Quando l’organizzazione clandestina a Roma prese sviluppo

Il 15 febbraio 1944 Macciocchi riceveva l’input per entrare nei gruppi di azione partigiana, i GAP <73. Questi le apparvero come un gruppo di giovani borghesi sicuri, decisi, persino altezzosi.
“Maria Antonietta la ricordo bene. Era sempre molto elegante. Ma soprattutto ero molto amica di sua sorella, che si chiamava come me. Aveva la mia stessa taglia, così ci scambiavamo i vestiti” <74. Lucia Ottobrini, unica sopravvissuta delle quattro donne dei GAP romani, non ama ricordare i tempi della sua militanza partigiana. Lei e Macciocchi si conobbero nel ’44, dividendo l’esperienza partigiana a Roma. Quello di Ottobrini era un ruolo militare di primo piano <75, mentre Macciocchi era una semplice staffetta. Eppure i loro futuri destini dicono molto sul bivio che si presentò alle donne subito dopo la Resistenza. Per alcune di loro l’ingresso nella politica, all’indomani della Liberazione, fu la prosecuzione necessaria di un impegno cominciato con l’antifascismo e la lotta partigiana; l’esperienza della clandestinità divenne veicolo di emancipazione, ma al tempo stesso la posta da gettare sul piatto della politica dei partiti per veder riconosciuto il proprio diritto di cittadinanza e di partecipazione politica. Per molte donne l’ingresso nella Resistenza era stata la naturale conseguenza di un’assunzione di responsabilità civica e politica non meditata ma avvertita come esigenza impellente, come imperativo categorico. “Ho sempre detto che noi non abbiamo scelto la politica, siamo state scelte dalle circostanze, dalla Storia. Ci siamo trovate in mezzo e ci è sembrato indispensabile impegnarci” <76, ha raccontato Marisa Rodano <77.
Per altre invece, chiusa la parentesi eccezionale della Resistenza, giustificata in qualche misura dallo stato emergenziale del Paese, si apriva un destino ordinario, legato al rientro nella sfera privata. Così Lucia Ottobrini ha deciso di non apparire nelle commemorazioni della Resistenza, di non rilasciare interviste, ha rinunciato a trasformare quella sua radicale esperienza di lotta in impegno politico, scegliendo di vestire i più tradizionali panni di moglie e madre. La Ottobrini simboleggia con la sua storia il riserbo e il silenzio delle tante donne che decisero di tornare nell’ombra, di non rivendicare nulla, talora neppure un riconoscimento ufficiale. Il loro silenzio si unì a quello delle istituzioni, preparando la strada a un lungo oblio. La partigiana eroica, con la pistola nella borsetta, pronta a fulminare i nazisti, scompare discreta dietro la personalità incombente di suo marito, Mario Fiorentini <78, cui da sempre ha lasciato il ruolo di narratore delle vicende di una coppia che fu tale nella vita come nell’azione politico-militare.
Fiorentini ricorda Macciocchi nel quadro degli amici di Luchino Visconti. “Tra i suoi amici (n.d.r. di Visconi) vi erano Rinaldo Ricci, del Liceo Tasso, con la sua fidanzata Maria Antonietta Macciocchi, Carlo Lizzani, Luigi Squarzina e Franco Ferri” <79. Era Rinaldo Ricci, amico oltre che di Visconti anche di Fellini e Gianni Puccini, a condurre Macciocchi alle riunioni clandestine che si svolgono nella lussuosa villa del regista, sulla via Salaria. Ma la testimonianza di Fiorentini è preziosa anche per un’altra ragione: chiarisce il ruolo militare di Macciocchi nell’organizzazione e riporta alla luce un episodio mai raccontato dalla stessa Macciocchi, quello del suo coinvolgimento nel progetto, poi mutato, dell’attacco al carcere romano di Regina Coeli. “Quando l’organizzazione clandestina a Roma prese sviluppo – racconta – Rinaldo e Maria Antonietta furono al nostro fianco nello smistamento delle armi, bombe, esplosivi”. Dunque Ricci e Macciocchi erano stati scelti per far parte dell’organizzazione militare, con l’incarico di trasportare armi, proprio in virtù della loro giovane età e della loro aria molto rassicurante: “portavano borse da studenti a tracollo e nessuno sospettava che portassero armi”. Ma a parte il trasporto delle armi, Macciocchi partecipò alla preparazione di tre iniziative belliche, di cui solo la terza andò in porto, anche se lei non vi ricoprì alcun ruolo operativo.
Vale la pena riportare di seguito la testimonianza inedita di Fiorentini, che ricostruisce uno spaccato interessante di uno dei momenti più duri della storia della Resistenza romana e che vede coinvolti personaggi di spicco: “Dopo i pedinamenti avevamo constatato che Bardi, Pollastrini <80 e alcuni loro scherani, le bande fasciste che giravano per Roma, armate fino ai denti, con il teschio sulla fronte e due pugnali alla cintura ed anche bombe a mano, uscivano da Palazzo Braschi e si recavano in Via dell’Anima, in una bettola per il pranzo. Io mandai Emilio Vedova <81 e Giulio Turcato <82 a mangiare in questa bettola per resocontarci quello che avevano visto. Il nostro progetto era di aspettare che questo gruppetto di ossessi uscisse da Palazzo Braschi ed entrasse nella trattoria. Una volta addentato il primo piatto Rinaldo e Maria <83 comparivano fuori della porta, aprivano le borse di scuola e ci consegnavano bombe e pistole. Lucia <84, Franco (giovane studente romano) ed io cominciavamo a sparare”. Tuttavia questo primo progetto fu scartato poiché Fiorentini si rese conto, in modo del tutto casuale, che all’interno della sala del ristorante c’era un secondo ingresso, che non era stato segnalato al momento del sopralluogo. Il secondo progetto era ancora più ambizioso: si tramava un attentato contro il ministro degli interni: “Buffarini Guidi <85 saltuariamente, quando era a Roma, si recava a pranzare al Passetto, vicino a Piazza Navona. Noi prepariamo l’attacco. Tre ciclisti appostati alle due uscite avrebbero aperto il fuoco e fulminato il ministro e le sue guardie del corpo. Lucia, Maria Antonietta e Rinaldo sarebbero stati gli elementi fiancheggiatori. Quando questo piano micidiale stava per scoccare e giungere a buon porto, ci venne dall’organizzazione militare della Quarta Zona, comandante Mario Leporatti, l’ordine di soprassedere, con motivazioni per me non convincenti, alle quali però era giocoforza obbedire”. Di conseguenza anche il secondo piano fu scartato. Secondo la ricostruzione di Fiorentini, dunque, Macciocchi confonderebbe i due episodi, che nell’autobiografia diventavano un solo ricordo. In Duemila anni di felicità si ricostruiva un attentato pianificato contro il federale fascista di Roma nel ristorante Il Passetto. Nella versione di Macciocchi, inoltre, il piano era scartato all’ultimo istante perché il giorno dell’attentato il federale non si presentava al consueto ristorante, essendo stato invitato a mangiare dai tedeschi.
Macciocchi fu presente, secondo il racconto di Fiorentini, anche nella pianificazione di un terzo piano di guerriglia, ovvero l’attacco a Regina Coeli: “Antonello Trombadori – racconta ancora Fiorentini – comandante dei GAP centrali mi incontra a metà dicembre e mi dice: a Regina Coeli sono trattenuti esponenti importanti della Resistenza, dobbiamo far sentire loro che fuori l’opposizione alla Guerra e ai nazifascisti è forte. Prepara un attacco dimostrativo al Carcere di Regina Coeli” <86. Ed ecco il piano: “Tre coppie e dei ciclisti avrebbero effettuato un’azione durante il cambio della guardia. Arrivava davanti al carcere, verso le 12, un camion con ventisei militari tedeschi, fucile sulle ginocchia. Ventisei salivano e ventisei scendevano. I tre gruppi erano Fiorentini-Ottobrini, Bentivegna-Capponi, Di Lernia-Ricci-Macciocchi, che avrebbero attaccato i tedeschi nel momento in cui si effettuava il cambio. Poi i ciclisti seguendo tre percorsi diversi si sarebbero dileguati e nel trambusto gli altri compagni si sarebbero allontanati”. Tuttavia in un secondo momento Fiorentini cambiò idea e decise che l’operazione era troppo rischiosa; anche se preparata alla perfezione, infatti, sarebbe stata esposta a rischi di fallimento e dato il numero elevato di persone coinvolte e il loro ruolo nell’organizzazione, l’intera rete rischiava di essere smantellata. Decise dunque di portare avanti da solo l’operazione, come infatti avvenne <87.
[NOTE]
73 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 89
74 Testimonianza di Lucia Ottobrini
75 Lucia Ottobrini, nata a Roma nel 1924, entrò a far parte dei GAP all’età di 18 anni assieme a Carla Capponi, Maria Teresa Regard, Marisa Musu. Tra le tante azioni alle quali ha partecipato, quella con Marisa Musu e Carla Capponi dinnanzi alla caserma dell’81° Fanteria di via Giulio Cesare, per ottenere la liberazione dei civili arrestati; quelle per l’approntamento dei campi di lancio per gli aerei alleati; l’attacco ai fascisti in via Tomacelli; l’attentato di via Rasella. Nel dopoguerra ha sposato il matematico Mario Fiorentini, allora studente e, durante l’occupazione di Roma, comandante del GAP “A. Gramsci”.
76 Intervista di E. Selvi a Marisa Rodano, Donna TV
77 Marisa Cinciari Rodano (Roma, 21 gennaio 1921) è stata esponente del Partito Comunista Italiano, deputata, senatrice e parlamentare europea, dedicando gran parte del suo impegno alla condizione femminile in Italia e nel mondo. Ha partecipato alla Resistenza a Roma nelle fila del Movimento dei Cattolici Comunisti, e all’attività dei Gruppi di difesa della donna (GDD). E’ stata tra le fondatrici dell’UDI e sua dirigente con vari incarichi, fino alla Presidenza nazionale, ricoperta tra il ’56 e il ’60. È stata la prima donna nella storia italiana a venir eletta alla carica di vicepresidente della Camera, che ha ricoperto dal ’63 al ’68. Ha fatto parte della delegazione italiana alla Conferenza mondiale della donna dell’ONU a Pechino (1995) e alla Commissione per lo Status della donna dell’ONU a New York dal ’96 al 2000. Nel ’44 ha sposato Franco Rodano da cui ha avuto cinque figli.
78 Mario Fiorentini è nato a Roma il 7 novembre 1918. Partecipa alla lotta partigiana al comando del Gruppo di Azione Patriottica (GAP) “Antonio Gramsci”. Autodidatta, nel 1971 diviene Professore ordinario di Geometria superiore all’Università di Ferrara
79 Testimonianza di Mario Fiorentini
80 Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini diressero la polizia fascista repubblicana, avendo come sede operativa Palazzo Braschi, sede del Partito fascista repubblicano. Furono leader di una delle più violente tra le varie formazioni fasciste autonome che si segnalarono a Roma nel periodo dell’occupazione nazista, nota come “Banda Bardi-Pollastrini” o “Banda di Palazzo Braschi”. Gli eccessi della formazione furono tali da costringere i tedeschi a scioglierla. Si veda Bardi e Pollastrini. La banda di Palazzo Braschi, Roma, Casa editrice San Basilio, 1944; S. d’Amico, Regina Coeli, Palermo, Sellerio, 1994. A. Sciamanda, L’autunno nero del ’43. Fascisti e antifascisti a Regina Coeli, Firenze, Giunti, 1993
81 Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006) è stato uno dei maggiori pittori italiani del dopoguerra.
82 Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995) è stato un pittore italiano.
83 Rinaldo Ricci e Maria Antonietta Macciocchi
84 Lucia Ottobrini
85 Guido Buffarini Guidi (Pisa, 1895 – Milano, 1945) è stato un politico italiano. Nel 1938 è sato tra i firmatari del Manifesto della razza, in appoggio alla promulgazione delle leggi razziali. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio del 1943 votò contro l’Ordine del giorno Grandi, con la cui approvazione fu destituito Benito Mussolini. Il 26 luglio fu arrestato e recluso nel carcere di forte Boccea dal quale fu liberato in settembre dalle autorità tedesche. Seguì Mussolini nella fondazione della Repubblica Sociale Italiana, di cui fu Ministro degli Interni fino al 12 febbraio del 1945. Sollevato dall’incarico dallo stesso Mussolina fu in seguito sostituito da Paolo Zerbino. Catturato dai partigiani il 26 aprile 1945, processato e condannato a morte da una Corte d’Assise straordinaria, fu assassinato prima che la sentenza potesse essere regolarmente eseguita.
86 Testimonianza di Mario Fiorentini
87 L’attacco fu realizzato il 28 dicembre 1943 da Mario Fiorentini. Fiorentini arrivò in bicicletta all’ingresso del carcere, dove una colonna di tedeschi stava effettuando il cambio della guardia, con un un tubo di ferro riempito di esplosivo che poco prima aveva ricevuto da Carla Capponi (di copertura con Lucia Ottobrini, Franco di Lernia e Rosario Bentivegna). Posò la bicicletta, si avvicinò al muro che delimitava la strada antistante la facciata del carcere, lanciò l’esplosivo. Otto tedeschi morirono per la deflagrazione, altri restarono feriti.
Eleonora Selvi, Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un’intellettuale nomade nel secolo delle ideologie, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2009