Come anticipato, la poesia degli anni Settanta privilegerà l’abbandono a una scrittura informale, prodotto da libera fluttuazione psicologica e dall’immersione nel flusso indifferenziato del vitale e del quotidiano. L’idea di una creatività spontanea si manifestava anche in altre forme artistiche: il teatro di strada, l’arte povera, la diffusione degli happening e del comportamentismo erano tutte tecniche che rivendicavano un’indipendenza contestatoria rispetto ai grandi apparati della produzione culturale e ai canoni interpretativi. Tuttavia, in poesia non si manifestò un’intenzione autenticamente sperimentale di interruzione dei circuiti comunicativi normali e anzi prevalse la distanziazione dal movimento di contestazione e il forte condizionamento della strategia della tensione: “La comparsa di una nuova generazione di poeti (raccolti e commentati nell’antologia Il pubblico della poesia, uscita nel 1975) rende inutilizzabile la precedente distinzione e opposizione fra avanguardia e impegno. […] si ha l’impressione di essere entrati in una fase postmoderna della poesia: si moltiplica rapidamente il numero degli autori, il poeta cessa di svolgere un ruolo intellettualmente significativo, la critica è sempre meno in grado di fornire valutazioni e descrizioni soddisfacenti di un fenomeno di «creatività diffusa» e magmatica” <48.
Luperini, riferendosi al periodo 1975-1985, parlerà addirittura di un decennio «bruciato da “parole innamorate”, poeti della Bellezza e orfismi pour les pauvres» <49. Quest’insieme di esperienze intendeva collocarsi al di fuori dei diktat ideologici, non solo neoavanguardisti. Dopo l’esperienza della Neoavanguardia, infatti, si preferì adottare «tecniche di seduzione e di adescamento» dei lettori, piuttosto che «procedure di straniamento e di traumatizzazione del lettore» <50. Ma la reazione alla tradizione non fu univoca e soprattutto ebbe scoppi ritardati nel tempo.
Fino al 1985 si possono individuare due fasi: una più spontanea, intimista e neoromantica; una più organizzata e scaltra a seguire, negli ambigui anni Ottanta. E forse il discrimine è il rintocco per la morte di Pasolini (1975), la cui scomparsa induce a colmare e riorganizzare il vuoto.
Per tutti gli anni Settanta non si rintracciano identità capacità di autorappresentarsi e trovare legittimazione al pari di prima. I primi convegni di riflessione a freddo su ciò che si andava svolgendo sono a Milano nel 1978 e 1979 a cura di Cesare Viviani e Tomaso Kemeny (Il movimento della poesia italiana negli anni settanta, Dedalo, 1979; I percorsi della nuova poesia italiana, Guida, 1980); nel 1978 esce pure La parola innamorata <51, l’antologia curata da Enzo Di Mauro e Giancarlo Pontiggia che comprendeva, tra gli altri, autori senza edizioni alle spalle, in una gamma indistinta che da Cucchi si estendeva a Magrelli. In queste occasioni l’ampia compagine precedente comincia a maturare dei distinguo e a darsi un tono d’etichetta. Un curatore – Antonio Porta – aveva inoltre cercato di sistematizzare una mappa della Poesia degli anni Settanta, tracciando linee di continuità e diacronie; il panorama attestava la fine della stagione dell’impegno.
In questo intorno nascono riviste come «Niebo» diretta da Milo De Angelis, «Prato Pagano» da Gabriella Sica, poi «Braci» di Beppe Salvia e «Lengua» fondata da Gianni D’Elia, che hanno una socializzazione ristretta ai pochi adepti. Già nel 1984 nasce «Symbola» e si avvia a ricomporsi il controcampo letterario della sperimentazione. L’insieme mette in luce la presa di distanza dal politico e dall’ideologico. La tragicità degli anni di piombo si è fatta sentire anche come messa in crisi della poesia come un fatto collettivo <52.
Lo scioglimento del Gruppo 63 nel ’67, la cessazione della rivista «Quindici», la museificazione della neoavanguardia nell’antologia Poesia italiana del Novecento a cura di Sanguineti nel ’69, sono pietre miliari a conclusione dell’impegno collettivo nella progettazione condivisa di poetiche comuni.
Non è solo quest’ultimo concetto a cadere. La stessa figura socioculturale e ideologica dell’autore non è più distinta e tende a dissolversi. Cordelli aveva battezzato la dicitura antiautore, un parto che fonde l’intellettualità autoriale con quella di massa e la sovrappone senza più una distinzione sociologica: si assiste alla «tendenziale dissoluzione accelerata della figura socioculturale e ideologica dell’autore» e lo scrittore diventa uno dei tanti.
Tuttavia è questo un periodo di ampia socializzazione della pratica poetica. Soltanto per restare all’ambiente romano <53, lungo i Sessanta non ci sono Festival né letture programmate di poesia <54, mentre appena scavalcato il decennio Roma si scopre puntellata di teatri, teatrini, cantine. Lì si trasferisce quella dimensione di confronto e sperimentazione delle forme, alte o basse, di cultura urbana: teatro off, teatro-cabaret, teatro politico, teatro femminista; su questi palchi la poesia si fa trascinare dal reading verso soluzioni sempre più dirette all’happening, ad una modalità dove il pubblico è sollecitato a farsi co-protagonista dell’evento poetico. I luoghi sono gallerie d’arte come La Tartaruga di Plinio De Martiis, L’Attico di Fabio Sargentini, il Dioniso club, la cantina Beat 72.
Qui andrà in scena un ciclo di serate documentato ne Il poeta postumo di Cordelli <55, ben diverse da semplici letture di poesia: l’aspetto corporale e gestuale si manifesta imprescindibile e fa tutt’uno con l’espressione della soggettività. Queste pratiche culminano nel celebre Festival internazionale dei Poeti (tra cui 40 ospiti stranieri) organizzato a Castelporziano da Carella e Cordelli: memorabile e allegorico il crollo del palco di fronte a un pubblico scalpitante e irriverente. Dal 1980 la realtà dei reading di poesia si accomoda su spazi decisamente più istituzionali <56, mentre l’ibridazione con altri linguaggi assume la forma di pacifica convivenza.
All’eccesso di consapevolezza iperletteraria e di autocoscienza critica tipiche degli anni Sessanta, è sembrato dunque seguire una reazione regressiva: l’euforia della liberazione dei costumi ripristina il mito della lirica come bisogno emotivo. Quest’idea di una poesia sorgiva ha prodotto, specialmente in corrispondenza col movimento degli anni Settanta, formule espressive volutamente semplici, dirette, assestate sul linguaggio parlato e su uno stile scevro da tropi, inversioni, imposizioni metriche. Si tratta di “poesia selvaggia”, dell’esperienza di «Scarto minimo», di autori come Alda Merini e Patrizia Cavalli disponibili a mettersi a nudo. È la strada del lirismo edipico su cui si innestano indagini antiliriche, che esprimendosi sia con sperimentalismi post-avanguardistici, sia nei cosiddetti stili semplici, attuano una rifunzionalizzazione della lirica intesa come espressione monologica.mainiadr
Tra il ’68 e il ’77 cominciano tuttavia ad emergere alcuni autori nati tra la metà degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta: Bellezza, Cucchi, Viviani, De Angelis, Conte, Cavalli, Zeichen, Magrelli, Scalise <57. La loro emersione non è un banale effetto di spinte tra commilitoni; a loro va anche il riconoscimento da parte della generazione paterna: Raboni, Giudici, Luzi, Porta, Bigongiari. Rispetto a una moltitudine destinata al cono d’ombra, per gli autori citati è la capacità di problematizzare a fare la differenza: la percezione pulviscolare dell’esperienza e del mondo alimenta un senso di inadeguatezza dello scrivente e dei suoi strumenti che in realtà attiva capacità esplorative dei mezzi stessi e li rinnova Altri «cercarono di inventare gruppi e tendenze perché solo così (secondo quanto indicava la tradizione novecentesca) si poteva rendere visibile e promuovere un qualche manipolo di autori… le etichette offrono dei vantaggi…» <58. Ma è un processo a posteriori <59: la perdita storica di fiducia nelle pratiche sociali (una costante anche nelle generazioni successive <60) si esprime nel rifiuto immediato di un’identificazione generazionale o di una riduzione della propria individualità stilistica. Negli stessi luoghi performativi sopra accennati, si aggregano in modo più informale e con una presa a medio-lungo termine gruppi poetici che emergeranno negli anni Ottanta: la Camera Verde, La tigre in corridoio (nato dai laboratori di poesia tenuti da Elio Pagliarani al Beat 72), «Prato Pagano», «Braci». È un’aggregazione di tipo territoriale più evidente e possibile nelle capitali egemoni, ovvero Milano e Roma, dove si concentrano le maggiori attività editoriali e il terziario intellettuale, oltre ai poli economici. Ad esempio, Bellezza è «inconcepibile fuori del particolare clima poetico romano (fra Penna e Bertolucci, Pasolini e la Morante), quanto Cucchi lo è fuori della tradizione lombarda e milanese, da Sereni a Majorino e Raboni» <61.
Più di recente è emersa la linea marchigiana (Pagnanelli, D’Elia, Scataglini, Scarabicchi, Raffaeli, De Signoribus) o il centro di produzione poetica bolognese. Queste attrazioni geografiche oggi tendono ad essere superate dalla vicinanza virtuale, dettata, oltre che da comunicazioni più immediate, da piattaforme d’incontro e confronto sul web. In ogni caso si è trattato di forme di adunanza amicale, in cui non presiedeva una poetica alla produzione letteraria.
È la linea romana a trovare maggiore compattezza: non si arriva a elaborare e perseguire una poetica comune ma una pluralità di voci muove da uno sfondo collettivo e talvolta converge su orientamenti condivisi. Si esprime, insomma, una vera e propria solidarietà di appartenenza ad un ambiente di memorie, presenze, condivisioni culturali. Su Roma hanno maggior influenza Pasolini, Penna, Morante: autori in sintonia sulla soggettività e sulla chiarezza espressiva <62.
Tuttavia, questa tendenza non è affatto da sovrapporre con la rivalutazione di quel versante poetico della chiarezza individuato nella formula di antinovecento o con altre pulsioni che potrebbero indicare un superamento del Novecento. Anzi, si coagulano molti “nei” che esprimono un raccordo con antecedenti storici. La mitizzazione della poesia – e del suo bisogno e del suo consumo – innescata dopo il ’68 porta a versioni prima di neoromanticismo, poi di neo-orfismo: l’atto del poetare viene interpretato come valore assoluto, sacerdotale, come esperienza tragica e vaticinante, sulla scorta di pulsioni irrazionali; con segni di anacronismo, si riprende a scrivere “ad alta voce”, immuni dall’ironia, bypassando le questioni di critica formale con un atto di fede (Conte, Bellezza, Mussapi, Carifi): «un empirismo poetico fiducioso nella vocazione» <63. Un’area più discreta condivide con questa scrittura l’astrazione dalla contingenza storica. Si impone una tendenza metafisica <64, debitrice nei confronti del “novecentismo” (in particolare di Caproni e Luzi) e perciò ribattezzata neoermetismo. La matrice negativa-esistenzialista sviluppa un’ansia conoscitiva, una tensione verso un significato plausibile oltre la mera evidenza delle cose, che tuttavia resta insoluta […]
48 A. BERARDINELLI, Alla ricerca di un canone italiano, in Casi critici: dal postmoderno alla mutazione, Macerata, Quodlibet, 2007, pp. 38-39.
49 in M. MERLIN, Poeti nel limbo. Studio sulla generazione perduta e sulla fine della tradizione, Novara, Interlinea, 2005.
50 G. ALFANO, Parola plurale: sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, Roma, Sossella, 2005, p. 614.
51 «Il titolo è già indicativo dell’operazione: la parola innamorata, ovvero qualcosa di assolutamente soggettivo, impalpabile e indefinibile come l’innamoramento, contrapposto alla parola estremamente ideologizzata della poesia nata fra gli anni ’60 e i ’70», A. Nove in http://www.sparajurij.com (http://www.sparajurij.com/tapes/deviazioni/AldoNove/HASCRITTOholden.htm). L’introduzione all’antologia inneggia a una poesia ludica, illusionistica, rinnegando ogni progettualità critica. Il lessico stesso è indicativo di regressione e fuga nel mito, nell’astrattezza dei sentimenti, nell’estasi poetica.
52 G. PATRIZI, La ricerca poetica negli anni Novanta, in «Moderna», 2, 2001, p. 65.
53 cfr. S. VENTRONI, Roma in poesia. Letture dagli anni Settanta, dal catalogo Romapoesia 2001-1997 a cura di T. Ottonieri e F. Rovigatti, ora su http://web.tiscali.it/directorymu/sezioni/polis/new/ventroni-romainpoesia.html.
54 Tranne quella al Dioniso club nel 1967: una Free Poetry session dove intervengono Pagliarani, Amelia Rosselli, Patrizia Vicinelli, Valentino Zeichen.
55 F. CORDELLI, Il poeta postumo. Manie pettegolezzi rancori, Firenze, Le Lettere, 2008
56 Sempre per iniziativa di Carella e Cordelli proseguono i Festival di poesia: nel 1980 a piazza di Siena, dentro Villa Borghese, nel 1981 all’Università La Sapienza, nel biennio ’84 -’85 a Villa Borghese e al Pincio.
57 Autori che hanno beneficiato del boom editoriale, di valore comunque indiscutibile: Cucchi, Il disperso (76), Milo De Angelis, Somiglianze (76); Valerio Magrelli, Ora serrata retinae (80); Cesare Viviani, L’ostrabismo cara (72).
58 A. BERARDINELLI, F. CORDELLI, op. cit.
59 Si vedano le etichette a posteriori di fenomeni più o meno concomitanti: neoermetismo, neoromanticismo, neorfismo, neometricismo.
60 Nel 2002, parlando degli allora quarantenni, quindi poeti nati tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Roberto Carnero commenta su «L’Unità» (25 settembre) l’incontro avvenuto alla terza edizione di Pordenonelegge: «È forse la prima volta che la generazione dei poeti quarantenni si è riunita, con alcuni dei suoi rappresentanti più autorevoli, per discutere del proprio lavoro in un’occasione pubblica. […] Questi poeti non fanno “gruppo”, scrivono cose molto diverse, non li sfiora neppure la tentazione di compattarsi in una sorta di “lobby generazionale”, come avevano fatto, negli anni Sessanta e Settanta, i colleghi della “neoavanguardia”. Questa scelta conferisce loro una libertà maggiore, che però scontano in termini di visibilità». L’occasione aveva riunito Mario Benedetti, Stefano Dal Bianco, Claudio Damiani, Alba Donati, Umberto Fiori, Giovanni Nadiani, Antonio Riccardi, Davide Rondoni.
61 G. ALFANO, Parola, op. cit.
62 Deidier riportato in M. MERLIN, op. cit., p. 68.
63 Gianni D’Elia citato in R. GALAVERNI, Nuovi poeti italiani contemporanei, Rimini, Guaraldi/Gu.Fo. Edizioni, 1996, p. 9.
64 Sanesi, Bàrberi Squarotti, Carlo Villa, Jolanda Insana, Cesare Greppi, Silvio Ramat, Mariella Bettarini, Gregorio Scalise, Dante Maffia, Domenico Cara, Renato Minore, Salvatore Ritrovato, Giuseppe Conte, Gianpiero Neri, Giusi Verbaro, Maria Grazia Lenisa, Tomaso Kemeny, Gilberto Isella, Cesare Viviani, Ennio Cavalli, Plinio Perilli.
Silvia De Marchi, La passione della realtà, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, Ciclo XXIV