Miss Italia doveva essere custode e depositaria dei valori rassicuranti della tradizione

Nel 1946 l’America vantava già una lunga tradizione di gare di bellezza.
Il primo concorso destinato a coronare Miss America venne infatti organizzato nel 1922 per iniziativa del giornalista Herber Test che aveva escogitato questa trovata pubblicitaria allo scopo di attirare turisti ad Atlantic City nel New Jersey. Gli albergatori del luogo, disperati per i magri affari di una stagione alquanto fiacca, accolsero fiduciosi la proposta e gli misero a disposizione 5918 dollari. Il concorso ebbe così luogo: vi parteciparono soltanto otto avvenenti fanciulle che indossavano costumi da bagno lunghi fino ai ginocchi; i benpensanti trovarono questo «Spettacolo della bellezza in costume da bagno», come inizialmente venne chiamata la manifestazione, piuttosto audace e sconveniente, e ne chiesero la soppressione. Ma il clamore immediatamente suscitato dal concorso non si spense facilmente, anzi, le campagne di stampa sostenute da certi club puritani femminili per la sua cessazione non fecero che accrescerne la popolarità così che l’anno seguente le candidate divennero un migliaio e provenivano da tutti gli Stati dell’Unione mentre l’idea di festival simili si diffondeva da un capo all’altro del continente <167.
Il concorso si ripeté fino al 1928, quando fu poi sospeso per le proteste suscitate dalle organizzazioni femminili che lamentavano l’ostentazione delle ragazze in costume da bagno: la Camera di commercio si vide costretta a non dare più danaro per il finanziamento del concorso. Dopo una pausa di sette anni, nel 1935 venne restaurato su basi solidissime ancorate ad una vasta rete pubblicitaria e a un’enorme ruota d’interessi, con gruppi imprenditoriali che investivano sulla bellezza come bene da spendere sul mercato <168. Per l’elezione di miss nella nazione si spendevano ogni anno 40 milioni di dollari, pari a 24 miliardi di lire <169. Per evitare nuovi incidenti e critiche, gli organizzatori pensarono di guadagnarsi l’appoggio delle organizzazioni civiche e la direzione del concorso fu assegnata a Leonora Slaughter, presidente della Società anonima spettacolo Miss America.
Frattanto a Parigi era nato nel 1928 per l’elezione di Miss Europa il Comitato internazionale, cui avevano aderito personalità della cultura, dell’arte, della moda, della politica, del cinema e del teatro. Si era costituito per disciplinare i vari concorsi, cucire per l’eletta un ruolo per gli scambi culturali, artistici, turistici e offrire alle Miss Internazionali l’aiuto necessario per realizzare le proprie attitudini.
L’Italia si muoveva invece su un terreno pressoché incontaminato. Qualcosa di simile ai concorsi esisteva in verità già nella forma delle tradizionali feste popolari come l’elezione del Maggio o della regina del Carnevale <170. Il «Secolo XIX» di Torino del 25 gennaio 1889 raccontava di un concorso di bellezza organizzato presso il Teatro Scribe sul modello di quelli tenuti in Germania, Austria-Ungheria e Belgio, con una giuria composta da noti pittori e scultori, allo scopo di premiare la bellezza e il buon comportamento delle ragazze <171. Un altro concorso fu organizzato nel 1911 in occasione della Esposizione universale per il cinquantenario dell’unità d’Italia, pur restando una manifestazione locale, circoscritta alla Capitale e alle ragazze in costume dei quartieri romani. Nel 1919 poi era stata indetta una gara che aveva eletto “Miss Liguria”, la prima ad avere una pubblicità su scala nazionale, pur incontrando «la resistenza degli ambienti più qualificati e particolarmente di quelli cattolici» <172. A fine anni Trenta era arrivata Miss Sorriso. Ma nulla era minimamente paragonabile alle competizioni ingaggiate in America.
Nel dopoguerra la situazione sembrava propizia per immettersi sul mercato moderno usando un canale come la bellezza.
L’idea era di legare al prodotto da reclamizzare non un’immagine convenzionale ma una figura vera e conosciuta: la miss vincitrice di un concorso nazionale e decretata ambasciatrice ufficiale di bellezza sembrava il soggetto più adatto per la pubblicità poiché identificata tramite stampa e foto, era immediatamente riconosciuta e restava al contempo una figura nota ma familiare. Villani, antesignano delle moderne tecniche pubblicitarie, cercava di “personalizzare” il prodotto e renderlo più accattivante e familiare per i consumatori che venivano attratti e indotti all’acquisto proprio da chi lo reclamizzava (i famosi testimonials degli attuali messaggi pubblicitari) <173. Quanto l’immagine della Miss si leghi a quella del dentifricio sponsorizzato lo si evince dagli astucci di Pasta Dentifricia Erba-Gi.Vi.Emme speciale messi in vendita nel 1947, all’interno dei quali si poteva trovare una bella monetina di rame con l’effigie di Rossana Martini, la prima vincitrice del concorso del dopoguerra, che valeva 10 Lire di prodotti Gi.Vi.Emme. All’epoca non circolavano monete metalliche e forse per questo pochi spesero la moneta preferendo per lo più tenerla tra i ricordi <174. Oltre al dentifricio la nascita di altri prodotti come l’“acqua di colonia Miss Italia” o il “sapone delle stelle” dimostrava come si promuovesse il moderno mercato della bellezza attraverso oggetti, immagini e modelli che si ispiravano alla miss nazionale e che rendevano i suoi fans potenziali acquirenti. Saponi, dentifrici, profumi alimentavano il sogno di “essere belle” come la Miss: il marchio si legava in modo indelebile alla star che veniva in qualche modo “divinizzata”.
La logica commerciale di fondo del concorso era comune a quella che animava le gare americane, ma le aspettative morali erano molto diverse. Inizialmente il criterio per la scelta di Miss America era esclusivamente fisico: i giudici badavano solo ad altezza, busto, fianchi, vita e così via. Il modello di bellezza americana era improponibile nell’Italia cattolica e perbenista degli anni Cinquanta perché reputato aggressivo, sfacciato e pericoloso, «il tipo della ‘pin-up’, la ragazza incollata sui finestrini dei camionisti» <175 era indice di una donna libera che trattava gli uomini alla pari, non era la donna da matrimonio e, almeno all’apparenza, spaventava i maschi italiani e soprattutto i moralisti cattolici <176.
Villani dovette trovare un compromesso tra economia e morale, modernità e tradizione, innovazione e convenzione, vale a dire tra le sue esigenze di pubblicitario, orientato a creare un mercato del consumo, e gli ostacoli posti da una società rurale e tradizionalista che male accettava la dilagante americanizzazione. Occorreva blandire gli elementi americanizzanti inserendoli in uno sfondo romantico e in una cornice più tranquilla. Da qui l’idea di riallacciarsi al tradizionale Miss Sorriso, di cui si voleva recuperare l’atmosfera gentile che aveva circondato quella premiazione, affiancando al titolo americaneggiante «Miss Italia» quello di «La bella italiana» e facendo rientrare la manifestazione all’interno di un più ampio progetto di promozione turistica del territorio e delle sue bellezze artistiche e folcloristiche. Le ragazze scelte come concorrenti rappresentavano le regioni italiane e ciascuna doveva mettere in mostra un qualcosa di indicativo di quella terra, diventando così messaggera della produzione locale, dell’arte e del gusto degli italiani. Anche i costumi tradizionali indossati dalle finaliste, creati dalle case di alta moda per l’occasione, erano caratteristici delle regioni italiane e avevano tessuti di gran pregio.
L’obiettivo sostanziale della kermesse diventava celebrare una bellezza che rappresentasse la sana vitalità della nazione italiana e fosse al tempo stesso promessa di un futuro prospero e positivo per il Paese <177. Bisognava quindi scegliere la più bella d’Italia. Ma a questo punto la questione si faceva complicata: cosa bisognava intendere per bellezza? «Uomo semplice, innamorato del bello, appassionato di pittura, valente giornalista pubblicitario, artista nell’animo», come lo descrive ancora Vergani, «probo fino allo scrupolo, Villani doveva essersela rivolta spesso questa domanda, per organizzare coscienziosamente, come sempre faceva, quelle manifestazioni di vita moderna, che sono i concorsi» <178. La produzione convenne che la competizione dovesse segnalare un tipo indiscutibilmente nostrano, di una bellezza tranquilla, quasi casalinga, femminilmente serena, senza eccessi, che incantasse ma non provocasse turbamenti, esattamente come le Miss Sorriso incorniciate in una foto formato francobollo che ne mozzava il corpo e con esso ogni eventuale elemento sensuale. Casta come le Madonne raffigurate dai pittori del Rinascimento. Non a caso nella denominazione del concorso figurava anche «La bella italiana», come il libro del critico d’arte Raffaele Calzini che vi aveva raccolto le più attraenti immagini di donne della nostra pittura. Gli stessi pittori membri della giuria del concorso nelle loro valutazioni si ispiravano alle sottili giovinette del Botticelli, alle serafiche sante del Perugino, alle Madonne del Raffaello, alle floride e bionde veneziane del Tiziano <179 e speravano di trovare tra le candidate la modella ideale di Leonardo o del Correggio. La bellezza scelta doveva un tipo rappresentativo della realtà quotidiana in cui si potessero identificare tutti.
La bella italiana doveva puntare al matrimonio <180, almeno a parole, tant’è che la dote prevista come premio serviva a ribadire l’aspirazione fondamentale delle miss e a tutelarne l’immagine. Miss Italia poteva insomma mostrare le gambe ma doveva salvare l’anima: così tranquillizzava i perbenisti.
Il motto coniato da Villani con cui invitava la giuria a formulare la scelta tra le finaliste era: «Vorremmo che questa ragazza fosse la fidanzata di nostro figlio? Se crediamo di poter rispondere sì, allora non dobbiamo avere alcun dubbio. La ragazza che daremmo in sposa a nostro figlio può essere eletta Miss Italia» <181.
Per conferire al concorso uno stile che lo distinguesse dalle gare analoghe organizzate all’estero, cui generalmente partecipavano soltanto le professioniste della bellezza e della grazia, modelle, cover-girl, indossatrici e ballerine, abituate ad esibirsi nelle varie serate per interessi e compensi immediati, in Italia la competizione veniva impostata in modo da offrire indistintamente a tutte le ragazze la possibilità di vincere il titolo o almeno qualche vistoso premio <182. Se all’estero le candidate ai concorsi erano abituate a mettersi in mostra e tra di esse non c’era alcuna “scoperta” da fare, il materiale umano con cui si confrontavano gli organizzatori di Miss Italia era ancora incontaminato ed era più semplice scovare una figura o un viso inedito <183.
Lo scrittore Achille Campanile sulle pagine del «Corriere Lombardo» spiegava le ragioni che avevano indotto l’organizzazione del concorso ad usare, come canali di ricezione delle candidate allo scettro di più bella d’Italia, le fotografie e le segnalazioni con il fatto che privilegiando come luoghi di reclutamento le sale da ballo, si rischiava di escludere dalla gara le giovani più riservate, restie a mettersi in mostra <184
[…] L’invito a cercare una bellezza classica che somigliasse a quella delle dee, delle madonne e delle sante non rispondeva quindi a un vezzo ma ad una copertura culturale necessaria per la prosecuzione indisturbata di una manifestazione considerata ufficiale e statale. Miss Italia doveva essere custode e depositaria dei valori rassicuranti della tradizione <185 e, se pur testimone e vettore della modernizzazione del Paese, doveva realizzare questa funzione attraverso forme stereotipate e rassicuranti. Innovazione e consuetudine erano le facce interdipendenti di questo concorso. Su questi elementi Villani insisteva per rivendicare l’originalità e il valore della propria “creatura”.
[NOTE]
167 G. Gullace, Le effimere glorie delle miss America, «Oggi», 21 marzo 1957, pp. 40-42.
168 A. De Leon Orbis, Fatti e misfatti delle olimpiadi della bellezza. Come nacquero e come crebbero i concorsi di Miss America e Miss Italia, 23 ottobre 1956, [A.D.V. – Milano].
169 G. Gullace, Le effimere glorie delle miss America, «Oggi», 21 marzo 1957, p. 40.
170 M. De Giorgio, Le italiane dall’unità ad oggi, cit., p. 166.
171 M. Monza, T. Scaroni, Cinquant’anni di Miss Italia, cit., pp. 12-15.
172 A. Campi, Uragano di miss, «La posta illustrata», p. 9 [A.D.V.- Milano].
173 F. Fasce, Le anime del commercio, Roma, Carocci, 2016, p. 40.
174 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 80.
175 Miss Italia concorso per soubrettes, «Le ore», 27 settembre 1960.
176 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 148.
177 S. Gundle, Bellissima. Feminine Beauty, cit., p. 378.
178 C. Prosperi, Come sono nate undici Miss Italia, «Sera-Torino», 5 febbraio 1958.
179 O. Vergani, A confronto per la nuova Miss Italia beltà dialettali e beltà standardizzate, «Corriere della Sera», 5 settembre 1955.
180 S. Masi, E. Lancia, Stelle d’Italia: piccole e grandi dive del cinema italiano, 1945-1968, Roma, Gremese, 1989, pp. 61-64.
181 D. Villani, Come sono nate undici Miss Italia, cit., p. 65.
182 Si vota per Venere, «La Notte», cit., p. 7.
183 D. Villani, Come sono nate undici miss Italia, cit., p. 220.
184 A. Campanile, Bella anima in bel corpo, «Corriere Lombardo», 21-22 febbraio 1948, p. 3.
185 S. Gundle, Figure del desiderio, cit., p. XXXII.
Marzia Leprini, Le olimpiadi della bellezza. Storia del concorso di Miss Italia 1946-1964, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2017-2018