Scelgo il Segno che meglio esprime quel sentimento intrinseco

Fonte: Cantacessi, Tesi cit. infra

Durante il mio percorso di specializzazione, studiando la Lingua dei Segni Italiana (LIS), ho avuto il piacere di partecipare al seminario Lo Haiku: dal giapponese alla Lingua dei Segni Italiana – Dialogo con la poetessa LIS Rosaria Giuranna.
L’incontro con Rosaria Giuranna ha suscitato in me una tale curiosità che mi ha portato alla stesura di questa tesi con l’obiettivo di indagare la modalità di creazione del componimento poetico segnato e di comparare il genere poetico giapponese lo Haiku quale fonte d’ispirazione in una lingua segnata come la LIS e in una lingua orale come l’italiano.
Per i Sordi il cinema, il teatro, la poesia segnata sono alcuni dei principali veicoli di espressione artistica in grado di comunicare emozioni, pensieri e stati d’animo.
Sia la poesia che la narrazione in LS sono tra le prove immediate del modo in cui i Sordi elaborano la realtà, costruiscono la loro identità e percepiscono le proprie passioni, i propri sentimenti e talvolta i dolori legati alla situazione di esclusione dalla comunità udente nella quale sono coinvolti (Russo Cardona, Volterra 2007).
Come i poeti udenti capaci di comporre un testo poetico, Dr. King Jordan, primo presidente sordo della Gallaudet University ha asserito che, i Sordi possono fare qualsiasi cosa, tranne sentire.
Nessun testo per iscritto attraverso le parole è capace di raffigurare una poesia, solamente un testo segnato è la vera dimostrazione di come le mani possano veicolare un messaggio agli occhi e alla mente, mettendo in scena l’opera tramite il movimento delle mani e di altri espedienti quali il capo, il busto, le spalle, le espressioni del viso dando vita alla poesia. Infatti, da una parte le poesie in LS si avvalgono di caratteristiche stilistiche ed estetiste condivise con le lingue orali (Sutton-Spence, 2005), dall’altra parte esse sono paragonate alle forme poetiche cinematografiche.
[…] Durante questo incontro, la poetessa ci ha raccontato inizialmente la sua esperienza personale: a scuola nessun insegnante le ha fatto scoprire la poesia, sono stati i suoi genitori sordi a trasmetterle il valore delle storie. Essi le raccontavano i film che vedevano e R. Giuranna riportava il contenuto in LIS ai suoi compagni di classe.
Quando a scuola le insegnanti le mostravano le poesie in italiano, R. Giuranna era convinta di riportare la stessa brevità in LIS però vedeva che il senso non era lo stesso. In una prima fase dunque ha provato a riportare in una LS la struttura poetica di un testo in una LV come l’italiano, eseguendo una “trascrizione parola per parola”; ma la novità è apparsa nel 1981 quando la ricercatrice italiana Elena Pizzuto decise di analizzare il suo segnato definendolo “haiku”.
[…] Per la realizzazione dello haiku, Giuranna usa tecniche di simmetria e asimmetria, l’impersonamento, l’uso dello spazio e le espressioni facciali.
[…] L’haiku recitato da R. Giuranna nel 1998 e racchiuso nel CD “Sette poesie in lingua dei segni italiana”(2000), racconta il progressivo avvicinamento di due persone (non è spiegato se siano una donna o un uomo, una madre o un figlio, due donne o due uomini), si tratta di due persone che si incontrano, si abbracciano e si allontanano alla fine del componimento. Data la sua ciclicità, lo haiku incomincia con una situazione iniziale in cui due persone sono distanti tra loro, pian piano iniziano ad avvicinarsi e alla fine si separano.
A differenza dell’haiku giapponese e italiano in cui centrale era la rappresentazione della natura, questo haiku può appartenere alla categoria “Vita di tutti i giorni”, dato che si descrive una storia che accosta tante persone.
Ciò che rende unico l’haiku di R. Giuranna è la capacità di dare vita ad una storia autentica in un lasso di tempo abbastanza ridotto come si può osservare nei fotogrammi derivati dalla versione originale dello haiku. […]
Annabella Cantacessi, Simmetria ed armonia nelle forme: attimi di meraviglia immortalati in un Haiku, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno Accademico 2018/2019

Mi sembra opportuno quindi far parlare direttamente una poetessa sorda, Rosaria Giuranna e riportare l’intervista da me condotta.
[…] Rosaria Giuranna, dal 1988 ha svolto numerosi corsi di LIS presso l’ENS e presso l’Università di Palermo. Nel 1976 ha fondato il gruppo teatrale “Il Ciclope”, con il quale ha condotto un’intensa attività artistica fino al 1992.
Ha partecipato a varie rappresentazioni teatrali e tournée. Ha scritto e diretto il testo teatrale Gli occhi non solo per vedere, realizzato la canzone dei bambini che hanno presentato la trasmissione Piccoli fans di Rai 1. Ha recitato la canzone My fair lady ne Il Prometeo incantato di Salvo Tessitore, ne Le voci buie di Giusy Cataldo e Marco Geronna; ha realizzato con Giuseppe Giuranna, suo fratello, il cd Sette Poesie in Lingua dei Segni (LIS). Vanta una formazione teatrale sia con professionisti italiani (Michele Perriera e Piera Regola) che stranieri (Joseph Castronovo, Renne, Bernard Bragg). Attualmente insegna la LIS in corsi di formazione e presso l’Università di Verona, città in cui vive.
L’esigenza di approfondire le forme d’arte in lingua segnata proviene dalla mia formazione come assistente alla comunicazione LIS e dalla possibilità di sperimentare, da spettatrice, le straordinarie potenzialità creative della Lingua dei Segni.
Per i motivi che ho appena esposto, l’intervista che segue non è il frutto di una semplice trascrizione, ma di una mia interpretazione, che spero sia il più fedele possibile a quanto raccontatomi da Rosaria Giuranna, che ringrazio infinitamente. Di seguito, trascrivo ciascuna domanda seguita dalla conseguente risposta. Ho preferito mantenere l’ordine delle domande per non falsare l’intervista e ho deciso inoltre di non separare le due conversazioni per trascriverne un unico discorso.
INTERVISTA AD UNA POETESSA SORDA
I PARTE
A che età hai iniziato a ideare poesie?
«Interessante domanda. Quando a scuola per sordi (scuola “speciale”) mi hanno spiegato la poesia, io inizialmente non ho capito nulla. Non avevo mai segnato delle poesie. Ma all’età di circa 10-11 anni ho capito, presso il collegio di Siena, cosa è la poesia. Avevo tanti compagni sordi, circa cento, e molti di questi giocavano, ma erano tristi perché sordi. I miei genitori erano sordi, figli di udenti, che non gli raccontavano nulla e a sua volta i miei genitori non erano soliti a raccontarmi favole, fiabe. Durante una festa mentre giocavo chiesi a mia madre di raccontarmi qualcosa, così lei mi raccontò un film romantico. Si trattava di un film che mi aveva subito commosso, decisi di raccontarlo ai miei compagni, erano circa 6-7 bambini, si emozionarono e decisero di chiamare altri compagni; all’improvviso la stanza fu tutta piena. Ogni pomeriggio mi sedevo e segnavo il racconto romantico e la stanza era sempre tutta piena. Ho segnato per diversi pomeriggi finché ho avvertito il desiderio/sensazione/bisogno di cambiare modalità per attirare l’attenzione; per me cambiare il movimento dei Segni era affascinante… ad un certo punto mi domando “come mai riesco a comunicare tranquillamente segnando?” … Passano gli anni… avevo circa 25 anni, quando recitavo poesie cambiavo sempre il Segno, ma non conoscevo alcuna tecnica di poetica, per me era oscuro. Quando ho conosciuto Elena Pizzuto mi ha presentato un grande uomo, poeta sordo americano: Joseph Castronovo <3. La prima cosa che ho chiesto è stata se esisteva il Segno, lui mi ha risposto no, fai quello che vuoi, un disegno o… Io avevo Elena dinanzi a me… stavo recitando la traduzione di una poesia dal titolo Devi essere sordo per capire quando mi disse: “questa non è tua poesia, questa è traduzione!”. La mia poesia? mi domandai … stavo diventando pazza, la mia poesia non c’è! Poi piano piano ho visto segnare Castronovo… ed ho inventato una piccola poesia, bellissima, che riguardava il simbolo della Sicilia, delle donne a tre gambe; l’ho recitata, ma non c’è documento di essa! La prima poesia pubblicata è stata Orologio».
Come mai hai sentito questo bisogno e come hai imparato ad interpretarle?
«Per il grande desiderio di condividere con gli altri… per lasciare un messaggio. Bisogna condividere! Ho imparato a interpretare traducendo la poesia Devi essere sordo per capire. In realtà usavo l’italiano segnato, ma provavo una sensazione vuota. Quando ho letto, riletto ho capito meglio le emozioni, ma i Segni e la mente erano separati, nella traduzione emozioni, mente e Segni sono separati. Mi domandavo perché? Con il tempo ho capito che qualsiasi poesia scritta dentro è piena di metafore e io quelle metafore non le avevo tradotte. Si può tradurre, ma non il senso della poesia parola per parola. Come ho imparato? Avevo 50 anni quando sono andata a scuola a Palermo, ero in pensione e sono andata al liceo socio-psicopedagogico, qui mi hanno insegnato cos’è la poesia e da quel momento ho tradotto in Segni durante un’interrogazione o esame le poesie L’infinito, Il 5 maggio, M’illumino di immenso».
Ci sono poeti udenti che ti piacciono e a cui hai fatto riferimento? Se sì, quali sono e perché?
«Leopardi abbastanza, Giovanni Pascoli, Francesco Petrarca, Eugenio Montale, il Dolce Stilnovo (la parola dell’innamoramento mi piace), Ungaretti, e D’Annunzio non lo conosco perché non me lo hanno insegnato. Io non faccio riferimento a questi autori nelle mie poesie, quando traduco sì, però mi hanno ispirato, insegnato. Grazie <4 mi pare prenda spunto dal poeta francese Baudelaire che scrisse L’albatros».
Tra tutte le poesie che hai interpretato qual è la tua preferita e perché?
«È impossibile avere delle preferenze, perché riguardano tutte momenti favolosi della mia vita. Forse la poesia che per me non muore mai, dovuta alla situazione tematica che racconta è Grazie. Ho ideato questa poesia insieme a mio fratello per caso perché ho visto che la situazione mondiale aveva bisogno di quella poesia… allora l’ho ideata».
Come scegli i temi delle tue poesie?
«Prima di tutto attraverso il sentimento, poi per la configurazione della mano. Se i Segni non mi piacciono ne scelgo altri per non perdere la rima e per esprimere meglio i miei sentimenti. È qualcosa di interiore… non so se sono riuscita a farmi capire. Deve essere un Segno toccante, quando lo riconosco allora scelgo quel Segno, così come è avvenuto nella poesia Grazie. Scelgo il Segno che meglio esprime quel sentimento intrinseco. Lo scelgo per il movimento, il ritmo e l’emozione».
Qual è per te l’ambiente ideale per ideare poesie (casa, teatro…)?
«Dipende, soprattutto a casa… perché l’idea emerge fuori meglio e posso così pensare e segnare più volte. Di certo il teatro no, perché devo concentrarmi. Meglio sola a casa e mai guardarmi allo specchio, perché lo specchio è me stessa e se il Segno non mi piace mi spengo; mai filmare, una volta che ho recitato la poesia davanti al pubblico posso guardarmi e dire “ah! guarda un po’!”, ma ormai la performance è avvenuta. Non è consigliabile guardarsi allo specchio e lo dice anche mio fratello, grande poeta».
Secondo te le poesie in Lingua dei Segni possono interessare anche un pubblico udente non segnante? Se sì, perché?
«Sì, ho fatto esperienza di ciò insieme a mio fratello… stavo recitando una poesia bellissima a quel tempo dal titolo Tennis ad un gruppo di persone udenti e non… mi hanno visto recitare e si sono avvicinati, commossi, piangenti mi hanno detto: “io non so nulla della sua poesia, non conosco i Segni, ma c’è un fascino nelle sue espressioni, movimenti che mi sono entrati dentro, c’è qualcosa insomma che ci ha colpiti”».
Qual è la differenza tra la prosa e la poesia in LIS?
«C’è un’enorme differenza tra prosa e poesia. Nella poesia c’è la rima, un messaggio vasto che dipende dalla situazione e dall’esperienza del pubblico; può essere colto in maniera differente, capire o meno dipende da come il messaggio viene tradotto. Mentre per la prosa è diverso, è come un racconto che non cambia da destinatario a destinatario, mentre la poesia può essere capita e sentita in modi diversi da ciascuno».
Quali sono le specificità (le caratteristiche) delle poesie in LIS?
«Soprattutto il movimento, le pause, il ritmo e le metafore visive».
Conosci il sistema di scrittura SignWriting? Cosa ne pensi? Pensi che potrebbe essere utile per scrivere poesie in una Lingua dei Segni?
«Sì, lo conosco, ma poco, e anche altri sordi conoscono poco questo sistema di scrittura. È importante affinché la poesia resti scritta e venga tramandata nella storia. Io ho fiducia… nel tempo questo sistema si affermerà, perché è importante per la memoria storica».
Oltre a ideare e recitare poesie, so che ti occupi di teatro. Ci sono delle affinità?
«Dipende da cosa devo recitare, se devo impersonare qualcun altro (tecnica dell’impersonamento) o meno. Meglio quando recito una situazione vera».
Ho letto che hai insegnato la LIS, puoi raccontarmi la tua esperienza? Cosa hai notato nell’apprendimento degli studenti udenti? Quali sono le principali difficoltà? Cosa piace loro di più?
«Sì, insegno ancora LIS a persone udenti nella città in cui abito adesso (Verona). L’esperienza iniziale non è come quella attuale, naturalmente. Inizialmente pensavo fosse facile imparare a segnare, col tempo ho capito che non posso pretendere di insegnare tanti Segni agli udenti, perché è come se loro fossero bambini piccoli e stessero imparando una nuova lingua. Quindi ogni volta che spiego qualcosa faccio giochi o domande. Alcuni riescono ad apprendere, altri corsisti capiscono di non essere portati e si ritirano. Gli ultimi studenti universitari segnano bene. Ultimamente ho capito che il corso LIS è una cosa, mentre spiegare all’università in LIS è un’altra e che quindi in questo caso necessito di un interprete in quanto parlo un italiano non chiaro, non scientifico (come quando parlo del mondo dei sordi o faccio l’analisi della poesia). Il mio italiano rischia di non essere percepito dagli studenti. Io ho studiato molto riguardo alla mia lingua e ho capito che per chi non la conosce è difficile da comunicare, per questo occorre l’interprete».
Hai insegnato anche poesie agli udenti? Qual è stata la loro reazione?
«Sì! Ma a molti mancano i Segni. Chi ha esperienza conosce i Segni e può, ma non è lo stesso! Non sarà mai uguale al poeta sordo. C’è una mia amica, attrice, nata a Palermo, Giusy Cataldo, abbiamo lavorato insieme al teatro nello spettacolo Le voci buie. Lei ha creato una sua poesia in LIS, bella, ma non toccante. Lei mi chiede cosa abbia che non va e io non le so rispondere: è vero, segna in modo fluido, io pensavo di essere forse presuntuosa, ma anche il pubblico rimaneva freddo. Le espressioni mancavano, i movimenti specifici non c’erano. Io non ho capito perché, è bravissima ma non toccante, non capisco perché! Udenti segnanti è difficile che entrino nella poesia…ammiro lo stile, le espressioni, i movimenti…li osservo, li ascolto, ma dentro non succede nulla! La persona sorda gestisce in maniera diversa il movimento, il gioco, lo spazio; del resto usa la propria lingua madre. Io ricordo quando ho tradotto una poesia parlata, ero nella scuola di Michele Perriera, che ha diretto il teatro e la scuola di teatro Teatès di Palermo. Lui parlava bene, recitava bene. Ho studiato con lui mezza giornata; suoni, pronuncia, ma non andava bene e allora gli ho chiesto il perché visto che ho la voce, ma lui mi ha risposto che non mettevo sentimento nelle parole…ero negata. È uguale per gli udenti che segnano; del resto è una lingua che viaggia su due canali diversi!»
[…] Hai interpretato una poesia che si chiama Tammorra muta <5, cosa mi sai dire in merito?
«È una sensazione forte per voi udenti, ma per me no. Perché mi sono sentita forzata interiormente come poeta, non era una mia poesia, ma della musicista e scrittrice Valeria Cimò! L’aveva scritta lei, non voleva che mi staccassi dalla lingua italiana, non era naturale: mi sentivo forzata a dover seguire l’italiano. Per gli udenti è davvero bella, ma tra i sordi che la vedono nessuno dice che è bella, per i sordi è indifferente. Bisogna sentire la poesia, ad esempio L’Infinito l’ho sentita e l’ho tradotta, ma non in italiano segnato e il significato c’è e lo stesso ho fatto con Il 5 maggio».
Come realizzi le rime?
«In maniera naturale; adesso ho capito come si usa la rima, ma prima della poesia Grazie e di Orologio non ne conoscevo l’esistenza, mi è stato spiegato dopo. È stata una sorpresa! Sentivo il bisogno di qualcosa che ci stava bene, per ripetere e capire quel mistero che è la poesia. Dopo la poesia Grazie, mi sono spenta e non sono riuscita a recitare, non riuscivo più a ideare, a tradurre sì, ma ero fredda. Con il trascorrere del tempo mi hanno chiesto: “ma non crei più poesie?” finché l’anno scorso è nata una nuova poesia, Il cucire, caratterizzata da una metafora fortissima. Poco dopo ho ideato un’altra poesia dal titolo Il sentire, che ho pubblicato e che ti regalo… All’Università l’hanno capita tutti perché ricca di iconicità e c’è pure un messaggio che ha toccato anche mio marito».
II PARTE
La poesia per te cosa significa?
«Per me la poesia ha due significati diversi. In primis per me poesia serve ad esprimere quello che il mondo non vede. Serve a dire quello che io penso e vedo nel mondo… la poesia serve e aiuta a descrivere il mondo. Inoltre la poesia serve a lasciare un messaggio al futuro, a quelli che verranno. Ad esempio la mia poesia Grazie, recitata con mio fratello, parla del passato, del presente e del futuro, che cambierà perché la lingua verrà riconosciuta, ecco proprio in questa poesia c’è un messaggio che può essere capito da tutti, udenti e non, un unico messaggio».
All’interno delle tue poesie fai riferimento a poeti sordi?
«No, io creo poesie per tutti gli umani, ma utilizzando una lingua diversa: la Lingua dei Segni». […]
3 Per un approfondimento si rimanda a Mignosi, E. (Ed.), (2007). Formare in laboratorio. Nuovi percorsi universitari per le professioni educative. Milano: Franco Angeli, p. 164 e sgg.
4 Grazie è una delle poesie presenti nell’opera multimediale Sette poesie in Lingua Italiana dei Segni (LIS). La poesia è segnata da Rosaria e Giuseppe Giuranna sotto forma di un dialogo che mette in luce le posizioni opposte dei personaggi, che simboleggiano il contrasto, che ha luogo ancora oggi, tra chi vive usando ogni giorno i segni e chi non conosce o è indifferente verso la lingua dei segni.
5 Poesia scritta in dialetto da Valeria Cimò e interpretata da Rosaria Giuranna. La tammorra è uno strumento musicale a percussione costituito da una membrana di pelle d’animale tesa su un telaio circolare di legno, in genere, al quale sono fissati, a coppie, dischetti di latta detti cicere oppure cimbale. Nella poesia si parla di un tamburo senza dischetti (tammorra muta) metaforicamente paragonato ad un serpente senza sonagli.
Cristina Stabile, La poesia in Segni. Un’arte del e in movimento, Teorie pedagogiche e pratiche educative, Bollettino on line della Fondazione “Vito Fazio-Allmayer”, Anno XLVIII, n. 1, gennaio-giugno 2019