«l’Unità» del 1948 e il discorso nazional-patriottico

Una delle accuse più frequentemente lanciate da «l’Unità» al governo e alla DC nel corso dell’anno 1948 è quella di «tradire la patria». Il governo democristiano, per l’organo di stampa del PCI, non persegue tanto gli interessi nazionali quanto quelli di una potenza straniera: gli Stati Uniti. La DC si comporta in modo servile nei confronti di chi vuole invadere militarmente o sottomettere economicamente l’Italia. In questa operazione il governo, il partito democristiano e i suoi alleati (spregiativamente definiti «saragattiani» o «piselli», <112 i primi e «pacciardiani» i secondi) rappresentano la quinta colonna dello straniero. Essi hanno dei complici: i clericali e i grandi capitalisti. I primi avversano l’indipendenza dell’Italia, così come l’avversava Pio IX nel 1848; gli altri perseguono i loro interessi, che sono in contrasto con quelli della classe operaia e quindi del popolo italiano.
In questa sezione analizzeremo nel dettaglio, con l’ausilio di brani tratti dal quotidiano comunista, gli esempi di questo discorso che ho riassunto e che emerge dalla lettura de «l’Unità» del 1948.
L’immagine del «traditore» è uno degli elementi fondamentali che hanno strutturato il discorso nazional-patriottico risorgimentale. Nell’introduzione abbiamo brevemente accennato a che cosa s’intende con tale espressione.
Dobbiamo ora fare una breve digressione per spiegare come si è strutturato il discorso nazional-patriottico risorgimentale. Seguiremo a questo scopo gli scritti bantiani, in particolare “La nazione del Risorgimento”. <113
Scrive Banti che a partire dagli anni ’90 del Settecento l’esercito rivoluzionario francese, penetrando in Italia settentrionale, diffuse un nuovo vocabolario politico rivoluzionario. <114 Questo nuovo lessico si propagò tramite i mezzi di comunicazione a stampa: a partire dal 1796, anno d’inizio del cosiddetto “Triennio giacobino”, «gazzette, libri, manifesti e stampe» <115 si diffusero in grandi quantità negli Stati della penisola. <116 Questo nuovo vocabolario, prosegue Banti, da un lato riutilizzava termini già presenti nel discorso politico da decenni, come «sovrano, stato, cittadino, libertà, patria, popolo». <117 Dall’altro «esso era caratterizzato da due fondamentali novità»: da un lato l’introduzione del lessema «nazione», che prima non apparteneva alla sfera del politico e che ora si caricava di una nuova accezione: il «soggetto originario da cui discendeva la legittimità delle istituzioni che in uno spazio e in un tempo dato avrebbero dovuto disciplinare la vita collettiva». <118 Nei secoli precedenti, invece, il termine «nazione» aveva tre significati: <119 il primo era il più arcaico e si riferiva all’estrazione familiare o sociale, sul piano individuale; alla nascita in uno stesso luogo, sul piano collettivo. Poi c’era il significato di «collettività dotata di un habitus comune»: una comunità, cioè, che si distingueva dalle altre per la peculiarità dei propri usi e costumi. Infine, sul piano semantico, a partire dall’inizio del Settecento il termine «nazione» iniziò a riferirsi all’esistenza «di una comunità culturale italiana, dotata di lingua e di letteratura comune». <120
La seconda novità apportata dal nuovo vocabolario politico rivoluzionario consisteva nel fatto che la parola «nazione», semanticamente arricchita, diventava centrale nel nuovo vocabolario politico rivoluzionario, «tanto da subordinare a sé tutti, o quasi tutti, gli altri lemmi che vi appartenevano»: <121 questi altri lessemi potevano specificare o connotare meglio il campo semantico a cui «il termine centrale alludeva», come nel caso di «stato nazionale», «guardia nazionale», indipendenza nazionale», oppure rivestivano una funzione sinonimica come nel caso di «popolo»; o infine «descrivevano il sistema di relazioni che i membri della nazione avrebbero dovuto intrattenere con le istituzioni che dovevano esprimerne l’essenza»: <122 era questo il caso del termine «patria». Questo vocabolo nel Settecento, scrive Banti, possedeva due accezioni principali: da un lato indicava il luogo di nascita, sia il paese che lo stato o l’area culturale. <123 Quindi in questo senso con il vocabolo di «patria» ci si poteva riferire, ad esempio: alla città di Napoli, allo stato del Regno di Napoli e all’area culturale italiana. <124 In secondo luogo il termine poteva afferire alla lealtà che una comunità doveva riconoscere al «sistema politico-costituzionale» al quale era sottoposta e del quale doveva rispettare le leggi. <125
Alla fine del Settecento il lessema «patria» veniva infine strutturalmente legato al termine «nazione» e inoltre andava a definire un solo sistema istituzionale: quello democratico-repubblicano. Coloro che aspiravano ad instaurare nel proprio territorio una repubblica democratica e agivano a quello scopo, erano i patrioti. Essi erano soprattutto giovani intellettuali, giornalisti, scrittori, avvocati, medici, ex preti o ex abati i quali avevano seguito con entusiasmo le vicende della rivoluzione francese ed ora iniziavano ad elaborare piani di trasformazione degli assetti geopolitici della penisola. <126
In questa fase l’elaborazione dell’iniziativa patriottica si concentrava soprattutto sul piano costituzionale e militare. <127 Il presupposto di queste discussioni era però confuso: l’esistenza di una nazione italiana era data per scontata. Il dibattito svoltosi durante il “Triennio giacobino” (1796-1799) verteva solo in minima parte sui caratteri della nazione italiana. Invece era riservata molta più attenzione alle discussioni relative ai profili costituzionali o alle riforme economico-sociali. <128 Le cose iniziarono a cambiare nel 1802-1803, <129 quando gli spazi per riflessioni di questo tipo si chiusero perché a partire dalla fase napoleonica, e poi durante quella della Restaurazione, gli stati della penisola vietarono la trattazione pubblica di argomenti di carattere politico-costituzionale. <130 Gli spazi che rimanevano per i patrioti erano quelli cospirativi, sul piano dell’azione; sul piano intellettuale, le riflessioni sull’unificazione patriottica si diffusero nei circoli letterari.
Le pratiche cospirative non apportarono una grande consapevolezza, presso le popolazioni della penisola, dell’esistenza di una nazione italiana e della necessità di unirla in un organismo statale. Invece i circuiti intellettuali e letterari ebbero più fortuna: artisti e scrittori assai affermati riuscirono a sfruttare l’oscuramento degli spazi di riflessione politico-costituzionale e si dedicarono al «tema della nazione italiana e dei suoi diritti», <131 facendone «uno dei luoghi letterari più à la page tra quelli frequentati nei decenni seguenti». <132 Letterati come Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Vincenzo Cuoco puntarono con grande insistenza le loro narrazioni e trattazioni sul tema patriottico. Il che, per Banti, è probabilmente dovuto al fatto che essi avevano individuato in questo argomento un tema che garantiva loro l’accesso ad un vasto pubblico. D’altra parte, però, prosegue Banti, proprio il fatto che grandi personalità della letteratura si dedicassero a questo tema, era «ciò che lo rendeva particolarmente interessante per il pubblico colto». <133 Così il tema della nazione fu sviluppato fino agli anni ’40 dell’Ottocento, essenzialmente nella letteratura poetica, narrativa, nel melodramma e nella pittura. E ciò permetteva l’accesso ad un pubblico assai più largo di quello che poteva essere raggiunto dai saggi di teoria politica, costituzionale o storica.
Per la gran parte dei giovani uomini che si dedicarono alla causa dell’unificazione della nazione italiana, l’iniziazione, il primo impulso, scaturì proprio dalla lettura di quei testi narrativi che avevano al centro il tema della nazione <134 e che lo declinavano in termini emotivi e simbolici. <135
Banti individua un corpus di testi che hanno in comune un’analoga morfologia narrativa e che presentano analoghi riferimenti simbolici risemantizzati, cioè dotati di nuovi significati. In questi testi, che assurgono alla funzione di “canone risorgimentale”, “si assiste […] alla creazione di una mitologia e di una simbologia, di una ricostruzione storica della nazione italiana che ha in sé una eccezionale forza comunicativa [che] ebbe il potere di toccare la mente e i cuori di una parte non trascurabile dell’opinione pubblica della penisola, tanto da diffondere l’idea dell’effettiva esistenza di un soggetto – la nazione italiana – che, nei fatti, sembrava molto difficile da identificare”. <136
Ciò che rende la morfologia dei testi del canone risorgimentale così efficace dal punto di vista comunicativo è la presenza di «un singolare procedimento stratigrafico di trasposizioni e calchi operati su contesti discorsivi di natura molto diversa». <137 Immagini e modelli narrativi del discorso risorgimentale derivano infatti da modelli preesistenti. Questi modelli sono tratti da tradizioni assai radicate nell’immaginario collettivo, come la religione, il linguaggio dell’onore, e i legami parentali, e vengono «opportunamente manipolati e trasformati» in modo da trasporli in nuovi contesti e dotarli di nuovi significati. <138
Uno dei calchi discorsivi più efficaci è per Banti «quello che collega i testi patriottici alla tradizione religiosa». Non si tratta dei materiali letterari o ideologici che si richiamano esplicitamente all’importanza della religione cattolica nella vita della nazione italiana (che trovano piuttosto espressione nella pubblicistica neoguelfa) ma di relazioni simboliche che strutturano il discorso risorgimentale ad un livello profondo. Questi calchi sono realizzati, precisa Banti, solo sul piano morfologico, non in quello semantico ed è questo duplice meccanismo che dà forza all’idea risorgimentale di nazione e insieme ne delinea la debolezza. <139
Uno di questi calchi riguarda «la triade figurale» <140 che ricorre nelle strutture narrative che fanno parte del canone risorgimentale: l’eroe, il traditore e l’eroina sono tre figure costantemente presenti nei testi narrativi indicati e hanno tratti caratteristici che si ripetono similmente da un testo all’altro. Questa triade corrisponde simmetricamente a quella dei testi sacri: Gesù Cristo e gli apostoli; Giuda; la vergine Maria e le martiri. Vediamo i tratti stilizzati delle prime due figure della triade, tralasciando la terza, che nella nostra ricerca non trova riscontro. <141 Cominciamo dall’eroe: “L’eroe è un uomo che ha sempre delle qualità militari; è un condottiero o lo è stato in gioventù, ed ha un riconosciuto ruolo di leadership politica o morale all’interno della sua comunità. E’ animato da un intenso amor di patria, ai limiti del fanatismo, talvolta. Si batte con coraggio, finché le forze gliene dànno la possibilità, ma è destinato inevitabilmente alla morte. Le sue azioni, e in alcuni casi (ma non sempre) la sua morte, hanno un valore di testimonianza offerta ai contemporanei e ai posteri”. <142 Vediamo ora i tratti tipologici della seconda figura, quella del traditore: “Gloria e dolore, eroismo e morte tragica sembrano i marchi distintivi di queste figure. E l’ombra del tradimento, anche. Perché il destino dell’eroe è sempre segnato dal suo incontro con un traditore […] I traditori […] sono gli attori che muovono il dramma […] Sono accomunati da un cinismo senza fine, da una fragilità morale che fa da impressionante contrasto con lo spessore etico degli eroi. La loro è un’azione subdola destinata a muovere le sue trame nell’ombra, disprezzati da tutti, com’essi sono, quando son costretti ad uscire allo scoperto, Possono agire per ambizione […], per sete di potere […], per denaro […] o per desiderio di vendetta. […] Più pericolosi degli stessi stranieri, i traditori sono la causa della disfatta nella comunità nazionale nella lotta, ed insieme sono la causa della morte dell’eroe. […] Diversi tra loro vogliono anche disonorare le donne degli antagonisti, ad ulteriore ed estrema ingiuria della comunità patria”. <143
[NOTE]
112 Gioco di parole di bassa lega basato sul nome del partito di Saragat, PSLI.
113 A. M. Banti, La nazione del risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000.
114 Ibid., p. 7.
115 Ivi.
116 Ibid., p. 8.
117 Ivi.
118 Ivi.
119 Ibid., p. 5.
120 Ivi.
121 Ibid., p. 8.
122 Ibid., p. 9.
123 Ibid., p. 1.
124 Ibid., pp. 3-4.
125 Ivi.
126 Ibid., p. 9.
127 Ibid., p. 13.
128 Ibid., p. 15.
129 Ibid., p. 27.
130 Ivi.
131 Ibid., p. 27.
132 Ivi.
133 Ibid., pp. 28-29.
134 Ibid., p. 33.
135 Ibid., p. 45.
136 Ibid., p. 30.
137 A. M. Banti, La nazione del risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000, p. 111.
138 Ivi.
139 Ibid., p. 120.
140 Ibid., pp. 93 e sgg.
141 Questa mancanza di riscontro non è senza significato. Evidentemente l’eroina non era una figura funzionale nell’immagine di patria che aveva il PCI.
142 Ibid., p. 93.
143 Ibid., p. 96.
Luca Ciampi, Il Partito Comunista Italiano, la Patria, la Nazione. Studio de «l’Unità» del 1948, Tesi di Laurea Specialistica, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014