L’Ombelico di Venere seduce la Pigna

Non sono molte le presenze vegetali indigene nella “Scarpetta” o “Pigna” [centro storico di Sanremo (IM)] che dir si voglia, ma assieme all’onnipresente Gambarossa si incontra una specie dedicata alla più splendida delle Dee olimpiche: si chiama Cotyledon umbilicus veneris o Umbilicus rupestris, a seconda delle pubblicazioni specifiche sulle quali viene descritto.

La “Pigna” di Sanremo – disegno di Ludovico Carli, 1879, in Il Regesto, Op. cit. infra

Alla già copiosa serie di nomi locali nati per riconoscere questa curiosa rappresentante italiana della famiglia delle Crassulacee è però opportuno sottolineare l’illuminante battesimo Imperiese di “Erba per i calli”.
Infatti, è l’unica voce popolare che ne prefiguri uno specifico sfruttamento terapeutico per la cura di occhi di pernice e duroni limitato, a quanto ci risulta, alle sole vallate di Ceriana, di Imperia e della zona circostante Pietra Ligure.
Solo in Sardegna è documentato un utilizzo delle foglie appena colte ed applicate direttamente per curare le infiammazioni della pelle e rendere più rapida la guarigione delle foruncolosi.
Insistendo sui calli dei Liguri, appare del tutto logico il beneficio che si può ricavare dalla forma e dalla morbidezza delle foglie succose e spesse, ricche di sali minerali e di tannino, sovrapposte alle parti dolenti del piede allo scopo di proteggere dalle irritazioni dovute allo sfregamento meccanico contro l’interno della scarpa.

Un sollievo immediato, accompagnato dalla progressiva e lenta eliminazione delle escrescenze, operata dalle sostanze acidule presenti nei succhi.
Le foglie stesse, d’altronde, sono per gran parte dell’anno facilmente reperibili in tutta la regione, fra le tegole di molte case della città vecchia e nuova e si conservano agevolmente in frigorifero, chiuse in sacchetti di plastica.
Alle analisi si sono riscontrati nella pianta fresca, oltre al 95% di acqua, la presenza di sali minerali, tannino, mucillagini, gomme, trimetilamina, malato di calcio, sale di ammonio, nitrato di potassio, ossido di ferro, cellulosa ed un colorante giallo.
Dell’accennata razionale, ma circoscritta pratica terapeutica, non esiste traccia nei testi di medicina popolare, nei quali sono per lo più indicati impieghi curativi come diuretico o rinfrescante.
Ne fa cenno dettagliato solo Erbe de cà nostra, il documentato prontuario di Bruna Rosa Accame di Pietra Ligure, avvalorando l’ipotesi che sia una pratica empirica di marca unicamente ligure anche se nel negozio on line su Internet, gestito dai Monaci Trappisti di Frattocchie, viene posto in vendita un prodotto medicinale chiamato Unguento sandalino all’Umbillicus rupestris nel quale la nostra Crassulacea è comprimaria assieme ad altri ingredienti.
“La pomata è prodotta secondo le antichissime ed originali ricette del monastero – così recita la pubblicità – con ingredienti naturali (estratto oleoso, Ombelico di venere, Menta, Celidonia, acido salicilico, cera d’api); questa crema può essere utile in caso di calli e duroni. L’Umbilicus rupestris, per le sue proprietà emollienti e risolventi, è un ottimo callifugo. L’olio di oliva, utilizzato come base di questo unguento, grazie alla presenza di acidi grassi, vitamine e minerali, ha il potere di lenire gli arrossamenti della pelle, le irritazioni, di prevenire le screpolature, le desquamazioni oltre che contrastare fenomeni di invecchiamento della pelle, mantenendola elastica”.
Per i primi medici greci, Ippocrate in testa, la nostra pianta, se non era accreditata di specifiche proprietà afrodisiache, era certamente raccomandata per favorire la fecondazione; ma la usavano anche contro l’epilessia incurabile assieme a molte altre erbe.
In epoca romana era già stato operato un ridimensionamento di questi presunti poteri perché, Plinio accenna ad un unico uso come collutorio: “Il Cotiledone è erba di ridotta statura che cresce su uno stelo fragile ed ha una foglia piccola e carnosa, concava come la cavità dell’osso sciatico. Nasce nelle zone di mare e nei terreni umidi e sassosi; la sua radice è rotondeggiante come un’oliva. Il suo succo cura gli occhi”.
Si ha comunque notizia di antiche e stravaganti applicazioni dell’Umbilicus rupestris al quale, in base alla teoria della segnatura, vennero accreditate azioni risanatrici in grado di guarire le malattie degli alveoli dell’anca e di tutte le altre giunture dei corpo umano.
Il succo fresco delle foglie spremute fu anche usato nella cura del Fuoco di Sant’Antonio e per alcuni anni gli Inglesi scommisero sulla sua efficacia contro l’epilessia.
Una curiosa applicazione dell’Umbilicus rupestris in funzione di barometro per testare il grado di umidità dell’aria e di pronosticare una pioggia prossima ventura si otterrebbe pressando fra di loro un paio di foglie. Se dopo essere
state lanciate in aria, le lamine si mantengono attaccate anche al suolo, bisogna premunirsi con un ombrello; in caso contrario il tempo si manterrà asciutto.
In alcune regioni la pianta giovane è sfruttata come ortaggio per insalate di campo o come verdura cotta.
Per chi, nell’era dei telefonini, si interessi ancora del simbolico linguaggio dei fiori, il messaggio che si invia con le sue fronde è quello di timidezza e del sincero bisogno di comunicazione.
Nel periodo che va da febbraio a giugno, questa curiosissima pianta compare fissandosi alle fessure dei muri caratterizzati da umidità più o meno costante e preferibilmente poco esposti ai raggi solari.
Questa strana Crassulacea appare assolutamente inconfondibile per la originalissima forma delle foglie succulente, rotonde o reniformi, sorrette da un lungo picciolo che si inserisce al centro della pagina inferiore, determinandovi una depressione a forma di ombelico.
La sua inusuale morfologia fogliare è comunque responsabile della denominazione scientifica, dei nomi volgari nazionali di “Ombelico di Venere”, “Cappellone”, “Cappecchiolo”, nonché di quasi tutti i battesimi liguri sopra riportati; testimonianza di una grande familiarità con gli utilizzi pratici e con la sua presenza su muri e tetti delle case, anche di quelle cittadine.

Umbilicus rupestris – Dandy. (Sin. Cotyledon umbilicus veneris Auct. Nasce da Febbraio a Giugno sui muri umidi, nei luoghi ombrosi, sino ai 1200m). È una pianta perenne glabra, succulenta e carnosa con fusto tuberoso alla base, eretto o ascendente, cilindrico, alto sino a 50 cm. Le foglie radicali sono carnose, rotonde o reniformi, peltate ed ombelicate con margine inegualmente dentato e lungamente picciolate; le foglie cauline sono cuneate alla base. I fiori, portati in racemo raramente ramificato, allungato, formato da moltissimi fiori, hanno il calice a 5 divisioni diviso sino a metà e la corolla giallastra, rossastra, bianchiccia o verdognola, tubuloso campanulata a lobi ovali. I fiori sono in genere pendenti o più o meno orizzontali.

Alfredo Moreschi in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno I, n° 3 luglio-settembre 2010