Le rivoluzioni del 1848 hanno generato i movimenti che hanno portato alla costituzione degli stati nazionali italiano e romeno, che fu possibile tramite l’unificazione dei territori che li comporranno ulteriormente. In quegli anni vengono elaborati progetti e programmi politici e nazionali, che porteranno all’unità della Romania, nel 1859, e all’unità d’Italia, nel 1861. Il Risorgimento italiano e il movimento rivoluzionario romeno del 1848 (chiamato “pasoptist”) ebbero molti punti in comune. Tra i due movimenti politici ci furono molte interferenze: i due movimenti si sostennero a vicenda attraverso la stampa e lo scambio di corrispondenza e note diplomatiche tra gli uomini di cultura e di stato dei due paesi. A questo proposito, Francesco Guida ha osservato che le cronologie della formazione degli stati nazionali romeno e italiano sono molto simili, quasi identiche, perché gli eventi importanti del processo risorgimentale italiano trovano un corrispondente altrettanto importante negli eventi successi nel territorio romeno che hanno portato alla formazione della Romania Grande. Dai primi movimenti rivoluzionari nel 1820-1821, alle rivoluzione del 1848, all’unificazione dei due stati, tra il 1859 e il 1866, alla loro adesione alla Triplice Alleanza nel 1882-1883, alla posizione di neutralità iniziale adottata al debuto della grande conflagrazione mondiale, seguita poi dall’entrata in guerra contro i vecchi alleati, la storia italiana del diciannovesimo secolo e dell’inizio del ventesimo secolo sembra – ovviamente solo ad un livello superficiale che riguarda piuttosto i grandi eventi – coincidere perfettamente con quella della Romania. <94
Questo è il contesto in cui si stabiliscono anche relazioni diplomatiche tra i due paesi, con la creazione di un’agenzia diplomatica romena alla corte di Torino nel 1860 e la nomina di consoli piemontesi a Bucarest e Iasi.
[…] Dopo essere diventato un regno nel 1881 (in quanto prima era un principato), la Romania, attraverso le sue autorità, la Casa Reale e i suoi governi, ha cercato di mettere in moto un vero e proprio cantiere di lavoro per modernizzarsi e allinearsi il più presto possibile alle grandi monarchie europee. In quegli anni fervidi, si è sempre incoraggiata la creazione di infrastrutture adeguate e di un paesaggio urbano che somigli a quelli dell’Europa moderna. Sono iniziati lavori e costruzioni di opere pubbliche in tutte le aree del paese, alcune costruite da zero: strade, ferrovie, ospedali, edifici pubblici o nuove industrie. Così, la Romania diventò un cantiere che attirò una grande quantità di manodopera sia non qualificata, sia specializzata e professionale.
Già dal 1871 si costruirono le due grandi ferrovie che collegavano la Valacchia al Banato e la Moldavia alla Bucovina, ma dopo la conquista dell’indipendenza e la proclamazione del Regno, i lavori diventarono più intensi: nel 1896 esistevano già più di venti linee e tronchi ferroviari che congiungevano fra loro le principali località. Poi la costruzione del grande ponte sul Danubio, tra Fetesti e Cernavoda, uno dei più grandi del genere di Europa a quel tempo, i lavori della Commissione del Danubio, la costruzione di nuovi locali scolastici ed edifici pubblici, fecero sorgere in tutto il paese dei cantieri, che necessitavano di manodopera. <99
La presenza italiana in Romania nella seconda metà dell’Ottocento si deve indissolubilmente collegare a questa modernizzazione dello Stato romeno, a cui contribuirono in modo significativo gli immigrati italiani: ingegneri o architetti, scalpellini, boscaioli, commercianti, artisti, lavoratori alla costruzione di ferrovie, ponti, strade, ecc. <100
Quindi, i buoni rapporti e le relazioni diplomatiche stabiliti tra i due paesi, destinati a facilitare la cooperazione tra di loro, insieme al processo di modernizzazione senza precedente che attraversava la Romania nell’ultima parte del XIX secolo rappresentano, molto generalmente delineato, il paesaggio in cui si sviluppa l’emigrazione italiana verso la Romania.
Il clima, il territorio, la lingua e i costumi abbastanza simili favorirono, se non l’integrazione, almeno l’inserimento degli italiani nel territorio romeno. La presenza italiana nel territorio romeno all’inizio dell’Ottocento fu strettamente collegata sia al commercio, come già menzionato, specialmente nei porti sul Danubio e del Mar Nero (Galaţi, Brăila e Constanţa), sia ai vari inviti fatti da signori romeni, che chiamavano gli italiani nel paese in qualità di medici, segretari, professori di scherma o di musica, seguendo un uso cominciato qualche secolo prima.
[…] Le prime presenze significative dal punto di vista quantitativo coincisero con l’inizio delle attività di modernizzazione dell’infrastruttura dello Stato romeno. <101
[…] Il bacino che ha fornito la parte più consistente dell’immigrazione italiana in Romania fu, come per il resto d’Europa, il Nordest italiano: le regioni attuali di Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino <103 , territori che si trovarono, fino a un certo punto, sotto l’amministrazione austro-ungarica. Tra il 1890 e il 1895 anche la Puglia si unì a queste regioni, quando tra i 1.300 e i 2.000 italiani provenienti da quella zona parteciparono alla costruzione del ponte di Cernavodă sul Danubio, sotto la direzione di Anghel Saligny. A queste regioni potrebbero essere aggiunte anche il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Liguria, <104 ma le regioni più importanti per l’immigrazione italiana nell’ambito romeno restano, sicuramente, Friuli e Veneto. Tra l’altro, i maestri veneti e friulani hanno avuto un ruolo fondamentale nel processo accelerato di ammodernamento e di costruzione della rete di infrastrutture in diversi paesi dell’Europa orientale nella seconda metà del XIX secolo, e non soltanto in Romania, rappresentando una presenza costante ed efficiente nel settore. Rudolf Dinu afferma che, almeno tra il 1895 e il 1897, il 12-15% degli italiani che partivano dal Veneto alla fine dell’Ottocento era diretto verso la Romania, che aveva bisogno di loro per colmare la carenza di manodopera qualificata e specializzata. <105 Gli immigranti italiani trovavano nella loro “sorella latina dell’Oriente” (come veniva descritta dagli scrittori italiani del Risorgimento) un paese in cui potevano affermarsi dal punto di vista professionale e in cui potevano crescere dal punto di vista sociale ed economico. <106
Nel 1892, l’emigrazione italiana in Romania era fornita quasi interamente da Veneto e Friuli-Venezia Giulia, e specialmente dalle tre province orientali di Udine, Belluno e Treviso. Di 1.750 italiani censiti, più di 1.500 provenivano da queste tre province. Il ministro plenipotenziario italiano a Bucarest, Francesco Curtopassi, scriveva che alcuni comuni (come Mel, Castellavazzo, Ospitale, Vas nella provincia di Belluno, Frisano, Forgaria, Castelnuovo del Friuli, Forni di Sotto, in quella di Udine) davano all’emigrazione “un contingente così considerevole, che è a credersi siano rimasti spopolati”. <107
L’emigrazione dal Trentino, la terza regione che ha dato un numero importante d’immigrati italiani alla Romania, è stata invece causata, nell’Ottocento, soprattutto dallo squilibrio tra la popolazione in costante aumento e le risorse limitate. Nel corso del secolo si è formata una migrazione temporanea da questa zona, che potremmo definire “specializzata”: i venditori di stampe del Tesino, gli arrotini della Rendena, gli spazzacamini del Banale, i segantini e i decoratori della valle del Fersina, i calderai della valle di Sole. Tutti questi costituivano gruppi di artigiani che lavoravano stagionalmente all’estero. Non mancavano però i lavoratori agricoli e i costruttori che prendevano le vie dell’Europa centrale per lavorare alla costruzione delle ferrovie e dei grandi edifici pubblici. <108 Il carattere prevalentemente stagionale o temporaneo dell’emigrazione trentina si mantiene fino agli anni 1870, quando, con il peggioramento della situazione economica, tende a spostarsi verso il continente americano, diventando quindi permanente e coinvolgendo famiglie intere, non solo individui. <109
Ma l’emigrazione continentale non scomparve e alcuni dei trentini migrarono anche verso l’area romena. Molti italiani migrarono, infatti, dal Trentino in Transilvania, una regione che apparteneva anch’essa all’Impero asburgico, e poi all’Impero Austro-Ungarico, dove non erano sottoposti a discriminazioni e dove andavano con contratti già firmati. Fu notevole il loro contributo alla costruzione di ferrovie, strade e monumenti. <110
[…] Valerio de Sanctis dedicava nel 1923 alcune pagine all’emigrazione italiana in Romania nelle Pubblicazioni dell’Istituto per l’Europa Orientale di Roma con lo scopo dichiarato di parlare del lavoro italiano in Romania, delle “forti e tenaci” colonie italiane di lì e per informare sulle prospettive che aveva in quel momento un’emigrazione verso la Romania. De Sanctis precisava che tutte le colonie permanenti di italiani in Romania si formarono tra il 1880 e il 1890 ed erano costituite principalmente da muratori, contadini, minatori, operai meccanici e commercianti. Sulle colonie temporanee ci dice che erano formate da operai, in maggioranza muratori, che venivano in Romania in primavera e tornavano in Italia in autunno. De Sanctis affermava orgoglioso che gli italiani avevano il monopolio sull’industria edilizia in Romania prima della guerra e che tutte le grandi opere pubbliche, tra cui il ponte di Cernavodă sul Danubio, erano il risultato del lavoro italiano. <116
[…] Di seguito, presenteremo alcuni dati generali sulle principali comunità italiane di Romania, con l’eccezione di Galaţi, Iaşi e Cataloi, che interessano direttamente la nostra ricerca e, dunque, verranno trattate nel capitolo dedicato alla zona moldava. La prima di queste è Bucarest, che è stata la più grande colonia italiana di Romania e registrò l’evoluzione numerica più spettacolare durante l’Ottocento, arrivando da 800 italiani nel 1897 a 2.000 italiani residenti alla fine del secolo e, dopo la prima guerra mondiale, a 5.000. Questi erano impegnati in attività lavorative, quali operai, piccoli commercianti, liberi professionisti, insegnanti e istitutori, architetti, ingegneri e imprenditori. I mestieri svolti da gran parte degli italiani residenti nella capitale furono legati al settore edilizio, come menzionano la maggior parte delle fonti coeve. Per quanto riguarda le altre attività lavorative svolte dagli italiani residenti a Bucarest, dalla fine del XIX secolo fino all’inizio del secolo successivo, tanti furono impegnati nel settore del commercio. Nel 1898 al civico 23 di Calea Griviţei era aperto un ristorante chiamato “Bella Italia”. In un rapporto del febbraio 1899 del viceprefetto del distretto di Balta Ialomiţei si parla anche di una caffetteria italiana situata in via Dorobanţi. Nel 1909, in Calea Griviţei, via Sculpturei, si trovava l’osteria dell’italiano Cesaro, luogo di ritrovo degli operai italiani. La maggior parte delle fonti rivelano che molti italiani di Bucarest provenivano dal Friuli, soprattutto da Udine; ma a Bucarest risiedevano anche emiliani, romagnoli, pugliesi, e soprattutto lombardi. Le istituzioni italiane determinanti per lo sviluppo della comunità italiana di Bucarest furono la Scuola italiana “Regina Margherita” – per l’istruzione elementare dei bambini e la diffusione della cultura italiana – la Società italiana, il Circolo italiano (fondato nel 1901) e la Società Dante Alighieri. Nel 1896, la Società Dante Alighieri aveva nella capitale romena un ufficio di rappresentanza e nel 1902 fu fondato il Comitato locale di Bucarest, che ebbe il ruolo di supportare e assistere i connazionali in difficoltà, di organizzare le attività di svago e di mantenere vivi i legami con la madrepatria. <123
[…] siamo abituati a vedere i romeni lasciare la Romania per stabilirsi in Italia temporaneamente o permanentemente e probabilmente molti di noi non sanno che in un certo periodo della storia la situazione era al contrario. C’è stato un tempo in cui gli italiani erano quelli che andavano in Romania. Un tempo che non solo i romeni non conoscono abbastanza, ma che anche gli stessi italiani tendono a dimenticare. Gli italiani hanno emigrato, forse più di ogni altra nazione nell’Ottocento, e, nelle loro peregrinazioni, si stabilirono anche nel territorio romeno.
Pertanto, la ricerca sul tema, mettendo in evidenza le cause, il numero, gli aspetti sociali e culturali di questa migrazione, è ancora più importante e più interessante, poiché l’evoluzione storica e il presente in cui viviamo tende a farci perdere di vista il fatto che una volta il flusso migratorio era orientato inversamente. Il risultato della nostra ricerca è, dunque, molto più significativo nel contesto attuale dei due paesi, quando l’Italia è la destinazione per tanti migranti romeni. Un lavoro che parli di una storia completamente opposta alla situazione dei nostri giorni e, sopratutto, sconosciuta al grande pubblico italiano, è molto importante e, dunque, riteniamo che la sua utilità sia grande. Non solo il pubblico italiano ne può guadagnare, ma specialmente la comunità italiana di Romania avrà nel nostro lavoro un piccolo strumento in più per ricostruire il suo passato e farlo conoscere al mondo.
[NOTE]
99 Bollettino del Ministero degli Affari Esteri, 1896, parte II, p. 124.
100 Dorojan, L’importanza dell’immigrazione italiana nel processo di modernizzazione della Romania (1859-1918), p. 87.
101 Dorojan, L’emigrazione italiana nelle terre romene (1861-1916), p. 43.
103 Francesconi – Tomasella, Emigranti friulani in Romania dal 1860 ad oggi, p. 20.
104 Dorojan, L’importanza dell’immigrazione italiana nel processo di modernizzazione della Romania (1859-1918), p. 87.
105 Dinu, Appunti per la storia dell’emigrazione italiana in Romania, 1879-1914, pp. 427-428; Cfr. Dinu, Studi Italo-Romeni: diplomazia e società: 1879-1914.
106 Scagno – Tomasella – Tucu, Veneti in Romania, p. 5.
107 Emigrazione e colonie, 1893, p. 404.
108 Tonon, Denatalità ed immigrazione in una zona alpina: il Trentino meridionale, p. 163.
109 Ibidem, p. 164.
110 Felicetti – Francescotti, Sulle Ali di una Rondine – storie di Migrazioni, p. 150.
116 De Sanctis, L’emigrazione italiana in Romania, p. 5.
123 Dorojan, La comunità italiana di Bucarest. Alcuni aspetti della sua storia (1850–1918), p. 183.
Olivia Simion, Immigranti italiani nella Moldavia romena tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (1876-1916), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2018
Andiamo in Transilvania
a menar la carioleta
che l’Italia povereta
no’ l’ha bezzi da pagar.
E’ davvero difficile da credere oggi, ma così canticchiava il ricco nord del Triveneto all’inizio del ‘900, quando la madrepatria italiana non aveva abbastanza soldi (“i bezzi”) per pagare gli stipendi e il sogno americano era costituito nientemeno che dalla Transilvania, in Romania!
L’Italia, si sa, è spesso terra dalla memoria corta e la locuzione di Cicerone “historia magistra vitae” non accompagna sempre un popolo nella sua memoria collettiva.
Gli stranieri vengono a “rubare” lavoro, portano delinquenza, “invadono” le città… eppure non molto tempo fa erano gli italiani a subire gli stessi pregiudizi, con sofferenze, in viaggio con il dolore nel cuore e la speranza negli occhi.
Nei primi anni del ventesimo secolo, erano proprio gli italiani ad abbandonare le povere terre del Veneto e del Friuli alla ricerca di migliori condizioni di vita in Romania. Oggi, gli italiani che fanno valutazioni “etniche” dimenticano di frequente che chi ha lasciato la propria vita alle spalle con una carriera lavorativa e una famiglia, scegliendo un futuro da badante o muratore con la laurea in tasca, non lo fa affatto a cuor leggero.
I rumeni e gli italiani hanno un passato comune di emigrazione ed immigrazione e la storia, non molto lontana, ne è testimone.
Nel giro di trent’anni, dal 1871 al 1901, il numero degli emigranti italiani che lasciano il loro paese e vanno in Romania cresce da 870 a 8000 persone(!) Visto il grande flusso migratorio e l’interesse per la Romania, nel 1901, il ministero degli Esteri italiano pubblica un “manuale dell’emigrante italiano in Romania“, contenente tutte le procedure burocratiche da seguire per raggiungere il paese, superando i severi controlli della dogana romena. Passaporto valido, contratto di lavoro e permesso di soggiorno, questi erano i documenti indispensabili per poter entrare in Romania. Era prassi comune espellere gli emigranti alla scadenza del loro permesso di soggiorno.
Situazioni non molto distanti dalle attuali con un solo particolare: i ruoli sono inversi! Non vi sembra un paradosso storico?!
Nel 1892 il delegato italiano Beccaria Incisa scrive a proposito dei lavoratori nostrani in Romania che “gli italiani sono molto contenti degli stipendi che ricevono, molto più alti di quelli che possono avere nel loro paese“, “In un anno la somma totale dei risparmi accumulati dai lavoratori italiani è di circa 4 milioni di lire, in oro” rapporterà qualche anno dopo l’ispettore per l’immigrazione Di Palma.
Gli emigranti lavoravano nell’edilizia, costruivano ferrovie, erano minatori, fornivano in buona parte manodopera qualificata – motivo per cui negli anni ’40 Mussolini li richiamerà in Patria, riducendo drasticamente gli espatri – .
Hanno costruito in Romania infrastrutture, strade, chiese, teatri, ponti, scuole… In più, sono stati i maestri pietrai italiani a costruire, per le grandi famiglie nobili rumene, dei monumenti funerari considerati delle vere e proprie opere d’arte e ad insegnare ai rumeni il mestiere.
Nel 1930 le statistiche mostrano che in Romania vivevano circa 60.000 italiani, una piccola ma consistente comunità, con inevitabili problemi di integrazione sociale.
Il governo rumeno usava spesso la mano pesante contro gli emigranti che creavano problemi “d’ordine pubblico” o che, semplicemente, non avevano documenti in regola. I rimpatri erano all’ordine del giorno. In seguito alle proteste degli operai rumeni contro gli stranieri che, a loro dire, gli “rubavano il lavoro” (vi ricorda qualcosa questa frase?) il governo rumeno vara la legge dei mestieri, che imponeva la precedenza degli operai rumeni nelle assunzioni.
Un documento dell’epoca emesso dal Ministero dell’Interno italiano ci da un’immagine della delicata situazione: “Stante il crescente afflusso dei connazionali in Romania, si dispone che le richieste d’espatrio vengano vagliate con massima severità per quanto riguarda la tenuta morale e politica degli interessati“. Insomma una sorta di Romania si, ma cerchiamo di fare bella figura!
Ma non era solo questo a rendere difficile la vita ai lavoratori italiani. Ricordo che mia nonna mi raccontò di una sua cugina che si era innamorata di un “talien” (come venivano definiti gli italiani), tale Simone Michetti. I genitori si opposero fortemente al matrimonio proprio perché lui era italiano. L’amore fu però più forte dei pregiudizi e i due scapparono al sud, vicino Tulcea (sede di una numerosa comunità italiana), dove si sposarono, comprarono un pezzo di terra e si dedicarono alla viticultura. Mi ricordo che si parlava poco di loro in famiglia, sottovoce, perché la storia di questo matrimonio che “non s’aveva da fare” fu all’epoca un grande scandalo. Ma i problemi non finirono qui. Quando arrivarono i comunisti, alla fine della seconda guerra mondiale, ordinarono il sequestro di tutti i loro beni. Per evitare ripercussioni più gravi, Michetti fu costretto a rinunciare alla cittadinanza italiana e a cambiare, naturalizzandolo, il nome in Simion Micheti (con una singola “t”). Dopo il 1950 Simion ebbe il permesso di tornare in Italia, per brevi periodi, per visitare quello che era rimasto della sua famiglia.
All’inizio degli anni ’50 in Romania vivevano ancora poco più di 10.000 italiani. Il regime comunista aveva vietato l’utilizzo della lingua italiana, chiudendo le scuole, le chiese cattoliche, le biblioteche. Era iniziata la dispersione della comunità italiana. Nel 1951 ebbe luogo un processo farsa a un gruppo di traditori e spie a favore del Vaticano e del centro di spionaggio italiano e, in seguito, molti vescovi e preti cattolici insieme al funzionario italiano Eraldo Pintori, furono condannati a molti anni di prigione. Alcuni morirono, come il prete Clemente Gatti, condannato a 15 anni di detenzione, torturato ed espulso dalla Romania, messo su un treno per Vienna e deceduto poco dopo.
Oggi in Romania vivono circa 3000 discendenti degli emigranti italiani, riconosciuti come minoranza etnica e rappresentati come tali nel Parlamento rumeno. La lista della personalità rumene di origine italiana sarebbe lunga da elencare: attori, scrittori, registi, giornalisti, medici, cantanti… tutte professionalmente molto apprezzate e spesso presenti in prima persona nella difesa della comunità rumena in Italia, continuamente soggetta a pregiudizi e diffamazioni.
E’ il caso di dire che per una volta la memoria storica non è stata invana maestra!
Mirela Baciu, Quando i “Rumeni” erano gli italiani, Blog cu…, 3 febbraio 2022
Sergio Romano risponde a un lettore
Tempo fa mi recai in Romania come turista. A Tulcea mi imbarcai su un naviglio che faceva navigazione sul delta del Danubio. Sentendomi parlare con mia moglie in italiano, si avvicinò un signore che era trasmigrato dal Friuli nel 1925 e si era stabilito in quella zona come agricoltore. Mi raccontò che molti altri della sua zona emigrarono lì. Essendo lei di origini friulane, ne è a conoscenza? Mario Casolaro casomario@ alice.it
Caro Casolaro, Nel treno che mi riportava da Vienna a Milano durante la primavera del 1949 incontrai un folto gruppo di veneti e friulani (alcune decine di persone) che erano stati costretti a lasciare la Romania dove le loro famiglie avevano abitato sin dalla fine dell’ Ottocento. Mi spiegarono che con l’ avvento del regime comunista avevano perduto la terra, le aziende e il lavoro. Uno di essi mi fece vedere una copia di Scanteie (scintilla), quotidiano del partito comunista, e mi lesse alcuni titoli. Più tardi seppi che molti profughi furono accolti per qualche tempo in un campo della provincia di Udine. Ma non mi sembra che la stampa nazionale italiana, in quegli anni, abbia prestato una particolare attenzione a quelle vicende.
Avevamo ancora giornali abbastanza smilzi, assorbiti dalle vicende della politica italiana dopo le elezioni dell’ anno precedente e da quelle della politica internazionale dopo l’ inizio della guerra fredda. Oggi esiste finalmente un libro interamente dedicato ai «Veneti in Romania» in cui «Veneti» significa anche friulani. È stato scritto da Roberto Scagno, Paolo Tomasella, Corina Tucu ed è stato pubblicato nel 2008 dal Centro Interuniversitario di Studi veneti in una collana diretta da Gianpaolo Romanato per l’editore Longo di Ravenna.
Il fenomeno risale agli ultimi decenni dell’ Ottocento ed è strettamente collegato alla nascita dello Stato romeno. Liberata dal dominio ottomano e ricca di importanti risorse naturali (grano, legno, petrolio), la Romania beneficiò sino alla Grande guerra di un promettente boom economico e divenne la «terra promessa» di parecchie migliaia d’ immigrati veneti e friulani. Abbiamo statistiche incomplete e cifre approssimative, ma sappiamo, grazie alle ricerche di Roberto Scagno, che l’ emigrazione stagionale, nel 1894, superò i 5.000 operai e che crebbe nell’ anno seguente, in un solo distretto, sino a 7.000; quasi tutti veneti e soprattutto friulani che trovarono lavoro nella costruzione di tunnel, ponti, canali, edifici pubblici, e in saline, cave di pietra, fabbriche di mattoni.
Molti di quegli emigrati stagionali restarono nel Paese, comprarono pezzi di terra, crearono piccole aziende e divennero italo romeni, perfettamente integrati nella società del Paese che li aveva accolti. Le prime difficoltà cominciarono alla fine della Seconda guerra mondiale quando la Romania fu occupata dall’ Armata rossa. Furono trattati meglio della minoranza tedesca, ma qualcuno decise che era arrivato il momento di rientrare. L’ esodo, tuttavia, cominciò dopo la riforma monetaria del 1947, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione e l’ esproprio delle terre nell’ambito della riforma agraria. Anche in questo caso le cifre sono imprecise. Ma da un rapporto del ministro d’Italia Michele Scammacca, scritto nel maggio 1948, sappiamo che non tutti partirono […]
Sergio Romano
Milo Boz, Veneti e Friulani in Romania. Un’emigrazione dimenticata, dalvenetoalmondo, 8 febbraio 2017