Le posizioni italiane, così chiaramente espresse dal ministro Martino, suscitarono reazioni poco convinte da parte di molti altri delegati

Roma: la Farnesina, sede del Ministero degli Esteri – Fonte: Mapio.net

In effetti l’intero 1956 può essere considerato come un anno di grandi mutamenti all’interno di entrambi i blocchi, destinati a vivere momenti di profonda crisi i cui sviluppi non avrebbero mancato di condizionare i rapporti reciproci e interni tra i due schieramenti negli anni a venire. Non va infatti dimenticato che se l’Occidente dovette affrontare una prima profonda crisi all’interno dell’Alleanza Atlantica, acuita nella seconda metà dell’anno dalla questione di Suez che portò a nuovi rapporti di equilibrio e di forza fra i vari membri, nello stesso periodo il mondo comunista fu investito prima dalle clamorose dichiarazioni di Kruscev durante il XX Congresso del Partito sovietico e successivamente dalla dura repressione in Ungheria, che incise irrimediabilmente anche nei rapporti con tutti i partiti di sinistra dell’Europa occidentale.
L’ampia relazione del ministro britannico Selwyn Lloyd sui colloqui londinesi con i sovietici, chiesta inutilmente dall’ambasciatore Alessandrini già nella riunione dei rappresentanti permanenti del 27 marzo <524, confermò ai ministri occidentali come le posizioni del Cremlino sia sul disarmo che sulla riunificazione tedesca non fossero affatto mutate. I rappresentanti di Mosca, infatti, avevano ribadito ai leader politici inglesi che la questione della Germania avrebbe dovuto essere risolta solo con un’intesa diretta tra la Repubblica di Pankow e quella di Bonn, nella quale le potenze straniere non avrebbero dovuto interferire, potenze che invece avrebbero dovuto accordarsi il più presto possibile sul sistema di sicurezza collettiva europea.
Nella discussione che ne seguì, diversi ministri, primi tra tutti quelli scandinavi e quello belga, concordarono sull’utilità di continuare il dialogo Est – Ovest nonostante la politica “ostruzionistica” del Cremlino in Europa, se non altro per non far regredire la diplomazia sovietica al precedente periodo staliniano.
Martino si dichiarò favorevole a mantenere i contatti con il blocco comunista proprio per impedire un ritorno all’aggressività dei primi anni ’50, ma non mancò di evidenziare con energia le possibili ripercussioni che un ampliamento dei contatti sul campo commerciale e culturale nell’ambito di una politica troppo frettolosamente distensiva si sarebbero potute avere in Paesi, come Francia e Italia, nei quali operavano forti partiti comunisti.
Proseguendo nel suo intervento il ministro italiano non potè non dedicare ampio spazio all’argomento da tutti ritenuto come il più attuale e importante dell’intera sessione: l’estensione dei compiti dell’alleanza e la cooperazione fra i vari membri nei settori non militari, non fosse altro perché nell’ultima sessione del dicembre 1955 i ministri avevano accettato la proposta italiana di avviare lo studio delle misure necessarie per armonizzare maggiormente l’azione politica, economica e sociale della NATO, senza dimenticare come proprio questo tema fosse stato il perno centrale di tutte le conversazioni registratesi negli ultimi mesi tra i dirigenti italiani e i leader alleati (a Bonn, Washington, Ottawa, Parigi..). Commentando la proposta di Pineau sulla formulazione di un sistema che, sotto l’egida dell’ONU, si ponesse l’obiettivo di intensificare e disciplinare gli aiuti ai Paesi “sottosviluppati”, Martino lo giudicò solo come una delle possibilità aperte dalla cooperazione economica dei Paesi alleati, sebbene la questione centrale rimanesse quella di una più ampia armonizzazione dell’intera politica economica atlantica e di conseguenza del trovare uno strumento idoneo per una tale cooperazione simile a quello che era stato messo in atto in passato per il settore militare. “Occorre assolutamente che il Consiglio Atlantico, proprio per dare inizio alla sua nuova azione e per impedire crisi di dissociazioni e di sbandamenti, decida di sottomettere a un esame regolare e a una consultazione approfondita le caratteristiche dell’attuale offensiva economica e non militare sovietica e ciò per meglio formulare la linea di condotta da seguirsi da parte dei Paesi alleati. Allo scopo l’organo supremo dell’alleanza dovrà avere a propria disposizione un gruppo di consiglieri qualificati ad alto livello capaci di suggerire i mezzi e i sistemi maggiormente appropriati per risolvere i problemi che, nella nuova evoluzione degli avvenimenti internazionali, si presenteranno ormai quotidianamente dinanzi alla NATO.”
Le posizioni italiane, così chiaramente espresse dal ministro Martino, suscitarono reazioni poco convinte da parte di molti altri delegati <525, fin quando Selwyn Lloyd, proprio per superare la nascente polemica, propose di creare un Comitato formato da tre ministri destinato a presentare il prima possibile un rapporto “allo scopo di permettere l’adozione di misure atte a migliorare e sviluppare la cooperazione tra i Paesi della NATO nei campi di carattere non militare e per rafforzare l’unità in seno alla Comunità Atlantica” <526.
Sebbene in un primo momento la proposta britannica fosse apparsa come un’alternativa a quella italiana, dopo una serie di utili chiarimenti offerti tanto dalla delegazione di Roma quanto da quella di Londra, con grande soddisfazione da parte italiana le due iniziative finirono per convergere, cosicché venne approvata all’unanimità sia la creazione di un comitato che quella del gruppo dei tre saggi, formato da Martino, Pearson (ministro canadese) e Lange (ministro norvegese) <527.
Come giustamente riconosciuto da Vigezzi, nei primi mesi del 1956 le difficoltà di una situazione internazionale che viveva il delicato passaggio dalla fase distensiva (e le sue pericolose conseguenze) a quella altrettanto rischiosa, anche se per diversi motivi, della “coesistenza pacifica”, contribuirono ad ampliare il panorama delle interpretazioni sulle future evoluzioni politiche, tanto che soprattutto nel campo occidentale ci si trovò “di fronte più che a un indirizzo consistente e coerente, ad almeno due o più tendenze, che risentono profondamente dei cambiamenti, ma che faticano a trovare uno sbocco. Una volta svanite le illusioni di Ginevra, la tendenza più logica per reggere alle importantissime evoluzioni, in fondo, potrebbe essere quella di ritrovare l’unione, la coesione dell’alleanza, con tutti gli adattamenti richiesti dai tempi. [..] e le analisi ricorrenti sugli armamenti convenzionali e nucleari, le nuove discussioni sui compiti della NATO, la nomina del comitato dei “tre saggi”, la faticosa ricerca di regole per una consultazione preventiva fra gli alleati, gli stessi tentativi di allargare l’esame alle questioni extraeuropee, sono tutti segni di un orientamento del genere” <528.
Nel riferire in Consiglio dei Ministri circa i risultati della sessione atlantica Martino non nascose agli altri componenti del governo le difficoltà sorte durante le conversazioni e come la proposta inglese di nominare un comitato di tre saggi per studiare forme più intime di collaborazione politica ed economica si fosse rivelato l’unico compromesso possibile. Infatti se sul piano di una maggiore collaborazione politica tutti i delegati erano apparsi sostanzialmente d’accordo, soprattutto spinti dal timore che certi atteggiamenti di singoli Stati avrebbero potuto indebolire lo schieramento atlantico, sulla pratica applicazione dell’art. 2 erano sorti non pochi contrasti, dettati innanzitutto dalla paura di creare dei duplicati di altri organismi internazionali come l’OECE.
Di fronte alle numerose perplessità emerse e al rischio di vedere gli sforzi della cooperazione militare indebolirsi a favore di altri settori, il ministro della difesa Taviani consigliò che l’Italia proponesse di servirsi proprio dell’OECE come organo ideale per applicare una maggiore collaborazione di tipo economico, enunciando i propri dubbi sulla capacità degli strumenti NATO di far fronte all’estensione dei compiti dell’alleanza.
L’ipotesi non trovò però il sostegno di Martino, il quale, pur condividendo i timori di Taviani, difese la posizione già da tempo assunta da Roma, ossia quella di operare all’interno del Patto Atlantico, dal momento che questo rappresentava l’unico organo in grado di agire sia sul piano economico che politico. L’OECE, infatti, come ricordato proprio dal titolare del Dicastero degli Esteri, avrebbe potuto operare perfettamente a livello economico ma non in ambito politico a causa sia della presenza di Paesi neutrali come Svizzera e Svezia, sia soprattutto perché Stati Uniti e Canada vi erano associati solo come osservatori <529.
[NOTE]
524 Secondo espresse istruzioni del governo di Roma il rappresentante permanente presso il Consiglio Atlantico, l’ambasciatore Alessandrini, durante la riunione del 27 marzo aveva richiamato l’attenzione dei suoi colleghi sulla necessità di un maggiore coordinamento tra gli Stati atlantici nei confronti delle manovre dell’URSS, a cominciare da più frequenti e proficue consultazioni in sede NATO sulle visite progettate o in corso tra i leader occidentali e quelli sovietici. Su questo punto sembravano chiari i riferimenti alle trattative in quel momento in corso tra i dirigenti di Mosca e quelli di Londra ma proprio il rappresentante britannico fu il primo a bocciare una simile proposta, aggiungendo che la sede più idonea per confrontarsi sulle conversazioni con l’URSS sarebbe stata la sessione ministeriale di maggio, ossia a distanza di più di un mese. “L’intervento italiano è perciò caduto nel nulla e rappresenta, secondo il parere di questi ambienti, un’altra prova dello scarso ascendente che il nostro rappresentante gode in seno al Consiglio. [..] In sostanza si va sempre più accentuando la tendenza anglo-francese di escludere le potenze “minori” dell’alleanza dalla effettiva partecipazione alla politica atlantica.” Is. St. F. Gr. sc. 98 fasc. 727 “Coordinamento della Politica estera dei Paesi NATO nei riguardi dell’URSS” 6 aprile 1956
525 Secondo alcune delegazioni, infatti, dare un “contenuto economico” all’Alleanza Atlantica avrebbe potuto creare dei danni ad altri organismi economici internazionali come l’OECE; per altri “un’etichetta” NATO troppo evidente sarebbe stata controproducente al fine di neutralizzare l’influenza sovietica nei Paesi equidistanti dai due blocchi, soprattutto quelli sottosviluppati; altri ancora temevano che spostando l’attenzione verso nuovi ambiti si sarebbe inevitabilmente indebolito il settore militare.
526 Art. n. 4 del Comunicato finale della sessione ministeriale in “Annuario di politica internazionale ISPI 1956” p. 327-328. L’art. 5, a sua volta, proseguiva stabilendo che: “Nell’attesa il Consiglio ha deciso: a) di esaminare periodicamente gli aspetti politici dei problemi economici; b) di sviluppare la cooperazione economica tra i Paesi membri, cercare di eliminare ogni conflitto nelle loro politiche economiche e sviluppare le condizioni atte ad assicurare la stabilità e il benessere; c) di dare istruzioni ai rappresentanti permanenti presso il Consiglio perché esaminino i problemi economici alla luce delle idee suesposte e del piano presentato dal ministro degli esteri francese Pineau, e ciò in collaborazione con un comitato di consiglieri tecnici che lavorerà sotto la loro direzione”.
527 Secondo Magistrati “una tale decisione ha costituito indubbiamente un autentico successo per le tesi italiane” ASMAE A.P. URSS 1956 b. 1344 “Appunto sulla riunione ministeriale del Consiglio Atlantico, Parigi 4-5 maggio 1956” segreto
528 Vigezzi, B. L’Italia e i problemi della politica di potenza dalla crisi della CED alla crisi di Suez in Di Nolfo, E.-Rainero, R.H.-Vigezzi, B. op. cit. p. 22
529 ACS, PCM Verbali del Consiglio Ministri, minute, 6 giugno 1956
Emanuela Limiti, L’Italia e la sicurezza europea nel confronto est ovest (1952-1958), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2005-2006