L’opera di Said ha inaugurato il complesso filone di studi postcoloniali

Il colonialismo è una caratteristica ricorrente della storia dell’uomo: le crociate, le invasioni della Spagna, le imprese dei Mongoli o la corsa alle ambite ricchezze degli Inca, sono solo alcune delle vicende che hanno stabilito i primi contatti di tipo colonialistico tra popoli lontani. Secondo il pensiero marxista, mentre i colonialismi precedenti sono di tipo precapitalista, il colonialismo moderno da vita al capitalismo dell’Europa occidentale. Quest’ultimo non solo deriva tributi, beni e ricchezze dalle terre che conquista ma ne ristruttura le economie, attirandole in una complessa relazione con la propria, costituendo un flusso di risorse umane e naturali fra i paesi colonizzati e quelli colonizzatori. Gli schiavi e le materie prime sono importati per realizzare prodotti nelle metropoli e, contemporaneamente, le colonie forniscono mercati subordinati per i beni europei. “In qualsiasi direzione viaggiassero gli esseri umani e i materiali, i profitti tornavano sempre nella così detta madrepatria” (A. Loomba, p.20). Dunque, anche se i colonialismi europei hanno attuato una molteplicità di tecniche e di tipologie di dominazione, in tutti i casi hanno
prodotto lo squilibrio economico necessario per la crescita del capitalismo e dell’industria.
Ai colonialismi europei si deve anche l’introduzione di quelle pratiche e ideologie che hanno alterato completamente la percezione, reale e immaginaria, dell’intero globo e delle sue popolazioni dando forma alle strutture della conoscenza umana. I resoconti dei viaggi europei del XV e XVI secolo in Africa, Asia e America segnano un nuovo modo di pensare e di produrre le categorie di europeo e non-europeo come due opposti assoluti. Gli europei che viaggiano portano con loro l’immagine precostituita dei popoli che pensano di incontrare e questo garantisce una giustificazione per gli insediamenti, per le missioni religiose e per le attività militari: la figura tardo medioevale del selvaggio che vive nella foresta, nudo, violento, privo di senso morale ed eccessivamente sensuale, al di fuori della società civile ma costantemente minaccioso di penetrarla e distruggerla.
Gli africani, gli indios, gli indiani, gli Altri dall’Occidente sono visti come degli esseri inferiori, al confine tra l’uomo e la bestia, con cui non c’è possibilità e motivo di dialogo. <1
La scoperta del mondo da parte dell’uomo moderno, avviene attraverso l’adozione di opposizioni binarie che gli consentono di ridurre l’esistenza al proprio punto di vista: bianco/nero, civilizzato/ selvaggio, maschio/femmina. Nel primo elemento si riconosce la verità, mentre il secondo può essere comprensibile solo attraverso la logica del primo. Edward Said, nella sua opera principale “Orientalismo”, dimostra come questa opposizione sia stata fondamentale per l’autodefinizione degli uomini europei: se i popoli coloniali sono irrazionali, gli europei sono razionali, se i primi sono selvaggi, sensuali e pigri, l’Europa è la civilizzazione in sé, con gli appetiti sessuali sotto controllo e la sua etica dominante del duro lavoro. Essendo l’occidente maschio e bianco, anche le donne sono considerate al margine del mondo civilizzato e, quindi, come soggetti da salvare e da sottomettere. <2
La coscienza della superiorità dell’uomo bianco occidentale implica, dunque, il “dato di fatto” dell’inferiorità dell’altro: condizione, questa, che è possibile superare con adeguato aiuto, che giunge appunto con la colonizzazione e l’assoggettamento.
Negli intenti del colonizzatore la sottomissione dell’altro deve essere totale e totalizzante. L’opera di incivilimento è pertanto un obbligo per il colonizzatore ed una necessità per il colonizzato, ed è perseguito con tutti i mezzi. <3
La prospettiva di Foucault secondo la quale la conoscenza non è innocente ma profondamente connessa con le operazioni di potere, si ritrova in tutta l’opera di Said dove si dimostra come la “conoscenza” sull’Oriente prodotta e circolante in Europa è stata da sostegno al “potere” coloniale.
Said mette insieme una varietà di scrittori, pensatori politici, filologi e filosofi che hanno contribuito all’Orientalismo come istituzione che ha fornito le lenti attraverso le quali l’“Oriente” poteva essere visto e controllato; dallo stesso controllo nascevano questi modi di conoscere, di studiare e di scrivere. In pratica, esiste un rapporto fra la conoscenza dei paesi colonizzati e il potere che si può esercitare su di loro. Molti anni prima di Said, Frantz Fanon, nella sua accusa al colonialismo, aveva sostenuto che l’Europa è “letteralmente una creazione del Terzo Mondo”, nel senso che “ il sudore e i cadaveri dei neri, degli arabi, degli indiani e delle razze gialle” hanno sostenuto la sua “opulenza” (1965, p. 76-81).
Nonostante anche altri intellettuali occidentali, come Theodor Adorno, Walter Benjamin e Hanna Arendt, avessero indagato sulle connessioni tra la produzione intellettuale dell’occidente e la sua progressiva dominazione del mondo, la critica di Said differisce per aver dimostrato come il potere funziona producendo un “discorso” sull’Oriente, cioè attraverso il linguaggio, la letteratura e la cultura che regolano le vite quotidiane degli individui.
L’opera di Said ha inaugurato il complesso filone di studi postcoloniali all’interno dei quali particolare rilievo assume il lavoro della
filosofa indiana Gayatri Chakravorty Spivak. Spivak, nelle sue analisi sui “subalterni” <4 introduce il concetto di “violenza epistemica”. “La violenza epistemica è quella violenza attraverso la quale l’Occidente ha oggettivato il resto del mondo per porsi come soggetto della storia attraverso una rottura violenta operata sul sistema di segni, di valori, sulle rappresentazioni e sulla cultura delle società che un tempo erano colonie e che oggi sono il Sud del mondo. <5 E’ grazie all’epistemic violence che lo spazio colonizzato è stato brutalmente trasformato in modo da poter essere portato all’interno di un mondo costruito dall’eurocentrismo.
Il processo, invece, attraverso il quale l’Occidente ha creato i suoi Altri come oggetti da analizzare, assumendosi il potere di rappresentarli e controllarli, viene chiamato da Spivak worlding of world.” (Ambra Pirri, Con l’occhio del ventriloquo, Il Manifesto, 16 giungo 2004, da me leggermente trasformato). Le voci Altre iniziano oggi a parlare all’interno dell’Occidente attraverso i critici postcoloniali, raccontando le storie subalterne omesse dalle storie
ufficiali e dimostrando le forme nuove e più complesse attraverso le quali l’imperialismo continua a esistere nel presente.
Ai fini del nostro lavoro, in particolare, le critiche postcoloniali ci aiuteranno a riflettere su quegli elementi ideologici che, in maniera a volte inconsapevole, si diffondono attraverso il lavoro delle organizzazioni non governative (ong) ripercorrendo gli errori storici dell’occidente nei confronti del resto del mondo.
[NOTE]
1 Le ideologie del discorso razziale sono state rafforzate anche dal discorso scientifico. Invece di mettere in crisi gli stereotipi negativi a proposito di selvatichezza, barbarie e sessualità eccessiva, la scienza li trasformava in condizioni fisse e permanenti.
2 Storicamente le ideologie dominanti sulla razza e sul sesso si sono sostenute a vicenda. A metà del XIX secolo la nuova scienza antropometrica, per esempio, sosteneva che le donne caucasiche sono più simili agli africani degli uomini bianchi e tratti che si ritenevano femminili venivano usati per descrivere le “razza inferiori”. Ancora, quando gli uomini africani cominciano ad essere curati per la schizofrenia, alle donne africane non viene concesso il livello di auto-consapevolezza necessario per non impazzire. Le donne africane, dunque, occupano i gradini più bassi della scala razziale.
3 La percezione della dimensione storica del problema della colonizzazione fu immediata e, già nel 1493, all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo, il papa Alessandro VI aveva dato inizio alla colonizzazione moderna con l’emanazione di una Bolla che sanciva la spartizione del mondo allora conosciuto in grandi sfere d’influenza fra le grandi potenze dell’epoca, Spagna e Portogallo, e con l’imposizione della fede cristiana. Si trattava di un’opera d’incivilimento alla quale i popoli barbari dovevano essere soggiogati. La massima autorità spirituale e temporale dell’epoca aveva dunque espresso con chiarezza il nuovo tipo di rapporto che l’uomo occidentale aveva instaurato con le culture altre.
4 Il termine subalterno fa riferimento all’uso che ne fa Gramsci nei suoi “Quaderni del carcere”: i subalterni sono la classe emergente della più ampia massa del popolo, opposta e sottomessa alla classe dei dominanti e delle elite al potere.
5 Spivak racconta, in un’intervista dell’84 a Elisabeth Grosz, di come il sistema educativo britannico in India insegnava che sarebbero diventati “veramente umani” solo se si fossero avvicinati a quell’essere umano universale che coincideva con l’uomo-maschio-bianco-occidentale.
Serena Messina, Femminismo e Postcolonialismo: il dibattito sullo sviluppo internazionale: uno studio di caso in Eritrea, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2006