Se qualcuno fosse stato visto allontanarsi o qualcuno fosse mancato all’appello, sarebbero stati ritenuti partigiani dai tedeschi

Gena Alta, Frazione, abbandonata, di Sospirolo (BL)

Era una mattina come tutte le altre a Gena Alta. Alcuni giorni prima di quel fatidico 18 novembre 1944 aveva abbondantemente nevicato, costringendo la maggior parte degli uomini del posto a rimanere dentro casa. Faceva freddo e da qualche giorno si vociferava tra i paesi a valle e tra le Gene che i tedeschi avrebbero bruciato Sospirolo, perché alcuni partigiani avevano rapito un componente del loro reparto.
Si sospettava che anche la frazione di Mis sarebbe stata presa in considerazione per una rappresaglia, così gli abitanti avevano svuotato le loro abitazioni per salvare i loro averi dalle fiamme.
Ma quel giorno Sospirolo (BL) e Mis non vennero colpite. Le truppe tedesche sapevano dove recarsi: tra le montagne della Lorezza c’era un covo di partigiani. I soldati, una trentina di individui, erano soprattutto altoatesini. Purtroppo sia la totale mancanza di fonti documentarie che le informazioni poco precise a riguardo non mi hanno permesso di sapere mai con esattezza di che corpo militare facessero parte, ma alcuni intervistati nominarono le SS, facendo supporre che i soldati in questione appartenessero alle Waffen-SS <113.
Arrivarono a Gena percorrendo la mulattiera innevata, alcuni a piedi e altri con delle camionette. Erano partiti dal presidio di Mas di Sedico (BL), circa alle sette e quaranta del mattino.
Maria Tormen, nata a Limana nel 1923, quel giorno assistette al loro passaggio: “Io sono nata a Limana (BL) ma ricordo il 18 novembre 1944 come fosse ieri, e per un motivo ben preciso! Perché io avevo i parenti al Mas, i Fant. Poco dopo dovevo sposarmi ed ero andata a Maras (frazione di Sospirolo) a prendermi il vestito da sposa in bicicletta assieme al mio futuro marito. Quando stavamo ritornando verso casa, all’altezza della località Casoni (BL), abbiamo sentito degli spari e ci siamo spaventati. Assieme ad altre persone che erano lì ci siamo tutti gettati a terra in preda al panico. Non volevo più muovermi ma ricordo che un signore che era lì ci ha incoraggiato ad andarcene verso casa temendo l’arrivo dei tedeschi. Fu così che ripartimmo… e poco dopo li incontrammo davvero! E secondo me arrivavano dalla caserma di Mussoi (una frazione di Belluno). Non ricordo quanti erano, ma sicuramente più di trenta. Anche perché le camionette erano sicuramente almeno tre. So solo che avevo un sacco di paura e sono rimasta molto male nel sapere dove erano diretti quel giorno e quello che avevano fatto a Gena Alta” <114.
Erano circa le nove del mattino quando le truppe raggiunsero Gena Alta. Gli abitanti erano stati avvisati del pericolo grazie a dei segnali intermittenti della corrente che il centralino di Gena Bassa aveva trasmesso loro quando aveva visto le camionette salire lungo la mulattiera. Questo particolare mi venne detto da Teresa Casanova e venne nominato anche da Ilario Casanova. Va sottolineato come questo testimoni una collaborazione “antitedesca” tra le Gene, forse organizzata dal momento in cui nei paesi si vociferava di un possibile rastrellamento nei comuni sospirolesi.
Nonostante la paura gli abitanti del paese rimasero nelle loro case. Gli uomini decisero di comune accordo di uscire nei cortili a togliere la neve dalla legna accatastata e a sistemare i ceppi già tagliati, come se nulla fosse <115. Era un decisione concordata: se qualcuno fosse stato visto allontanarsi o qualcuno fosse mancato all’appello, sarebbero stati ritenuti partigiani dai tedeschi.
Quando le truppe raggiunsero il centro dell’abitato intimarono a tutti, uomini, donne e bambini, di presentarsi fuori dalle case. Una pattuglia si mise a sorvegliare le donne e i bambini, radunati nel prato e obbligati a non muoversi con i fucili puntati addosso.
Altri tedeschi scelsero Romano, Gemisto, Carlo, Virgilio e Antonio Casanova e ordinarono loro di recuperare tutto il bestiame per poi portarlo a valle, scendendo in paese fino alla località Masiere di Sedico <116.
A Ilario Casanova venne intimato di aiutare un altro gruppo di tedeschi a trasportare i loro strumenti e le radio rice-trasmittenti mobili. Fu Ilario stesso a notare che il comandante nemico teneva in mano una carta topografica con un segno rosso sul Cogol de la Lorezza: “Io venni catturato subito e con altri tre dovetti portare gli strumenti, e le cassette della radio trasmittente. Oltre noi c’erano altri uomini del paese ed insieme tutti fummo costretti a proseguire il cammino oltre le case, lungo il sentiero che saliva in montagna. I tedeschi avevano in mano una carta topografica, sulla quale potei vedere chiaramente segnato in rosso, con un quadratino, il posto Lorezza, dove anche noi sapevamo esserci i partigiani” <117.
Il particolare descritto da Ilario Casanova riguardante la mappa presentata dai tedeschi con segnato in rosso il punto dove si trova il Cogol de la Lorezza è un fatto curioso e che testimonia come i soldati sapessero la collocazione dei partigiani ancora prima di arrivare a Gena Alta. Ai cinque ostaggi scelti per arrivare in quel punto esatto venne mostrata dai loro sequestratori, suppongo, la carta topografica per far capire precisamente dove volevano essere condotti. Il luogo era talmente difficile da trovare che senza l’aiuto di qualcuno che conoscesse profondamente i boschi della zona non sarebbero mai stati capaci di arrivarci.
[…] Anche Angelo Balzan non doveva esserci ma venne scambiato con un certo Elio Venz, che quel giorno indossava dei pesanti zoccoli di legno inadatti al cammino sulla neve. Scelti i cinque definitivamente alcuni tedeschi ordinarono loro con un secco “raus!” di guidarli a piedi lungo il sentiero di sinistra che portava alla Lorezza, mentre il resto del
paese rimase fuori dalle case, sorvegliati da un’altra pattuglia. Arrivati ad un bivio tra i boschi gli ostaggi cercarono di condurre i nemici verso la direzione opposta, verso il monte Gena, ma i militari non ci cascarono e picchiarono Angelo con il calcio del fucile.
[…] Dopo circa un’ora di camminata tra la neve arrivarono al Cogol, dove trovarono i carboni ancora ardenti che testimoniavano che i partigiani avevano abbandonato il posto non da tanto tempo. Gli stessi avevano anche fatto saltare un passaggio costruito con dei tronchi che serviva per continuare il cammino su di una cengia esposta. Probabilmente si trattava di venti o venticinque partigiani che avevano dormito nella grotta, lo si capiva dai segni che avevano lasciato i loro corpi sul terreno di ghiaia. Attorno al Cogol prima di fuggire avevano bucato dei recipienti di olio da motore che si era sparso per alcuni metri, rendendo impossibile la continuazione della salita <119.
Non trovandoli i soldati si infuriarono molto, tanto da uccidere sul posto Mario Casanova, che morì dai sette colpi di arma da fuoco che gli vennero inflitti. Lo stesso Mario in seguito venne ritenuto responsabile delle presenza di rifugiati in quella zona.
[…] Il corpo senza vita di Mario rimase nella grotta in montagna fino al giorno dopo. I quattro ostaggi rimasti e i tedeschi che li sorvegliarono ritornarono a Gena Alta dopo la sua fucilazione. Erano le tre di pomeriggio quando i loro famigliari, ancora tutti raggruppati, li videro di ritorno senza di lui. Sua madre entrò in agitazione continuando a chiedere dove si trovasse il figlio, ma i tedeschi minacciarono con i mitra puntati i quattro malcapitati al quale fu intimato con violenza di tacere. Uno di loro, per pietà, fece segno con il capo che Mario aveva preso un’altra direzione, riuscendo a scappare.
Per circa un’ora Servilio, Angelo, Marcello e Riccardo rimasero seduti su di un muretto a secco adiacente ad una casa. Le mogli e i figli cercarono di avvicinarsi, alcuni porgendo loro del cibo, dato che non avevano mangiato. Il figlio di Marcello riuscì ad avvicinarsi al padre sotto richiesta della madre e tentò di offrirgli un uovo, ma non ci riuscì perché un soldato lo allontanò con violenza.
Mentre i soldati decidevano il destino dei quattro uomini, altri tedeschi entrarono nelle case per saccheggiarle. Rubarono tutto: cibo, attrezzi, vestiti, persino il corredo di lenzuola che la madre di Mario aveva confezionato per il suo matrimonio assieme alla stoffa che sarebbe servita per fabbricare il suo vestito da cerimonia. Anche gli animali rimasti nelle stalle vennero prelevati per poi essere caricati sulle musse, le slitte da trasporto, e successivamente essere portati a valle.
Racconta così Luigi Casanova, che nel 1944 era un bambino di dieci anni: “Quel giorno il maiale che avevo nella stalla era stato infastidito da un tedesco che voleva farlo uscire per rubarlo. Era una bestia enorme, nera e che sarà pesata tre quintali. Si arrabbiò moltissimo e morse un ufficiale tedesco, staccandogli mezzo polpaccio. Il mio maiale poco dopo morì, perché gli spararono, ma almeno ebbe la soddisfazione di azzannare quel nemico” <122.
Il tedesco che venne azzannato dal maiale di Luigi era il tenente di quel gruppo di tedeschi che il 18 novembre 1944 arrivò a Gena, da tutti i testimoni ricordato come l’individuo più aggressivo e nervoso di tutti quei militari. Dopo essere stato ferito venne caricato sulla mussa assieme agli animali, perché incapace di camminare.
Poco dopo alla gente venne fatto intendere che il paese intero sarebbe stato incendiato.
Qualche soldato con un poco di cuore aiutò gli abitanti di Gena a trasportare le loro poche cose rimaste fuori dalle case. Teresa Casanova ricorda che prima di incendiare una casa vide un tedesco che aveva le lacrime agli occhi, e che una volta acceso la fiamma fu lui stesso a tentare di spegnerla. Ma in pochi secondi l’incendio, nonostante la neve, dilagò irrimediabilmente davanti agli occhi increduli di donne e bambini che videro il loro amato paese distruggersi.
[…] Mentre l’incendio diveniva sempre più violento, gli uomini che poco prima erano stati incaricati di portare con le musse giù nel fondovalle il “bottino”, avvertirono l’odore di fumo e sentirono dei violenti botti, causati dallo scoppio dei pacchi di sale all’interno delle stalle, scambiandoli per spari.
Qualche metro dopo c’erano i quattro ostaggi con un altro gruppo di tedeschi, che li fecero fermare nei pressi di Gena Bassa. Lì, verso le cinque del pomeriggio, Angelo, Marcello, Riccardo e Servilio vennero condotti di fronte ad un muretto tra la mulattiera e l’imbocco di un sentiero nel bosco, e vennero fucilati senza pietà.
Nessuno quella notte seppe che fine avevano fatto. I famigliari sperarono fino all’ultimo che fossero stati portati a Mis assieme al bestiame.
I ragazzi che erano stati costretti a condurre le mucche da latte in paese vennero rilasciati verso sera nei pressi della località Masiere e fu concesso loro di ritornare a casa, non immaginando ovviamente di non averne più una. Poi le bestie vennero vendute dai tedeschi ad alcuni mercanti di Paderno (che poi le restituirono ai proprietari qualche giorno dopo) <124.
La notte tra il 18 e il 19 novembre 1944 i superstiti dell’incendio si radunarono tutti nell’unica stalla che non era completamente stata distrutta dalle fiamme, appartenente alla famiglia di Teresa Casanova.
[…] L’incendio era stato spento grazie agli stessi abitanti del paese ed alcuni operai della Todt che arrivarono vedendo le fiamme. Da Gena Bassa giunsero uomini per prendere i bambini e portarli al sicuro nelle loro case.
Furono momenti molto dolorosi, specialmente per i parenti delle vittime che erano ignari di quello che era accaduto poco più a valle, vicino ai boschi di Gena Bassa.
Anche i ragazzi che avevano trasportato fino alle Masiere il bestiame passarono la notte lontano dal paese, perché la strada sarebbe stata troppo buia da percorrere di notte.
I giorni successivi alla tragedia i superstiti si trasferirono nel comune di Sospirolo, ospitati da amici e da parenti.
[NOTE]
113 Le Waffen-SS furono delle divisioni combattenti (37 in totale) facenti parte del gruppo SS (Schutz-Staffel – “schiera di protezione”) nato nel negli anni Venti del Novecento come responsabile della sicurezza personale di Adolf Hitler. Dal 1933 le SS ebbero il controllo dei più delicati gangli dell’amministrazione interna del Reich, compresa la polizia e il controspionaggio. Il loro capo (Reichsführer) fu dal 1929 H. Himmler. Nello specifico le Waffen-SS nacquero durante il secondo conflitto mondiale. (Cfr. Enciclopedia Treccani online, http://www.treccani.it/enciclopedia/ss/, ultima consultazione in data 26 gennaio 2020).
114 Tratto dalla mia intervista a Maria Tormen, classe 1923 [Casa di riposo di Meano, 7 agosto 2019].
115 Cfr. P. Casanova (a cura di), Una storia tante storie, p. 141.
116 Ibidem, p. 142.
117 Cit. F. Vendramini, Gena Alta, scheda 23, in “Protagonisti” n. 107 Rivista bellunese di storia e cultura contemporanea (Speciale 70° della Resistenza), Belluno, 2014, p. 13.
119 Particolare che mi disse Olvina Casanova.
122 Tratto dalla mia intervista a Luigi Casanova, classe 1934 [Rivanova, 18 luglio 2019].
124 Cfr. P. Casanova (a cura di), Una storia tante storie, p. 143.
Maria Cristina Ladini, Gena Alta: dalla guerra all’abbandono, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2018/2019

Gena Alta – Fonte: Ente Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

Il 18 novembre 1944 truppe tedesche guidate da fascisti travestiti da tedeschi effettuano un rastrellamento a Gena di Sospirolo (Belluno). Dopo aver perquisito le case, lasciano parte della popolazione rastrellata nella piazza e portano gli uomini ad un grotta sul pendio della montagna dove trovano oggetti appartenenti alle formazioni partigiane. Uccidono sul posto Mario Casanova che aveva negato di sapere dell’esistenza del magazzino e poi tornano in paese. Qui avviene il saccheggio delle case e il successivo incendio di casolari e fienili. Decidono poi di scendere a valle portandosi sempre dietro gli ostaggi; a metà strada ne scelgono altri quattro che vengono fucilati e gettati tra i cespugli ai lati della strada.
Adriano Mansi, Gena di Sospirolo, Sospirolo, Belluno, Veneto. 18 novembre 1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Il 27 ottobre 1944 , si tenne un incontro a Sedico per dare vita al nuovo ordinamento delle compagini partigiane e nello specifico si ufficializzò l’istituzione del Comando di zona e si regolò l’assetto della Brigata Pisacane nella Val del Mis. La Nannetti venne bipartita in due divisioni: una a sinistra ed una a destra del fiume Piave, la prima sottoposta al comandante Pesce e dislocata nel Cansiglio <91, la seconda con la denominazione di Divisione Belluno sottoposta alla direzione del comandante Luigi Dall’Armi <92.
[NOTE]
91 Di essa facevano parte le Brigate Mazzini, Tollot, Menotti (costituita da unità dei battaglioni Manin e Manara, il Comando Piazza di Conegliano, il gruppo Vittoro Veneto (organizzato nelle Brigate Cairoli e Cacciatori delle Alpi), la Brigata Fratelli Bandiera, la Brigata Saponello ed il Comando Piazza di Vittorio Veneto. Si veda Cessi, La Resistenza nel bellunese, p. 171.
92 Essa era formata dalla Brigata Calvi, dal gruppo Gramsci (costituito dalle Brigate Monte Grappa, Feltre, Battisti e De Bortoli), dalla Brigata Fr. Fanti, dalla Leo De Biasi e dalla Pisacane (già Bedeschi). Ibidem, pp. 171-172.
Vittorio Lora, Terenzio Baldovin e Lozzo di Cadore. Public history e stratificazioni della memoria in una comunità di montagna, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2011/2012

Lago del Mis – Fonte: Wikipedia

Verso metà lago, nel costone obliquo che si para davanti, si può a malapena scorgere in mezzo alla vegetazione, il villaggio di Gena Alta, (Ièna in dialetto), un piccolo villaggio a 800 metri di altezza aggrappato ai dirupi della val Soffia raggiungibile da un’erta mulattiera, oggi asfaltata.Un tempo, fin verso la metà del novecento abitato da numerose famiglie, con più di cento abitanti, dediti al lavoro di boscaioli e carbonai, un mestiere duro e faticoso fatto all’aria aperta nei luoghi selvaggi e incontaminati dei monti del sole.
Il paese venne bruciato durante i terribili rastrellamenti nazisti del 1944 e ricostruito nel dopoguerra, a fondo valle e lungo la mulattiera, lapidi con i nomi e ritratti dei 5 uomini del paese a testimonianza di una barbara esecuzione.
Gli eventi che ne causarono il definitivo spopolamento furono dapprima la costruzione del lago artificiale del Mis, successivamente l’alluvione del ’66’ e il fenomeno dell’emigrazione.
Oggi Gena, completamente disabitata, si presenta come un villaggio di fantasmi, uno spettacolo allucinante e struggente in un silenzio surreale a cui fa eco il rumore delle cascate della val Soffia e il gracchiare dei corvi; sono passati i tempi in cui gruppi di donne di ogni età, con la pesante gerla di vimini percorrevano la ripida mulattiera che le portava a valle presso l’unico punto di rifornimento, l’albergo “Valle del Mis” chiamato “hotel”, con annessa bottega e tabaccheria, la scuola e l’ufficio postale, praticamente il “centro” della valle che serviva per far provvista di viveri, mandare i figli a scuola o per ritirare la pensione del marito, tempo impiegato circa un paio d’ore. Ancora al giorno d’oggi lungo la strada si possono notare i “sent” dove le donne si fermavano a riposare e magari a “contarsela” nel ritorno sotto il peso delle pesanti gerle.
Redazione, Antiche tracce di vita: Gena Alta, Luciano Cassol