Le formazioni partigiane Fiamme Verdi sono nate a Brescia

Emblema della Resistenza cattolica, le Fiamme Verdi sono state delle formazioni partigiane nate a Brescia nel 1943; il nome si riferisce alle mostrine verdi degli Alpini, dai cui reparti proveniva la gran parte degli ex-militari che costituirono le primissime compagini. Fu soprattutto nella Lombardia orientale – nelle Valli, in particolare – e a Reggio Emilia che operarono, affondando le radici nel cattolicesimo sociale, nella Chiesa e in tutte le organizzazioni ecclesiastiche del luogo. Da queste parti, le altre formazioni ebbero un peso molto minore; comprese quelle organiche al Partito Comunista.
Sorte grazie all’iniziativa di Gastone Franchetti, tenente degli Alpini, e di Rino Dusatti, le Fiamme Verdi furono fin da subito operative nelle valli bresciane e costituite da tre battaglioni facenti capo al generale Luigi Masini: il “Valcamonica”, il “Valsabbia” e il “Valtrompia”. L’intera organizzazione prese le mosse da una riunione tenuta a casa dell’ing. Mario Piotti il 30 novembre del 1943. Durante questa seduta furono anche nominati i comandanti dei tre battaglioni (rispettivamente, Ferruccio Lorenzini, Giacomo Perlasca, Peppino Pelosi) e steso il regolamento.
Si trattava, più che altro, di un manifesto ideologico volto a evidenziare gli obiettivi profondamente militari delle Fiamme Verdi e a definirne un’azione orientata alla liberazione dagli occupanti nazi-fascisti piuttosto che a perpetuare finalità politiche o partitiche. Queste ultime, anzi, erano marginalizzate e rifiutate per dare risalto al solo e unico motto dell’organizzazione: «Morte al fascismo; libertà all’Italia».
Il proselitismo dei diversi partiti – e ogni dibattito a esso inerente – era fortemente respinto e considerato negativo in quanto suscitatore di divisioni rispetto al compito primario della lotta di liberazione, che richiedeva, piuttosto, coesione e unità di intenti. […]
Redazione, Le Fiamme Verdi, Fiamme Verdi Brescia

Apparentemente fuori da ogni legame geografico con l’alta Valtellina e l’alta val Camonica, la bergamasca Fonteno, sulla sponda occidentale del lago d’Iseo, diventa invece sede di un collegamento radio con le forze alleate fondamentale e non solo per le Fiamme Verdi; la presenza della missione del Soe inglese Anticer non può essere rinchiusa in un recinto preciso. La trasmittente, esisteva e funzionava dal maggio 1944 per opera di Giovanni Carnesecchi, Ugo, ventinovenne arruolato nelle forze inglesi del Soe. È un indispensabile collegamento fra i gruppi delle Fiamme Verdi e dei partigiani operanti fra la Valcamonica, l’Ovest bresciano e le valli limitrofe, sia della provincia bresciana che orobica, con il Comando alleato.
Poi anche in questa zona c’è l’osmosi tra i distaccamenti della val Camonica e i partigiani di GL della brg. Camozzi comprendendo anche gli sconfinamenti della 53a brg. Garibaldi 13 Martiri.
[…]
2 luglio 1944:
Z.O. 2 luglio 1944.
Da Comando Fiamme Verdi brigata Tito Speri.
Temporanealmente est impossibile aderire vostra proposta lancio ufficiale […]
A Capodiponte disarmo presidio 20 repubblicani Alt
Artogne fatto saltare ponte della ferrovia interrotte comunicazioni telefoniche telegrafiche.
Alt.
Artogne prelevato presidio guardia repubblicana portati via in ostaggio 1 maresciallo
et 7 militi Alt
In vari punti tagliate comunicazioni stradali et ferrovoarie alt
Tutta popolazione prende parte attiva difesa nostri gruppi alt
Intenso sabaotaggio produzione centrali elettriche che forniscono Toscana alt
Urgentissimo mandare armi et mezzi sabotaggio campi n 10 malga Fra et n 12 monte
Padrio.
Missioni alleate al Mortirolo, IsrecBs, fondo D. Morelli, b. 28, fasc. 7.
[…]
Il bresciano e la valle Camonica.
La contiguità geografica del gruppo dell’Adamello con l’Ortles non è la sola ragione dell’affinità organizzativa tra i gruppi dell’alta Valtellina e quelli dell’alta val Camonica. Autonomamente dalle reti informative del Regno del Sud e dal Vai, si organizza, dalla fine del novembre 1943, una formazione dalle caratteristiche tipicamente militari, le Fiamme Verdi, che si sviluppa nel bresciano e nelle sue valli e che trova nel gen. Luigi Masini il loro comandante.
La vicinanza geografica con la Valtellina produrrà osmosi continue tra le formazioni dall’una e dall’altra parte, ne fanno fede, tra gli altri, gli arrivi dalla vicina Svizzera organizzati dal colonnello Carlo Croce. Sconfinato in Svizzera dopo gli scontri sul monte san Martino, ha ben organizzato l’uscita degli uomini disposti a combattere in Italia con lui. Il ten. Clemente Larghi si trova internato nel campo di Limpac (Cantone di Berna) e ne era il comandante. Abbandona il campo l’11 luglio, si reca a Zurigo e da lì a Poschiavo, dove incontra altri italiani che sono in procinto di attraversare il confine «alla testata della val Fontana».
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Ideate da Gastone Franchetti (Castelnuovo di Garfagnana, 1920 – Bolzano, 1944, abitante a Riva di Trento) come “blocco di tutte le genti della montagna che avrebbero espresso nella nuova Italia anche la loro nota, sia pure rude, ma di forza”. Il “Regolamento” avvertiva che le Fiamme Verdi continuavano la gloriosa tradizione dei battaglioni alpini italiani che non hanno conosciuto sconfitta. Aderivano al Corpo Volontari della Libertà, dipendevano dal Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.). Il programma era sintetizzato nel motto: «Morte al Fascismo – libertà all’Italia». Le formazioni erano apartitiche. Il comando delle Formazioni fu affidato a Luigi Masini (Fiori) generale degli alpini. Il movimento FF.VV. che si sarebbe sviluppato particolarmente in Lombardia e in Piemonte e nell’Emilia, nasce ufficialmente a Brescia in seguito ad un incontro tenutosi alla metà novembre 1943 in casa dell’ing. M. Piotti in via Aleardi. All’incontro erano presenti tra gli altri il gen. Masini, Enzo Petrini, Laura Bianchini, il colonnello Bettoni, Astolfo Lunardi, Giuseppe Pelosi, Giacomo Perlasca, Romolo Ragnoli, e delegati di Trento, Milano, Sondrio, Lecco e Como. Nel bresciano in un primo momento furono costituiti i battagioni «Valsabbia», «Valtrompia» e «Valcamonica». Il primo fu affidato a Giacomo Perlasca, coadiuvato da Mario Bettinzoli in qualità di Vice comandante, il secondo a Peppino Pelosi, il terzo rimase vacante, fino a quando non fu affidato a Romolo Ragnoli. In città Lunardi e Margheriti avrebbero continuato la loro attività con le squadre d’azione «Tito Speri». Dopo le repressioni, arresti e le fucilazioni del dicembre 1943 e gennaio-febbraio 1944 venne compiuto un faticoso e difficile lavoro di riorganizzazione. Durante la primavera e l’estate del 1944 la riorganizzazione va completandosi e la val Camonica è divisa in settori ove agiscono 15 gruppi così suddivisi: «C (cioè Val Camonica) 1: comandante G. Mazzon (nome di battaglia Silvio) settore Muffetto (dislocazione); C2: Giovanni P. Bettoni (Orlando) settore Muffetto; C3: Luigi Levi Sandri (Libero) settore Bazena; C4: Giuseppe Bonfadini (Pino) settore Bazena; C5:Filippo Piccinelli (Dario) settore Pizzo Badile; C6:Giacomo Mazzoli (Viviano) settore pizzo Badile; C7:Gianni Guaini (Giorgio) settore Pizzo Badile; C8: Giacomo Cappellini settore Concarena; C9: Ermanno Grassi settore Concarena; C10: Martino Poli settore Baitone; C11: Luigi Tosetti (Berti) settore Aprica; C12: Clemente Tognoli (Tino) settore Aprica; C13: Antonio Schivardi (Toni) settore Aprica; C14: Franco Ceriani (Paolo) settore Muffetto Bassinale; C15: Alceo Didu (Pirata – Alceo) settore Aprica Piz Tri. Il comando centrale della Valle (denominato C) era dislocato nella casa canonica di Cividate. Il comandante (pure denominato C) era Romolo Ragnoli (nomi di battaglia: Signorini, Felice, Libero Fiorentini, Vittorio), il vice com. era Lionello Levi Sandri (Cesare Morandi o Sandro ). Inoltre il Commissario politico era il dott. Angelo Cemmi (Camillo), l’ispettore generale era Enzo Petrini (Gianni o Bresciani). Luigi Ercoli provvedeva al collegamento con Brescia e Milano. Alimentate da lanci alleati e dal sostegno delle popolazioni e del clero locale, le Fiamme Verdi compirono numerose azioni di sabotaggio interrompendo strade, abbattendo tralicci di energia elettrica e pali del telefono, disarmando i presidi di militi e procurandosi armi. Resistettero a numerosi rastrellamenti anche contrattaccando e liberando prigionieri, e cercando zone franche. Dopo la metà di agosto 1944 le FF.VV. diventano divisione “Tito Speri”, e i vari gruppi sono riuniti in quattro brigate che prendono il nome dei caduti: “Antonio Schivardi”, “Ferruccio Lorenzini, “Giacomo Perlasca” e “Matteotti”. Le brigate a loro volta erano costituite in gruppi. In città era stata costituita la Brig. “Dieci Giornate” che svolgeva una vasta e complessa attività organizzativa di sostegno e aiuto alle formazioni armate a combattenti, preparare documenti e lascia- passare, raccogliere informazioni, procurare armi, diffondere la stampa clandestina, inviare elementi giovani in montagna, tenere collegamenti, raccogliere aiuti ecc. ecc. Coordinò anche l’attività di alcune zone circostanti di pianura che furono suddivise in settori: la zona del basso Garda (Desenzano), la zona di Gavardo e Bedizzole (Lonato e Calcinato), la zona della bassa centrale (Leno – Manerbio) e la zona di Chiari e del basso Sebino (Iseo – Rovato -Pontoglio). Ai primi di aprile fu costituita una seconda divisione FF.VV. denominata “A. Lunardi” costituita dalle brigate; E. Margheriti (Valtrompia), X Giornate (città e dintorni), Tita Secchi, (Bassa bresciana). La divisione schierò circa 1300 uomini. L’organizzazione dovette ridimensionare i suoi quadri nell’autunno e inverno 1944-1945, ma si rafforzò dal marzo 1945. Alla liberazione l’organico delle FF.VV. era costituito da due divisioni = la Tito Speri e la Astolfo Lunardi. La “Tito Speri” era composta da 5 Brigate: a) la Brig. “Schivardi” costituitasi nel settembre del ’44 e operante nella zona di Corteno, Mortirolo, del Tonale, Edolo, Malonno, ebbe una forza di circa 250 uomini. b) la Brig. “Tosetti” costituitasi nel marzo del ’45 e operante nella stessa zona della Schivardi ebbe anch’essa una forza di 250 uomini. c) la Brig. “Lorenzini” costituitasi nel settembre del ’44 operante nella val Grigna, nella vai d Lorio, a Borno, aveva circa 300 armati. d) la Brig. “Cappellini” formatasi ai primi di aprile del ’45 operava nella media Valle da Breno a Cedegolo con circa 350 armati. e) la Brig. “Lorenzetti” costituitasi anch’essa ai primi di aprile operava nella bassa valle, con circa 200 armati. I combattimenti più importanti furono quelli del Mortirolo (le due famose battaglie del febbraio e dell’aprile). La divisione ebbe circa 160 morti. Smobilitò il 7 giugno 1945. La divisione “A. Lunardi” era composta da quattro brigate: a) la “Perlasca” costituitasi alla fine dell’estate del ’44 era composta da circa 250 uomini ed operava in val Sabbia. b) la “Margheriti” ebbe circa cinquanta armati ed operò nell’alta Val Trompia. c) la “10 Giornate”. d) la “T. Secchi”.
Antonio Fappani, Fiamme Verdi (2), Enciclopedia Bresciana, 1 giugno 2017

Le Brigate Fiamme Verdi furono delle formazioni partigiane a prevalente orientamento cattolico, attive durante la seconda guerra mondiale, nella resistenza italiana.
Nate dagli intellettuali cattolici, si trasformarono in formazioni prevalentemente militari, operarono soprattutto in Lombardia, in Emilia furono direttamente guidate dalla Democrazia Cristiana.
Il loro nome derivava dal 3o Reparto d’Assalto “Fiamme Verdi”, parte del 3o Corpo d’Armata Italiano durante la prima guerra mondiale, operante sul fronte dell’gruppo dell’Adamello.
Si configurarono, nella resistenza italiana, organizzate come gli alpini, dai quali avevano mutuato le mostrine: operavano prevalentemente in montagna a livello locale, con radici popolari, con nessuna ideologia:
« Il volontario, di qualunque fede politica esso sia, rinuncerà ad ogni propaganda che non sia contro tedeschi e fascisti … »
(Regolamento della Brigate Fiamme Verdi)
Iniziarono ad operare nelle valli bresciane, nel novembre 1943, raggiungendo circa le 2.800 unità suddivise in tre battaglioni; fondatore fu il trentino Gastone Franchetti, nome di battaglia “Fieramosca”, tenente degli Alpini partito da Riva del Garda con una piccola brigata di giovani.
Già il 19 novembre per la città di Brescia veniva distribuito il giornale “Brescia Libera”, che diventerà nel marzo successivo Il Ribelle.
Il comando generale delle brigate venne assegnato al generale degli Alpini Luigi Masini.
Il 28 giugno 1944 “Fieramosca” venne catturato per l’ennesima volta per una delazione da parte dell’amico Fiore Lutterotti, e fucilato. Era prigioniero nel carcere di massima sicurezza di Bolzano assieme a Gino Lubich, fratello di Chiara Lubich, che era stato condannato a sei anni di carcere, torturato più volte e più volte minacciato di essere fucilato perché parlasse.
Ma Gino Lubich non si piegò mai; fu deportato in un campo di concentramento dove riuscì a sopravvivere. Nei primi giorni di novembre del 1943 giunse a Brescia, fuggito dal lager di Markt Pongau Teresio Olivelli che, attraverso un amico, prese i primi contatti con gli esponenti del movimento ribellistico. Quindi trasferitosi a Milano si mise a disposizione del Cln che gli affidò l’incarico di mantenere i contatti tra il Comando generale delle Fiamme Verdi e le formazioni dipendenti delle province di Cremona e Brescia.
Dopo la fucilazione di Astolfo Lunardi e di Ermanno Margheriti fondò il giornale clandestino “il Ribelle”.
Furono spesso tacciati come “clericali”, perché dimostrarono che si poteva imbracciare le armi pur non essendo comunisti; tuttavia Giorgio Bocca, nella sua “Storia dell’Italia”, non mancherà di riconoscere che: « … senza l’aiuto del clero tre quarti della pianura padana – Piemonte, Lombardia, Veneto – sarebbe rimasti chiusi e difficilmente accessibili alla ribellione… » (Giorgio Bocca – Storia d’Italia)
Redazione, Brigate Fiamme Verdi, … Bella ciao, Milano!

Lo scoutismo clandestino delle “Aquile Randagie” di Milano e di Monza è sicuramente una delle pagine più ammirevoli della Resistenza nel Nord Italia, in particolare proveniente da quel mondo cattolico così presente nella grande metropoli e nei suoi dintorni. Una delle leggi fascistissime infatti aveva decretato lo scioglimento del movimento Scout, le cui finalità educative erano peraltro in competizione con quelle dei giovani Balilla, ma anche incompatibili con quel progetto formativo. Alcuni giovani però si sottrassero a quell’obbligo di dissoluzione, e nella clandestinità iniziarono una incessante opera di resistenza passiva senz’armi, proseguendo nelle consuete attività dello scoutismo come i campi estivi, e creando dopo l’armistizio quella struttura segreta denominata OSCAR, la cui attività fu quella di riuscire a far espatriare le tante persone perseguitate dal regime, come gli ebrei, i renitenti alla leva, i ricercati politici. OSCAR nella sua incessante azione riuscì a salvare migliaia di uomini e di donne, e financo i persecutori di ieri, come certi esponenti delle SS, che, al termine del conflitto furono aiutati, come Eugen Dollmann. Nelle “A.R.” militò anche quel don Giovanni Barbareschi, all’epoca soltanto diacono, che fu inviato dal cardinale Schuster a piazzale Loreto per benedire i corpi dei partigiani lì crudelmente uccisi ed esibiti ai passanti.
Don Giovanni successivamente subirà pesanti torture da parte delle SS, riuscendo a mantenere il silenzio. Quel don Barbareschi che diventò partigiano aggregandosi alle Brigate Fiamme Verdi della Valcamonica, e ne divenne cappellano, e che insieme ad altri illustri antifascisti dell’epoca di sensibilità cattolica contribuì alla redazione del “Ribelle”, organo di stampa di quelle Brigate Partigiane, il cui motto era “Non vi sono liberatori, ci sono solo uomini che si liberano”.
Giovanni Bianchi e Andrea Rinaldo, La Resistenza dalla foce. Quale nazione per gli italiani postmoderni, Eremo e Metropoli Edizioni, Sesto San Giovanni, aprile 2017