Oltre al vento, un ulteriore elemento naturale presente nello haiku e nelle poesie di Quasimodo è l’acqua

Salvatore Quasimodo
Fonte: Wikipedia

Fra la fine dell’800 e l’inizio dei primi del ‘900 in Italia si diffuse un’attenzione particolare per l’arte poetica giapponese. Il primo letterato, insegnante e storico italiano che svolse l’attività di traduttore e saggista è stato Mario Chini che nel 1915 presentò il suo primo lavoro di traduzione dal titolo “Note di Samisen” una raccolta di poesie giapponesi (tanka e haiku).
Forse un primo contatto con la cultura e poesia giapponese si verificò attraverso la rivista letteraria L’Eco della Cultura istituita nel 1914 contenente componimenti giapponesi a cura di Vincenzo Siniscalchi. Tra il 1920-21 l’università di Napoli divulgò una rivista Sakura con la collaborazione dello scrittore giapponese Harukichi Shimoi, il quale è stato un fedele amico di Gabriele D’Annunzio (1863-1938). Nel 1921 la rivista La Ronda espresse un atteggiamento negativo nei confronti della poesia giapponese che stava prendendo piede in Europa al contrario dei futuristi che ne ammirarono la rapidità.
Il primo poeta italiano che ha coltivato un certo fascino per l’Oriente è stato G. D’Annunzio che pubblicò tra il 1885-1860 la poesia “Outa occidentale” rispettando la metrica del tanka. Altri poeti di notevole spicco sono stati Andrea Zanzotto (1921-2011) uno dei più rilevanti poeti italiani del ‘900 per aver redatto una raccolta di 91 pseudohaiku dal titolo “Haiku for a season/haiku per una stagione” e Edoardo Sanguineti (1930-2010) conosciuto per aver pubblicato poesie haiku nelle raccolte “Mikrokosmos”.
L’arte poetica giapponese possiamo associarla alla poesia ermetica di inizio ‘900 perché entrambe condividono alcune caratteristiche. Caratterizzata da versi brevi ed essenziali, sintassi semplificata con assenza di nessi logici e parole cariche di simbolismo, la poesia ermetica non vuole raccontare o descrivere un’azione ma imprimere sul foglio bianco frammenti di verità cui i poeti sono sopraggiunti tramite la rivelazione poetica. Inoltre, essi mostrano un totale rifiuto nei confronti della storia, delle espressioni retoriche e lessicali, la letteratura si riconosce con l’io profondo del soggetto, con la sua dimensione spirituale più autentica risalendo alle “origini centrali dell’uomo”.
Lo strumento privilegiato dai poeti è l’analogia come tramite di un processo che coglie realtà misteriose, trasferendo i dati dell’esperienza su un piao di situazioni interiori e spirituali.
Il centro in cui confluisce questa ricerca è costituito dalla parola la quale diviene evocatrice ed allusiva al fine di caricarsi di significati molteplici ed indefiniti realizzati con una forte concentrazione. Mostrandosi come pura e sottratta ad ogni altro condizionamento, la poesia vuole costruire la vera e sola realtà, al di là della conoscenza, interrogandosi sul senso della vita e offrendo risposte che concernano il destino umano, sospeso tra l’eterno e il tempo.
Tra i poeti ermetici ricordiamo Giuseppe Ungaretti (1888-1970), Salvatore Quasimodo (1901-1968), Mario Luzi (1914-2005), Luigi Fallacara (1890-1963), Giorgio Vigolo (1894-1983), Carlo Betocchi (1899-1986), Sergio Solmi (1899-1981), Libero De Libero (1906-1981), Alessandro Parronchi (1914-2007), Piero Bigongiari (1914-1997).
Nato a Modica nel 1901, in un paese nella provincia di Ragusa, Salvatore Quasimodo è considerato uno dei massimi rappresentanti della corrente ermetica.
La sua prima raccolta di poesie è pubblicata sulla rivista “Solaria”. Successivamente in questa rivista, sono state divulgate Acque e terre (1930), Oboe sommerso (1932) ed Erato e Apollion (1936). Le Nuove poesie (1942) appariranno nel medesimo anno nel volume Ed è subito sera.
Leggendo i componimenti di S. Quasimodo, racchiusi nella silloge Ed è subito sera, si possono osservare tracce di haiku. Dal punto di vista stilistico, la parola si chiude ad ogni forma comunicativa, impiegando un valore assoluto, che si dirige all’astratto. Sin da subito, l’elemento che colpisce il lettore è il ricorrere a brevi composizioni sebbene non ci sia un’identica corrispondenza ritmica alla poesia giapponese. Quasimodo si serve di una combinazione di versi parisillabi (2-4-6-8-10) e imparisillabi (3-5-7-9-11) di lunghezza variabile con una scelta nel prediligere il verso breve all’inizio della produzione poetica per poi continuare verso una metrica più composita nell’opera Giorno dopo giorno (1946) 38.
Come lo haiku avente come tema centrale la natura e l’avanzare per immagini, anche in Quasimodo è possibile rilevarlo: il poeta vuole rendere le entità assolute ed identificarle attarverso le parole. Difatti, le prime poesie presentano una struttura piuttosto semplificata, una sintassi nominale con l’assenza del determinante con lo scopo di espandere l’indefinitezza.
Oltre ad essere un elemento chiave nella silloge Ed è subito sera, la natura svolge un ruolo fondamentale nelle traduzioni dei lirici greci dove è possibile constatare un insieme di elementi naturali quali acqua, vento, terra, foglie, alberi analizzati in maniera diversa rispetto allo haiku giapponese. Attraverso queste sostanze naturali, Quasimodo ci descrive la sua isola, l’amata Sicilia, una terra mediterranea e differente dall’Oriente.
La nostalgia della casa natale, l’infanzia e la natura, sono i temi frequenti in Acque e Terre (1930) che risentono di influssi dannunziani e pascoliani. Nell’esprimere il rapporto tra l’elemento reale e la condizione privata del poeta, la parola presenta un tono magico ed evocativo regalando al lettore un’interpretazione della poetica ermetica. L’insoddisfazione del presente e la solitutide invece sono temi ricorrenti in Oboe sommerso (1932) dove la musicalità si serve di un lessico ricercato tramato di relazioni analogiche per esprimere il “mito della solitudine dell’uomo nel dolore della vita” (Finzi).
Un’eleganza estetizzante e una classica limpidezza si compongono nei versi di Erato e Apollion (1936), dove la trasposizione della mitologia individuale sul piano dell’idea vive nel tentativo di recuperare il valore di una parola vergine ed assoluta. Un particolare cambiamento con l’uso di nuove tecniche espressive si mostra in Le Nuove poesie (1942), in cui il poeta si avvale di un verso lungo e lineare, i temi si arricchiscono di elementi tratti da una realtà concreta e non astratta aprendosi verso forme accessibili.
Svolgendo il mio lavoro di analisi, ho osservato che due elementi natuali quali il vento e l’acqua vitali per lo haiku, lo sono anche per la poesia di Quasimodo.
Dalle primissime liriche sino alle ultime, il vento è un elemento ricorrente e tutte le volte varia di significato. Ad esempio, in “Vento a Tindari” racchiuso nella silloge “Acque e terre” (1930), osserviamo l’importanza del vento nella seconda strofa “Salgo vertici aerei precipizi/assorto al vento dei pini/e la brigata che lieve m’accompagna/s’allontana nell’aria” dove riveste una connotazione positiva. Tindari rappresenta la fanciullezza e la memoria felice del poeta: il vento vuole condurre alla memoria, al ricordo della Sicilia e alla infelicità per la fanciullezza trascorsa a cui si oppone la vita colma di sconforto che il poeta conduce a Milano. La poesia è l’unica fonte di consolazione per il poeta stesso.
In “Strada per Agrigentum” inserita nella raccolta “Le Nuove poesie” (1942), il vocabolo vento ricorre tre volte: “Là dura un vento che ricordo acceso/nelle criniere dei cavalli obliqui/in corsa lungo le pianure,/vento che macchia e rode l’arenaria e il cuore/dei telamoni lugubri/riversi sopra l’erba./Anima antica,grigia/di rancori,torni a quel vento,/annusi il delicato muscio che riveste/i giganti sospinti giù dal cielo”.
A differenza della lirica precedente, in cui il vento denota una sensazione piacevole, adesso si riflette una connotazione negativa dove il vento consuma le vestigia del passato. In questo componimento, Quasimodo si identifica esule nella terra lombarda e celebra il contrasto con l’arida pianura della Sicilia dove un vento caldo sembra infiammare le criniere dei cavalli. Attraverso l’avverbio di luogo “là” indicante un punto lontano da chi parla, il poeta avverte il distacco dalla terra natia sia nello spazio sia nel tempo.
In altri testi come in “Terra” racchiusa nella antologia “Acque e terre” il vento è segno di fusione del poeta con l’universo “Notte, serene ombre,/culla d’aria,/mi giunge il vento se in te mi spazio” o di nuovo in “Vento e Tindari” il vento è una persona concreta con cui conversare, posta in un preciso spazio geografico “E tu vento del sud forte di zàgare/ spingi la luna dove nudi dormono/fanciulli”.
La valenza negativa del vento si analizza inoltre nella raccolta di “Oboe sommerso” fino ad arrivare all’antologia “Ed è subito sera”. In “Obe sommerso” il desiderio del poeta è di scorgere la pace e di fuggire al tempo: il divenire vento ha una sua felicità nel “viaggiare libero” mentre l’uomo deve cercare la propria identità. In “Riposo dell’erba” inclusa nella silloge “Oboe sommerso”, il vento assume una essenza dolorosa, la relazione tra la morte e il vento è connessa alla situazione storica in cui il poeta vive la propria aridità “mi desta la morte:/più uno, più solo,/battere fondo del vento:/di notte” e per terminare nella lirica “Che vuoi, pastore d’aria” inclusa nell’antologia “Ed è subito sera” in cui si assiste all’irrompere della forza della natura: il vento che travolge e si confonde con il suono del corno “o da che terra il soffio/di vento prigioniero, rompe e fa eco/nella luce che già crolla;/che vuoi,/pastore d’aria?Forse chiami i morti”.
Allo stesso modo, nello haiku, il vento può assolvere molteplici funzioni e pertanto, la sua connotazione si modifica e si rafforza a seconda della stagione.
Nei versi più popolari di M. Bashō, “Nel vento, da ogni dove,/petali di ciliegio…/il lago Nio” il vento di primavera riflette sensazioni gradevoli; invece se si lega alla stagione autunnale, il vento evidenzia la malinconia e la desolazione come in “Muoviti, o tomba!/La voce del mio pianto/il vento dell’autunno”. Anche nel poeta K. Shuson, il vento richiama la distruzione della guerra “Terra bruciata/e sulla cassaforte/gelido vento sibila” mentre nei versi di Y. Buson “Un vento profumato…/Impossibile accendere/le lampade del tempio” il vento del sud manifesta l’idea di profumo.
Oltre al vento, un ulteriore elemento naturale presente nello haiku e nelle poesie di Quasimodo è l’acqua. Prendendo in considerazione l’acqua del mare e l’esilio, è importante citare i versi di Bashō di fronte all’isola di Sado “Mare in tempesta!/Sull’isola di Sado/la Via Lattea si stende…” che denotano l’immagine di un paesaggio meraviglioso ma nello stesso tempo drammatico: basti pensare alla vita degli abitanti dell’isola usati come manodopera nelle miniere di oro e argento.
Diversamente dalla cultura giapponese, in Quasimodo, l’acqua è l’elemento vitale che permette la fusione del poeta con l’oggetto inanimato. Nella poesia “Dammi il mio giorno” in “Oboe sommerso”, l’acqua è quella sostanza che fuoriesce quando vogliamo ritrovare un sé stesso perduto “Dammi il mio giorno;/ch’io mi cerchi ancora/un volto d’anni sopito/che un cavo d’acque/riporti in trasparenza” oppure è la voglia del poeta di fondersi con la natura e di ritornare all’epoca della fanciullezza dove non si respirava solitudine e malinconia come nella poesia “Fresca marina” in “Acque e terre”.
L’identificazione del poeta con la natura è possibile rilevarla negli haiku. Per esempio nello haiku di M. Shiki “Soffocante calura…/L’animo inquieto,ascolto/il rumore del tuono” o nello haiku di Y. Seishi dove la fusione con la natura denota una scoperta “Sole brucante/e una vela lontana!/La vela del mio cuore”.
La lirica più famosa di S. Quasimodo, che custodisce le particolarità salienti dell’Ermetismo e si paragona allo haiku giapponese è “Ed è subito sera”:
Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio:
ed è subito sera.
In questo componimento, Quasimodo ha voluto inserire quelle sensazioni proprie dell’essere umano: il senso della solitudine e l’alternarsi tra momenti di felicità e dolore.
Inoltre, vuole mettere in rilievo il significato profondo della parola che, nella sua concentrazione, intreccia una densa rete di rimandi analogici. Si osserva la dualità tra la vita e la morte, tra il passeggero e il permanente.
Analizzandola nel dettaglio, il primo verso “ognuno sta solo sul cuor della terra” manifesta un senso di solitudine dell’essere umano che si trova “solo sul cuor della terra” ossia al centro delle cose. Da questa antitesi deriva una contraddizione che si ripercuote sul participio passato “trafitto”, che racchiude un significato profondo: il “raggio di sole” che ferisce l’essere umano è simbolo di luce e calore e perciò, fa pensare allo splendore della vita; ma nello stesso tempo, il “trafitto” denota la sofferenza: chi trafigge qualcuno, provoca nella persona una ferita al cuore. Questa sensazione spicca dopo la lettura dell’ultimo verso, il quale è spezzato dalla congiunzione “ed” che riconduce alla “sera” il momento in cui l’essere umano ferito al cuore, è una persona destinata a morire dalla stessa bellezza della vita di cui gode.
Come lo haiku, Quasimodo si avvale di linguaggio poetico semplice e di immediata comprensione con toni malinconici; attraverso le figure retoriche come la metafora “sul cuor della terra”, l’alliterazione “sta solo sul” e l’analogia “trafitto da un raggio di sole” ci fornisce un’immagine dinamica carica di significato: la solitudine legata al dolore e alla brevità della vita dell’essere umano.
Dal primo all’ultimo verso, l’obiettivo del poeta è di presentare dei concetti essenziali dell’esistenza umana: la vita regala momenti di gioia e calore, come un raggio di sole, ma nello stesso tempo ferisce e fa soffrire l’uomo.
38 Baldi G., Giusso S., Razetti M., Zaccaria G. (2012), Il piacere dei testi. Dal periodo tra le due guerre ai giorni nostri, volume 6, Paravia editore.
Annabella Cantacessi, Simmetria ed armonia nelle forme: attimi di meraviglia immortalati in un Haiku, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno Accademico 2018/2019, pp. 47-52