L’amministrazione pubblica che spesso la propaganda fascista ostentava come fedelissima del partito, in realtà non era assolutamente così fascista

Tra il 1944 e il 1945, vennero avviate delle trattative segrete tra i Fascisti e gli Antifascisti, per un eventuale passaggio di poteri, passaggio che Mussolini non volle mai attuare, almeno fino al marzo del 1945, quando da parte sua ci fu un tiepido tentativo di riprendere le trattative con Socialisti e Repubblicani, nell’ottica di un passaggio di potere pacifico <339.
I fascisti italiani non furono gli unici ad avviare colloqui per stabilire l’immediato futuro bellico: anche i tedeschi, sconfessando il principio dell’Alleanza con la Repubblica di Salò, tramite i loro emissari militari, vollero cercare di “salvare il salvabile”, avviando trattative con il CLNAI nel tentativo di salvare il personale germanico presente sul territorio <340. Per i Nazi-fascisti fu sempre più complesso muoversi nella penisola, tra i bombardamenti alleati e soprattutto per colpa delle innumerevoli truppe partigiane che sorvegliavano il territorio.
In questa situazione Mussolini attese la fine, impossibilitato a reagire, nella villa di Gargnano; tuttavia, fino alla fine egli incitò i suoi fedelissimi a continuare la lotta e a reprimere i partigiani <341. Mussolini, pensò alla fuga in Valtellina, un luogo ritenuto ideale ove portare tutte le restanti forze di Salò, e da li continuare la lotta con formazioni di stampo banditesco, al fine di mettere i bastoni tra le ruote agli alleati. Il segretario del Partito Pavolini, visitò la Valtellina per verificare se l’idea di Mussolini fosse realizzabile: il suo rapporto sulla regione fu estremamente negativo, essa pullulava di spie e di partigiani. Dunque Mussolini accantonò definitivamente la battaglia, aspettando in modo passivo la fine. Il Piemonte e la Valtellina erano delle regioni assolutamente insicure, soprattutto sul finire della guerra. In Piemonte in particolare vi era una grande aggregazione di forze partigiane che potevano compromettere l’esistenza dello stesso Mussolini <342.
Le relazioni italo-tedesche tra febbraio e aprile si deteriorarono moltissimo: Hitler ripensò, chiuso nel bunker di Berlino, all’amicizia con Mussolini nonché all’alleanza militare con l’Italia <343. Per Hitler questa non aveva avuto i successi sperati, ed era stata deleteria per la Germania. Anche in quest’ottica può essere visto il tentativo finale da parte del Reich di vassallizzare la Repubblica Sociale, che sul finire del conflitto non aveva più alcun potere o alcuna autonomia. Eppure tra i sostenitori irriducibili della Repubblica Sociale c’era sempre speranza anche nei giorni più bui: essi continuavano a dire che “l’ora x sarebbe presto arrivata” e che l’Asse alla fine avrebbe vinto <344.
Tali idee erano avvalorate anche alle presunte “armi segrete” che Mussolini e i tedeschi avrebbero avuto a loro disposizione, ciò che ovviamente i fascisti non potevano né sapere né aspettarsi, era che gli alleati invece avevano già sviluppato l’arma definitiva che avrebbe cambiato per sempre le logiche della guerra. Molti amministratori pensavano che la guerra sarebbe finita nel peggiore dei modi. Il senso di sfiducia delle autorità s’aggravava con il senso d’odio della popolazione civile nei confronti di chi fosse stato in qualche modo connesso al regime. I più odiati dalla popolazione erano tutti quegli aguzzini del fascismo, spesso combattenti in formazioni militari irregolari come la famigerata Banda Koch, le quali erano state responsabili degli eccidi più gravi e sanguinosi <345. Questi cercavano il più possibile di nascondersi tra la popolazione civile; la pratica del nascondersi non fu comune solo ai seviziatori ma anche ai normali amministratori e responsabili del regime. Era molto comune vedere ex fascisti irriducibili, improvvisarsi liberatori partigiani sul finire della guerra, non tanto per credo ideologico, quanto più per motivazioni legate alla propria sopravvivenza <346.
L’amministrazione pubblica che spesso la propaganda fascista ostentava come fedelissima del partito, in realtà non era assolutamente così fascista: molti amministratori di regime, nonché funzionari pubblici che operarono per Salò, offrirono le loro credenziali al servizio del governo militare alleato e in seguito, al governo democratico. Con i primi sfondamenti oltre Po insorsero negli italiani i primi sentimenti insurrezionali. Le insurrezioni che vennero ostacolate dai comandi militari italiani nelle prime fasi della guerra civile erano, nell’aprile del 1945, assolutamente realizzabili. Spesso queste insurrezioni vennero motivate non solo dalla voglia di libertà ma anche da un tentativo da parte della popolazione civile di difendersi dalle angherie dei tedeschi e fascisti di Salò in ritirata <347.
Ovviamente ciò non avvenne, il fenomeno che più contraddistinse la violenza di stampo insurrezionale fu il linciaggio. I fascisti che venivano riconosciuti dalla gente comune venivano circondati e linciati dal popolo, il cadavere rimaneva sfigurato in modi agghiaccianti. La violenza non fu perpetrata solo nei confronti dei leader di alto rango, ma soprattutto verso i fedelissimi combattenti del fascismo. In questa tesi non si vuole giustificare la violenza insurrezionale, tuttavia, per dovere di cronaca, bisogna inquadrarla nel modo corretto evitando di cadere nella faziosità. Essa fu una violenza spontanea da parte della popolazione, brutale e emotiva, incontrollata, nata da anni di soprusi <348.
Ma cosa s’intende per violenza insurrezionale e post-insurrezionale? S’intendono tutti quegli atti violenti (molto spesso gratuiti) commessi dalla popolazione civile nei confronti dei fascisti o dei tedeschi in ritirata, doveva essere una violenza «rapida ed esemplare» <349. La violenza insurrezionale non fu solamente l’espressione dell’odio di un popolo nei confronti del Regime che aveva portato il Paese allo sfascio, ma anche il fallimento delle politiche di Regime, dopo i successi iniziali, dimostrò tutta la sua inefficacia concettuale con la guerra fascista e successivamente con gli eccidi della guerra civile. Le stragi perpetrate dai criminali di guerra fascisti non fecero altro che alimentare l’odio della popolazione nei confronti delle autorità e dei loro sgherri <350.
L’odio continuò nei momenti successivi alla liberazione, e fu caratterizzato dalle rappresaglie partigiane nei confronti dei carnefici. Soprattutto nel primo periodo dell’insurrezione, tra aprile e maggio, le sentenze contro i soldati e i criminali fascisti furono molto dure. Numerosi fascisti vennero giustiziati dai partigiani ma bisogna ricordare che ciò non fu la norma, infatti, con il passare del tempo, si attenuarono sia le sentenze nei confronti dei fascisti sia il numero di condanne a morte <351.
Le irruzioni delle Brigate Garibaldi nelle prigioni dove erano custoditi i combattenti fascisti finirono con fucilazioni di massa contro i prigionieri, effettuate senza ordini specifici o processo.
I partigiani, se catturavano qualche seviziatore famoso, lo fucilavano per direttissima, senza regolare processo; portavano il morituro nel luogo dove aveva praticato (oppure dove aveva ordinato) la fucilazione di partigiani catturati e qui veniva freddato dai partigiani. Se in qualche modo è comprensibile la violenza efferata contro i boia del fascismo nel tentativo di fargli patire le stesse violenze che subirono i partigiani, intollerabili sono invece le violenze subite dai gregari del fascismo <352.
La violenza insurrezionale o post-insurrezionale è l’ultimo capitolo buio della Storia del nostro paese; un’ennesima ondata di violenza che colpì indiscriminatamente tutti i fascisti lasciando sulla sua strada numerosi morti e segni indelebili nelle persone.
[NOTE]
339 Fioravanzo, La Repubblica del Terzo Reich, p.80
340 Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana, p. 256
341 ibidem
342 Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana, p. 256
343 Fioravanzo, La Repubblica del Terzo Reich, p.65
344 ibidem
345 ibidem
346 ibidem
347 Pavone, Una guerra civile, ed. kindel, p.10323
348 Gabriele Ranzato, Il linciaggio di Carretta (Roma, 1944). Violenza e politica (Milano: il Saggiatore, 1997) p. 70
349 Pavone, Una guerra civile, ed.kindel, p.10323
350 ibidem
351 Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana, p.529 (e seguenti)
352 ibidem
Federico Pierini, Armi, guerra e politica nella guerra civile italiana (1943-45), Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023