Quel giramondo ch’io sono / volubile a tutti gli amori

Il viaggio di Contini può dirsi il nostro, ha una valenza universale, è il viaggio della vita. Dalla spensieratezza della scoperta del mondo, del ‘sangue sensuale’, dell’innocenza di un giovane che si affaccia per la prima volta alla realtà che lo circonda; passando per un lungo periodo buio, in cui solo la speranza può portare conforto al «sangue commisto / che grida dagli ultimi spalti / il dolore dell’esilio», un ‘sangue’ violento, versato per idoli indifferenti e lontani. E poi l’approdo ad una vita familiare, protetta, dove il ‘sangue’ è quello dei figli, del futuro e anche un ‘sangue’ salvifico, dove la presenza di Cristo si fa più forte e consapevole. Il viaggio di Contini è un viaggio umano, il viaggio di tutti noi attraverso l’esistenza.

Un disegno a matita di Ennio Contini – Fonte: Archivio Ennio Contini

Magnolia, primo libro di poesie pubblicato nel 1939 raccoglie la produzione degli anni della giovinezza; quella di Contini è qui una poesia per certi versi ancora acerba, ricca di echi e di rimandi ma già capace, come scrive Giorgio Kaisserlian nella sua breve presentazione nell’antologia Poeti italiani del secondo dopoguerra, di muoversi «con proprio sguardo e personale accento». Il giovane Contini osserva la natura che lo circonda e ne coglie attimi essenziali, riproponendoli al lettore come paesaggi interiori: «A luna piena, parlò più forte/ al silenzio l’argentea voce dei rivi./ Poi, sospirava suo fresco languore, / sui docili fili dell’erba, / muta la rugiada. / All’alba / fiorirà sul prato lo smeraldo». La natura è sensuale e tentatrice; la nebbia si trasforma in un’«umida e sinuosa amante», «lontana dal sole», con «fluide carni e procace» che sembra voler distanziare anche il poeta «dalla innocente chiarità dei mattini». Gli echi e i rimandi vanno all’amato Ungaretti che è presente e presente è la sua lezione che si esplicita in una dedica taciuta, ma evidente in Fine d’estate (foglie): «legati ancora alle fronde / da un lieve sorriso di vita. / Non siete ancora fantàsime / timide ombre fluite / sulla terra riarsa / – e carnevale è finito». In Magnolia c’è la Liguria, sua terra d’adozione ma è una Liguria lontana dalla riarsa e desolata terra montaliana, più vicina alla natura cantata da D’Annunzio, quasi panica. Giannino Balbis fa notare come in Contini non si trovi quel «male di vivere che è quasi un segno distintivo della scuola ligure, da Sbarbaro a Barile, da Montale a Caproni. Contini, d’altronde, è un ligure sui generis» ma come i suoi paesaggi restituiscano piuttosto un messaggio di positività:  il ricordo viene in soccorso come un’ancora di salvezza. Il mare è «limpido», i giardini sono «aperti», il «tuffo» è «felice» e la malinconia riporta alla memoria immagini serene di «marini compagni / vocianti tra reti salmastre e  lampàre» ­– ed ecco la prima traccia del nostro percorso nella cifra stilistica del sangue – «malinconia […] mi ridi / nei sangui il torpore sensuale /delle chiare tue sere». Tra ritratti delicati come quello di Ina «Ina ricama nel sole / i suoi tredici anni» e poesie solari come quella dedicata all’isolotto di Bergeggi «l’isola mia è bella / stasera; le sirene in sordina / la cullano. Mosso andantino» la poesia di Contini conosce anche momenti di intensa riflessione che per noi lettori, che sappiamo quello che sarà il futuro di Contini dopo Magnolia, risuonano quasi come parole dal valore profetico «di nebbie un destino disfatto/ t’avvolge e non sai più / chi tu sia – tanto naufragio / senti di voci alle tue prode / deserte»; ma l’ultima parola spetta alla gioia «alla tua plaga / mediterranea, fiorisco».

Un abisso separa le poesie di Magnolia da quelle dell’Alleluja, pubblicate nel 1952. Un abisso fatto di dolore, di tragedie, di sofferenze ma anche di letture e di profondi cambiamenti. Travolto da «passioni politiche e da una vita irrequieta e avventurosa», come ha scritto l’amico Bonaventura Cecchi, Contini conosce nel 1945 quella che Renzo Laurano ha definito la ‘morte civile’. Viene incarcerato e condannato a morte e sconterà poi nove anni di reclusione tra i penitenziari di Savona, Procida e Civitavecchia. Il carcere lo segna profondamente, come uomo e come poeta: è un’esperienza che marchia a fuoco la sua vita indelebilmente. Ma Contini non si perde d’animo – scrive in una lettera a Fidia Gambetti «io ho una pazienza che è profonda e tenace come la terra» ­­– e si getta a capofitto nella letteratura e nella fede. In questi anni legge Eliot, Joyce, Pound ma anche Gide, Mauriac e Godoy, rilegge i classici e la Bibbia. La fede e la poesia sono unico conforto «il lavoro è l’unica mia risorsa, la poesia è la mia anima, la lettura il mio pane» e poi in una lettera a Ezra Pound «La Tribù è dispersa e già s’avvicinano i giorni di tenebra: ma che importa se in noi, nel profondo dei nostri cuori folgora la luce della fede?». Nelle poesie dell’Alleluja la presenza del Signore è costante, viene chiamato a confortare l’anima e nella croce Contini cerca la sua resurrezione « Da cinque anni non vedo il verde delle querce / da cinque anni, Signore […] Signore, il muro è cresciuto e vedo solo il cielo / le querce son sepolte nel mio cuore / Signore, se vuoi / gli occhi diverranno verdi / come il cielo» e ancora «Toglimi i chiodi e progimi la canna / toglimi i chiodi e porgimi la canna / o mano silenziosa!». Le poesie dell’Alleluja pubblicate insieme alla prima decade dei Cantos di Ezra Pound costituiscono un unicum nella storia poetica di Contini e il carteggio che fa da corollario a questo amichevole sodalizio rimane un’importante testimonianza ( ironia della sorte Contini – rinchiuso nel carcere di Civitavecchia – scrive al maestro Ezra Pound, segregato a sua volta nel manicomio di St. Elizabeths a Washington negli Stati Uniti). Se per Magnolia si può dire che l’ispirazione maggiore era derivata dalla lezione di Ungaretti, qui, la lezione appresa è proprio quella di Pound, ma non solo. Contini è un poeta di ampio respiro e nella sua lirica confluiscono in maniera originale tutte le suggestioni e le innovazioni figlie delle nuove tendenze europee: oltre a Pound troviamo riferimenti a Valéry, Eliot e Gide ma ben amalgamati alla voce quantomai forte del poeta che scrive. Le liriche di Contini sono vita vissuta e come la vita vanno «dal realismo più crudo alla sincerità più sfacciata» e chiedono al lettore un notevole livello di empatia. Non si può rimanere indifferenti a versi come questi di Sardegna «Altra pena non ho che di trovarmi / straniero ad ogni terra. […] Mi dissero d’un isola…­Signore, / – ch’io non sia disperso! / alla sua proda io tornerò / come un messaggio / sballottato dalle correnti» e in E non vivrai… dedicata alla nipotina Silvietta «E se non credi nei tuoi figli e nei figli di questi/ forse, sei nato per morire […] e non vivrai come me o come i fiumi,/ immensi».  Il carcere confina il poeta entro i limiti di una cella «da cinque anni / ho gli occhi grigi / dal troppo fissare le pietre» ma non il suo spirito «oggi siam morti / per vivere domani»; il tormento però c’è e il sangue questa volta non pulsa più sensuale ma violento; si fa «rappreso in un grido» e il poeta si sente «crocifisso / dai fratelli per un pugno di fango» quando anche il fiume porge un «rigurgito d’alghe viscide e amare alla mia sete». Contini è giovane «trentacinque primavere / porto nel cuore» e già conosce «il gelo della morte» ma sa rialzarsi e guardare avanti, al di là del muro grigio che reclude il suo sguardo, consapevole «d’aver pagato il dono della vita / da signore, con sangue». La raccolta L’Alleluja si chiude con un’ode alla speranza, Contini sa di poter nascere a nuova vita «oh gente / lavate il corpo / pronto agli amori del Signore / e unguenti apparecchiate e nardo / ed alleluja».

Con la raccolta, o meglio, con la breve antologia Schegge d’anima (1962) ­ che comprende poesie tratte da Magnolia e L’Alleluja unite a poesie mai pubblicate – Contini rinasce come uomo e come poeta e inaugura quella fase di rilettura di se stesso che caratterizzerà le ultime fasi della sua poesia. In Schegge d’anima ripercorriamo le tappe che Contini ha attraversato fino a questo momento e continuiamo con lui sulla nuova strada intrapresa; alle spalle lasciamo la giovinezza e il dolore e guardiamo avanti. Il carcere è una ferita dolorosa che si annida nella memoria «è la vita di noi esclusi / assiepati in questa foresta d’inganni» e che continua in un qualche modo a segnare il presente del poeta «il ricordo è una diga / che duole»; Contini sa però andare oltre e trarre maggiore ispirazione dalla nuova realtà che lo circonda. Non a caso la dedica che apre la raccolta è «A Maria», la compagna di tutta una vita che Contini aveva conosciuto negli anni seguiti alla sua scarcerazione. Nel matrimonio, nella famiglia e nella nascita delle due figlie Contini trova nuova pace e rinnovato slancio «sei mio padre e mia madre / il fratello / che dona una mano / una casa / alla memoria / il dito che spiana / la ruga del tempo […] Da quel giramondo ch’io sono /solo in te mi ritrovo». I momenti di sconforto ricorrono «Dopo le piogge autunnali / dell’inverno / e della primavera / ancor piove a diluvio, Signore!» e in Casa di Liguria – una poesia dedicata alla madre – bussano alla porta del poeta «i rimorsi, come foglie / divelte». Nella sezione di Schegge d’anima dal titolo Ancora delle avventure, che comprende poesie che vanno dal 1946 al 1959, troviamo un componimento dal titolo esplicito (A mia moglie) che meravigliosamente racchiude in sé tutto il percorso umano e poetico che Contini ha vissuto fino a questo momento: c’è gioia, c’è sofferenza, c’è tormento, c’è una luce nel buio «Il male ch’era in me / come nebbia sospesa/ ho bruciato / nell’anfora casta / della tua giovinezza». Il sangue ‘rappreso’ si trasforma qui nel sangue dei figli, ha valore di speranza e gioia  «in questa / attonita alba / nonostante le scorie doloranti, dal crogiuolo / svettano, tremula aurora, soccorrendo la speranza / le nostre bimbe».

Con Viaggio nel buio (1969) Contini chiude il cerchio e sceglie di farlo, ancora una volta, con una raccolta. Non a caso Cesare Garelli nella prefazione a questo volume scrive «si direbbe che Ennio Contini abbia il ricorrente bisogno di fare il punto su se stesso, in una ripetuta ricerca della propria autenticità umana e poetica». Il titolo potrebbe rimandare o meglio, ricordare il ben più famoso Voyage au bout de la nuit di céliniana memoria, di cui Contini era stato un lettore appassionato. Qui il viaggio nel buio è quello del poeta nel suo passato, nella sua memoria e nel suo grande dolore, è un tentativo di pacificazione con se stesso di un marinaio che ha speso «fin l’ultimo spicciolo di paga / alla taverna dei ricordi». Contini riparte dalla sua prigionia e sceglie una poesia che non era stata inserita ne L’Alleluja  in cui confluiscono evidenti echi montaliani «Il vento gonfiava i panni stesi/ nel dormitorio.

[…]

Dopo la pubblicazione di Viaggio nel buio Contini non da più alle stampe nessuna raccolta poetica. Solo nel 1995 vedrà la luce il suo primo romanzo No haya cuartel![8] che ripercorre le tappe dell’infanzia e della giovinezza di Quirino Biddau tra innocenza, oscenità e ossessioni con uno stile céliniano e sperimentale fatto, come scrive Umberto Rapallo, « di echi culturali, intertesti, cui si alternano momenti di alto lirismo».

Qui però siamo di fronte al poeta Contini e questa raccolta di poesie edite e inedite ci offre l’occasione per scoprire (o riscoprire) un autore dalle molteplici ispirazioni che ha saputo prima di tutto raccontarsi «da quel giramondo ch’io sono / volubile a tutti gli amori».

Francesca Bergadano, «Fa come la linfa che alla stagione giusta esplode con le gemme» Un breve viaggio nella poesia di Ennio Contini. Ennio Contini, Journey into the dark, New York, Chelsea Editions, 2017
Letteratura italiana moderna e contemporanea, Letteratura Italiana Del Novecento. Prefazione alla raccolta di poesie edite e inedite del poeta Ennio Contini.

A sinistra Ennio Contini (Alfredo de Palchi a destra) – Fonte: Giorgio Linguaglossa, art. cit. infra

[…] È stato pubblicato da Chelsea Editions di New York il volume Journey into the dark di Ennio Contini a cura della ricercatrice Francesca Bergadano, la quale scrive in premessa al libro: «Mi sono occupata dell’archivio Contini per la mia tesi di dottorato, interamente dedicata a questa dimenticata figura di letterato». Nato ad Oristano nel 1914 ma subito trasferitosi con la famiglia a Savona, sin da giovanissimo Contini maturò l’amore per la poesia. Dopo il diploma intraprese una serie di viaggi che lo portarono più volte in Ungheria, a Parigi e Londra. Scoperto dal critico Aldo Capasso, Contini ebbe contatti con Ezra Pound, Farfa, Quasimodo, Sbarbaro, Alfredo de Palchi. Partito volontario per la guerra d’Albania, Contini al ritorno in patria dove affrontare l’esperienza del carcere, dal quale esce nel 1953. Negli anni che seguono si trasferisce in Val Bormida dove rimane sino alla morte, nel 2006 con la famiglia, lavorando allo stabilimento 3M di Ferrania: qui pubblica altre raccolte poetiche e, nel 1995, un romanzo.
Nel 1947 mentre era rinchiuso nel carcere di Procida, Contini incontra il detenuto ventenne Alfredo de Palchi, condannato in primo grado all’ergastolo per un omicidio che non aveva commesso, accusa dalla quale fu prosciolto con formula piena dopo sei anni di detenzione preventiva perché non aveva commesso il fatto. il trentacinquenne Contini introduce il giovane de Palchi alla conoscenza della più alta cultura europea: alle opere di Villon, Kafka, Faulkner e alla migliore poesia italiana.
Pubblica in tutto quattro libri di poesia: Magnolia (1939), L’Alleluia (con Ezra Pound nel 1952), Schegge d’anima (1962) e Viaggio nel buio (1969).
Contini aveva tre anni quando la sua famiglia si stabilisce a Savona dove il giovanissimo poeta muove i primi passi nell’ambiente letterario. La prima infatuazione è per la poesia di Ungaretti, ma il giovane poeta viaggia in lungo e in largo per le città d’Europa: Londra, Parigi e Budapest dove fa la conoscenza di Franz Körmendi, fa incetta di esperienze culturali disparate. Nel libro di esordio, Magnolia, sono riconoscibili le influenze e i prestiti (Ungaretti, D’Annunzio, il ligure Barile, Sbarbaro, Montale). Contini si arruola nell’esercito e frequenta l’Accademia ufficiali di Salerno e si stabilisce con il 41 reggimento di fanteria ad Imperia con il grado di tenente. Viene in contatto in quegli anni con Quasimodo, Bonaventura Tecchi e Adriano Grande. Spedito in Albania il giovane tenente conosce l’orrore della guerra. Ferito in battaglia, Contini passa un lungo periodo di convalescenza tra Savona e Genova. In questo periodo ritorna alla sua amata letteratura, approfondisce Eliot, Joyce, Pound, Gide, Mauriac. A causa di un incidente incorso a causa delle sue funzioni di tenente dell’esercito italiano, viene arrestato e processato come criminale di guerra. Condannato a morte in primo grado, la pena viene commutata in prigione a vita e, infine, ridotta a nove anni di detenzione nel carcere di Savona, Procida e Civitavecchia. Durante la detenzione nel carcere di Civitavecchia (19951-1953) Contini intrattiene corrispondenza con Ezra Pound relegato al manicomio criminale di Sant’Elisabeth in Washington, e da questo breve scambio epistolare nasce l’idea di pubblicare i primi dieci Canti di Pound. Nel 1952 il volume è pronto e vede la luce il 25 aprile di quell’anno e viene accolto con grande interesse. Siamo negli anni Cinquanta, anni di febbrile attività culturale: cinema, arti figurative, romanzo e poesia, tutti i generi vengono contagiati da una forte carica di rinnovamento linguistico, si passa dal linguaggio neorelista e a quello neosperimentale, l’Italia si avvia verso il boom economico, i contrasti sono violenti, il paese passa da una economia a prevalenza agricola ad una economia industriale. Possiamo dire che, ad uno sguardo retrospettivo, la poesia di Ennio Contini pur percorsa da concitati movimenti tendenti al rinnovamento linguistico non riesce ad agganciare gli spunti di rivoluzione del linguaggio poetico che attraversavano la poesia italiana di quegli anni, rimane a metà strada tra suggestioni tardo ermetiche e intimismo lirico, pur con una propria cifra squisitamente personale, squisita e nobilmente impaludata attorno all’io lirico. È in quegli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta che la poesia di Contini perde colpi, resta indietro rispetto alle correnti e alle tensioni letterarie della sua epoca, non riesce a trovare una propria via di sviluppo stilistico e di rinnovamento linguistico pur restando un poeta significativo della linea post ermetica più aggiornata.
Erano gli anni della rivista “Officina” di Pier Paolo Pasolini e della costituenda neoavanguardia.
Ripercorriamo quegli anni con le parole di Umberto Eco: «La cosiddetta neo-avanguardia del Gruppo 63 irritava la cultura che allora si diceva impegnata fondata, lo abbiamo visto, su un connubio tra poetica del realismo socialista e marx-crocianesimo, ircocervo, a pensarci bene oggi, assai curioso, una sorta di Casa delle Libertà culturale in cui potevano convivere fieri reazionari (almeno dal punto di vista letterario) e impegnati socialisti, paleo-idealisti e materialisti vuoi storici che dialettici. Il Gruppo 63 non pareva credere al gesto rivoluzionario, fosse pure quello dei futuristi che scandalizzavano i buoni borghesi al Salone Margherita, aveva ormai capito che i gesti rivoluzionari, nella nuova società dei consumi, andavano a colpire una conservazione così duttile e smaliziata da far proprio ogni elemento di disturbo, e fagocitare ogni proposta di eversione immettendola in un circolo dell’accettazione e della mercificazione. L’eversione artistica non poteva più assimilarsi all’eversione politica. E quindi la neo-avanguardia, ponendosi come progetto di eversione dal di dentro, tentava di aggiustare il tiro, di spostare la polemica su obiettivi più radicali, difficilmente immunizzabili, di cambiare i tempi e le tecniche di guerra e soprattutto di anticipare o provocare, attraverso le soluzioni dell’arte, una visione diversa della società in cui si muoveva».1]
1] da Prolusione tenuta a Bologna da Umberto Eco per il quarantennale del Gruppo 63, l’8 maggio 2003 da http://www.umbertoeco.it
Giorgio Linguaglossa, Ennio Contini (1914-2006)…, L’Ombra delle Parole. Rivista Letteraria Internazionale, 18 settembre 2017