La Resistenza garibaldina savonese viveva ora i suoi momenti migliori

Una cascina nei dintorni di Ferrania, frazione di Cairo Montenotte (SV). Fonte: mapio.net

La lunga gestazione delle unità garibaldine della Seconda zona ligure era finalmente giunta a compimento. Il massiccio afflusso di volontari e la forza dei nuovi distaccamenti portarono alla suddivisione della Seconda Brigata Garibaldi in tre diverse unità. La prima in ordine di tempo ad essere istituita fu la Sesta Brigata “Nino Bixio”, nata il 22 settembre [1944] <43. Ne facevano parte i distaccamenti “Sambolino” e “Wuillermin” e l’”Astengo”, appositamente trasferito nella zona di Montenotte per volontà del Comando di Sottozona operativa di Savona; a questi si aggiunse poco tempo dopo il “Giacosa”. Vittorio Solari “Antonio”, coadiuvato (e controllato?) dal commissario politico “Emilio” (Libero Bianchi), ebbe il comando dell’unità, destinata a rafforzare la presenza garibaldina in un’area fino allora battuta prevalentemente dagli uomini di “Bacchetta”, con il compito di migliorarne l’inquadramento e la disciplina <44.
Il 26 settembre la Seconda Brigata si suddivise a sua volta nella Quarta e nella Quinta Brigata. La Quarta Brigata, presto intitolata a Daniele Manin, prese alle proprie dipendenze i distaccamenti “Calcagno”, “Rebagliati”, “Maccari” e “Ines Negri”. Comandante di Brigata fu “Enrico” – “Vigoda” (Hermann Wygoda), con G. B. Parodi “Noce” per vice; commissario politico era Pierino Molinari “Vela”, assistito dal suo vice “Fulvio” (Renato Zunino). “Rosso” (Corrado Rossi) fu messo a capo del Servizio Informazioni Militari (SIM); benché avesse svolto attività di intelligence sotto il regime fascista, si dimostrò, oltre che capace, fidatissimo, guadagnandosi la piena fiducia del comandante <45. La Quarta Brigata era destinata ad operare dalla cresta alpina tra il Colle di Cadibona ed il Giogo di Toirano verso i centri rivieraschi da Vado Ligure a Borghetto Santo Spirito, in piena sinergia con le SAP locali. La Quinta Brigata “Baltera” fu creata raggruppando i distaccamenti “Nino Bori”, “Revetria”, “Bruzzone”, “Minetto” e “Moroni” <46. Eugenio Cagnasso “Bill”, ex ufficiale del Regio Esercito proveniente dalle fila degli autonomi di “Mauri”, fu scelto come comandante; “Leone” (Gin Bevilacqua) sarebbe stato commissario politico della brigata <47. L’azione dei distaccamenti coordinati da “Bill” doveva svolgersi a raggiera intorno alla base di Osiglia, spingendosi dalla zona di Bardineto fino alla strada statale Savona-Torino. La Resistenza garibaldina savonese, cresciuta con difficoltà ed in ritardo rispetto a quelle circonvicine nonostante l’ambiente sociale altamente propizio, viveva ora i suoi momenti migliori.
In campo autonomo l’arrivo a fine agosto di “Mimmo” Astengo e dei suoi uomini aveva presto dato nuova linfa all’attività militare. Schierato su tre squadre e dotato di notevole mobilità operativa <48, il distaccamento di “Mimmo” si distinse nelle settimane seguenti per aggressività ed astuzia tattica. Tra le non poche operazioni compiute da questi partigiani, alcune meritano una citazione particolare. Il 10 settembre, tre soldati tedeschi furono disarmati sulla statale per Acqui Terme; subito dopo un’automobile della Wehrmacht fu attaccata e per i tre ufficiali che vi si trovavano non vi fu scampo <49. A seguire, il giorno 20, l’intero posto di blocco della “San Marco” all’Acquabona, tra Sella e Santuario, formato da una ventina di pionieri, fu circondato e catturato senza colpo ferire <50. Non contenti, i partigiani di “Mimmo”, attaccata il 29 settembre la mensa ufficiali di Ferrania infliggendo un morto e diversi feriti al nemico <51, il 12 del mese successivo tornarono ad insidiare il presidio dell’Acquabona, da poco ricostituito e rafforzato con mine, reticolati, mitragliatrici e guardie ventiquattr’ore su ventiquattro. Nonostante l’evidente difficoltà dell’impresa (attaccare una posizione munitissima, già aggredita in precedenza e che quindi stava sempre sul chi vive) gli autonomi di “Mimmo”, per i quali il posto di blocco era divenuto una specie di idea fissa, dopo molte osservazioni giunsero a concepire una clamorosa beffa ai danni dei “marò” di guardia. Un partigiano telefonò da San Bartolomeo ai pompieri di Savona, segnalando la presenza di un incendio (in realtà inesistente). Giunti i pompieri, gran parte dei quali erano amici e simpatizzanti dei partigiani, gli autonomi si fecero consegnare da essi elmi e mantelle invitandoli a restare nella vicina osteria. Una seconda telefonata fruttò a “Mimmo” e soci un camioncino con il quale, in sette, scesero al posto di blocco, dove un sottufficiale li fece passare, ignaro del trucco. Una volta all’interno del dispositivo di difesa nemico, fu relativamente agevole spianare i mitra ed ottenere la resa dei “marò” esterrefatti. I tedeschi si mostrarono più pronti: uno cadde sotto il fuoco partigiano, mentre altri quattro riuscirono a dileguarsi. In pochi istanti il presidio fu spazzato via con la cattura di 25 prigionieri e di un consistente bottino in materiali militari; non venne più ricostituito, sancendo un importante punto a favore della Resistenza. Il tranello escogitato dagli autonomi di “Mimmo” ebbe persino l’alto onore di essere lodato pubblicamente dal colonnello Stevens, che quotidianamente conduceva le trasmissioni in lingua italiana di Radio Londra <52.
Lo schieramento autonomo che dalle Langhe si protendeva verso Savona ed il suo retroterra fu ulteriormente rafforzato dal passaggio nelle sue file del “Biondino”, che ebbe toni di alta drammaticità. Ai primi di agosto del 1944 a Prunetto, sede di un distaccamento della Sedicesima Brigata Garibaldi (inquadrata nella Sesta Divisione Garibaldi Langhe), si era tenuto il processo a carico del “Biondino”, accusato di furto, assassinio di presunte spie senza processo e indisciplina. Il tribunale partigiano, presieduto dal comandante di brigata “Device”, ascoltata la difesa dell’imputato lo mandò assolto in considerazione delle sue virtù di combattente, pur contestandone l’indisciplina. “Device” era pur sempre il comandante, e minacciò di esautorare il suo sottoposto se non gli avesse consegnato tutte le spie su cui metteva le mani <53. Il problema era molto complesso, perché almeno da giugno il “Biondino” era in costante contatto con gli autonomi di “Mauri”. Addirittura, quando le sue “volanti” catturavano dei tedeschi, egli preferiva consegnarli al Comando di “Mauri” a Marsaglia, nelle Langhe monregalesi, per il semplice fatto che gli autonomi lo ricompensavano con sigarette ed armi che ai garibaldini, sistematicamente ignorati dagli aviolanci britannici, mancavano. Non era poi un mistero che in tutta la subregione delle Langhe gli autonomi stessero tentando di “fare le scarpe” ai garibaldini sottraendo loro uomini e territorio operativo: pare che “Mauri” avesse promesso al “Biondino” il comando di tutto il fronte compreso tra il Todocco e Roccaverano, posto a difesa del campo d’atterraggio di Vesime usato per gli aviolanci e per paracadutare le missioni inglesi, notoriamente avverse ai garibaldini. Ciò contribuì ad accrescere la stima di sé e l’insofferenza del nostro soggetto, il quale, amato dai suoi uomini che manteneva con il ricavato delle rapine e dai contadini che riforniva con i saccheggi degli ammassi, ora si atteggiava ad alto ufficiale, esibendo una fascia tricolore con la scritta “tenente colonnello Biondino” <54!
L’astio che covava da tempo tra il “Biondino”, un Robin Hood per gli amici, duro e spietato con i nemici veri e presunti, insofferente di ogni disciplina, e “Device”, il tipico comunista inquadrato, ottimo e benvoluto comandante ma troppo autoritario, esplose in modo tragico la sera del 29 agosto sul ponte di Cortemilia. Quel pomeriggio “Device” era venuto a sapere dal tenente Remo La Valle “Speranza”, autonomo (da non confondersi col savonese Lelio Speranza), che il “Biondino” e tutti i suoi cento uomini, appena cacciati da Santa Giulia dai tedeschi, volevano passare alle dipendenze di “Mauri”. Furioso, “Device”, intenzionato a tenersi se non gli uomini almeno le loro armi, affrontò il “Biondino” sul ponte che a Cortemilia scavalcava la Bormida di Millesimo e ne nacque un animato diverbio a mano armata troncato dalla raffica con cui il “Biondino”, più per paura che per odio, uccise il comandante garibaldino. Pochi giorni dopo, in un clima da tregenda, aggravato dalle puntate nazifasciste, tutto il distaccamento del “Biondino” cambiò zona passando con gli autonomi. L’episodio aprì una frattura insanabile tra garibaldini e autonomi: se la Sedicesima Brigata, orfana del comandante, non attaccò i “maurini” nei giorni seguenti, lo si dovette solo alla saggia moderazione di cui diedero prova il CLN regionale piemontese e la Delegazione delle Brigate Garibaldi per il Piemonte, che a più riprese intervennero per calmare le acque. Dopo rinvii a non finire, il 30 ottobre un farsesco processo celebrato a Cortemilia da giudici di parte autonoma mandò nuovamente assolto il “Biondino”, ormai rivelatosi prezioso per lo schieramento “maurino” <55.
In generale tutto il dispositivo guerrigliero autonomo resse validamente ogni reazione nemica. Fino alla fondazione della Brigata Savona (7 ottobre) i gruppi alle dipendenze di “Bacchetta” ebbero numerosi scontri a fuoco con tedeschi e fascisti. Il 12 settembre, a Pian del Lazzo, cuore dell’area operativa degli autonomi tra Cairo e Montenotte, una sparatoria durata più di due ore si chiuse con il recupero di armi e materiali vari abbandonati dai rastrellatori in ritirata <56. Dopo alterni combattimenti sostenuti a fine mese a Bragno, sulla strada per Acqui e nei pressi di Dego <57, gli autonomi dovettero fronteggiare un insidioso rastrellamento compiuto il 3 ottobre da colonne di tedeschi e alpini della divisione “Monte Rosa” che puntavano sulla zona di Pian del Lazzo e delle cascine circostanti con l’obiettivo di imbottigliare i “banditi”. Un distaccamento riuscì a mettere in fuga gli attaccanti presso Smoglie dell’Amore, non lontano da Montenotte; ma i nazifascisti, riorganizzatisi, tornarono in forze per trovare il vuoto creato dalla rapida ritirata dei partigiani. Poche ore dopo violenti combattimenti si riaccesero nelle vicinanze di Ferrania, in località “Uomo morto” (nome quanto mai significativo); qui, dopo quattro ore di battaglia, gli autonomi si dispersero per la boscaglia senza perdite, lasciando tedeschi e repubblicani a contare i caduti (trenta secondo i resoconti, ma la cifra è con tutta probabilità sovrastimata) <58. Il gruppo del “Biondino”, reduce da un vittorioso scontro, il 19 settembre, tra Montechiaro e Cartosio, contro i tedeschi, e da un sabotaggio alla ferrovia tra Dego e Piana Crixia il giorno 27, fu attaccato sempre nella giornata del 3, benché in quella zona il rastrellamento fosse in atto fin dal giorno precedente. Due battaglioni di “marò”, tre compagnie di SS italiane e una cinquantina di arditi attaccarono tra la Bormida di Spigno e la valle Uzzone, ben contenuti dagli autonomi. La battaglia fu così violenta che, come ammette lo stesso diario divisionale della “San Marco”, a Savona città si diffusero voci di una grave disfatta dei fascisti. Un plotone di “marò” al comando del sottotenente Carlo Bagnaresi si barricò invano in una canonica. Bagnaresi, ferito, fu catturato e fucilato il 15 novembre a Castino. Nella giornata del 4 ottobre contrattacchi a fasi alterne portarono ad una situazione di stallo, mentre gli uomini del “Biondino” mettevano in fuga i “marò” sulla “langa” di Cagna, così come avevano fatto il giorno prima a Castelletto Uzzone con gli arditi. Alla fine, il giorno 5, la “San Marco” lamentava 25 morti, 51 dispersi, 46 feriti e molti prigionieri. Ai complimenti del generale von Lieb, comandante della 34a Divisione tedesca ancora in parte stanziata nella zona, Farina rispose secco: “Perché non ci mandate a combattere gli Alleati sulla Linea Gotica, risparmiandoci l’amarezza di veder spararsi Italiani contro Italiani?” <59. L’attacco nemico, per quanto respinto, indusse in seguito “Bacchetta” e la gran parte dei suoi uomini a trasferire definitivamente la base principale a Pezzolo Valle Uzzone, tra le due Bormide; almeno un distaccamento rimase comunque nei dintorni di Montenotte, e le azioni delle pattuglie autonome continuarono a concentrarsi sul territorio savonese <60. Ancora, due giorni prima della nascita della Brigata Savona, un treno scortato da militari fu fermato nella stazione di Sella da pattuglie autonome: due tedeschi rimasero sul terreno, mentre quattro loro camerati e cinque “marò” si arresero <61.
[NOTE]
43 Le Brigate Garibaldi…cit., vol. II, p. 405. Secondo G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 192, i tedeschi fucilati dal distaccamento “Revetria” furono dodici.
44 M. Calvo, op. cit., p. 68.
45 Ibidem, pp. 68 -69.
46 Ibidem, p. 140. Per l’accenno a “Rosso” e ai suoi trascorsi fascisti, vedi H. Wygoda, op. cit., p. 114.
47 M. Calvo, op. cit., p. 95.
48 Ibidem, p. 103.
49 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 296.
50 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 194.
51 M. Calvo, op. cit., p. 288.
52 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 298.
53 F. Sasso, Folgore – il Biondino. Storia di un Partigiano, Rocchetta di Cairo (SV), GRIFL, 2000, pp. 82 -83.
54 F. Sasso, Il Biondino: eroe o sanguinario?, Rocchetta di Cairo (SV), G.Ri.F.L., 1998, p. 56 -57.
55 F. Sasso, Folgore…cit., pp. 82 -102, 106 -115 (un intero capitolo ricco di testimonianze e citazioni è dedicato a questa vicenda).
56 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 296 -298, e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 187.
57 M. Calvo, op. cit., p. 288.
58 Ibidem, p. 288.
59 F. Sasso, Folgore…cit., pp. 133 -136.
60 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 298.
61 M. Calvo, op. cit., p. 285.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

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