Silenzi sulla Resistenza Italiana

I percorsi che fecero i partigiani tra l’autunno del 1943 e l’estate del 1944 furono estesi e diversificati: dalle città, alle colline, fino alle montagne <1.
I siti di memoria, oltre un centinaio, dal Lazio al Piemonte, dalla Toscana all’Emilia Romagna, sono testimonianza di avvenimenti sia noti che dimenticati <2.
Da metà marzo del 1944, in particolare dopo l’attentato di Via Rasella a Roma, i nazisti diramarono ordini precisi di inasprimento della lotta contro le bande partigiane. Nella strategia dei comandi nazifascisti vi era il tentativo di colpire le azioni di Resistenza e contemporaneamente ricattare con rappresaglie la popolazione civile in caso di appoggio ai partigiani. Molte azioni furono condotte dalla truppe SS tedesche con l’appoggio della RSI, soprattutto in adiacenza della Linea Gotica, come anticipato precedentemente.
L’estate rappresentò il momento di massima espansione della Resistenza in Italia, con numeri e capacità operative che si distinsero anche in ambito europeo. Il 9 giugno fu istituito il Comando generale del Corpo Volontari della Libertà (CVL), mentre il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) assunse la funzione di Comitato di Liberazione per tutto il territorio occupato. Si stima che in quei mesi fossero attivi circa ottantamila partigiani nella Resistenza. Erano chiamati dai nazisti banditen, ovvero “ribelli”. Questi giovani occupavano le zone montane e collinari strategiche, conducendo azioni di attacco e di sabotaggio alle linee e alle vie di comunicazione.
Il movimento partigiano riuscì ad affermarsi come entità combattente contro i nazifascisti. Numerose aree del nord Italia furono liberate dagli occupanti. Queste aree furono definite “zone libere” <3.
L’attività partigiana e la forte espansione nel 1944 derivò dalla convinzione che fosse prossimo l’arrivo degli Alleati anche nell’Italia centro-settentrionale. Le operazioni strategiche furono rivolte all’occupazione di presidi e paesi, in modo da anticipare e accompagnare l’arrivo degli eserciti liberatori.
Il territorio emiliano-romagnolo divenne l’avamposto al fronte della Resistenza italiana. I partigiani impegnati sia sui valichi dell’Appennino che nell’area pedemontana della Linea Gotica, aumentarono sempre maggiormente, costituendo numerosi distaccamenti GAP e SAP in città e in pianura, e formando nuove brigate montane <4. Furono frequenti i sabotaggi e gli attacchi a colonne tedesche, gli assalti alle caserme e ai presidi di armi. La lotta aveva come obiettivo principale la rottura delle vie di comunicazione rotabili e ferrate per i nazifascisti, attraverso l’Appennino.
La costituzione delle “zone libere” mise in seria difficoltà i nazisti che quindi risposero con efferati eccidi. Tuttavia le azioni partigiane continuarono e poterono riunirsi con le forze Alleate per la Liberazione di tutta Italia.
[NOTE]
1 Ersilia Alessandrone Perona, Guerra regolare e guerra partigiana. Vicende e sorti dei monumenti nell’Italia repubblicana, in Nicola Labanca, Luigi Tomassini (a cura di), Forze armate e Beni culturali: distruggere, costruire, valorizzare, Unicopli, Milano 2007, pp. 215-228.
2 Gabriele Ronchetti, Le montagne dei partigiani. 150 luoghi della Resistenza in Italia, Mattioli, Fidenza (Parma) 2011, pp. 9-45.
3 Dante Livio Bianco, Guerra partigiana, Einaudi, Torino 1973.
4 Vasco Ferretti, Le stragi naziste sotto la linea gotica. 1944: Sant’Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Marzabotto, Mursia, Milano 2004.
Maria Vittoria Giacomini, Memorie fragili da conservare: testimonianze dell’Olocausto e della Resistenza in Italia, Tesi di dottorato, Politecnico di Torino, 2012

Come italiani e italiane siamo inseriti, dunque, in una discussione che è internazionale. Ma vi è una differenza che ci contraddistingue, e non di poco conto. All’interno del contesto europeo la Resistenza è un elemento costitutivo dell’identità nazionale, fondante di una tradizione comune, ed è indiscutibile. Tipici i casi della Francia, del Belgio, dell’Olanda – in cui pur si notano differenze interne (per la Francia, il problema di Vichy, della collaborazione di Stato e dell’antisemitismo autoctono) -, per i quali la Resistenza è incontestabile e il dibattito storiografico è maggiormente preso dai temi dell’esclusione del genocidio degli ebrei – per lunghi anni – dalla memoria e dalla storia nazionali. Non vi si discute la categoria di Resistenza, semmai chi deve entrarvi; come si deve leggere quel periodo comprendendo in esso la persecuzione e la deportazione e l’uccisione di tanti ebrei. E a cinquanta anni dalla fine della guerra ci si interroga, storiograficamente, su come si debba “demitizzare” la Resistenza senza tuttavia delegittimarla, su come rendere più complessa l’immagine della Resistenza e della Liberazione, rendendo semmai plurali quegli stessi termini e parlando, pertanto, di “Resistenze” e “Liberazioni” <7.
In questi paesi si è notata e lamentata «l’egemonia con cui i resistenti arrestati dominarono l’immagine trasmessa delle popolazioni dei campi di concentramento immediatamente alla fine della seconda guerra mondiale, e in particolare l’attenzione marginale dedicata agli ebrei vittime del genocidio»: una memoria, insomma, «dominata dai combattenti della Resistenza arrestati» <8.
Per l’Italia, anche questa considerazione sembra non valere: nel senso che, se la memoria non fu dominata dalle vittime del genocidio, essa non fu neppure dominata dalle vittime politiche dei campi di concentramento.
Donne della Resistenza, internate a Ravensbrück, al ritorno patirono l’ulteriore tragedia di non venire riconosciute né come vittime né come “combattenti della Resistenza” <9.
In Italia, dunque, la Resistenza – a differenza dagli altri paesi europei nord-occidentali – non ha acquisito quell’autorevolezza tale da renderla il luogo incontestabile del riconoscimento nazionale e le motivazioni di questo – a dispetto o in ragione del discorso ufficiale celebrativo – sono ancora da indagare in profondità, anche se negli anni Novanta si è cominciato a porre talune questioni e ad affrontare alcuni temi che, se coltivati, potranno conferire prime risposte.
[NOTE]
7 Si v. in particolare la presentazione di Françoise Thébaud (Résistances et Libérations, pp. 11-19) al primo numero della rivista “Clio. Histoire, Femmes et Sociétés” (1995), interamente dedicato a Resistances et Liberations: France 1940-1945 (ma si v. al proposito l’intero numero).
8 Cfr. P. LAGROU, Victims of Genocide and National Memory: Belgium, France and the Netherlands 1945-1965, in “Past & Present”, n. 154, febbraio 1997, p. 183.
9 Emblematico è il caso di Lidia Beccaria Rolfi, che si vide negato, con cavilli burocratici, dalle istituzioni dello Stato il ritorno nel suo luogo di lavoro di insegnante.
Dianella Gagliani, La guerra totale e civile: il contesto, la violenza e il nodo della politica in (a cura di) Dianella Gagliani, Elda Guerra, Laura Mariani, Fiorenza Tarozzi, Donne, guerra, politica. Esperienze e memorie della Resistenza, Quaderni di discipline storiche, 13, Università di Bologna, ISBN 88-491-1481-8, CLUEB Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna, 2000, Volume pubblicato con un contributo del Dipartimento di Discipline storiche e del Comitato regionale per le celebrazioni del 50° anniversario della Resistenza e della Liberazione – Emilia-Romagna

Le donne nella Resistenza Italiana rappresentarono una componente fondamentale per il movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo. Esse lottarono per riconquistare la libertà e la giustizia del proprio paese ricoprendo funzioni di primaria importanza.
In tutte le città le donne partigiane lottavano quotidianamente per recuperare i beni di massima necessità per il sostentamento dei compagni. Vi erano gruppi organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi ed organizzavano assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate anche nel mantenimento delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari.
Le donne che parteciparono alla Resistenza facevano parte di organizzazioni come i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP), e inoltre, fondarono dei Gruppi di Difesa delle Donne “aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica o religiosa, che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione”, per garantire i diritti delle donne, spesso diventate capifamiglia, al posto dei mariti arruolati nell’esercito.
Dall’interno delle fabbriche (dove avevano preso il posto degli uomini impegnati in guerra), organizzarono scioperi e manifestazioni contro il fascismo (Addis Saba 2003).
Secondo i dati dell’Associazione nazionale partigiani italiani (ANPI 2005), le appartenenti ai Gruppi di Difesa della Donna, fondati a Milano nel 1943, furono circa 70mila. Le partigiane 35mila. Di queste, quasi tremila furono fucilate o caddero in battaglia, 2750 furono deportate in Germania, e 4.653 arrestate e torturate dai fascisti e nazisti. 15 donne hanno avuto la medaglia d’oro al valor militare <4.
4 Sul ruolo delle donne nella Resistenza, cfr. ad es. Bruzzone Anna Maria, Farina Rachele, La resistenza taciuta, La Pietra, Milano, 1976.
Anna Rita Sarao, Il protagonismo delle donne italiane per la crescita del paese, Tesi di dottorato, Università di Siviglia, 2016

Nella storiografia della Resistenza c’è stato poco spazio per l’opera delle donne, soprattutto se questa si era allontanata dalla specificità delle operazioni maschili; infatti l’opera delle donne fu in gran parte costituita da azioni non armate, spesso autonome da partiti o organizzazioni, non costanti nel tempo, non collegate fra loro. Resistente è considerato il combattente o il militante di partito, una visione che ha messo in secondo piano l’opera dei civili, sostenitori del movimento partigiano, ma disconosciuta non essendo orientata a fini militari o politici <92
La guerra non si combatte solo con le armi e la politica, non è solo quella organizzata.
A questo proposito, alcuni storici hanno introdotto la categoria di “Resistenza civile” <93, che permette di comprendere e descrivere la lotta di tante donne contro il potere degli occupanti e in difesa della vita. Ciò che spinse queste donne ad esporsi ed a collaborare con la Resistenza, fu l’orrore per una guerra che aveva travolto la vita privata e la quotidianità, recando miseria, morte ed oppressione straniera. Per molte la guerra fu un trauma esistenziale che portò ad una maturazione interiore e ad una istintiva presa di coscienza antifascista. Il rifiuto della guerra significava un materno rispetto della vita, valore specifico dell’animo femminile. Dopo l’8 settembre si ebbe una chiara testimonianza del “Maternage di massa”, forma specificatamente femminile di “Resistenza civile” <94: “Il fenomeno”, scrive Anna Bravo, “riguarda tutta l’Italia occupata e suggerisce non tanto una pietà indifferenziata, quanto la disponibilità femminile nei confronti di un destinatario ben determinato, il giovane maschio vulnerabile e dipendente che si rivolge in quanto tale alla donna come ad una figura forte e protettiva, vale a dire a una madre” <95. Determinante per alcune donne è stata l’influenza di un ambiente familiare e sociale antifascista, la famiglia, la fabbrica, gli amici. Nacque così l’impegno nei C.L.N. locali, il lavoro come staffette, la militanza nei G.A.P.-S.A.P. e nei G.D.D.
[…] Ada Tommasi De Micheli fu una delle tre donne Italiane medaglia d’oro della Comunità Ebraica. Durante la guerra Ada Tommasi soggiornava a Sormano, dove in collaborazione con il parroco Don Carlo Banfi prestava soccorso agli ebrei. Continuò la sua opera anche dopo l’arresto in Svizzera di Don Carlo; gli ebrei venivano da lei portati nello scantinato della parrocchia e poi accompagnati in Svizzera. Ne salvò una trentina finché fu arrestata con il marito, il critico d’arte Mario De Micheli, per mandato del Questore di Como, Pozzoli, e del capo della polizia, Saletta. Interrogati per un’intera giornata dalle SS, furono infine rilasciati <97. Nel 1982, Ada Tommasi e Mario De Micheli ricevettero il riconoscimento di “Giusti tra le nazioni” dallo Yad Vashem (Israele) <98.
[NOTE]
92 Cfr. Cairoli Roberta, Nessuno mi ha fermata. Antifascismo e Resistenza nell’esperienza delle donne del Comasco 1922-1945, Ed. Nodo Libri 2005, p.69;
93 Per la definizione della categoria di “Resistenza civile”, Cfr. Semelin Jacques, Senz’armi di fronte a Hitler. La Resistenza civile in Europa 1939-1943, Ed. Sonda, Torino 1993 (Ed. orig. 1989) e anche Cfr. Todorov Tzvetan, Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Ed. Garzanti, Milano 1995; per l’applicazione di questa categoria alle azioni femminili, Cfr. Bravo Anna – Bruzzone Anna Maria, In guerra senza armi, Laterza, Roma-Bari 1995;
94 Cfr. Bravo Anna – Bruzzone Anna Maria, op. cit., p.17;
95 Ibidem;
97 Cfr. Archivio Storico del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano, cart. 9, b. 9/2, Riconoscimento a benemeriti nell’opera di soccorso, s.d., foglio s.n.;
98 Yad Vashem, l’ente nazionale per la memoria della Shoah, è stato istituito nel 1953 con un atto del Parlamento israeliano. Ha il compito di documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante il periodo della Shoah, preservando la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime – per mezzo dei suoi archivi, della biblioteca, della Scuola e dei musei. Ha inoltre il compito di ricordare i Giusti tra le Nazioni, che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah. Cfr. AA.VV., Nuova Storia Universale-Dizionario di Storia, Vol. 4, Ed. Garzanti, Torino 2004;
Laura Bosisio, Guerra e Resistenza in Alta Brianza e Vallassina, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2008-2009