L’ascesa di Michele Sindona

Negli anni Cinquanta Michele Sindona possedeva uno studio di consulenza tributaria a Milano, grazie al quale divenne uno dei commercialisti più ambiti della città. Si lanciò in rischiose operazioni borsistiche che gli si rivelarono favorevoli ed allo stesso tempo utili per le basi della sua futura carriera di banchiere e finanziere e che gli permisero d’acquisire competenza in diversi settori quali l’evasione fiscale, l’esportazione di capitali e paradisi fiscali. Nel 1950 collocò in Liechtenstein la sede della sua prima società, la Fasco AG, che controllò per anni un discreto patrimonio immobiliarista <9.
Grazie alla sua crescente notorietà di fiscalista, nello stesso anno, il suo studio divenne il più importante d’Italia, iniziando ad investire il denaro affidatogli dalla sua clientela.
Nel 1955 avvenne il primo incontro con l’arcivescovo Giovan Battista Montini, durante il quale Sindona offrì la sua consulenza ed aiuto al futuro papa per la costruzione di una casa di riposo per anziani nel milanese, assistendolo nel finanziamento dello stabile edificato successivamente nel 1959. É datato 1952 il primo viaggio negli Stati Uniti, incontro fruttuoso che consolidò i rapporti d’amicizia all’interno di Cosa Nostra, in alcuni settori dei Servizi segreti americani e negli ambienti finanziari.
Al termine di questo confronto Sindona cominciò ad operare anche come incaricato d’affari di società oltreoceano, entrando in rapporto con il padrone della SNIA Viscosa <10, collaboratrice dei servizi segreti alleati nella seconda guerra mondiale <11. Per conto di tale società iniziò ad operare in borsa con l’appoggio di Ernesto Moizzi, azionista della Banca Privata Finanziaria, alla quale risolse la condizione economica disastrosa di una delle sue aziende trovandogli un compratore disposto a versare il triplo del valore di mercato <12.
Grazie alla vendita dell’industria siderurgica di Miozzi, Sindona si guadagnò la fiducia di quest’ultimo divenendo suo socio. Il 28 ottobre 1960 la Fasco AG acquistò dallo IOR <13 il pacchetto di maggioranza della Banca Privata Finanziaria e tramite la mediazione di John McCaffery <14 riuscì a vendere il 24,5% del capitale alla londinese Hambros Bank Ltd di Jocelyn Hambro. In questa maniera Michele Sindona entrò a pieno titolo nell’alta finanza internazionale collusa con i diversi Servizi segreti, allacciando rapporti con il capo della Cia John McCone ed il caposezione Cia in Italia William Harvy. Il banchiere italiano diventò socio di un importante istituto di credito, la Continental Illinois National Bank che, proprio come la Hambro, acquistò il 24,5% della Banca Privata. Con il 51% Sindona ne mantenne il controllo. Il suo nascente impero continuò a crescere nei diversi settori: società commerciali, complessi immobiliari, industrie, nuove banche <15. Nacquero nuovi rapporti societari con la General Foods Corporation, con la Bank of America, con la Nestlè, con la Banque de Paris et des Pays-Bas e la Bruxelles Lambert. Nel 1964, la Fasco Ag ebbe un patrimonio stimato 50 milioni di dollari. Mentre in Italia Sindona cominciò a destare ostilità nei settori della finanza, negli Stati Uniti invece è sugli altari. Il settimanale «Time» gli dedicò un lungo articolo nel settembre del 1964, due settimane dopo il «Business Week» lo presentò come superdinamico operatore del mondo degli affari ed il più geniale finanziere italiano del Dopoguerra, la rivista «Fortune» lo definì uno dei più geniali uomini d’affari del mondo.
Il capo della International Criminal Police Organization di Washington Fred J. Douglas, nel novembre del 1967, informò la Criminalpol di Roma del coinvolgimento di Daniel Porco e Michele Sindona in un traffico di stupefacenti tra Usa, Italia ed Ovest europeo. Il questore di Milano Giuseppe Parlato confermò il rapporto d’affari tra i due uomini escludendo il loro possibile coinvolgimento nel possibile traffico di droga <16. Sindona continuò a svolgere i suoi traffici finanziari, articolati in società collegate tra loro con la tecnica delle scatole cinesi e domiciliate in paradisi fiscali in Liechestein, a Panama, nelle Antille, in Lussemburgo, alle Bahamas, ad Hong Kong ed in Svizzera. I giri di denaro manovrati dal banchiere compresero anche il riciclaggio di capitali sporchi <17.
Il 14 luglio 1969, nel Frusinate venne costruita la fabbrica «Patty», destinata alla produzione di valigie da viaggio. Alla cerimonia inaugurale del complesso partecipò l’onorevole Giulio Andreotti, il quale nel suo discorso non mancò d’elogiare il coinvolgimento finanziario del gruppo Sindona.
“Leggiamo con interesse le notizie degli acquisti e vendite di partecipazioni finanziarie effettuate per il tramite del gruppo Sindona. Ma è ancora con più grande interesse, e soprattutto con più diretta soddisfazione, che assistiamo oggi alla realizzazione di una nuova impresa industriale da parte dello stesso gruppo” <18.
La partecipazione d’Andreotti all’apertura di una normalissima fabbrica può essere considerata come il primo indizio del legame tra Michele Sindona e la Democrazia cristiana. Non furono le sue uniche amicizie politiche. Alla fine degli anni Sessanta Sindona divenne il più potente banchiere italiano per i suoi legami con il Vaticano, con la Democrazia cristiana, con Giulio Andreotti, con il presidente Nixon e con il segretario al tesoro David Kennedy <19. Vantava contatti nella Cia, nei servizi segreti atlantici, nella Massoneria internazionale ed all’interno di Cosa Nostra. In seguito all’abolizione delle esenzioni fiscali di cui beneficiavano in Italia le società vaticane, nel 1968 Paolo VI decise di monetizzare gli investimenti italiani della Chiesa e di reinvestire capitali all’estero <20. Il banchiere divenne socio e consigliere del Papa <21 e del nuovo presidente dell’Ufficio amministrativo dello Ior, Paul Marcinkus, rilevando al 50 per cento con gli Hambro una parte cospicua dei beni vaticani: la Società Generale Immobiliare, la società Condotte d’Acqua e le Ceramiche Pozzi. I beni immobili e mobili del Vaticano vennero stimati in 5 miliardi di dollari, di cui 3 amministrati dallo Ior. Il monsignor Marcinkus divenne il padrino di Sindona e lo Ior azionista delle banche sindoniane, le quali conservarono i patrimoni della Chiesa acquisendo partecipazioni in numerose società domiciliate in paradisi fiscali. Sfruttando l’extraterritorialità dello Stato vaticano crearono canali per l’esportazione di capitali dall’Italia all’estero attraverso Città del Vaticano.
“Lo Ior apriva un conto corrente con l’istituto di credito italiano che voleva esportare lire in nero. Il cliente della banca italiana depositava i soldi liquidi sul conto e lo Ior provvedeva ad accreditarglieli all’estero, nella valuta e presso la banca che gli erano state indicate. Nell’eseguire l’operazione lo Ior distraeva una commissione poco più alta della normale. La Banca d’Italia ed altre autorità non hanno mai interferito. Sono al corrente di queste cose perché lo Ior agiva in questa veste per conto di miei clienti della Banca Privata e della Banca Unione. Il vescovo Marcinkus, una volta arrivato a capire tutta la faccenda, si convinse che il sistema usato dallo Ior per esportare fondi fosse una specie di delitto perfetto” <22.
Da un appunto del Sid datato 1971 e classificato riservatissimo, emerse che Sindona oltre alla proprietà di tre banche <23 era presidente del comitato esecutivo della Centrale finanziaria Spa, della società editrice «Rome Daily American <24» e d’altre otto società per azioni. Inoltre rivestiva cariche di amministratore unico, vicepresidente, socio accomandatario o consigliere in numerose società.
In gruppo con Roberto Calvi, nuovo direttore generale del Banco Ambrosiano e lo Ior nel 1971 Sindona fondò, nel paradiso fiscale delle Bahamas, la Cisalpine Overseas Bank. Nell’aprile del 1972 gli ispettori della Banca d’Italia scrissero un rapporto relativo ad un’ispezione alla Banca Privata Finanziaria ed alla Banca Unione.
“Nettamente sfavorevole il giudizio complessivo. Irregolare, alterato o omessa registrazione di fatti di gestione; tenuta di una seconda contabilità economica riservata; riserva obbligatoria inferiore al dovuto; consegna di libretti al portatore senza ritiro di ricevuta; acquisto di proprie azioni. La gravità e la quantità delle irregolarità riscontrate è tale che gli ispettori hanno concluso il loro rapporto proponendo per la Banca Privata Finanziaria il commissariamento, la liquidazione coatta e lo scioglimento degli organi amministrativi e per la Banca Unione il commissariamento” <25.
Nonostante il rapporto degli ispettori della Banca d’Italia, nel luglio del 1972, il finanziere acquistò il pacchetto di controllo della Franklin National Bank, gruppo al ventesimo posto nella graduatoria delle banche americane. In Italia la relazione non portò a nessuna inchiesta dell’autorità giudiziaria, consentendo a Michele Sindona di proseguire con le sue attività finanziarie. La protezione politica del governo di centrodestra, presieduto da Giulio Andreotti, indusse il governatore Guido Carli a non intervenire, ritardando l’esposto <26. Poiché la legge italiana gli negava la possibilità d’utilizzare i depositi delle banche per finanziare le società del suo gruppo, decise d’aprire depositi fiduciari in banche estere le quali versarono il denaro alle società sindoniane in attività all’estero. Il denaro che venne depositato venne fatto affluire verso banche in accordo, nell’apparente rispetto delle normative del periodo. Allo stesso tempo tali banche venivano impegnate a versare, a nome proprio ma a rischio del depositante, il denaro depositato alle società estere di Sindona. Operazioni di autofinanziamento che infrangevano ogni regola bancaria. Questi depositi vennero utilizzati da Sindona per azioni di speculazione e per finanziamenti politici <27.
[NOTE]
9 GIANNI SIMONI – GIULIANO TURONE, Il caffè di Sindona. Un finanziere d’avventura tra politica, Vaticano e Mafia, Garzanti, Milano 2009, p. 34.
10 Fondata a Torino nel 1917 con il nome di Società di Navigazione Italo Americana (SNIA), la sua funzione iniziale fu quella di controllare i trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti.
11 MAURIZIO DE LUCA, Sindona. Gli atti d’accusa dei giudici di Milano, Editori Riuniti, Roma 1986, p. XIII.
12 Tale Daniel Porco, uomo d’affari americano che rappresentava una società controllata da una grande multinazionale produttrice di armi. SIMONI – TURONE, Il caffè di Sindona, p. 35.
13 Istituto per le Opere di Religione.
14 John McCaffery fu il rappresentante per l’Italia della Hambros Bank Ldt.
15 Banca di Messina, Finbank a Ginevra, la Banca Unione di Milano, SERGIO FLAMIGNI, Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2, Kaos, Milano 2005, p. 135.
16 Ivi, p. 136.
17 Ibidem.
18 Ivi, p. 140.
19 David Kennedy, anche ambasciatore presso alla Nato a Bruxelles, divenne consulente di Sindona nella Fasco, Ibidem.
20 PAOLO PANERAI – MAURIZIO DE LUCA, Il crack, Sindona, la Dc, il Vaticano e gli altri amici, Mondadori, Milano 1975, p. 72.
21 Paolo VI avrebbe salutato Michele Sindona con queste parole: «Si dice, avvocato Sindona, che lei ci sia stato inviato da Dio. Si dice, avvocato Sindona, che lei è l’uomo di Dio», NICK TOSCHES, Il mistero Sindona, SugarCo, Milano 1986, p. 141.
22 Michele Sindona cit. in Ivi, p. 154.
23 Banca Unione, Banca di Messina e Banca Privata Finanziaria, DI GIOVACCHINO, Scoop mortale, p.
140.
24 Quotidiano acquistato da Michele Sindona nel 1972, finanziato e sovvenzionato dalla Cia allo scopo d’influire sull’opinione pubblica e per la copertura dei propri agenti in territorio italiano, ANGELO VENTURA, Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma 2010, p. 148.
25 SERGIO FLAMIGNI, Storia della loggia massonica segreta P2, Kaos, Milano 1996, p. 144.
26 Ivi, p. 142.
27 Finanziamenti alla Democrazia cristiana, alla giunta militare dei Colonnelli in Grecia nel 1970-71 e fondi per la rielezione di Richard Nixon alla presidenza degli Stati Uniti D’America, Ivi, p. 144.
Giacomo Fiorini, Penne di piombo: il giornalismo d’assalto di Carmine Pecorelli, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2012/2013