Se gli Inglesi avanzano senza far uso delle armi le armi tacciano

Un bozzetto per una scultura, opera di Giuseppe Balbo del 1940 – Fonte: Marco Balbo, art. cit. infra

[n.d.r.: seguito di questo articolo]

15 Febbraio 1941 – Asmara
Un mezzo ci ha portati a qualche chilometro da Asmara. Ho sonno. Un sonno mortale. Ci buttiamo sul ciglio. Non posso dormire. Ho fretta di ripulirmi di ritrovare amici. Di fare l’eroe forse con la ferita alla mano mi è facile. Scheggette di poco conto. Le dita muovono bene solo un poco impedite dall’enfiagione provocata dalla piaga tropicale che si estende dal dorso della mano a parte dell’avambraccio. Ci mettiamo in cammino. Io vado dai Dalmasso [n.d.r.: vecchi conoscenti di Bordighera (IM), città di residenza di Giuseppe Balbo]. Mi trovo fra le braccia di Marino e di Renato. Poi Bruna, Paola e i bambini di Renato. Un bagno e la ferita alla mano ha le cure definitive.
A tavola. Verso l’una e mezzo Renato dice a Paola di andare in rifugio con la bambina di pochi mesi. Tutti i giorni bombardano alla stessa ora il campo di aviazione lì presso. Siamo fuori dal rifugio quando sentiamo che un grappolo di sei bombe ci cadrà sulla testa. Ci ritroviamo tutti e tre a far da scudo a Paola e alla bambina. Uno scoppio solo assordante. Terra crolla addosso. Nessun male. Usciamo fuori. Constatiamo stupefatti che sei bombe sono scoppiate in pochi metri intorno al rifugio. Ad un tratto attraverso i prati vedo Bruna che corre chiamando Brunetto, il figlio più piccolo di sei anni. Mi trovo appresso a lei. Non so dove corra ma sento gli aerei che ritornano mitragliando. Bruna corre sempre. Arriviamo affiancati a un grande fabbricato. Un centinaio di bimbi infilati in para schegge fatti con casse di sapone ripiene di terra. C’è Brunetto. Nessuno ha avuto male. Erano a scuola. Accidenti che corsa!
16 Febbraio
Mentre sono in giro per Asmara avverto sempre più aria di disfatta. Soldati isolati o a gruppi, armati o no, divise in gran disordine, in maniche di camicia o con giubba, torvi ,tristi, indecisi sul dove andare; quasi tutti italiani, qualche indigeno impaurito. Nessuno si occupa di loro. Mi nota un tenente carrista. Allucinato. Mi viene incontro. “ Balbo, sono Aletti” . A frasi smozzicate cerca di raccontare, fa uno sforzo per coordinare le idee per raccontare con un senso d’ordine. Non ci riesce.
20 Febbraio – Addis Abeba
[n.d.r.: seguito di questo articolo]
Ho lasciato giorni fa Asmara. Un camion carico di zucchero mi ha portato ad Addis Abeba. L’autista è ben contento di avere la scorta armata. Io di aver trovato un passaggio su un 634 Fiat. Non ho pensato a far scorta di sigarette all’Asmara scombussolato com’ero. Mi stavo impressionando sempre più. Incontravo per la strada militari con divisa appena indossata. Tutti fascisti. Vestiti da fascisti. Ma ne avevo sorpreso molti a togliersi i fascetti per sostituirli con le stellette. Fa presto a crollare un regime. Eppure quella è tutta la gente che nelle adunate urlava che era pronta all’estremo sacrificio. Urlava senza convinzione senza averne l’idea ma quel buon’Uomo ci credeva altrimenti non sarebbe entrato in guerra. Rinnegheranno tutti Gesù. I piccoli ne hanno diritto. Ma lo faranno per certo anche i Gerarchi, anzi loro saranno i primi, sicuro sicuro.
25 Febbraio
Sono da qualche giorno ad Addis Abeba in licenza.
28 Febbraio
Siamo tutti vivi noi allievi. Eppure non ci siamo risparmiati. Uno dei più feriti sono io. Ci sollazziamo a fare gli eroi. Ci lascino questo diritto. Il più dolce dei biglietti che mandava il colonnello Corsi a un allievo era ”Insegnate ai Granatieri come si muore!” con roba del genere si ha diritto di fare gli eroi e con queste notizie sempre più catastrofiche. Da Nord da Sud del Samaliland.
Io mi sono accasato da Cantimori. – via Lanza 26- c’è la sua madama Turmese. Brava ragazza, anima nobile.
10 Marzo
Passano monotoni i giorni ad Addis Abeba. Scomparso quel feroce appetito, fame anzi, dell’arrivo. Si è ridiventati normali. Gli abiti borghesi mi permettono di andare dove voglio. Quattrini ce ne sono anche troppi. Finiranno male. Eppure ci sono ancora costruzioni in atto che dimostrano quanto gli uomini siano certi che tutto continuerà. Come non si sa, ma deve continuare. Non ci stanchiamo di raccontarci le avventure le emozioni. Tutti i giorni arrivano le liste dei morti e dei dispersi. E sono lunghe.
12 Marzo
Stamane mi son svegliato con la voglia di dipingere.
15 Marzo
Dipinto. Con foga, con gioia.
16 Marzo
Mi sono soffermato a guardare Turmese che stava preparandosi l’“anger-ra”. Accoccolata vicino al focolare stava facendo scaldare la teglia circolare larga quanto il fondo di un barile di catrame. Mi stima Turmese. Certo perché non ho attentato alla sua virtù. E’ la donna del mio amico. Per questo mi stima. Quando la teglia è calda versa con le mani la pastetta di farina e acqua facendola colare con le dita a fuso lungo i bordi, lentamente, andando verso il centro a cerchi concentrici. Si spande un buon odore di pane bruciato. Quando la mano a fuso ha lasciato colare l’ultima goccia di pasta l’anger-ra è pronta. Cotta a puntino. Mangio il pezzo che Turmese mi porge inchinandosi. E’ buona ed è soltanto una focaccia. Poi Turmese fa il caffè. In un bricco di terra cotta al sole. Fa bollire i chicchi di caffè appena frantumati. Tutto il contrario degli arabi che li riducono a polvere finissima. Anche questo caffè è buono e non rassomiglia a nessun altro caffè. I chicchi sono dell’Harrar dove si produce il moka.
Chiacchieriamo con la ragazza. Le dico che presto partirò. Si rattrista.
23 Marzo
Bombardamenti e cattive notizie aumentano e s’ispessiscono giorno per giorno.
28 Marzo
Mogadiscio occupata. Stanno arrivando i profughi che portano notizie lugubri. La colonna che proviene dal Sud non trova ostacoli, se li trova li supera. La sera dell’occupazione Mogadiscio era illuminata a giorno. Le autorità fasciste sono restate e collaborano con gli Inglesi. Molti ufficiali che non sono fuggiti son stati dichiarati disertori. Così ha annunciato la radio.
Arrivano particolari su Keren. Caduta il 23 Marzo. Gli Inglesi sono riusciti a penetrare di sorpresa nel fortino, presidiato dalle camicie nere che spossate da 53 giorni di combattimento giacevano addormentate. Iniziato l’accerchiamento tutto il fronte è crollato.
Cominciano a giungere in disordine profughi che cercano scampo precedendo la colonna inglese che sta conquistando il territorio.
La difesa di Addis Abeba è apprestata sul fiume Anasa. Si dice che gli Inglesi non riusciranno a passare la profonda fenditura.
4 Aprile
Lascio per sempre Via Lanza 26 – Addis Abeba. Ho parlato con Turmese. Le ho fatto vedere il contenuto delle valigie e delle casse. Le ho raccomandato caldamente quattro album di disegni e fotografie. “Il resto, se ne hai bisogno, vendilo. Se non mi vedi tornare è tuo!”
5 Aprile – Dessiè
Sono in viaggio verso Dessiè. Destinato a quel settore. Ieri, ricevuto l’ordine, mi son recato in Piazza Littorio. Gli Inglesi hanno sfondato l’Anasa. Arriveranno domani o dopo. Ordine che nessuno abbandoni la città. Sono incerto sul da farsi. Se cade Dessiè mi ritirerò sull’Amba Alagi, penso.
Finalmente un mezzo mi porta a Dessiè.
7 Aprile
Bombardamento aereo. Distrutto campo di aviazione con una ventina di aerei. Era quanto ci restava.
24 Aprile 1941
“La linea è crollata. Gli Inglesi avanzano. Il comando è scappato in Dancalia senza lasciare ordini.”
Da questo momento siamo in prima linea penso al fonogramma numero uno di Keren. Rientro. Ce n’è anche troppo.
Sono le quattro. Arriva un portaordini con un fonogramma scritto a matita.
“Da questo momento cessare il fuoco. Se gli Inglesi avanzano senza far uso delle armi le armi tacciano. Contro i ribelli reagire immediatamente”. E’ la fine.
Il capitano non si è mosso dalla cresta. Ha spedito un portaordini al Comando per chiedere istruzioni. Io osservo la strada. Alle cinque distinguo una autoblinda che scende lenta verso il ponte. Ma che fa quella? Una cannonata una sola la blocca a una curva. Si è fermata come un giocattolo con la corda esaurita. Nessun movimento intorno. Dopo una mezz’ora circa si inoltra lentissima una littorina. Da essa sventolano davanti, dalle parti, sul tetto, pezze bianche. Non riesco a trattenere le lacrime e non mi interessa un fico secco che gli ascari mi vedano. Ho finito la mia carriera di ufficiale, ho finito la mia esperienza di coloniale. Sono prigioniero. Non ho alzato le braccia, non ho chiesto pietà, così non me l’aspettavo.
Marco Balbo, Giuseppe Balbo, Diario di guerra 7: La fine dell’Impero © Archivio Balbo 2018  – 17 febbraio 2018