Ogni volta che un consumatore entra nel panorama mediale, vi entra anche un nuovo produttore

Figura 4.1.: La storica copertina del numero di dicembre 2006 del Time Magazine: definizione riscontrata in Corrado Peperoni, Op. cit. infra

Come visto nei capitoli precedenti, tra le caratteristiche ricorrenti del transmedia storytelling c’è il ruolo attivo riconosciuto al pubblico, che non di rado diventa parte integrante della narrazione, in grado in alcuni casi di influenzarne l’andamento.
Alcuni degli intervistati hanno anzi sottolineato come questo aspetto sia il vero elemento di novità e di caratterizzazione del transmedia storytelling, indicandolo come uno degli elementi che consentono di distinguere la narrazione transmediale da quella crossmediale, più dello sviluppo di storyline attraverso più piattaforme mediali.
Sempre meno quindi il pubblico è raffigurabile come in inerte ascolto, passivamente ricettivo di un flusso comunicativo inviatogli dal broadcast, dal quale invece, sempre più spesso, è chiamato ad attivarsi, per inseguire la narrazione, per viverla con i suoi personaggi preferiti.
Come detto questo ruolo compartecipativo dei pubblici è in qualche modo connaturato, caratteristico delle narrazioni espanse, ma sarebbe erroneo ritenere che siano stati questo tipo di prodotti mediali ad aver dato alle audience questo spazio d’azione, di cui in realtà si sono appropriate già da tempo.
È più corretto dire che questo tipo di narrazioni sono la naturale evoluzione dell’arte del raccontare, in un contesto in cui la pervasività dei media digitali ha reso via via più agevole per chi ascolta la storia realizzare l’istintivo desiderio di prendervi parte.
Come ha sintetizzato efficacemente Clay Shirky nel corso del TEDGlobal 2005 <119
“ogni volta che un consumatore entra nel panorama mediale, vi entra anche un nuovo produttore, perché le stesse apparecchiature (telefoni, computer) permettono di consumare e di produrre… È come se, quando acquistate un libro, vi dessero in omaggio anche la macchina da stampa…”
In ogni caso il protagonismo, la compartecipazione del pubblico rimanda a scenari antecedenti allo sviluppo dei media digitali, come pure di quelli di massa. Basti considerare il pubblico del teatro:
“[…] le prime manifestazioni delle audience erano molto partecipative ed interattive […]. Il pubblico teatrale, ad esempio, si impegnava in una vasta gamma di attività, dal cantare canzoni all’urlare istruzioni ed insulti agli attori. È stato solo con l’avvento di media di massa come il cinema e la radio (e più tardi, ovviamente, la televisione) che la dinamica tra fornitore di contenuti e audience è diventata sempre più unidirezionale. […] Ed è interessante che questa caratteristica si sia diffusa anche ai più tradizionali contesti in cui le audience erano naturalmente più partecipative. Al teatro, per esempio, è ormai largamente in disuso l’abitudine di urlare contro gli attori (Napoli, 2011, 12, trad.nostra)”.
In questa prospettiva l’avvento e l’ampia diffusione dei media digitali ha restituito al pubblico la possibilità di partecipare che avevano gli spettatori nel teatro, sin dai tempi del teatro antico greco. E che le audience abitino partecipativamente il panorama mediale con una intensità inedita, è ormai patrimonio condiviso da tempo, perché questo tipo di pratiche da anni non sono più confinabili a nicchie di early adopters. Così oltre alle riflessioni accademiche, anche i mezzi di informazione mainstream non hanno mancato di sottolineare il fenomeno. Tra i molti esempi possibili, merita di essere citato quello del Times, che nella copertina del dicembre 2006 (Figura 4.1), indico ‘Tu’, e cioè ognuno di noi, come uomo dell’anno:
“guardate al 2006 attraverso altre lenti […] è una storia di community e collaborazione su una scala mai vista prima. Si tratta di Wikipedia, cosmico compendio di conoscenza, e di Youtube, network di milioni di canali/persone, e di MySpace, una metropoli online. […] Siamo pronti per bilanciare la nostra dieta di notizie predigerite con girato che arriva direttamente da Baghdad, Boston e Pechino. E puoi imparare di più sulla vita degli americani dagli sfondi dei video su Youtube (camere da letto disordinate, sale hobby cosparse di giocattoli) […] di quanto potresti con mille ore di televisione broadcast. Ma non ci limitiamo a guardare. Lavoriamo anche. Come matti. Creiamo profili Facebook, avatar su Second Life, recensiamo libri su Amazon e registriamo podcast […] (Grossman, 2006, trad.nostra)”.
Fatti salvi i toni acriticamente entusiastici dei passaggi citati (ed i richiami a MySpace e Second Life, che oggi appaiono vetusti), l’articolo coglie il mutamento fondamentale in atto, e nei pochi esempi riportati, riesce ad evidenziare le sfide che questi cambiamenti pongono agli attori tradizionalmente al centro del panorama mediale.
Il rinnovato protagonismo del pubblico – che non si limita più ad osservare la scena, ma contribuisce attivamente a costruirla, fino a recitarvi sempre più spesso da protagonista – è accompagnato da un altro mutamento fondamentale: il (pressoché) definitivo affrancamento del contenuto dal medium, dal dispositivo che lo veicola. La ‘televisione’ è da tempo non più sovrapponibile al televisore, ma vive su device molto diversi fra loro, per dimensioni, tecnologie, protocolli di trasmissione dei flussi informativi; i film sono da decenni fruibili lontano dal grande schermo e il podcast, lo streaming, le web radio hanno reso anacronistica la pretesa di far coincidere la radio con il device fisico.
Questo influenza la stessa struttura dell’industria mediale, e definirne qualsiasi settore
“nei termini di una particolare piattaforma distributiva (ad esempio ’industria televisiva’ […]) non ha più alcun senso, visto che le singole tipologie di contenuto si sono espanse ben oltre i confini delle piattaforme distributive che inizialmente contribuivano a definirle (Napoli, 2011, 56, trad.nostra)”.
La crescente proattività delle audience, l’indipendenza dei contenuti dalle piattaforme che li veicolano, la presenza ubiquitaria dei media digitali e la loro diffusione tra fasce sempre più ampie della popolazione (cfr. cap.1, par.3) comportano profondi mutamenti nel panorama mediale.
Napoli sintetizza le dinamiche in atto parlando di frammentazione, dei media e delle audience.
La frammentazione dei media è quell’insieme di
“processi tecnologici che aumentano la scelta di contenuti disponibili per i consumatori mediali. Questo concetto può essere ulteriormente disaggregato. Per primo bisogna considerare la frammentazione inter-mediale che riguarda la crescita di nuove piattaforme mediali. Queste nuove piattaforme distributive oltre a facilitare la distribuzione di contenuti addizionali, moltiplicano i canali attraverso i quali ogni singolo contenuto può essere acceduto. […] La frammentazione intra-mediale riguarda [invece] il processo che accresce le possibilità di scelta all’interno di un singolo medium. Nell’accezione più ovvia questo riguarda l’incremento dell’ampiezza di banda (Napoli, 2011, 55-56, trad.nostra)”.
In altri termini la frammentazione inter-mediale è quella che consente alle audience di scegliere se guardare una puntata della propria serie tv preferita in diretta televisiva, online, sul Dvd, tramite Dvr. Ed è frammentazione inter-mediale anche quella che, similmente, lascia libero il lettore di consultare il proprio quotidiano preferito nel tradizionale formato cartaceo, nel sito web, o tramite app per smartphone o per tablet.
La frammentazione intra-mediale, derivando essenzialmente dalla maggiore ampiezza di banda delle singole piattaforme mediali, si traduce invece nella disponibilità per le audience di un maggiore numero di canali che distribuiscono contenuti all’interno delle singole piattaforme, come avviene ad esempio con l’incremento dei canali televisivi o con la diffusione dei cinema multisala (cfr. cap.1). In sintesi una maggiore possibilità di scelta all’interno dello stesso medium. Napoli descrive come parte della frammentazione intra-mediale anche la possibilità di fruire in maniera spezzettata, ridotta, rimontata, i singoli contenuti: ad esempio selezionare un singolo articolo di giornale invece che acquistarne l’intera copia; guardare la singola performance di un concorrente di un talent show, invece che un’intera puntata (Napoli, 2011, 56).
Questa seconda declinazione del concetto di frammentazione intra-mediale appare però meno solida, soprattutto perché si concretizza (il caso del talent show) attraverso la fruizione online di contenuti nati per la televisione, essendo quindi riconducibile più al concetto di inter-medialità che a quello di intra-medialità.
Napoli descrive poi la frammentazione dell’audience (Napoli, 2011, 57 ss) come conseguente a quella mediale (non ponendosi del tutto al riparo dai rischi del determinismo tecnologico): l’ampissima varietà di scelta concessa al pubblico in termini di quali contenuti fruire e dove/quando fruirli, fraziona l’audience di massa in audience di nicchia, o comunque in un maggior numero di audience ciascuna di dimensioni ridotte se confrontate con quelle raccolte dalla televisione dei ‘grandi numeri’ (Figura 4.2). Ne deriva un maggiore rilievo complessivo, in termini di redditività, di prodotti che raccolgono intorno a se pubblici quantitativamente esili, quelli dell’ultimo tratto della coda lunga
descritta da Anderson. <120
Il mutamento del panorama mediale appena tratteggiato rimette in discussione da varie prospettive la relazione tra produttori/emittenti dei contenuti e loro audience, almeno nei termini in cui si era andata consolidando a partire dagli anni Trenta del secolo scorso:
– la distinzione dei ruoli tra broadcast e più in generale attori della produzione da un lato e audience dall’altro presenta confini sempre più sfumati;
– la dieta mediale delle audience è sempre più diversificata. La penetrazione dell’internet in mobilità, su smartphone o tablet, rende naturale l’idea di poter fruire ovunque, e sempre, dei contenuti di interesse;
– la fruizione (e creazione) di contenuti mediali su più piattaforme, su cui il pubblico si attiva con percorsi personalizzati, mette in crisi i metodi di misurazione tradizionali delle audience: diventa sempre più difficile, e di significatività decrescente, misurare le audience in riferimento a specifiche e singole piattaforme mediali.

Infografica 4.1 – Disponibilità delle tecnologie nelle famiglie statunitensi. Anno 2014 – (Valori percentuali) – Fonte: Nielsen, CrossPlatform Report September 2014 (dati riferiti al mercato statunitense) – Immagine qui ripresa da Corrado Peperoni,  Op. cit. infra

[NOTE]
119 Clay Shirky, Institutions vs. Collaboration, intervento al TEDGlobal 2005, Oxford, Inghilterra, 14 luglio 2005, https://www.ted.com/talks/clay_shirky_on_institutions_versus_collaboration
120 Chris Anderson, The Long Tail, in Wired Magazine, n.10, dicembre 2004

Figura 4.2 – La frammentazione dell’ambiente mediale (Napoli, 2011, 57) – Immagine qui ripresa da Corrado Peperoni,  Op. cit. infra

Corrado Peperoni, Transmedia in Italy. Testimonianze, casi di studio e peculiarità del narrare espanso italiano, Tesi di dottorato, Università Sapienza – Roma, Anno Accademico 2013/2014