Non piangere, ti porto da tua mamma

Foto di gruppo delle Aquile Randagie del 1935 – Fonte: Terra e gente… cit. infra

[…] Nel 1926 il regime si assicurò con le “leggi fascistissime” il completo controllo dell’educazione dei giovani. Mussolini per creare l’Opera Nazionale Balilla si ispirò all’uniforme, all’organizzazione e ai rituali scout, sovvertendone completamente i valori e gli obiettivi. Lo fece in maniera subdola: il “servire” scout, inteso come “aiutare gli altri in ogni circostanza” diventò per i Balilla “obbedire” ciecamente al duce e al fascismo.
Ogni espressione dello scoutismo venne dichiarata illegale. La sera del 22 aprile 1928 gli scout deposero le loro insegne (Guidoni e Fiamme) nelle mani di rappresentanti della Chiesa di Milano rifiutandosi di consegnarle a esponenti del fascismo. In quel momento si scioglieva l’Asci (Associazione scout cattolici italiani). Qualcuno si accorse che all’incontro mancava il gruppo scout Milano 2. Ci volle poco per accorgersi che in quello stesso momento nella chiesa di San Sepolcro – di fronte alla Casa del Fascio in Milano – veniva pronunciata la prima Promessa clandestina: gli scout del Milano 2 avevano deciso di resistere “un giorno in più del fascismo”. Così nacquero le Aquile Randagie che fecero della Val Codera, in cima al lago di Como, il luogo di una originale avventura cristiana in un tempo di oscurità.
Per anni, le Aquile Randagie – tra i nomi in codice degli appartenenti c’erano Cicca, Sionne, Bufalo, Lupo grigio, Aquila rossa, Dakar, Buck, Leprotto – portarono avanti un’intensa attività clandestina, accogliendo tra le loro fila anche scout di Monza e di Como (Lelio Oldrini, Carlo Verga, Virgilio Binelli……). Le due figure chiave del gruppo furono don Andrea Ghetti, detto Baden, e Giulio Cesare Uccellini, detto Kelly. I loro giornali clandestini, Estote Parati e più tardi Il Ribelle, passarono di mano in mano, portando messaggi di speranza e disobbedienza a leggi che erano contro i diritti e la dignità dell’uomo. Le attività continuarono anche all’estero: le Aquile diventarono membri onorari di reparti francesi e svizzeri e nel 1933 e nel 1937 riuscirono anche a partecipare a due Jamboree (raduni mondiali degli scout) svoltisi rispettivamente in Ungheria e in Olanda.
Si potrebbe pensare che il ritrovarsi in Val Codera fosse una fuga dalla realtà, un isolarsi al di fuori del mondo e della storia: al contrario – e i fatti lo dimostreranno più avanti – fu un riconquistare la libertà di pensare, di pregare, di sognare, di contrastare la follia della massa, di lottare per un futuro migliore.
Qualche anno dopo l’Italia entrò in guerra e i pericoli aumentarono: non pochi scout vennero perseguitati e deportati, altri uccisi dai manipoli fascisti, lo stesso Kelly venne aggredito da una squadraccia e riportò gravi ferite. Tuttavia le attività continuarono, in Val Codera, chiamata “il paradiso perduto” oppure, con il linguaggio di Kipling, “la giungla silente”. Lo scopo era tenere viva la fiamma cioè l’anima dello scoutismo riassunta nel binomio contemplazione e azione.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 le Aquile Randagie si affiancarono alle fila dei partigiani ma sempre seguendo i principi scout: “noi non spariamo, non uccidiamo, noi serviamo”.
Fu don Giovanni Barbareschi, storica figura delle Aquile Randagie, a commentare la scelta della coscienza cristiana di quegli scout: «Non si nasce liberi, si nasce con la possibilità di diventare persone libere e tutto questo esige un lavoro su sé stessi. A fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie […] come abbiamo scritto in una pagina del nostro giornale clandestino Il Ribelle, non vi sono liberatori ma solo uomini che si liberano, uomini che diventano liberi”».
Dalla collaborazione tra don Andrea Ghetti, Guido Uccellini, don Enrico Bigatti e don Giovanni Barbareschi nacque l’Oscar, l’Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Rifugiati – “un vero e proprio centro di creazione di documenti falsi ed espatrio clandestino”. Il messaggio standard per far partire un espatrio fu nell’innocuo “Dì ad Oscar che per la passeggiata ci vediamo domani”, difficilmente intercettabile anche al telefono; così tramite la Val Codera vennero salvate oltre 2000 persone non senza perdite tra le fila delle Aquile Randagie, come quella dell’appena diciannovenne Peppino Candiani, crivellato dai nazisti sul fiume Tresa. […]
Redazione, Lo scoutismo ribelle delle Aquile Randagie. 1928-1945, Sui loro passi

Dopo l’8 settembre 1943 i preti delle canoniche italiane si prodigarono per salvare militari sbandati, ricercati politici, ebrei e partigiani. In questo clima si sviluppò a Milano un’Organizzazione di Assistenza ai ricercati denominata OSCAR, sigla che significava, almeno inizialmente, Opera Scoutistica Cattolica Antifascisti Ricercati. La matrice, come è facilmente intuibile era Scout: essa nacque da alcuni componenti del famoso gruppo Scout delle Aquile Randagie. Essa ebbe una diramazione significativa nella zona di Varese dove l’Organizzazione era gestita da don Natale Motta.
Chi era l’O.S.C.A.R.?
I primi espatri clandestini furono effettuati tra agosto e settembre, senza che ci fosse una vera e propria organizzazione addetta a tale scopo. Soldati sbandati o fuggiti dai campi di prigionia cercavano aiuto tra il clero e fu così che don Ghetti, Uccellini e Barbareschi organizzarono i primi passaggi. Don Natale Motta ricorda nelle sue Memorie (1) come molti soldati di origine meridionale, nel medesimo periodo, si fossero recati da lui per cercare salvezza in Svizzera. Prima che l’OSCAR nascesse, alcuni suoi componenti si erano già cimentati, seppur per un periodo breve e con una situazione politica favorevole, a favorire l’espatrio clandestino.
La matrice scoutistica dell’Opera si evince chiaramente dal primo acronimo Opera Scoutistica Cattolica di Aiuto ai Ricercati: i suoi ispiratori furono don Ghetti e Giulio Cesare Uccellini. Fu don Ghetti stesso con don Enrico Bigatti e don Aurelio Giussani a porre le fondamenta dell’istituzione.
(1) Cfr N. MOTTA, Memorie, D.D.T., Varese 1993, pp. 73-75.
Stefano Bodini, L’impegno dell’Organizzazione Scoutistica Cattolica di Aiuto ai Ricercati (O.S.C.A.R.) nella Resistenza dell’Alto Varesotto in Terra e gente. Appunti e storie di lago e di montagna, Comunità Montana Valli del Verbano, 2010

“[…]Salvare l’anima attraverso la salvezza anche del corpo.[…]” <224. Queste parole di don Enrico Bigatti servono da preludio alla descrizione dell’intensa attività svolta dall’OSCAR [n.d.r.: Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati]: l’elenco che segue vuole essere, ove possibile in preciso ordine cronologico, un diario della vita dell’Organizzazione di Soccorso. Un numero cospicuo di situazioni qui descritto è tratto da documenti dattiloscritti poveri di dettagli, per cui compariranno solo il numero dei salvati e la loro nazionalità, dati comunque utili per avere idea della mole di operazioni portate a termine. L’elenco non è chiaramente completo per due motivi: il primo molto semplice è che gli stessi protagonisti non tennero un registro delle loro azioni <225, il secondo è che per lo svolgimento di questa ricerca la cronaca si ferma all’agosto del 1944.
Avevamo interrotto la narrazione degli espatri nel capitolo sull’organico dell’OSCAR quando Ludovico Farina fece scappare con Giulio Uccellini 10 soldati greci in data imprecisata. Riprendiamo ora le cronache al giorno 6 ottobre 1943 in cui ebbe successo il passaggio di undici Greci, di cui abbiamo sommariamente dei nominativi: Algavaz, Vassilis, Chistos Cosmidis, Atanasio, Giovanni, Giorgio e ancora Giovanni. Il passaggio riuscì solamente dopo il settimo tentativo rischiando di essere scoperti presso il confine a Saltrio. L’itinerario seguito fu: Crescenzago dove erano ospitati i Greci, Milano Porta Nuova per prendere il treno, poi Clivio e quindi Saltrio <226.
Due giorni dopo, in data 8 ottobre 1943, abbiamo il resoconto di un passaggio secondo don Enrico Bigatti: “[…] Grande giornata di grazia e di speranza. Ieri sera a Clivio: notte in una mangiatoia con due vacche al lato ed… il maiale. Sveglia ad gallicantu. Avventura. Recita Mattutino e Lodi dinnanzi all’alba, all’aurora, al sole. Viaggio ciclistico con don Ghetti a Cantello e Rodero. Tombolone ciclistico! Pranzo! Buone notizie! Ritorno allegrissimo! In tutto s’è rivelata la benignità della SS. Madre di Dio Maria, che nuovamente vuol imprimere il suo Divino Imperio nel mio cuore.[…]” <227
Il 9 di ottobre invece ci fu la fuga di 5 greci: questa volta fu seguito l’itinerario normale ma anziché andare fino a Clivio si fermarono a Cantello, probabilmente fecero una sosta dalla “Carlottina” Cocquio al ristorante San Giorgio, e da lì si diressero sulla strada tra Ligurno e Rodero dove venne effettuato l’espatrio percorrendo un sentiero che, passando nel bosco, dall’attuale strada provinciale porta ancor oggi fino alla rete di confine <228.
Il 12 ottobre 1943 fu il turno di una comitiva mista che comprendeva nove greci, un australiano e due di nazionalità ignota. Dalla Stazione delle Ferrovie Nord partirono verso il tramonto in compagnia di Giovanni Meani e don Enrico Bigatti. Benché la comitiva facesse il possibile per non dare nell’occhio, era impossibile mimetizzare il soldato australiano che era scuro di pelle e anche piuttosto alto. Durante il viaggio ci furono momenti di tensione quando i passanti, come il bambino che stiamo per citare, esclamavano: “[…] Papà guarda quel signore com’è nero!”, “Sssst…”, interviene il padre guardandosi in giro.[…]” <229 Così durò fino a Malnate, una volta scesi dal treno si diressero a piedi verso Cantello armati solo del rosario. Arrivati ad un crocicchio all’interno del paese una mano afferrò don Enrico e trascinandolo al riparo di una porta, era un finanziere amico: “Attenti, arrivano i tedeschi!”. Si nascosero tutti contro un provvidenziale muretto, senza fiatare, coperti, grazie ai raggi della luna, da un ombra spessa circa quaranta centimetri. Nel mentre, a trenta metri di distanza, stavano arrivando quattro soldati tedeschi con due cani. La tensione era alle stelle ma, fortunatamente i cani non li fiutarono, così il drappello prese l’altra strada dell’incrocio. Raggiunsero l’osteria San Giorgio a Ligurno delle sorelle Cocquio per rifocillarsi e avere un asilo sicuro poi, alle quattro del mattino, uscirono tutti quanti dal cancello lasciato aperto e raggiunsero la salvezza in Svizzera <230.
Il 15 ottobre 1943 abbiamo altri undici greci scappati attraverso la rete confinaria tra Ligurno e Rodero, mentre il 20 ottobre ce ne furono altri nove sempre di nazionalità greca, questa volta con il rischio di essere scoperti da una pattuglia motorizzata <231.
Non ci sono registrati passaggi fino al 27 ottobre, giorno in cui scapparono in Svizzera con il medesimo itinerario un greco e un italiano, più un imprecisato gruppo dell’OSCAR centro <232. L’esito fu felice fatta eccezione per l’Italiano che fu rimandato indietro dall’Autorità Svizzera <233.
In una data imprecisata di novembre furono condotti in salvo un inglese, un marocchino, un sudafricano e due greci; di questo passaggio si sa solamente che fu un passaggio difficilissimo nella via tra Ligurno e Rodero <234. Vista la quantità e la frequenza di espatri portati a termine in quei luoghi fino a quel momento possiamo dedurre che molto probabilmente fu più rigoroso il controllo lungo la parte italiana del confine.
L’azione successiva fu di collegamento: durante un giorno imprecisato della prima metà di dicembre in cui furono condotti l’ebreo Isacco Sehataner con le due figlie da Monza per villa di Tirano <235.
Il 12 dicembre 1943 Delio Bernasconi di Clivio accompagnò un ufficiale inglese, il quale gli rilasciò un foglio per certificare questa sua azione. Nella sua testimonianza allegata alla scheda CVL Delio Bernasconi assicurava di essere in possesso di altre sette dichiarazioni simili rilasciate sempre da soldati inglesi. Queste però furono distrutte dalla madre quando la loro casa fu perquisita dalla milizia confinaria. Inoltre durante il passaggio i due furono oggetto di colpi d’arma da fuoco e Delio Bernasconi, essendo dotato di pistola, rispose ai colpi <236.
Nella notte fra venerdì 15 e sabato 16 dicembre furono fatti fuggire una coppia di sposi ebrei. Durante la fuga non riuscirono però a passare i loro figli un maschio di dodici anni e la sorella Anna di sedici. Il giorno seguente, domenica 17 con l’aiuto del sig. Torregiani e altri due ignoti, furono fatti scappare anche i figli della coppia dalla casa di Circolo San Giuseppe. L’azione fu particolarmente spettacolare infatti fu eseguita in pieno giorno: i salvatori arrivarono a folle velocità su di una macchina sparando per aria per spaventare eventuali oppositori, non essendoci reazione caricarono i due fratelli in macchina e alla sera erano già oltre confine. Tutto questo accadde con la benedizione di don Natale Motta. Era sceso dalla stessa auto utilizzata per la fuga poche centinaia di metri prima che arrivasse alla casa di Circolo <237. Mentre avveniva tutto questo assisteva alla scena la signora Edvige Epstein in Balcone. Era la moglie ebrea di un italiano che, assieme al figlio Gabriele e alla cugina Luisa Schlesinger, doveva essere deportata in Germania. Il marito, Angelo Balcone, aveva provato a portarli al sicuro in Svizzera ma il gestore dell’albergo di Luino che li ospitò la notte fra il 9 e il 10 dicembre avvisò la polizia il mattino seguente: chi segnalava ebrei alle autorità riceveva una ricompensa in denaro <238. Balcone fu liberato perché riuscì a dimostrare di essere ariano; invece la donna, il bambino e la signora furono condotti a Varese. Qui erano stati segnalati a Don Natale dalla Superiora della casa di Circolo, sorella Lina. La stessa Edvige, dopo aver assistito al salvataggio dei due fratelli chiese aiuto a don Natale Motta per far fuggire il figlio. Il giorno seguente lunedì 18, grazie all’aiuto del dott. Ambrogio Tenconi, Gabriele fu ricoverato in ospedale per essere operato di un’appendicite. Suor Giulia, una lontana cugina di don Natale, era assistente del chirurgo che lo avrebbe operato. Mentre accadeva tutto questo Luisa Schlesinger e la stessa Edvige, richiamata dall’ospedale dove assisteva il figlio, furono deportate. Il bambino fu quindi messo in una stanza e piantonato a causa del ricovero, attendendo di subire la stessa sorte della madre <239. Il 19 dicembre 1943 iniziò l’operazione che avrebbe portato al salvataggio di Gabriele dall’Ospedale: “[…] “Qui parla Oscar, ho bisogno di vederti subito!”. Dalla voce dell’interlocutore capii che c’era qualcosa di grave per l’aria. Dopo non molto mi trovai dall’amico U. (Uccellini) “Bisogna agire subito per sottrarre un bambino ebreo alla deportazione in Germania, colla madre già agli arresti. L’ho fatto uscire dalla prigione persuadendo il medico ad operarlo di appendicite. Ma ormai la convalescenza è finita. È all’ospedale di X: bisogna salvarlo a qualunque costo”. “Va bene Capo”. Così la nostra piccola pattuglia di tre RS di OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati) affrontava una nuova impresa. Ci portammo alla città indicata ove trovammo ospitalità presso una delle tante buone famiglie che affrontavano rischi non indifferenti pur di fare del bene. Nelle ore di visita fummo all’ospedale. Separatamente, per i rilievi necessari: il bambino si trovava in una sala al piano terreno; una sala da otto letti occupati da donne. Un piantone vigilava il percorso tra la sala e l’uscita non era breve: oltre un lungo corridoio bisognava attraversare un cortile, scendere una scalinata e varcare la portineria. La sera stessa tentammo il primo colpo: mentre un’auto pubblica (e fu lavoro di non poche ore trovare, sondare e persuadere un autista disposto ad arrischiare) attendeva all’ingresso, uno di noi si fermava dal custode per distrarlo, colla scusa di un’informazione, due, infilata la porta, si portavano veloci verso il bambino. Nella penombra dei corridoi avanzammo: una suora ci guardò sospettosa, un’infermiera ci domandò quale “aggravato” cercavamo. Dal corridoio guardammo nella sala: il poliziotto era seduto sul letto del piccolo. Nulla da fare: pur attaccandolo, il suo allarme avrebbe bloccato la ritirata, troppo esposta, prima di giungere all’uscita. Dovemmo ripiegare sconfitti. “Qui OSCAR. Muovetevi, il bambino è considerato guarito e sta per essere trasferito”. Fingendoci operai girammo, per tutta la mattina seguente, il giardino dell’ospedale: finalmente una scoperta preziosa! Nella parte posteriore un vecchio cancello rugginoso, da anni lasciato inattivo, dava su una piccola strada che, attraverso un deposito di legnami della organizzazione TODT, comunicava colla provinciale.[…]” <240
Il 21 dicembre si rivelò il giorno ideale per il ratto di Gabriele: durante il giorno don Giussani andò in avanscoperta all’interno dell’ospedale mentre gli altri al di fuori si fingevano, come abbiamo appena visto, degli operai. La sera don Andrea Ghetti e lo studente Francesco Moneta attendevano in macchina con il motore acceso, intanto Napoleone Rovera <241 e Giulio Uccellini travestiti da medici si introducevano all’interno dell’Opedale entrando dal retro del reparto maternità, dove la rete era stata tagliata da “[…[ Carlo Macchi con una tenaglia presa in prestito dal Sig. Pierino Bianchi, la cui officina era nei pressi del Battistero […]” <242. I camici erano stati forniti da Rosetta Motta che lavorava come infermiera presso il dott. Longo in Via Foro Bonaparte a Milano. Rovera e Uccellini entrarono quando la stanza di Gabriele non era sorvegliata: “[…]”Non piangere, ti porto da tua mamma”. Egli guarda sorpreso. Una coperta lo avvolge: si afferra tremante al collo di questo misterioso salvatore. L’infermiera lancia un urlo e si attacca al campanello d’allarme … Tutto l’ospedale è in movimento. I rapinatori battono veloci la ritirata, mentre i due primi tengono a bada eventuali inseguitori. Voci, luci accese, grida, comandi concitati: il poliziotto sembra impazzito: nessuno riesce a immaginare da che parte si possa essere entrati. Tutte le uscite sono bloccate meno quella che ci interessa. Sorpassiamo il cancello … i lavoratori della TODT continuano a cantare. Il motore della macchina non si avvia … sono secondi che sembrano secoli … Poco dopo il bambino dorme in un piccolo letto di una casa posta a fianco della caserma della milizia. Dall’altra parte vi è la stanza di un ufficiale. Le due teste combaciano: solo un tenue muro le divide … Il giorno dopo vengono arrestati il direttore dell’ospedale, l’infermiera e il poliziotto: l’inchiesta è severissima. Ciò che scotta di più è la beffa. “Pronto, OSCAR: tutto bene”. A 60 ore dal comando, la “missione” era stata condotta a termine.[…]” <243. Gabriele rimase a Varese per 17 giorni ospite nella casa di don Natale Motta <244. Durante il mese di gennaio del 1944 Giulio Uccellini e Rosetta Motta si finsero i genitori di Gabriele per portarlo a Erba in via Tassera 28 dalla zia Giulia e dalla sorella Maria di don Natale. Qui poi sarebbe stato ripreso dal padre <245.
Con il 1 gennaio 1944 in casa Motta ci sono due nuovi ricercati, i figli del sig. Sonnino, rispettivamente di 9 e 11 anni. Rimasero con don Natale per 3 settimane; in quel momento il prelato doveva fare molta attenzione, poiché era stato messo sotto stretta sorveglianza per 4 gg., ma essendo stato avvisato da Vittorio “Vittorione” Pastori riuscì a non esporsi salvando i suoi ospiti. Nel frattempo la sorella del prete Rosetta prelevava alcuni beni da casa Sonnino in via Robbioni a Varese con l’aiuto di Vittorio Pastori <246. La sera del quarto giorno i due Sonnino furono portati da don Enrico Papetti presso San Fermo e 4 gg. dopo, dovrebbe essere stato il 26 gennaio, furono condotti alla salvezza in Svizzera. Nel frattempo Renzo Sonnino, zio dei due bambini, si occupò del salvataggio del fratello, il padre dei due bambini, mentre quest’ultimo era detenuto a Fossoli. Tramite una cartella medica falsa riuscì a dimostrare che la circoncisione non era tale ma era bensì una malformazione. Così ottenne la liberazione del fratello dopo la visita fisiologica. Oltre alla cartella falsa c’erano anche dei documenti con nome cognome e indirizzo della madre che lo indicavano come figlio illegittimo, quindi non ebreo <247.
All’inizio di gennaio altri cinque greci furono portati da Monza per villa di Tirano in un’operazione di collegamento <248.
Fu in questo mese che vennero trovate le vie di “padre Carlo da Milano”, al secolo Don Aurelio Giussani. Le vie di fuga sono quelle che abbiamo visto nel capitolo sui luoghi degli espatri. In questo senso andò anche il viaggio compiuto dallo stesso don Aurelio con don Andrea Ghetti e Giulio Cesare Uccellini. Per ampliare il loro raggio d’azione cercarono di entrare in contatto con Beltrami e Moscatelli andando da Intra verso i monti Zeda e Mottarone, il tentativo non sortì effetti perché a causa di un rastrellamento non incontrarono nessuno. <249 Inoltre in potenza potevano esserci dei problemi per gli espatri perché alcuni finanzieri che avevano facilitato alcuni passaggi erano stati scoperti e arrestati, ma fortunatamente l’OSCAR riuscì a far espatriare anche loro <250.
Il sabato 15 gennaio 1944 l’OSCAR subì la cattura di don Enrico Bigatti.
224 Cit. da Legnazzi N., Don Enrico Bigatti le Note Biografiche, trascrizione da audiocassetta a p. 23 in arch. Ente Baden.
225 Se qualcuno lo fece lo si trova in testi come Un prete nella resistenza.
226 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
227 Cit. da Galli A., Un Prete nella Resistenza, a cura dell’Associazione Raggruppamento Brigate del Popolo Crescenzago in Diocesi di Milano, Milano 1975, p. 6.
228 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli. Questo espatrio è stato sperimentato dall’autore grazie alla collaborazione e alle indicazioni di don Luigi Del Torchio.
229 Cit. Galli A., Un Prete nella Resistenza, a cura dell’Associazione Raggruppamento Brigate del Popolo Crescenzago in Diocesi di Milano, Milano 1975, p. 8.
230 Cfr. Galli A., Un Prete nella Resistenza, a cura dell’Associazione Raggruppamento Brigate del Popolo Crescenzago in Diocesi di Milano, Milano 1975, p. 8 e il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
231 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
232 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
233 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
234 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
235 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
236 Vedi scheda CVL e testimonianza allegata di Delio Bernasconi in arch. CDEC.
237 Cfr. N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, pp. 77-78.
238 Cfr. Giannantoni F., Fascismo, Franco Angeli, Milano 1984, p. 272.
239 Cfr. N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, pp. 78-79.
240 Cit. dalla rivista RS Servire 49,1.
241 Era il fratello di una novizia della casa di Circolo San Giuseppe diretta da mons. Sonzini, cfr. A. Giussani, Appunti di vita clandestina, Collegio San Carlo, Milano 1978, p. 21.
242 Cit. da N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, p. 80.
243 Cit. dalla rivista RS Servire 49,1.
244 Cfr. N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, pp. 80-82.
245 Cfr. N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, p. 84.
246 Cfr. scheda CVL di Rosetta Motta in arch. CDEC.
247 Cfr. N. Motta, Memorie, D.D.T., Varese 1993, pp. 87-88.
248 Cfr. il dattiloscritto titolato Date ed itinerari di alcuni espatri verso la Svizzera attuati dall’O.S.C.A.R., per gentile concessione di Emanuele Locatelli.
249 Cfr. A. Giussani, Appunti di vita clandestina, Collegio San Carlo, Milano 1978, pp. 31-32.
250 Cfr. A. Giussani, Appunti di vita clandestina, Collegio San Carlo, cit. , p. 32. La Guardia di Finanza fu il corpo che maggiormente diede problemi alla R.S.I. per il favoreggiamento dato a sulle frontiere a chi voleva espatriare. Inoltre le “Fiamme Gialle” di stanza in Val Codera avevano avuto rapporti di amicizia con le Aquile Randagie tanto da farsi fotografare più volte alle messe o nelle foto di gruppo dei campi estivi tenuti in valle.
Stefano Bodini, Gli Scout Milanesi e la Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010

Nella rete clandestina, a Parma come a Milano, ci furono anche altri preti, fra cui degli scout (come don Tarcisio, fratello di don Paolino Beltrame Quattrocchi). La storia delle “Aquile randagie”, l’organizzazione scout antifascista segnalatasi per molte operazioni di soccorso agli ebrei grazie alla rete Oscar (Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati), meriterebbe molte pagine. Non ci stupirebbe ritrovare in qualche archivio delle “Aquile” timbri e carte intestate per documenti falsi di espatrio. E’ una storia, questa, che da Parma si dipana verso Milano (tramite don Paolino e il Cardinale Schuster) e poi verso la Svizzera, e che, oltre alle “Aquile”, chiama in causa altri personaggi: a Parma sorella Luisa Minardi della Croce Rossa (oblata benedettina proclamata “Giusto tra le Nazioni”), don Ennio Bonati e il senatore Giampaolo Mora; a Milano don Andrea Ghetti, don Enrico Bigatti e don Giovanni Barbareschi, coordinati da Giulio Uccellini, capo delle “Aquile Randagie”.
Per i «fogli stampati» a Subiaco, per i cosiddetti «breviari Caronti», per le azioni “corsare” e clandestine, i protagonisti di questa storia rischiarono la vita (e in alcuni casi la persero, come avvenne per Max Casaburi e altri). Ma la rete informativa che si dipanò fra Parma e Milano, e sparsa altrove, funzionò e salvò vite umane. Don Paolino e don Tarcisio Beltrame Quattrocchi furono i protagonisti di questa storia di salvezza: una storia cui potrebbe dare ulteriore slancio il progetto (che abbiamo ancora allo studio, ma che già si avvale della liberalità di Francesco Beltrame Quattrocchi, nipote dei due monaci benedettini) di digitalizzare e rendere pubblicamente consultabili, in ossequio alle leggi archivistiche, le carte di famiglia.
Redazione, Intelligence ecclesiastica tra Parma e Milano, The Vatican Files.Net