandro Pertini, Renato Guttuso, Guido Piovene, Maurizio Lanza, Raul Ricciardi, Riccardo Freda, Giò Ponti, Marcello Gallian, Aligi Sassu, Mario Sironi, Piero Fornasetti, Gianpaolo Lazzaro, Carlo Pagani, Carlo Lizzani, Cesare Gatti, Giuseppe De Santis, Mario Nascimbene, Antonio Valente, Bruno Begnotti, con cui spesso collabora anche professionalmente. Nella capitale degli anni ‘50 inizia a lavorare ai primi progetti, e nei 20 anni successivi lo vediamo realizzare dimore private e opere pubbliche da Roma a Formello, da Castiglioncello ad Ariccia e Pesaro, da Milano a Sòfia, Livorno, Chianciano Terme, Colleferro. Pur subendo le influenze dei grandi architetti come Lloyd Wright, Perret, Nervi, Ponti, Le Corbusier, anche in questo ambito riesce a maturare una propria personale visione della materia che esprime nelle sue realizzazioni, nelle quali si percepisce la sua propensione per gli ambienti e spazi aperti, che si rapportino in maniera funzionale e omogenea con la natura e l’uomo. Filiberto Sbardella, uomo del Novecento, scompare nei primi anni ’80, dopo una vita piena di esperienze, incontri, viaggi, passioni. Si potrebbe dire anzi, che ha vissuto più vite, lasciandoci in eredità non solo la sua arte, ma anche i suoi valori, il suo senso della vita. E proprio per questo, a 110 anni dalla sua nascita, abbiamo deciso di omaggiarlo così, provando a dargli il riconoscimento che merita, attraverso il suo primo amore: la pittura. (www.filibertosbardella.com)
[…] “Ricco fin da ragazzo di un temperamento pittorico nativo, fortissimo, quasi di un istinto addirittura, attraverso le esperienze sempre approfondite e sofferte, Sbardella mantiene i suoi caratteri, di più, con la sua personalità: non dubito che in breve essa potrà affermarsi molto bene”. (Leonardo Borgese, 1933) “Ho visitato la Triennale con quella specie di interesse naturale alle persone che vivendo della fatica dell’arte, intendono il febbrile travaglio che questa grande esposizione è costata. Carpanetti, Salietti, Morelli, Sbardella, offrono saggio delle loro attitudini stilistiche, ma non si può affermare che siano tutti in egual modo riusciti questa volta persuasivi. Il maggior impegno con cui hanno assunto le responsabilità si ritrova nelle composizioni di Carpanetti e di Sbardella, per quanto abbiamo potuto constatare nell’affresco di Enzo Morelli e nel pannello di Adriano Spilimbergo accenni di un gusto fine e coltivato”. (Carlo Carrà, 1936)
“Uno dei più notevoli tra i molto giovani pittori che mirano alla vasta composizione e a un’alleanza stretta tra pittura e architettura: i quadri hanno una risolutezza, una franchezza, una solidità genuina, quasi una riserva di forza inespressa, che annunciano un pittore nuovo, con la sua predilezione per il colore puro, campito, senza impasto. Sbardella percorre una strada già sua, con un equilibrio che è solo dei classici. Pittore genuino, schietto, ambizioso, capace di andare lontano. (Guido Piovene, 1939) “Sfortuna vuole che manchino, per la sua piena documentazione, delle esaurienti fotografie della grande pittura di Filiberto Sbardella, difficile d’altronde da riprodurre. Questa prova, per chi lo conosce e lo segue, è un assoluto convincente progresso sulle sue opere precedenti, specialmente per materia e colore e risalto. Egli deve essere chiamato a nuovi cimenti e deve, d’altro canto, saper dare d’ora in poi una completa misura di sé, in opere in ogni centimetro vigilate e compiute, d’una misura che egli si senta d’abbracciare intera”. (Gio Ponti, 1940)
“I disegni di Sbardella sono ricerche che dimostrano una preparazione veramente seria. Niente opere più o meno di moda, ma studi severi per grandi composizioni di mosaici, oppure per tempere o per affreschi. Il mondo che esprimono è il mondo di origini. Sbardella ritorna alla natura quindi per comprenderla nelle sue leggi universali. Sbardella ama l’unità ed è fondamentalmente un arcaico. Sente l’arte come mito. Ha un suo mondo dove l’uomo con la sua forza è natura. L’espressione non si sovrappone al mondo, ma nasce in funzione di esso, senza eliminare così il valore psicologico, ma risolvendo in forma, in rapporto. Per questo la sua arte è mito. I suoi disegni non vogliono essere opere a sé: ma ricerche. (Guido Ballo, 1941)
[…] “La pittura è il suo naturale mezzo espressivo per rivelare una realtà sostanziata da un tumulto interiore, agitantesi nell’artista che come uomo è figlio del suo tempo. Sbardella, ostile alla formula Arte per Arte, ha cercato l’Arte per la Vita, l’orientamento fondamentale della sua umanità e socialità di artista. Vita e arte, uomo reale ed artista sono in lui un binomio che formano una seducente unità”. (Raul Ricciardi, 1957)
“Filiberto Sbardella merita un posto definitivo ed appropriato tra gli artisti e i progettisti tout court del suo tempo, uomo di fede, laica ma umanista, e umanitaria. Ci affascina e ci intride a meraviglia non solo la sua idea e pratica dell’Arte perfettamente commista alla Vita vera, ma anche la preoccupazione e la speranza per una Cultura non più iniziatica o classista, utilitaristica o peggio boriosa, altezzosa; ma, viceversa, evocata e invocata come cultura di oggi e dell’oggi”. (Plinio Perilli, 2019)
Pasquale Biagio Cicirelli, Il Novecento di Filiberto Sbardella, Diwali, novembre 2019

Fonte: vivere pesaro art. cit. infra

L’ipotesi ventilata nell’articolo apparso sul Resto del Carlino del 20 Nov. 2020 relativo al possibile abbattimento dell’edificio (risalente agli anni ‘60) di via Gramsci, attuale sede della provincia di Pesaro, ha sorpreso ed allarmato l’Ordine degli Architetti PPC di Pesaro e Urbino.
L’edificio è stato progettato dall’architetto Filiberto Sbardella (professionista ed artista di chiara fama nell’ambiente romano) e dall’ingegnere pesarese Leopardo Cioppi, riveste un ruolo importante tra le architettura degli anni sessanta nella città di Pesaro.
Di certo risultano peculiari le sue caratteristiche tipologiche e formali facendolo risaltare nel panorama degli edifici pubblici urbani. Un confronto che salta agli occhi è quello con il palazzo coevo della RAI di viale Mazzini a Roma, opera dell’architetto Francesco Berarducci. Si può notare la stessa cura per il basamento (staccato con elementi di appoggio in acciaio dalla struttura superiore), la soluzione di facciata in vetro continuo e il ricorso alle finestre a nastro.
Notevole lo studio planimetrico con la caratteristica forma ad ics. Interessante anche l’uso dei materiali come nel caso dei mattoni a vista che rivestono la base cilindrica che sembra rimandare ai torrioni della vicina Rocca Costanza. All’interno la sistemazione della sala del consiglio Provinciale, su progetto dell’architetto pesarese Celio Francioni, contribuisce a rendere pregevole l’edificio nella sua interezza.
La nostra opinione è che un’architettura di qualità merita ogni tentativo di conservazione anche attraverso un innovativo e magistrale intervento di messa in sicurezza per salvare uno dei migliori esempi della storia architettonica della nostra città.
da Ordine degli architetti PPC Pesaro-Urbino
Redazione, Sede della Provincia, un pregevole edificio da salvare, vivere pesaro, 27 novembre 2020