L’argot risulta dunque essere un linguaggio aperto, in movimento e pronto ad accogliere sempre nuove suggestioni

Secondo la definizione di Guiraud, l’argot è “la langue spéciale de la pègre, c’est-à-dire l’ensemble des mots propres aux truands, et des malfaiteurs, créés par eux et employés par eux à l’exclusion des autres groupes sociaux qui les ignorent ou ne les utilisent pas en dehors de circonstances traditionnelles” <255.
Alcuni requisiti contraddistinguono questo particolare socioletto dalle altre varianti di matrice popolare. In primo luogo, un vocabolario tecnico che designi concetti, attività, categorie e strumenti appartenenti al mondo della pègre, e che ne rifletta la peculiare forma mentis.
Si tratta di un vocabolario “esoterico”, che deve restare segreto per ragioni innanzitutto operative. Molti di questi termini, mutuati da altri socioletti, ma anche da alcuni dialetti, quali il provenzale, vengono risemantizzati e riconnotati a scopo distintivo e settario; ciascuno si caratterizza, pertanto, quale “signum différenciateur par lequel l’argotier reconnaît et affirme son identité et son originalité” <256. La difesa del gruppo e l’identificazione costituisce la ragione stessa dell’argot, così come la premeditazione ne costituisce il segno distintivo; come bene osserva Guiraud, “dès qu’un groupe vit en société close, dès qu’il prend conscience de sa différence et de sa superiorité, un argot se forme” <257.
Come ogni lingua organica, esso è caratterizzato da una marcata tendenza neologica a scopo funzionale; dunque, da una “hypertrophie des formations expressives” <258. Guiraud rivisita, a proposito dell’argot, la definizione che ne dette Alfredo Niceforo:
“Un langage special qui reste intentionnellement secret, ou qui forge toutes les fois que la nécessité le réclame, des mots et des phrases intentionnellement maintenus dans l’ombre, car son but consiste essentiellement dans la défense du groupe argotier…L’intention de demeurer secret afin de protéger le groupe argotier, ou l’intention de naitre dans l’ombre – la prémeditation – forme sa marque d’identité” <259.
Così, difesa e proliferazione neologica vanno di pari passo: “Plus le groupe a besoin de lutter et de se cacher, plus l’argot devient complexe, étendu et organisé, et d’un simple recueil de paroles qu’il était, il devient une véritable langue enrichie du plus complet des dictionnaires” <260.
A partire dalla fine del XIX secolo, la ricchezza lessicale dell’argot inizia ad essere sistematicamente catalogata e studiata da un punto di vista scientifico, ma è con Lazar Sainéan, all’inizio del XX, che l’argot conquista la propria autonomia e la propria identità linguistica.
Per Sainéan, l’argot antico è una lingua segreta, parassita e artificiale in via d’estinzione. La maggior parte dei suoi successori riprendono questa tesi; negano, tuttavia, il carattere artificiale dell’argot antico. Secondo Guiraud, esso non è artificiale nella sua modalità di creazione lessicale, quanto piuttosto nel suo utilizzo <261. Molti termini o sintagmi, come accaduto più di recente in ambito militare con lo sviluppo dello spionaggio, altro non erano che messaggi criptati, coniati sotto stretto controllo di un’autorità specializzata e insegnati ai nuovi adepti nell’ambito di un generale addestramento operativo.
Si può, tuttavia, parlare di un’artificialità di riflesso per l’argot antico. Come ogni altro fenomeno sociale, ogni fenomeno linguistico, allorché è caduto in disuso per mutate circostanze storiche, non può che essere tenuto in vita attraverso l’archiviazione, la folklorizzazione, o l’osservazione scientifica.
Tra gli argot più vicini a noi, uno dei più vivi è quello che si lega al contesto della guerra del 1914-1918; esso si sviluppa, per riprendere i termini di Guiraud, “de l’esprit poilu, de la solidarité et de la fierté du combattant, de son mépris du civil et de l’embusqué” <262; invece, il soldato del 1940 che non ha avuto in generale il sentimento della sua missione né l’orgoglio della sua condizione, non ha avuto praticamente gerghi.
Questo rinnovamento dell’argot è di carattere più stilistico che semantico; implica più elementi idiosincratici che strettamente neologici.
Fino al XIX secolo, il mondo del crimine ha costituito una società chiusa. Successivamente la pègre, rompendo il suo isolamento sociale, perde il beneficio dell’isolamento linguistico. Questo è dovuto a diversi fattori: la scomparsa di grandi gruppi, la demolizione di vecchi quartieri, la soppressione di carceri metropolitane, l’organizzazione della polizia provinciale, lo sviluppo delle telecomunicazioni. Il gergo della malavita è condannato a volgarizzarsi rapidamente, con conseguente ibridazione e banalizzazione semantica. Di qui l’attenzione di cui esso è fatto oggetto in ambito scientifico; ma anche la sua rivitalizzazione creativa attraverso la scrittura romanzesca.
Superate le barriere tra i linguaggi che connotano le diverse classi sociali, si rende disponibile alla letteratura un immenso potenziale espressivo che corrisponde anche alla liberazione di un inconscio collettivo a lungo censurato. Tale espressività, infatti, come è noto, è tanto più sensibile negli strati incolti della società, meno segnati dall’impronta dell’educazione e dalla codificazione dei comportamenti sociali.
Come nota Guiraud,
“Il y a dans tous les parlers populaires une hypertrophie de l’affectivité. Ceci par l’absence d’une éducation qui inhibe, ailleurs, l’étalage de nos sentiments et de nos émotions; faute, d’autre part, d’une instruction qui nous impose les contraintes d’un langage appris et dont les règles se sont définies par des emplois purement cognitifs et logiques” <263.
Dal punto di vista linguistico questa libertà espressiva, più aderente all’esperienza quotidiana, si caratterizza per la concretizzazione dell’astratto, per il discredito dei principi di elevazione sociale (intellettuali, morali) e per una certa dose di ironia.
La formazione dell’argot
L’argot è essenzialmente una lingua parassita; crea, come ricorda Guiraud, relativamente pochi termini ex novo; piuttosto, “il modifie superficiellement l’aspect de mots existants”, oppure, “remet périodiquement à la mode des mots anciens tombés en désuetude” <264.
Sul piano morfologico, l’argotier conia neologismi per composizione o derivazione di termini in uso nella lingua familiare; sul piano semantico, risemantizza e ricontestualizza termini allotri, siano essi di estrazione popolare, o appartenenti alle diverse lingue settoriali.
Tuttavia, ben difficile è circoscrivere la matrice di questi imprestiti se provenienti dalla lingua familiare, in quanto fluido è il concetto stesso di “lingua del popolo”: “populaire, vulgaire, commune, d’usage, parlé, etc., autant de nuances sensibles, certes, à une oreille exercée mais qui éludent toute définition un peu précise dès que le linguiste veut leur appliquer ses critères <265” precisa, opportunamente, Guiraud. E ribadisce:
“Il n’y a pas de terme définissant, parce qu’il n’y a pas de réalité à définir… La difficulté est d’abord, comme le révèle l’incertitude de la terminologie, de circonscrire le champ d’étude. La notion de langue populaire est aussi complexe que la notion même du peuple” <266.
L’argot risulta dunque essere un linguaggio aperto, in movimento e pronto ad accogliere sempre nuove suggestioni. È un linguaggio, al tempo stesso “libre, imagé” e “expressif”. Frequenti sono le formazioni lessicali su base onomatopeica.
L’argot non fa eccezione alla cosiddetta “legge del minimo sforzo”, quale è stata formulata da André Martinet. Sul piano morfologico, esso privilegia infatti, tendenzialmente, la sintesi, l’agglutinazione, la crasi. Di contro al principio analitico, che ha bandito nel Seicento la suffissazione sintetica, riabilita il valore connotativo-affettivo dei suffissi: dai peggiorativi “-aud”, “-ard”, ai diminutivi “-ette”, “-ot”, “-on”; ai collettivi: “-asse”, “-ousse”, “-ouille”, “-aille”, etc. anch’essi aventi valore dispregiativo.
Ad una analoga necessità si ascrivono il caso del troncamento lessicale o dell’apocope (“pauv” per “pauvre”) e, sul piano intrafrasale, l’aposiopesi e la prosiopesi che rispondono, in generale, alla necessità della condensazione espressiva.
La stessa tendenza alla sintesi si riscontra, sul piano semantico, nella frequenza di omissioni (ellissi) e condensazioni (metafora). Alla centralità che riveste, nell’argot, l’azione a discapito del pensiero argomentativo si deve il valore assuntovi da alcune categorie grammaticali, quali il verbo (particolarmente interessato dalla neologia), a discapito dell’aggettivazione e della predicazione (che tende invece alla tautologia, come attesta la ricorrenza di aggettivi assiologici o di epiteti di natura) <267. Una figura ricorrente è la serie sinonimica, o correzione in presenza, che rientra nell’ambito retorico della expolitio o riformulazione. Può trattarsi di una correzione vera e propria, o di produrre una gradazione di maggiore o minore intensità espressiva (climax).
In ambito sintattico si ricorda invece il già menzionato fenomeno della decumulazione attraverso la frase disgiunta e la paratassi.
Molteplici anche i casi di alterazione morfologica per metaplasmo, per ricostruzione paretimologica o analogica, per metatesi (la quale dà luogo frequentemente al calembour), per assimilazione o dissimilazione di suoni omorganici; per agglutinazione o disagglutinazione. E, ancora, fenomeni di aggiunzione, come l’epentesi (gaffre>gaffe) o, viceversa, di elisione, come la sincope.
Senza dubbio il morfema, inteso come unità fonolessicale, è il tassello a partire dal quale ha luogo la proliferazione neologica dell’argot; esso, infatti, ha al contempo, valore costruttivo e valore fonico.
Altro fenomeno di prim’ordine è la ricostruzione su base paretimologica; sulla radice si impiantano e germinano nuovi morfemi, dando luogo a derivazioni multiple, spesso coesistenti.
Così, chiarisce Guiraud, “est-il vain de défendre une étymologie contre les autres; c’est par les autres, le plus souvent, qu’elle se justifie” <268.
Passando in rapida successione gli scrittori francesi che hanno sfruttato le potenzialità dell’argot in letteratura, Guiraud non può che soffermarsi su Céline in cui riconosce, più che un uso sistematico dell’argot, un diffuso fenomeno di “argotisation”:
“En ce qui concerne la stylisation de l’argot; un des plus remarquables me paraît celui de Céline. Ici, la langue devient entièrement personnelle; moins que ses mots, ce sont ses moyens et son esprit que l’auteur emprunte à l’argot; il en tire une langue âpre, corrosive, virulente, qui fait de Bardamu le héros noir de l’anarchie, submergeant une société absurde et un ordre injuste dans les âcres vomissements de sa révolte. Mais il s’agit ici moins d’argot que d’une langue plus ou moins argotisée […]” <269.
Come Céline ebbe a scrivere negli Entretiens,“l’émotion ne se retrouve, et avec énormément de peine, que dans le parlé…” <270. Dell’oralità, l’argot costituisce il nucleo più vitale e connotante. Ed esso, per definizione, non è mai neutro, in quanto portatore di affettività. Secondo le parole di Godard “Faire passer l’émotion dans le langage écrit revient […] à y faire passer le langage parlé ou argotique qui est la seule expression linguistique possible. La grande gloire, mille fois proclamée, de Céline, est d’avoir réussi ce tour de force” <271.
[NOTE]
255 P. Guiraud, L’argot, Paris, PUF, 1969, p.7.
256 Ivi, p.9.
257 Ivi, p.10.
258 Ivi, p.40 e segg.
259 A. Niceforo, Le génie de l’argot: essai sur le langage spéciaux, les argots et les parlers magiques, Paris, Mercure de France, 1912, p.10 e segg.
260 Ibid.
261 P. Guiraud, cit., p.29.
262 Ivi, p. 97.
263 Ivi, p.41.
264 Ivi, pp. 99-100.
265 Ivi, p.77.
266 Ibid.
267 Per alcuni di questi aspetti rinviamo a P. Guiraud, cit., pp. 106-107.
268 Ibid.
269 Ivi, pp.113-114.
270 Cfr L.-F. Céline, Entretiens avec le Professeur Y, cit.
271 Cfr. H. Godard, “Un art poétique”, in Revue des Lettres Modernes, L.-F. Céline 1(1974), pp.7-40.
Valeria Ferretti, La traduzione di un’oralità popolare mitica: Louis-Ferdinand Céline in italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, Université Paris IV – Sorbonne, Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn, 2015