L’esperienza di Mario Candotti viene raccontata attraverso le sue memorie, scritte durante gli anni della guerra e successivamente nel dopoguerra, raccolte in forma di diario e pubblicate postume alla sua morte nel volume «Ricordi di un uomo in divisa: naia, guerra, resistenza».
Tale volume, racconta la sua diretta – se vogliamo intima – esperienza, prima come alpino e poi come partigiano. Nei suoi scritti vengono messi in evidenza non solo tutti i particolari delle vicende vissute durante i duri anni del conflitto – che rappresentano informazioni di grande importanza dal punto di vista storico – ma facendo risaltare il vissuto quotidiano, le sofferenze, i sacrifici e, seppur dettato da una scelta personale, il peso della guerra di liberazione combattuta in nome della libertà e della democrazia. Come da lui scritto, al fine di far comprendere il significato e la struttura del suo lavoro:
“[…] Di un uomo qui si tratta, non di un militare, non di un politico. Di un uomo che non voleva la guerra, ma la pace, l’amicizia, il lavoro e invece fu costretto a lottare per fare il suo dovere, per resistere alla persecuzione, per opporsi all’oppressione; di un uomo che, senza odio per alcuno, ha dovuto sparare contro il fratello; di un uomo, come ce ne furono tanti e ce ne sono […] che ad ogni colpo sparato sentiva dolorosamente il controsenso di quello che faceva.
Il diario che presento nasce dall’unione di tre elementi: il primo è formato da brani di un piccolo diario che riuscii a salvare dalla guerra, un libriccino tenuto caro e annotato con diligenza dal 1° gennaio 1942 al 13 settembre 1943; il secondo è composto da lettere che inviai a casa e che il mio vecchio padre ha religiosamente conservato; il terzo, sono pagine scritte ogni tanto, negli anni che seguirono la guerra, quando i ricordi si facevano più pressanti e le figure dei miei compagni d’armi si ripresentavano alla mia memoria e quasi mi imponevano di narrare quanto avevamo vissuto, provato e sofferto, perché non andasse dimenticato” <123.
Quello che qui interessa nelle pagine raccontate da Mario Candotti, oltre alla natura storica degli avvenimenti narrati, è la sua esperienza partigiana nella Resistenza friulana iniziata nell’aprile del 1944.
A seguito dello sfascio dell’8 settembre e dell’occupazione tedesca del Friuli, Mario Candotti, così come tanti militari italiani dell’epoca, fu chiamato, nel novembre 1943, a prendere parte alla guerra in corso a fianco dei tedeschi, ricevendo delle lettere che lo invitavano a rientrare al 3° Reggimento Artiglieria Alpina. In relazione a questa vicenda, nelle sue pagine si legge quanto segue:
«Non rispondo, né mi muovo. La guerra la odio nel profondo di tutto il mio essere e non voglio saperne più di armi e di naja» <124.
Da qui, con la paura di essere arruolato dai tedeschi, la decisione di creare, con altri ex militari dell’ampezzano, un rifugio con delle basi in montagna al fine di potersi nascondere dalle continue puntate tedesche e repubblichine compiute nella zona.
Scemato l’allarme e tornata la normalità in paese, nel febbraio 1944 fu convocato nella caserma di Ampezzo da un ufficiale tedesco delle SS che, di contro al suo desiderio di non partecipare alla guerra, sottolineò il suo ruolo di ufficiale della «Julia», ponendolo davanti a tre scelte: entrare nella Wehrmacht o nei reparti repubblichini, lavorare con la TODT oppure essere internato in Germania, a meno che non avesse accettato il comando della Landwache (comando territoriale) che doveva essere costituita in paese, incarico che infine accettò qualche giorno dopo <125.
Nei primi giorni di aprile si presentarono nella zona dei partigiani garibaldini, assoldando nelle loro fila alcuni giovani del luogo, tra cui Ciro Nigris, amico di Mario Candotti, provocando in quest’ultimo sgomento e portandolo a fare delle riflessioni più profonde:
«Il fatto che Ciro abbia rotto gli indugi, abbia abbandonato la sua casa e si sia unito ai partigiani, è al di sopra di ogni previsione e mi fa pensare parecchio. E certamente sarà determinante per la scelta di altri numerosi miei paesani. Come Ciro inoltre, anch’io mi trovo tra l’incudine e il martello, e dovrò presto fare la scelta» <126.
Così, verso la metà di aprile, avvenne il primo incontro con il comandante dei partigiani “Tredici”, con il quale si crearono accordi, grazie alla posizione lavorativa di Mario Candotti, per ottenere informazioni sui movimenti e la consistenza dei reparti tedeschi e repubblichini, garantendo inoltre protezione ai partigiani dalle puntate di questi ultimi.
Nelle settimane seguenti i contatti si fecero sempre più frequenti e venne così la decisione di entrare a far parte dei gruppi partigiani. Su consiglio di “Tredici” costituì una squadra nella zona di Voltois, ma la spinta a lasciare Ampezzo <127 e prendere concretamente la via della montagna fu, assieme ad altri episodi, l’incendio di Forni di Sotto del 26 maggio 1944:
«Forni di Sotto brucia come un immenso braciere. Le vampe dell’incendio si riflettono anche dentro di me. No, non ci può essere libertà, non ci possono essere diritti in una terra dominata dai nazifascisti. I tedeschi sono rimasti quelli che ho conosciuto in guerra […] ora essi manifestano la loro natura perversa, il loro furore bestiale in modo identico qui, davanti a me, nella mia terra, nella mia vallata. Non si può e non si deve più aspettare! Ognuno deve prendere le armi per difendere la libertà, il diritto, la nostra civiltà» <128.
La scelta era compiuta, dopo aver presentato le dimissioni dal comando della Landwache, si diede alla macchia occupandosi di organizzare la sua squadra, formata da una quindicina di uomini, nella zona di Voltois. Il 1° giugno 1944, a Socchieve, entrò a far parte del Btg. «Carnico», comandato da “Tredici”, con il nome di battaglia “Barbatoni” <129.
Il 23 luglio 1944, a seguito della liberazione di Sauris di Sotto e della Maina di Sauris dopo un attacco tedesco a sorpresa, fu nominato comandante del battaglione in sostituzione di “Tredici”, ferito durante gli scontri <130.
Nel settembre 1944, dopo la ristrutturazione delle forze partigiane garibaldine della Carnia, la Brigata divenne «Gruppo Brigate Garibaldi Nord» e le nuove brigate furono costituite con il seguente assetto: la Brgt. «Carnia» (con i Btgg. «Friuli» e «Magrini») e la Brgt. «Val But» (con i Btgg. «Gramsci», «Carnico», «Cossutti» e «Leone Nassivera»).
Mario Candotti fu nominato comandante della Brigata «Val But», con commissario Mario Bortoletto “Remo” e il comando di Brigata posto a Cedarchis <131. Verso la fine del novembre 1944 gli fu affidato, da “Andrea” e “Ninci” (rispettivamente commissario politico e comandante della Divisione Garibaldi Friuli <132), l’organizzazione di una «Scuola Quadri» a Frasseneit (Val Tramontina) per i comandanti della Carnia e della Pedemontana133 e successivamente fu nominato Comandante della Divisione «Garibaldi-Carnia Nassivera». Il suo impegno nella Resistenza perdurò fino alla Liberazione. Il 20 giugno 1945 scrive:
«Non so ancora che cosa farò, ma quello che potrò fare d’ora in poi, dipenderà soltanto e tutto da me, dal mio impegno personale. Tutto quello che ho fatto in questi ultimi anni, dal ’39 al ’45, per la mia Patria, la mia gente, la mia terra, l’ho fatto con la coscienza piena di aver compiuto il mio dovere di uomo, di cittadino, di italiano» <134.
Nel suo diario, a cui si rimanda per una lettura più approfondita, viene raccontato nei minimi particolari tutto ciò che caratterizzò la sua esperienza di partigiano, di uomo: i molti scontri; l’organizzazione militare; le sofferenze e le perdite patite durante i grandi rastrellamenti; i timori di una lotta che sembrava non dovesse mai finire, ma anche i legami creati lungo questo duro percorso e la voglia di riscattare la propria Patria; gli attriti tra gli stessi compagni visti dal punto di vista di un uomo che si dichiarava ‘non politicizzato’.
In riferimento a quest’ultimo punto, che destò in lui preoccupazione, è interessante riportare un passaggio presente nei suoi ricordi:
«Confido ad “Andrea” la mia situazione, le mie perplessità e le mie insicurezze…Non mi ritengo all’altezza del compito; gli faccio un po’ la storia della mia vita militare e non…e alla fine, gli dico chiaramente il mio pensiero e concludo: «Ma io non sono nemmeno comunista, caro “Andrea”; io sono un semplice militare…Non mi troverò fuori posto in questo ambiente? “Andrea si arresta, mi guarda e poi: «magari avessi tanti altri comandanti così, come te […]» <135.
[NOTE]
123 Mario Candotti, Ricordi di un uomo in divisa: naia, guerra, resistenza, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1986, cit., p. 27.
124 Ivi., p. 143.
125 Ivi., pp. 143-145.
126 Ivi., p. 152.
127 Ivi., pp. 153-155.
128 Ibidem., p 155.
129 La scelta del nome “Barbatoni” deriva da un ricordo legato al periodo di licenza ad Atene (in cui al posto del suo nome usò quello di “Toni” per presentarsi a delle ragazze) e al modo in cui lo chiamava la nipote “Zio Toni” (“Barba Toni”), Ivi., p. 157.
130 Candotti, Ricordi di un uomo in divisa…, cit. p. 169.
131 Ivi, p. 179-180.
132 Ambedue organizzatori comunisti clandestini sotto la dittatura. Mario Lizzero “Andrea Lima” (1913-1994), dopo la Liberazione dirigente e parlamentare del Pci; Lino Zocchi “Ninci” (1910-1977), già combattente repubblicano nella guerra di Spagna, diventerà nel dopoguerra segretario dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti).
133 Ivi, p. 209.
134 Ivi, p. 282.
135 Candotti, Ricordi di un uomo in divisa…, cit., p. 207.
Gioia Vazzaz, Soggettività e oggettività nell’opera storiografica di Mario Candotti, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2021-2022