Molti non si presentano per non correre il rischio di andare in Germania e non tutti si uniscono alle bande partigiane

Un manifesto della Repubblica di Salò

[…] Nei piani del governo di Salò, la ricostituzione delle Forze Armate è ritenuta fondamentale. Essa deve segnare una rottura con il passato <601, dopo il tradimento del 25 luglio e dell’8 settembre, e – nello stesso tempo – deve costituire lo strumento attraverso il quale continuare la guerra accanto agli alleati tedeschi.
Una forza militare organizzata e istituzionalizzata può, peraltro, conferire la legittimità e la sovranità di cui lo Stato Nazionale Repubblicano ha bisogno <602. Il compito, tuttavia, non è facile. Intanto, Hitler non si fida di un esercito italiano. Anche Goebbels manifesta le proprie perplessità e non senza una punta di sarcasmo. <603 Sul piano interno, inoltre, occorre dirimere la disputa tra Graziani, Ministro della Difesa Nazionale e sostenitore di un Esercito nazionale, apolitico, unitario, e Ricci, Comandante della Milizia e fautore, invece, di un Esercito con una forte connotazione politica. Occorre, infine, tenere a freno le attività di quei reparti armati che sembrano godere di ampia autonomia e libertà d’azione <604.
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 27 ottobre sembra prevalere la linea di Graziani. Lo stesso Mussolini dice che la M.V.S.N. farà parte integrante dell’Esercito.
Tuttavia, nella successiva riunione del 24 novembre viene approvato lo Schema di decreto per l’istituzione di una “Guardia Nazionale Repubblicana” con a capo Renato Ricci <605.
Sembrerebbe una rivincita di Ricci e del Partito <606 o, quantomeno, un compromesso. In realtà, il mancato coordinamento dei diversi corpi militari, lo scontro relativo alle prerogative e alle competenze, la rivalità tra comandanti, il rapporto spesso conflittuale tra apparati dello Stato (Esercito, Polizia, Partito, Milizie, Amministrazione civile) rendono difficile il controllo della situazione, già particolarmente critica, sia sul fronte militare sia su quello interno <607.
Le Forze Armate rappresentano un elemento di credibilità prima ancora che di orgoglio e di onore ma non è facile gestire la loro costituzione. Mancano le armi, le uniformi, l‟equipaggiamento. Se ne lamenta lo stesso Graziani. I tedeschi, d’altra parte, non collaborano. Si sa che non vedono di buon occhio la ricostituzione dell’Esercito italiano. Il corpo degli ufficiali è ritenuto incapace, debole, in parte corrotto. Manca ancora di spirito di sacrificio, entusiasmo, fiducia “nei destini superiori della nazione” e i dati relativi al reclutamento sono preoccupanti.
Il 9 novembre vengono affissi i bandi di chiamata alle armi che interessano i nati nel 1924 (secondo e terzo quadrimestre) e nel 1925. In pratica, ragazzi di 19 e 20 anni. Sono giovani ma “arrivano senza gioia nelle caserme svuotate dal tornado dell’armistizio e non sanno cosa fare. Sono partiti con treni dai vetri rotti, sulle corriere che perdono pezzi lungo la strada. Non più i berretti e le grida dei coscritti tradizionali, le scritte inneggianti alla classe richiamata, le sere a girovagare per le vie del centro con i fiaschi di vino penzoloni sul petto, prima di finire in massa nei casini locali. Adesso non si vedono che facce serie, arie caute” <608.
Nelle loro valigie c’è un abito borghese. Può sempre servire. E in effetti, sono in molti a utilizzarlo quando decidono di scappare. “Ogni notte, per quante sentinelle si mettano, i soldati scappano a decine, spesso a centinaia, quasi sempre scappano con loro le stesse sentinelle” <609.
Altri, invece, decidono di non presentarsi affatto. Su 180.000 che ricevono la chiamata, si presentano circa 87.000. Meno della metà. I notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana forniscono qualche dato: a Padova, su 400 se ne sono presentati soltanto 5; a Genova soltanto il 10%, a Casale Monferrato l’11%.
Eppure, le autorità intervengono in modo deciso. Il ministro dell’Educazione nazionale Biggini dispone che i renitenti siano denunziati e allontanati dalle scuole e, nel caso si tratti di studenti universitari, presentino un certificato che attesti la posizione regolare nei confronti del servizio militare prima di poter sostenere gli esami. A queste disposizioni si aggiungono interventi più duri quali i rastrellamenti di reclute e le rappresaglie nei confronti delle loro famiglie.
“A Sondrio […] il titolare di un negozio di generi alimentari con privativa e di un servizio di autopubbliche, perde la licenza perché ha “tre figli disertori in Svizzera”. A Vercelli viene ordinata la chiusura degli esercizi di sette commercianti, anch’essi con figli renitenti alla leva. Sulle saracinesche abbassate, i militi della GNR affiggono sgrammaticati cartelli: “Chiuso perché padre di un disertore”.[…] In provincia di Milano la prefettura ricorda che le famiglie dei renitenti delle classi 1924 e 1925 verranno punite nel modo seguente: arresto del padre del ragazzo; ritiro immediato delle carte annonarie a tutti i parenti di primo e secondo grado, esclusi i bambini inferiori a 10 anni; ritiro immediato delle licenze di esercizio e di circolazione delle autovetture per tutti i parenti di primo e di secondo grado; sospensione immediata del pagamento delle pensioni ai genitori; sospensione immediata dagli impieghi statali e parastatali dei famigliari di primo e secondo grado” <610.
Le difficoltà emerse sul fronte interno, alle quali si aggiungono quelle incontrate sul piano militare, impongono uno sforzo notevole per tenere la situazione sotto controllo <611.
Per il fascismo di Salò, questo è il momento di assumere un atteggiamento risoluto, irriducibile, inflessibile. L’alleato tedesco, d’altra parte, ha alzato la voce. Kesserling si è lamentato con Graziani e il 12 febbraio 1944 gli ha scritto: “Negli ultimi tempi i casi di diserzione degli appartenenti alle nuove formazioni dell‟esercito italiano hanno preso proporzioni insopportabili” <612. I rastrellamenti e le rappresaglie nei confronti dei genitori non bastano più. Adesso bisogna fucilare.
Il 18 febbraio viene emanato il “Bando Graziani” che prevede la “pena capitale a carico dei disertori o renitenti di leva” <613. Un successivo decreto del Duce prevede un periodo di reclusione non inferiore a dieci anni per chi presta assistenza ai disertori e un periodo non inferiore a quindici anni per chi è ritenuto responsabile di istigazione alla diserzione e alla renitenza. La simulata infermità è punita con non meno di otto anni di carcere. Il militare, anche di leva, che si procura un’infermità permanente è punito con la fucilazione al petto <614.
I provvedimenti adottati producono i primi effetti <615. Sono numerose le condanne a morte eseguite <616 ma, nello stesso tempo, aumenta l’insofferenza della popolazione. Il consenso che la autorità della RSI ricercano sul piano politico, militare e – soprattutto – sociale, è inferiore alle aspettative.
Il dissenso, invece, diventa sempre più aperto ed esteso.
Nelle fabbriche, dall’1 al’8 marzo, si trasforma in sciopero generale <617.
La crisi è evidente. Ha radici profonde e sta corrodendo l’intero assetto della Repubblica Sociale Italiana.
La natura stessa del fascismo non consente di distinguere l’elemento politico da quello militare. Il culto del Capo, il mito della forza, l’esaltazione del coraggio e delle armi costituiscono l’essenza unitaria di un’ideologia che non ammette cedimenti, neppure quando, a cedere, sono le stesse strutture sulle quali dovrebbe poggiare lo Stato. Gli insuccessi militari non possono non avere una rilevanza politica. E le fughe continue, non solo delle reclute, sono molto di più di un insuccesso militare. Nel “Diario storico” del CCVII Comando Militare regionale dell’Umbria si legge: 7 giugno, “Le assenze arbitrarie negli enti e comandi dipendenti aumentano”; 8 giugno, “Da tutti i comandi ed enti dipendenti vengono segnalate assenze arbitrarie dovute al precipitare degli eventi bellici”; 10 giugno, “Defezione di quasi tutti i militari di truppa dei comandi, depositi e distretti” e l’11 giugno si segnala la fuga di quasi tutti gli ufficiali <618. Un rapporto dello Stato Maggiore dell’Esercito, della prima metà del giugno 1944, illustra la situazione della Toscana: Provincia di Arezzo: “Comando provinciale: quasi tutto il personale dipendente è fuggito alcuni giorni fa”; Provincia di Firenze, XLIV Deposito misto provinciale e XLIV Raggruppamento. “Da alcuni giorni scappano continuamente i soldati e fino ad oggi il numero dei disertori è di 400”; VII Reggimento autieri: “quasi tutti i militari ivi in forza hanno abbandonato la caserma di Poggio Imperiale”. Situazione analoga nelle province di Pistoia, Lucca, Massa, Livorno. Dalla provincia di Grosseto si segnala: “La GNR di Grosseto, da vari giorni, ha abbandonato la città”. Conclusione: “Regna il caos più perfetto nei comandi militari di tutta la Toscana” <619.
La situazione è critica anche in altre regioni, nonostante sia stata emanata una severa legislazione <620. L’affluenza delle classi di leva 1920-1921 e primo semestre 1926 è “pressoché nulla”: a Genova “la maggioranza dei richiamati (circa 10.000) non si è presentata”; a Cremona “persistono le renitenze”; a Ferrara, “dei 9.743 uomini che dovevano rispondere alla chiamata, ben 7.557 non si sono fatti vedere nei distretti; nella circoscrizione di Pinerolo si sono presentati in 10 su 700; a Verona e a Vicenza su un totale di circa 8000 si sono presentati in 267; in provincia di Bergamo 146 su 6848; in provincia di Como 146 su 4055; in provincia di Varese 842 su 5232; in provincia di Sondrio 56 su 2004.
Il Maresciallo Graziani conferma la gravità della situazione <621.
Certo, molti non si presentano per non correre il rischio di andare in Germania e non tutti si uniscono alle bande partigiane; tuttavia, questi numeri dovrebbero far riflettere, ora come allora, sulle adesioni e sul consenso dato alla RSI.
La crisi investe, allo stesso modo, la Polizia posta al servizio del Ministero dell’Interno. Gli allontanamenti arbitrari e le destituzioni sono ormai all‟ordine del giorno. La GNR segnala da Roma, il 15 aprile 1944, che “Le forze di polizia non appaiono all’altezza della situazione sia per la scarsità delle forze stesse, sia per l’atteggiamento infido dei componenti”; da Piacenza, il 22 luglio: “In genere gli agenti di questura deviano da quello che è il loro preciso dovere, si limitano a dare la caccia a piccoli ladruncoli lasciando impuniti i reati commessi dai facoltosi e da quanti vantano aderenze protezionistiche. Molti di essi fanno il doppio giuoco”; da Genova, il 24 luglio: “I casi di allontanamento arbitrario da parte dei componenti le forze di polizia sono in aumento. Più grave ancora il fenomeno di coloro che, nell’ambiente politico – ritenendosi compromessi e, quindi, destinati ad essere oggetto di rappresaglie – hanno cercato di allacciare contatti con gli avversari diventando veri e propri traditori”; a La Spezia, “negli ultimi giorni di luglio sono dimessi d’autorità 106 dei 157 agenti ausiliari ancora in servizio, “perché inetti, indisciplinati et subdoli” dice un telegramma del capo di quella provincia. Altri verranno “prelevati” dalla polizia tedesca, come capita in agosto a 140 elementi del Battaglione ausiliario della PS di Novara che non danno “sicuro affidamento”. Ma i più se ne andranno spontaneamente proprio nella fase di maggior tensione, scappando spesso in gruppo” <622.
Anche la Guardia Nazionale Repubblicana è in crisi, tra fughe, arresti degli elementi ritenuti infedeli, processi, condanne a morte, deportazioni di carabinieri in Germania. “Il sogno di Ricci finisce così, mentre i tedeschi – come segnala il comando provinciale della GNR di Forlì – scherniscono per strada i militi della Guardia, gli rubano le armi e li coprono di sputi” <623.
Lo stato di crisi generale è rilevato anche dalla censura postale: “sfiducia, nella maggioranza, sull’esito favorevole della guerra; sfiducia sulla potenza militare della Repubblica e sulla sua forza e prestigio all’interno in confronto alla consistenza raggiunta dal banditismo; sfiducia nelle gerarchie della Repubblica i cui uomini – scrivono molti – sarebbero i medesimi di una volta, o, di quelli, avrebbero gli stessi difetti […] Dai territori del fronte e delle immediate retrovie si levano echi di terrore, provocato dalla violenza sfrenata delle bande, dalle reciproche rappresaglie, dai sequestri di qualsiasi soggetto operati dai militari tedeschi in ripiegamento; le popolazioni, travolte dalla bufera e spogliate letteralmente di tutto, sono in preda alla disperazione” <624.
Il 24 giugno 1944, Barna Occhini, direttore di “Italia e Civiltà”, descrive con toni particolarmente forti la situazione di profonda crisi in cui si trova la RSI
[…] La RSI mostra la sua anima più inquieta soprattutto nell’estate del 1944 quando la crisi interna si salda con la sconfitta militare. Gli anglo-americani hanno conquistato Roma e, contemporaneamente, hanno attuato un imponente sbarco in Normandia. A questo bisogna aggiungere l’estensione e il radicamento del movimento partigiano che, benché considerato un fenomeno ribellistico, si contrappone in modo incisivo alle forze nazifasciste e insidia le strutture e la stessa esistenza della Repubblica di Salò.
Dopo una fase iniziale di ribellione spontanea <761, a seguito degli avvenimenti drammatici dell’8 settembre, le forze antifasciste sono riuscite da dotarsi di un modello organizzativo che ha permesso alle singole bande di crescere sia da un punto di vista quantitativo sia da un punto di vista organizzativo. Agli sbandati, agli ex militari dell‟Esercito Regio, agli ex prigionieri politici si sono uniti tanti uomini e donne che adesso lottano per liberare l’Italia dall’occupazione tedesca e dalla presenza di un fascismo divenuto rabbioso e vendicativo.
A un migliore coordinamento sul piano militare corrisponde una maggiore compattezza sul piano politico.
Le formazioni partigiane che fanno riferimento ai partiti del CLN sono qualcosa in più e qualcosa di diverso dalla semplice unione di sigle.
Le Brigate Garibaldi (comuniste), Matteotti (socialiste), Giustizia e Libertà (azioniste) hanno una forte connotazione politica e sociale che a volte le divide dalle “autonome” di ispirazione liberale o cattolica <762 ma tutte sono accomunate dalla volontà di condurre fino in fondo una lotta di liberazione che rappresenta la condizione essenziale ed esistenziale per la costruzione di una società migliore, nuova e diversa da quella voluta e creata dal fascismo. Le divergenze (politiche, operative, di prospettiva), le tensioni, le rivalità, gli scontri interni alle singole formazioni e tra formazioni diverse <763 vengono messi da parte, non senza difficoltà, in nome di un obiettivo comune. Il passaggio dai piccoli gruppi ad un esercito che si definisce democratico, di massa e di liberazione nazionale richiede una coscienza politica forgiata dalla disciplina e dall‟accettazione delle regole <764. Questa è l’unica strada da seguire nel processo di crescita che trasforma i legami intessuti nel microcosmo della banda fino a farli diventare relazioni complesse di un organismo e di un progetto più ampio. Particolare importanza assumono il reclutamento, l’inquadramento nelle strutture militari, la “morale partigiana” <765.
Occorre educare con l‟esempio, attraverso uno stile di vita fatto si di coraggio, audacia, risolutezza ma anche e soprattutto di comportamenti eticamente corretti <766. E’ il rispetto delle regole che rende efficace un piano d’azione e garantisce la stessa incolumità individuale e di gruppo. Le regole devono essere rispettate da tutti. Chi non le rispetta deve essere punito. Non è facile, nel contesto drammatico della guerra e di una realtà in trasformazione che ha perso l’ordine rassicurante nella sua versione repressiva o conformistica, ma non ha ancora realizzato un nuovo sistema di leggi e di valori, tenere a bada i personalismi di capi e di gregari o il settarismo di gruppo e di partito. Tuttavia, è necessario imbrigliare una violenza a lungo repressa, amplificata dal rischio mortale di un rapporto con il nemico che diventa, di giorno in giorno, sempre più aspro. Lo stesso reclutamento di massa, positivo per certi aspetti ma insidioso per altri, impone la massima attenzione per evitare che nelle formazioni partigiane confluiscano uomini di varia provenienza e personaggi di dubbia affidabilità, fanatici e spie compresi.
E’ nell’estate del 1944 che il movimento partigiano raggiunge la sua massima espansione. Alla fine di settembre 1943, la forza totale ammonta a circa 23.000 uomini. Da novembre 1943 a gennaio 1944 si registra un incremento di circa 19.000 uomini e, da febbraio ad aprile, di altri 33.000 uomini. A maggio, a seguito del cosiddetto “bando del perdono” emanato dalla RSI nei confronti dei renitenti alla leva, si verifica un decremento di 7.000 unità ma nei successivi mesi di giugno e luglio l’aumento è considerevole e ammonta a 41.000 uomini. Alla fine di luglio si ha una forza complessiva di 109.000 uomini <767 […]
601 “Il Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano, accertato che le Forze Armate Regie, durante la guerra in corso, sono state fin dell‟inizio, deliberatamente tradite dalla dinastia e dai capi militari ad essa legati, che hanno paralizzato gli splendidi, mirabili atti di valore compiuti e reso vano il sangue generoso versato; considerato che con la resa e col tradimento dell‟8 settembre 1943 la dinastia e i capi militari ad essa legati hanno disonorato le Forze Armate Regie, di fronte al popolo italiano e al mondo; sentito il Consiglio dei Ministri, Decreta: Art. 1 – Il Regio Esercito, la Regia Marina e la Regia Aeronautica hanno cessato di esistere in data 8 settembre 1943 […]”, Decreto del Duce, 27 ottobre 1943 (G.U. 262 del 10 novembre 1943).
602 Il Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano, sentito il Consiglio dei Ministri, Decreta: Capitolo Primo: Disposizioni generali – Art. 1 – Le Forze Armate hanno lo scopo di combattere per la difesa dell‟onore, dell‟indipendenza e degli interessi del popolo italiano. Ad esse è affidato il compito esclusivo dell‟educazione militare del popolo italiano. Esse comprendono: l‟Esercito, la Marina da guerra, l‟Aeronautica […] Art. 2 – Le Forze Armate sono costituite da volontari e da militari di leva […] La coscrizione militare è un servizio d‟onore per il popolo italiano ed un privilegio per la parte più scelta di esso. […] Capitolo Secondo: Obblighi di servizio – Art. 5 – Il servizio militare obbligatorio si estende per tutti indistintamente i validi, dal 17° anno di età compiuto al 37° anno compiuto […] Capitolo Terzo: Diritti e doveri degli appartenenti alle Forze Armate – Art. 19 – Gli ufficiali, i sottufficiali e i soldati in servizio attivo non possono esplicare alcuna attività politica. Art. 20 – I militari non possono appartenere a società segrete. La infrazione di tale prescrizione costituisce reato. […]”, Decreto del Duce 27 ottobre 1943 (G.U. 262 del 10 novembre 1943).
603 Nel suo Diario, alla data del 23 settembre 1943, scrive: “Il Duce intende creare un nuovo esercito italiano coi residui del fascismo. Ho i miei dubbi sulle sue possibilità di riuscita. Il popolo italiano non è all‟altezza di una politica rivoluzionaria concepita con ampiezza di vedute. Gli italiani non vogliono essere una grande potenza. Questa volontà è stata loro inculcata artificialmente dal Duce e dal partito fascista. Il Duce avrà quindi scarsa fortuna nel reclutare un nuovo esercito nazionale italiano. Il vecchio Hindenburg aveva indubbiamente ragione quando disse che nemmeno Mussolini sarebbe mai riuscito a fare degli italiani altro che degli italiani”. Citato da Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p.441.
604 Per l‟intensa attività repressiva e la particolare efferatezza si distinguono, nei seicento giorni di Salò, la Banda Koch, la Banda Carità, la Decima Mas, La Legione Autonoma Mobile Ettore Muti. Vedi: Aldo Lualdi, La banda Koch. Un aguzzino al servizio del regime, Bompiani, Milano 1972; Massimiliano Griner, La banda Koch. Il reparto speciale di polizia 1943-44, Bollati Boringhieri, Torino 2000; Riccardo Caporale, La Banda Carità. Storia del Reparto servizi speciali 1943-45. Prefazione di Dianella Gagliani, S. Marco linotipo, Lucca 2005; Massimiliano Griner, La pupilla del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Bollati Boringhieri, Torino 2004; Ricciotti Lazzero, La decima mas, Rizzoli, Milano 1984. Sulla Banda Koch vedi anche: Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise straordinaria di Milano 1946, Procedimento penale contro il reparto speciale di polizia comandato da Pietro Koch (Inventario a cura di Fiammetta Auciello).
605 Il Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo […] Decreta: Art. 1 – E‟ istituita una “Guardia nazionale Repubblicana” con compiti di polizia interna e militare formata dalla M.V.S.N. (comprese le Milizie speciali: Ferroviaria-Portuaria-Postelegrafonica-Forestale-Stradale-Confinaia), dall‟Arma dei Carabinieri e dal Corpo della Polizia dell‟Africa Italiana. Art. 2 – La “Guardia Nazionale Repubblicana” è posta agli ordini di un “Comandante Generale” nominato dal Capo dello Stato. 3 – La “Guardia nazionale Repubblicana” ha bilancio ed amministrazione autonomi […], Decreto Legislativo del Duce 24 dicembre 1943 – XXII, n. 913 [in realtà, la data è 8 dicembre 1943, così come si evince dalla errata corrige nella Gazzetta Ufficiale anno 85, n. 165].
606 “[…] Ciò significa la costituzione di un altro esercito. Si parla infatti già con ironia dell‟esercito “apolitico” di Graziani, e di quello “politico” di Ricci. Ma siccome questa formazione avrà anche i compiti dell‟arma dei carabinieri, ci saranno nuovi motivi di conflitto, anche con la polizia. Si ritiene che sommersi tra consoli e generali della Milizia, ben pochi ufficiali superiori dell‟Arma continueranno a prestare servizio. Verranno così perduti elementi preziosi e di vasta competenza. Buffarini, che ha incassato il colpo, si dà anima e corpo a ingrossare le file della polizia ausiliaria; il partito fa lo stesso con le sue squadre. La Decima, coi suoi reparti; le varie formazioni autonome, a carattere più o meno poliziesco, accrescono la propria consistenza. Graziani, che insieme con Gambara ha lottato sino all‟ultimo per evitare tutto questo, mi dice con profondo scoramento come l‟unico esercito che per costituirsi ha avuto un parto quanto mai travagliato è quello “nazionale”. Cioè, il solo che dovrebbe veramente esistere per combattere in campo aperto il nemico. Ed ha perfettamente ragione”, Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia. Diario del Capo della Segreteria particolare del Duce. 1943-1944, Garzanti, Milano 1949. Citato da Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p. 467.
607 “Rahn è tutt‟altro che entusiasta della nostra situazione interna che egli considera molto lontana da qualsiasi parvenza di “normalità”. Si è lagnato delle iniziative delle polizie federali che interferiscono, talvolta con azioni del tutto illegali e arbitrarie, nella vita delle provincie, creando seri imbarazzi tanto ai locali Comandi germanici quanto ai prefetti… Lo stato di disagio e di agitazione perenne in cui vivono le provincie… è dovuto in gran parte a voi stessi”, Giovanni Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, cit. Riportato da Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., p. 482, nota 1.
608 Silvio Bertoldi, Salò, cit., p.91.
609 Ivi, p.93.
610 Giampaolo Pansa, Il gladio e l‟alloro. L‟esercito di Salò, Mondadori, Milano 1991, p.27.
611 “La memorialistica fascista risuona di applausi per il successo della chiamata. Un coro intonatissimo. Con una voce discorde, quella di Stanis Ruinas, che ha vissuto da vicino l‟esperienza amara di Salò: “La coscrizione fu la causa principale del “ribellismo”. Malgrado gli appelli, le lusinghe e le minacce i giovani non si presentavano che in percentuale minima. Quelli che si presentavano disertavano presto, constatando che tutto era marcio come e peggio di prima”, Ivi, p.30.
612 Ivi, p.34.
613 “Il Duce della Repubblica Sociale Italiana e Capo del Governo, Sentito il Consiglio dei ministri, decreta: Art.1 – Gli iscritti di leva arruolati ed i militari in congedo che, durante lo stato di guerra e senza giustificato motivo, non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefisso, saranno considerati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell‟articolo 144 C.P. e puniti con la morte mediante fucilazione al petto. Art. 2 – La stessa pena verrà applicata anche ai militari delle classi 1923-1924-1925, che non hanno risposto alla recente chiamata o che, dopo aver risposto, si sono allontanati arbitrariamente dal reparto. […]”, Decreto legislativo del Duce 18 febbraio 1944-XXII, n. 30 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale d‟Italia, n. 42 del 21 febbraio 1944).
614 Decreto legislativo del Duce 24 marzo 1944, n. 169 “Modificazioni alla legge penale militare”, (Gazzetta Ufficiale n. 109 del 9 maggio 1944).
615 “Giovani sono fucilati in varie parti della RSI tra l‟orrore delle popolazioni obbligate ad assistere, uccisi con sadica protervia da criminali che sfogano in quelle esecuzioni i loro istinti perversi: fucilati a uno a uno, gli altri che assistono alla morte del compagno e sanno di doverne seguire la sorte, fosse fatte scavare agli stessi morituri, tra la gente che supplica e impreca, davanti alle madri o alle sorelle delle vittime, negato ai preti il cristiano diritto di impartire almeno l‟estrema unzione agli infelici […] La tragica realtà persecutoria del bando rivela il vero volto dei fascisti, che è il volto della paura: la paura che i tedeschi ritorcano su di loro la colpa dell‟insuccesso. Come sempre accade, nei deboli e nei pavidi la crudeltà nasce dalla viltà”, Silvio Bertoldi, Salò, cit., p.95.
616 Vedi Giampaolo Pansa, Il gladio e l‟alloro, cit., pp.70-74. Pansa utilizza i notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana, il “Diario storico” del Comando regionale dell‟Umbria, lo spoglio del “Corriere della sera”.
617 Gli operai protestano per le difficili condizioni di vita imposte dalla guerra, per porre fine alle deportazioni di manodopera in Germania ma anche perché si è creato un divario tra la popolazione e le autorità fasciste e tedesche. Lo sciopero viene preparato, organizzato, attuato in un contesto difficile sottoposto ad un rigido controllo militare. Ciò nonostante è compatto ed interessa tutto il Nord, dal Piemonte alla Lombardia, al Veneto, alla Toscana. Dalle fabbriche si estende ad altri luoghi di lavoro. Scioperano gli impiegati, i tranvieri, gli studenti universitari. Anche i tipografi del Corriere della sera e per tre giorni il quotidiano non viene pubblicato. Anche alcune formazioni partigiane si uniscono alla lotta con rapide incursioni e atti di sabotaggio. I fascisti e i tedeschireagiscono con forza. Molti operai sono licenziamenti, arrestati, deportati; altri torturati e fucilati. Per una descrizione degli avvenimenti vedi: Sciopero generale in tutta l‟Italia occupata, in “La nostra lotta”, a.II, nn.5-6, marzo 1944, pp.5-24, ora in Luigi Longo, Sulla via dell‟insurrezione nazionale, Edizioni di cultura sociale, Roma 1954. Vedi anche Giampaolo Pansa, Marzo 1944: situazione industriale e grandi scioperi nei rapporti della GNR, in “Movimento di Liberazione in Italia”, aprile-giugno 1968, n.91.
618 Vedi: Giampaolo Pansa, Il gladio e l‟alloro, cit., p.93.
619 Ivi, pp.93-94.
620 “Disciplina del reato di diserzione in tempo di guerra”. “Art.1 – Il militare che, in tempo di guerra, essendo in servizio alle armi, si allontana senza autorizzazione e senza giustificato motivo dal reparto nel quale è incorporato, risultando mancante ai due appelli giornalieri di controllo, è punito con la pena di morte mediante fucilazione al petto. La stessa pena è inflitta al militare mancante anche ad uno solo degli appelli giornalieri quando il comandante del corpo da cui dipende il militare assente, ricordando particolari circostanze, lo dichiari disertore immediato. Art.2 – E‟ considerato immediatamente disertore ed è punito con la pena di morte mediante fucilazione al petto, il militare che, in tempo di guerra, destinato ad un corpo di spedizione o di operazione, oppure appartenente all‟equipaggio di una nave o di un aeromobile militare, si trovi assente al momento della partenza del corpo, della nave o dell‟aeromobile, senza giustificazione e senza giustificato motivo. Art.3 – La pena prevista dall‟art.1 può essere diminuita se il colpevole si costituisce prima che siano trascorsi tre giorni di assenza […]”. Vedi anche il Decreto legislativo del duce 21 giugno 1944-XXII, n.352. “Norme penali sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra”. “Art. 1.Chiunque tiene intelligenza con prigionieri di guerra o con internati civili, onde facilitarne la fuga dai luoghi ove sono sottoposti alla vigilanza delle autorità, è punito con la morte. Se tiene intelligenza con i detti prigionieri o internati, allo scopo di averne o dar notizie, senza il permesso dell‟autorità, è punito con l‟ergastolo. Art. 2. È punito con l‟ergastolo chi, essendo sottoposto alla vigilanza
dell‟autorità quale internato civile in campi di concentramento o altrove, si sottrae alla detta vigilanza. Alla stessa pena soggiace chi volontariamente si sottrae all‟esecuzione dell‟ordine di internamento. Art. 3. Chi concede ospitalità o presta comunque aiuto a prigionieri di guerra evasi dai campi di concentramento o dai luoghi di pena, ovvero ad appartenenti alle forze armate nemiche, allo scopo di facilitarne la fuga o di occultarne la presenza, è punito con la morte. Art. 4. Chi concede ospitalità alle persone indicate nell‟articolo 2 o in qualsiasi altro modo le aiuta ad eludere le investigazioni delle autorità e sottrarsi alle ricerche di questa è punito con l‟ergastolo. Art. 5. Chiunque, fuori dei casi previsti dai due articoli precedenti, avendo notizia della presenza di prigionieri di guerra o di internati civili evasi, ovvero di internati civili sottrattisi all‟esecuzione dell‟ordine di internamento o di appartenenti alle forze armate nemiche, non ne fa immediatamente denuncia alla più vicina autorità è punito con la reclusione fino a venti anni. Art. 6. La devastazione ed il saccheggio previsti dall‟articolo 419 del codice penale sono puniti con la morte. Art. 7. Costituisce disfattismo politico, punito con la morte, giusta l‟articolo 2 lettera b del decreto legislativo 3 dicembre 1943 n. 794 in relazione all‟articolo 265 del codice penale, il fatto di chi a mezzo della stampa pubblichi articoli o illustrazioni che mirino a provocare disordini o ad
ostacolare l‟opera dell‟autorità, nonché il fatto di chi al medesimo scopo stampa o diffonda manifesti senza autorizzazione. Art. 8. Per i delitti previsti dagli articoli 502, 503, 504, 505, 506, 507 e 508 del codice penale è stabilita la pena detentiva fino a venti anni, in aggiunta alla eventuale pena pecuniaria già prevista. Per i capi, promotori ed organizzatori, la pena per i suddetti delitti è quella della morte. Art. 9. È punito con la reclusione fino a venti anni chi, fuori dei casi preveduti dall‟articolo precedente, danneggi gli interessi della Nazione in guerra, abbandonando il lavoro senza esserne autorizzato, violando le disposizioni impartite dall‟autorità per il servizio del lavoro, non adempiendo ai sevizi, obblighi e prestazioni impostigli dall‟autorità o adempiendovi in modo da renderne nulla o diminuirne l‟efficacia. È punito con la morte chi impedisce ad altri di assumere il lavoro, o istiga ad abbandonare il lavoro, a non adempiere ai servizi, obblighi o prestazioni imposte dall‟autorità ovvero ad adempiervi in modo da renderne nulla o diminuirne l‟efficacia. Art. 10. Chi viola il decreto impartito dall‟autorità politica o militare di detenere armi o munizioni o di portarle fuori della propria abitazione e delle appartenenze di essa è punito con la morte. Art. 11. È vietato detenere senza autorizzazione apparecchi radiotrasmittenti, nonché impianti di produzione di corrente elettrica, batterie ed accumulatori necessari per il funzionamento dei detti apparecchi; chi viola tale divieto è punito con la morte. È punito con l‟ergastolo chi, fuori delle scuole legalmente organizzate, dà o riceve istruzione di radiotelegrafista o di tecnico della radio. Art. 12. È vietato prendere fotografie all‟aperto senza autorizzazione ed è altresì vietata, durante le ore di oscuramento, l‟accensione di fuochi all‟aperto. Il trasgressore è punito con la reclusione fino a venti anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Art. 13. Chiunque si fa promotore o fa parte di assembramenti o riunione pubbliche o private di carattere politico, non previamente consentite dall‟autorità, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione fino a dieci anni. […]”, Decreto legislativo del Duce 14 giugno 1944-XXII, n. 393.
621 Vedi Giampaolo Pansa, Il gladio e l‟alloro, cit., pp.132-133. E‟ interessante leggere anche il “Promemoria inviato al Duce ed al Capo di SM della GNR – Ufficio I (situazione) – 1° ottobre 1944-XXII” relativo al mese di agosto, in ivi, pp.141-144.
622 Ivi, pp.125-126.
623 Ivi, p.121. Il 14 agosto 1944 la GNR sarà inserita nell‟Esercito (Decreto legislativo n. 469, “Passaggio della GNR nell‟esercito nazionale repubblicano”). Il 19 agosto Ricci sarà licenziato. Con la formula di rito: “Per ragioni di carattere strettamente personale il generale Renato Ricci ha chiesto, e ha ottenuto, di essere esonerato dall‟incarico di comandante della GNR”, p.123
624 Ivi, p.136. Vedi anche Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato II. La guerra civile (1943-1945), Documento n. 5 Stralci di lettere riprodotti nei “notiziari”. Esame corrispondenza censurata, cit. pp.595-603.
761 “La ribellione (non ancora la scelta, ma il moto d‟animo che la rende possibile) assume coloriture diverse e segue percorsi differenziati, tappe di una “maturazione” a volte rapida a volte lenta, percorsa da incertezze ed esitazioni: lo sbandamento dapprima, il ripudio della guerra, la paura per la propria esistenza, il rifiuto di servire la Repubblica di Salò, l‟imboscamento e la solitudine. La ribellione è sempre imprecisa, poiché chi si ribella non sa mai bene in nome di quale futuro si espone e molto spesso neppure con una lucida consapevolezza della realtà presente che rifiuta. Così come la libertà che si vagheggia è fatta di sensazioni, di mille accezioni, chiaroscuri, immagini sfuocate”, Adriano Ballone, La dimensione esistenziale nella banda partigiana, in “Rivista di storia contemporanea”, n.4/1990, p.562.
762 Particolarmente importante è il contributo dei cattolici nella Resistenza sia sul piano militare sia sul piano civile. Tra le numerose esperienze si segnala l‟attività e il sacrificio di Teresio Olivelli. Fascista in gioventù, alpino sul fronte russo, dopo l‟8 settembre diventa un organizzatore delle “Fiamme Verdi, le formazioni partigiane di ispirazione cattolica. E‟ tra i fondatori e collaboratori del foglio clandestino“Il Ribelle” che riporta, nel numero 2 del 26 marzo 1944, la sua “Preghiera del Ribelle”: “Signore/che tra gli uomini drizzasti la Tua/croce, segno di contraddizione,/che predicasti e soffristi la rivolta/dello spirito contro le perfidie e gli/interessi dei dominanti, la sordità/inerte della massa, a noi oppressi/da un giogo oneroso e crudele che/in noi e prima di noi ha calpestato/Te fonte di libere vite, dà la forza/della ribellione./Dio/che sei Verità e Libertà, facci liberi e/intensi, alita nel nostro proposito,/tendi la nostra volontà, moltiplica le/nostre forze, vestici della Tua armatura;/noi ti preghiamo,Signore./Tu/che fosti respinto, vituperato, tradito,/perseguitato, crocefisso, nell‟ora/delle tenebre ci sostenti la Tua/vittoria; sii nell‟indigenza viatico, nel/pericolo sostegno, conforto nell‟amarezza./Quanto più si addensa e/incupisce l‟avversario,facci limpidi/e diritti. Nella tortura serra le nostre/labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare./Se cadremo fa che il nostro/sangue si unisca al Tuo innocente e/a quello dei nostri Morti, a crescere/al mondo giustizia e carità./Tu/che dicesti: “Io sono la resurrezione/e la vita”, rendi nel dolore all‟Italia/una vita generosa e severa. Liberaci/dalla tentazione degli affetti: veglia/Tu sulle nostre famiglie. Sui/monti ventosi e nella catacombe/delle città, dal fondo delle prigioni,/noi Ti preghiamo: sia in noi la pace/che Tu solo sai dare./ Dio/della pace e degli eserciti, Signore/che porti la spada e la gioia, ascolta/la preghiera di noi, ribelli per/amore”. Olivelli muore in un campo di concentramento in Germania, percosso da un kapò per aver difeso un compagno di prigionia. Medaglia d‟oro al Valor militare, dal 2004 è in corso una causa di beatificazione. Su quest‟ultimo aspetto vedi: Paolo Rizzi, L‟amore che tutto vince: vita ed eroismo cristiano di Teresio Olivelli, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.
763 Vedi, ad esempio, il Documento 19 (La difficile convivenza con le bande comuniste), il Documento 57 (Critiche al comportamento dei garibaldini) riportati in Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti.
Settembre 943-aprile 1945, a cura di Giovanni De Luna, Piero Camilla, Danilo Cappelli, Stefano Vitali, Franco Angeli, Milano 1985, pp. 75-77 e pp. 152-153.
764 Un documento del 26 marzo 1944 delle formazioni Giustizia e Libertà riporta i seguenti punti: “1. Ficcare ben chiaro in testa ai partigiani che essi sono soldati di un esercito nuovo e rivoluzionario, l‟Esercito di liberazione nazionale, il quale non s‟identifica, e nemmeno succede, come erede e continuatore, al vecchio esercito regio, così miseramente fallito. […] 3. Illustrare la fisionomia, i compiti e gli obiettivi dell‟Esercito di liberazione nazionale. In particolare, spiegare chiaramente che i soldati di questo esercito non sono tanto, o almeno non sono solamente i campioni di un generico patriottismo, che mirano semplicemente a “cacciare lo straniero dal sacro suolo della Patria”, quanto piuttosto il braccio armato e l‟avanguardia risoluta di un moto di rinnovamento, di un processo rivoluzionario, che investe tutta la struttura politica e sociale del paese, e dovrà dare all‟Italia, avvilita ed infamata dalla tirannia fascista avallata e sostenuta da ben note complicità, un volto nuovo di nazione libera, democratica, civile. […] 6. Il partigiano invece deve sentire il suo servizio come una vocazione, disposto ad andare sino in fondo, affrontando disagi, privazioni e sacrifici, compreso quello della vita stessa, per il trionfo di un superiore ideale civile, che trova la sua insuperabile espressione nella formula: giustizia e libertà”, ivi, pp. 78-79.
765 Un documento della “Colonna Giustizia e Libertà Val Pellice”, del 16 giugno 1944, indirizzato “A tutti i partigiani della colonna” riporta alcuni consigli: “1. Ricorda che sei militare di un esercito volontario; di esso sei parte integrante e con esso dovrai andare sino in fondo. L‟impegno che ti sei assunto entrando nelle file partigiane è un impegno d‟onore, cui non si può venir meno. 2. Devi essere disciplinato non nel senso e nello stile della vecchia “naja” ma disciplinato nell‟animo. 3. Devi ubbidire a chi ti comanda. I tuoi comandanti sono i tuoi amici, ma hanno una responsabilità maggiore della tua, e nella tua obbedienza troveranno la forza per superare ogni difficoltà. 4. Tu lotti per la giustizia e per la libertà. Tu devi essere giusto con tutti e rispettare la libertà di tutti. 5. Non devi agire contro alcuno se non sei comandato. 6. Ricorda che un solo tuo atto, un solo gesto che fosse spinto da rancore personale arrecherebbe grave danno morale a te ed alla tua colonna. 7. Le armi che hai in consegna sono preziose, e mai come nella tua lotta hanno servito una causa giusta e santa. 8. Ricordati che non devi eccedere in nulla, né nel bere né nel mangiare. L‟ubriachezza fa sragionare e commettere atti insani. 9. Ricorda che la disciplina nostra è la disciplina del volontario: può sorvolare sulle piccole cose ma è inflessibile nelle cose che per noi sono essenziali. 10. Quando scenderai tutti guarderanno a te e quindi devi essere non solo partigiano ma anche cittadino esemplare”, ivi, pp. 100-101.
766 Vedi: Francesco Omodeo Zorini, La formazione del partigiano: politica, cultura, educazione nelle Brigate Garibaldi, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Vercelli “Cino Moscatelli”, Borgosesia 1990.
767 I dati esposti sono desunti dalla “Sintesi della relazione complessiva sulla forza dei banditi e sull‟attività banditi ed antibanditi dal settembre 1943 al novembre 1944”, in ACS, Segreteria part. del Duce, Carteggio ris., b. 70, fasc. 642/R, “Ministero della Difesa nazionale”, sottof. 17, “Varie”, riportato in Renzo De Felice, Mussolini l‟alleato, II. La guerra civile (1943-1945), cit., pp. 737-753. Vedi anche gli allegati alle pp. 568-594.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, anno accademico 2010-2011