Su Milano calavan le bombe…

Per un affresco della Milano del ‘43 è preferibile agire retrospettivamente, a partire dal 1940. In tal modo si potranno cogliere maggiori dettagli e più approfonditi particolari che contribuiranno alla definizione del quadro storico creatosi negli anni successivi.
Il 10 giugno 1940 Milano risponde con tono scostante e freddo alla dichiarazione d’entrata in guerra dell’Italia, in contrapposizione alle calorose ovazioni del popolo romano. Un distacco già sintomo di preoccupazione e diffidenza, che non tarderà a consolidarsi già dai primi pesanti bombardamenti alleati. Con una inadeguata protezione antiarea, ed una cronica deficienza dei rifugi, la rovinosa incursione aerea del 24 ottobre del 1942 confermerà i timori della popolazione, sgretolando d’un colpo l’immagine “efficiente” del partito e seminando il panico fra le masse scarsamente preparate alla guerra totale e alla partecipazione diretta al conflitto. Alle prese con una inadeguata disciplina dell’annona, con le razioni previste dal tesseramento gradualmente ridotte sin dall’inizio della guerra, e con un costo della vita che diverrà altissimo dopo l’invasione tedesca contraendo il potere d’acquisto della popolazione, qualsiasi tentativo fascista di normalizzazione si dimostrerà inefficace. I cittadini milanesi rimproverano alle gerarchie fasciste della città l’inettitudine e la corruzione dei gerarchi locali. A ciò si aggiungono le troppe umiliazioni subite dalla città che era stata la culla del fascismo primogenito, capitale economica, politica e culturale della penisola e che per cause di forza maggiore aveva dovuto abdicare a favore del mito di Roma imperiale, non avendo saputo affermare nessuna personalità politica di rilievo né alcun gruppo politico. Di conseguenza, la cattiva gestione della città rifletteva la debolezza e gli elementi di scontro all’interno del Partito nazionale fascista.
Già da tempo l’opinione pubblica si dimostrava poco propensa a dare credito alla propaganda ed alla stampa di regime; la prova di ciò sta nella straordinaria diffusione dell’Osservatore Romano, con la popolazione maggiormente attenta ai bisogni ed alle necessità primarie e vitali più che agli improbabili risultati di un regime che avrà vita breve di lì a pochi anni.
A ciò si aggiunga un diffuso sentimento antitedesco nelle masse registrato dagli informatori e dalle spie di partito già dal 1940, con l’invasore non più visto come un alleato fedele, ma come un possibile nemico futuro da combattere. I larghi strati della popolazione diffidenti verso la guerra, mal celavano simili malumori e disappunti. Le testimonianze che giungevano dagli operai rientrati dalla Germania, dopo gli accordi italo-tedeschi del 1941 sull’invio di manodopera industriale italiana, riferiscono di privazioni e di violazioni del contratto, di vessazioni d’ogni genere. Spesso i prigionieri francesi e inglesi ricevono un miglior trattamento rispetto agli operai italiani motteggiati per gli insuccessi avuti dall’esercito italiano in Grecia e Cirenaica. E seppur con il contrasto delle maglie della propaganda fascista, queste testimonianze incominciano ad avere larga diffusione tra la stessa popolazione. Saranno gli scioperi del dicembre del ’43 a chiarire definitivamente qualsiasi incertezza alle masse e agli scioperanti, che riconosceranno nell’occupante il principale nemico contro il quale combattere, servendosi non solo di agitazioni e rivendicazioni di carattere prettamente economico/politico quali gli scioperi, ma armandosi e affrontando il tedesco che difende i suoi interessi e quelli padronali.
La classe imprenditoriale, d’altro canto, s’impegnava a difendere e rafforzare i propri margini di profitto, già proiettata pragmaticamente alla fine della guerra. L’eventuale egemonia economica tedesca in caso di vittoria dell’Asse tendente all’assorbimento dei mercati ed al controllo delle principali industrie italiane come il piano Funk prevedeva, aveva allarmato e spaventato gli industriali, non disponibili a convertirsi in puri fornitori di materie prime e derrate alimentari della Germania. Ed è in questo quadro che s’inseriscono i crescenti attriti nella diarchia di potere tra fascismo e corona, tra partito e Stato, sfociate nella clamorosa omissione da parte del federale milanese Ippolito nella cerimonia commemorativa di Arnaldo Mussolini il 21 dicembre 1941. Alla presenza di Mussolini e di Vittorio Emanuele, Ippolito dà il saluto al duce, omettendolo al re. Difficoltà mai sottaciute, nella convivenza di un potere che alla lunga finirà per implodere. <2
2 L. Ganapini, Una città, la guerra (Milano 1939-1951), Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 1-30
Giorgio Vitale, L’altra Resistenza. I GAP a Milano, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2008/2009