La possibilità che i neofascisti in Argentina potessero costituire una rete efficace di finanziamento per il MSI in Italia…

[…] Un primo elemento che sembra contraddistinguere l’esperienza dei fascisti in Argentina e in Brasile è proprio la possibilità che essi ebbero di esprimere liberamente in pubblico e “in società” i propri sentimenti nostalgici, senza suscitare scandalo né all’interno della collettività italiana né al di fuori di essa. Le due cose sono ovviamente collegate: nell’Argentina peronista, i trascorsi fascisti potevano essere esibiti tranquillamente come credenziali. In un’intervista rilasciata nel 1954 al corrispondente dell’agenzia di informazioni ANSA a Buenos Aires, lo stesso presidente Juan Domingo Perón affermò con la massima disinvoltura di avere incaricato Edoardo Moroni, ex ministro dell’Agricoltura durante la Repubblica sociale italiana, di seguire i piani di colonizzazione agricola del suo governo, in quanto “Moroni è stato ministro delle Colonie in Italia, è stato in Africa e conosce bene la Penisola, è perciò la persona più adatta per occuparsi di colonizzazione” <11. Nel 1993, l’allora presidente del Circolo italiano di Buenos Aires, Paolo Segre, definì come “un fascista molto simpatico” Fausto Brighenti <12, il quale l’aveva preceduto alla guida della prestigiosa associazione a partire dal 1967, senza evidentemente dover fare mistero delle sue convinzioni.
Anche in Brasile esponenti di primo piano del regime fascista furono accolti in modo, se non favorevole, quantomeno indifferente. Il 31 dicembre del 1947 l’ambasciatore italiano a Rio de Janeiro, in un rapporto al Ministero degli Affari Esteri sull’arrivo di Dino Grandi, riferiva: “il 23 dicembre corrente è qui giunto per via aerea, proveniente da Lisbona, l’ex ministro degli Affari Esteri Dino Grandi. La stampa ha dato scarso rilievo alla notizia e si è limitata a pubblicare alcune brevi dichiarazioni fatte da Grandi ai giornalisti al momento della partenza da Lisbona” <13.
L’atteggiamento del governo brasiliano era parso chiaro già nei primi mesi del 1947, quando, come comunicò a Roma il consolato generale d’Italia di San Paolo, l’8 marzo era giunto nel Paese l’ex presidente del Senato Luigi Federzoni: “si è stabilito in una villetta nella Prefettura di São Vicente, presso Santos. Il Federzoni sembra conduca vita molto ritirata. Le locali autorità di polizia avrebbero avuto istruzioni di lasciarlo tranquillo” <14.
Nell’agosto del 1948, il console italiano a Curitiba segnalava all’ambasciatore a Rio de Janeiro di aver assistito ad una curiosa cerimonia all’aerodromo militare della città, protagonista un Dino Grandi evidentemente già provvisto di buone entrature nei circuiti politici locali, il quale su invito del potente giornalista (e simpatizzante del fascismo) Assis Chateaubriand aveva battezzato uno degli aerei col nome di “Cavour”.
La facilità di inserimento confermava la bontà di una scelta, quella di emigrare in Argentina e Brasile, che era stata in molti casi dettata principalmente da ragioni extraeconomiche, ovvero dalla percezione dei due Paesi come ambienti non ostili, contrapposti ad un’Italia in cui, anche dopo la conclusione del conflitto, perdurava un clima da guerra civile.
Come hanno confermato recentemente numerose testimonianze di emigrati, il contesto postbellico italiano si configurò, sia pure per un periodo circoscritto, come un contesto “di espulsione”: qualcuno, per esempio ha ammesso di aver dormito fino alla partenza con la pistola sotto il cuscino <15.
Bruno Piva, un ex milite della Guardia nazionale repubblicana <16 condannato a 30 anni di carcere per omicidio, decise di fuggire all’estero nel 1949, dopo quattro anni di latitanza in Italia. Rifugiatosi inizialmente in Svizzera, per convincere la moglie a lasciare definitivamente l’Europa le scriveva in una lettera del 27 novembre 1950: “si stanno preparando tempi molto difficili per tutti e specialmente per noi. Tutti i paesi del mondo ci chiudono le porte in faccia ed hanno ragione di farlo dopo quanto dicono e predicano i nostri governanti. In patria non possiamo ritornare, non resta che andare nell’unica nazione del mondo ancora disposta a permetterci di vivere in pace” <17. L’“unica nazione del mondo” pronta ad accogliere i fascisti “perseguitati”, secondo Bruno Piva, era l’Argentina: lo dimostravano le difficoltà incontrate da un suo amico come lui in fuga, che era stato costretto all’ultimo momento a rinviare la partenza per il Sudamerica perché il piroscafo su cui aveva trovato posto era di una compagnia italiana (e quindi per ovvi motivi salirci a bordo era un rischio) e soprattutto perché “il Portogallo gli ha rifiutato il visto di passaggio di 3 giorni, dico tre giorni” <18.
Quella che prima di lasciare l’Italia era una speranza, fondata, specie per chi come Piva era latitante, sulla relativa facilità di ottenere il visto di ingresso, si tramutò in certezza oltreoceano nella quotidianità delle
relazioni con i connazionali emigrati. Di fronte alla necessità di trovare lavoro e guadagnarsi da vivere in un Paese straniero, le reti sociali diventarono trasversali rispetto agli schieramenti politici, al punto che nei rapporti tra connazionali talvolta non restò più nulla delle divisioni del ventennio fascista o addirittura della militanza su fronti opposti durante la guerra civile.
Emanuele Pignatelli, figlio di Maria Pignatelli di Cerchiara, attiva durante la Repubblica sociale italiana nell’Italia meridionale, e fondatrice nel dopoguerra del Movimento italiano femminile <19, emigrò in Argentina e si mise in affari a Buenos Aires con un socio italiano: la madre manifestò la sua diffidenza e contrarietà al progetto dopo aver appreso che questi aveva partecipato alla Resistenza e fatto parte di un Comitato di liberazione nazionale <20.
Ancora più sintomatico l’episodio relativo a Giovanni Alcaro, uno dei sopravvissuti all’eccidio di Schio, rappresaglia tra le più sanguinose della “resa dei conti” col fascismo successiva al 25 aprile <21. Alcaro, incaricato di selezionare il personale nella fabbrica di coperte che il lanificio vicentino Rossi aveva avviato in Argentina, assunse un suo compaesano per quanto, dopo averlo convocato al colloquio, lo avesse riconosciuto come uno dei componenti del commando di partigiani che fece irruzione nel carcere della cittadina in provincia di Vicenza, uccidendo oltre cinquanta persone detenute per motivi politici. Vera o meno che sia la storia, il fatto che a raccontarla, ritenendola commovente, sia stato Giovanni Caneva, a propria volta emigrato in Argentina dalla provincia di Vicenza per sfuggire a possibili vendette a causa dei sui trascorsi durante la Repubblica sociale italiana, ci restituisce una visione comune a non pochi ex fascisti, per i quali il passaggio al Nuovo Mondo significò la fine dell’odio e del tempo della guerra civile. È probabile che Caneva contrapponesse il clima che si respirava tra gli italiani in Argentina al perdurare delle lacerazioni tra fascisti e antifascisti in patria, visto e considerato che questa mancata riconciliazione si ripercuoteva sulla sua famiglia: il fratello Bruno, che a differenza di lui era fuggito al Plata dopo una condanna per collaborazionismo, negli anni novanta fu chiamato in causa in Italia per la presunta partecipazione alla strage di Pedescala, una delle ultime compiute in territorio italiano dai nazisti in ritirata <22.
Certo si tratta, nel caso di Giovanni Caneva, di un giudizio retrospettivo, formulato dopo vari decenni dagli avvenimenti. Tuttavia l’idea che l’Argentina rappresentasse un altrove non solo geografico, ma storico, in cui il distacco dall’Italia produsse una immediata “pacificazione” tra italiani schierati su opposti fronti durante la guerra civile, trova conferma e contrario nelle reazioni della minoranza di antifascisti militanti che criticarono gli esiti di tale pacificazione nel momento stesso in cui si produssero: l’ingombrante presenza dei fascisti nelle associazioni della collettività italiana e l’atteggiamento a loro avviso connivente, o comunque non incline a contrastarne le iniziative, delle autorità diplomatiche.
Effettivamente l’azione della diplomazia puntò al superamento dei conflitti tra fascisti e antifascisti, che avevano causato profonde divisioni nelle collettività italiane all’estero durante il ventennio e, per raggiungere questo obiettivo, cercò di favorire il dialogo tra i settori moderati dei due schieramenti e, nello stesso tempo, di escludere gli estremisti di entrambi. In Argentina ad agevolare il compito dei rappresentanti del governo italiano concorse l’atteggiamento conciliante di tanti antichi oppositori di Mussolini lì residenti dagli anni venti e trenta, i quali fin dall’immediato dopoguerra ritennero fosse finito il tempo dell’antifascismo e giunto quello di una riconciliazione tra italiani. Essa doveva necessariamente fondarsi sull’oblio delle responsabilità: come sintetizzò uno dei sostenitori di questa linea, Dionisio Petriella, che fu a lungo presidente dell’associazione Dante Alighieri di Buenos Aires nel secondo dopoguerra, “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”.
Un secondo aspetto va ricordato: alla fine del conflitto non solo il clima ma i rapporti di forza all’interno delle collettività italiane in Argentina e Brasile erano ben diversi da quelli che si davano in Italia tra vinti fascisti e vincitori antifascisti. Senza dubbio le organizzazioni e i giornali dei sostenitori di Mussolini si erano molto indeboliti, a causa del venir meno dei generosi finanziamenti del regime, che in molti casi ne aveva garantito l’esistenza nei decenni tra le due guerre ma lo stesso poteva dirsi di tutte le istituzioni italiane. In Brasile, esse erano andate addirittura incontro allo scioglimento forzato o erano passate in mano brasiliana dopo la dichiarazione di guerra a Italia e Germania dell’agosto 1942.
Tuttavia, nel dopoguerra i fascisti locali mantenevano uno spazio, soprattutto in Argentina, dove continuava a sostenerne le iniziative – anche finanziariamente – uno dei maggiori imprenditori italiani del Paese, quel Vittorio Valdani che dal 1924 era il loro leader riconosciuto. Lo stesso faceva in Brasile Francesco Matarazzo, erede del maggior impero industriale dell’America Latina e a propria volta simpatizzante del fascismo. Anch’egli assai autorevole all’interno della collettività italiana, pur essendo, a quanto sembra <23, meno generoso di Valdani, ebbe comunque un ruolo rilevante a San Paolo. In ogni caso, sia qui che a Buenos Aires l’arrivo di gerarchi e reduci di Salò dall’Italia servì a
rafforzare le posizioni dei fascisti, garantendo loro il controllo di giornali e associazioni.
[…] La maggioranza rinunciò alla dimensione e all’impegno propriamente militante. Alcuni si limitarono ad aderire più o meno saltuariamente a raccolte fondi ed altre iniziative di solidarietà nei confronti dei camerati incarcerati in Italia, promosse da gruppi o giornali fascisti, come “Il Risorgimento” di Francesco Di Giglio, a Buenos Aires; e “La Tribuna” di Piero Pedrazza, a San Paolo. Altri operarono all’interno di associazioni italiane che, per quanto fossero state fascistizzate durante il ventennio, per statuto erano apolitiche […]
[NOTE]
11 Cfr. l’intervista a Perón in Archivio Storico del Ministero Affari Esteri (Roma), Affari politici 1950-1957, Argentina, busta 1607, fascicolo “Parte generale”.
12 Fausto Brighenti giunse in Argentina nel 1949 e avviò una serie di stabilimenti che davano lavoro complessivamente, intorno alla metà degli anni settanta, a 1400 persone.
13 Archivio storico del Ministero Affari Esteri (Roma), Affari politici 1946-1950, Brasile, busta 6, fascicolo 3.
14 Ibidem, busta 4, fascicolo 6.
15 Lia Sezzi e Nora Sigman. “Pionieri del progresso”: l’impresa Borsari in Terra del Fuoco. In: “Storia e problemi contemporanei”, 16, 34 (2003), p. 124; Mónica Bartolucci e Elisa Pastoriza. Me iré con ellos a buscar el mar: familias migrantes marchigianas a la ciudad de Mar del Plata (1886-1962). In: “Altreitalie”, 15, 27 (2003), p. 89.
16 La Guardia nazionale repubblicana fu istituita dalla Repubblica sociale italiana nel dicembre del 1943 con compiti di polizia interna e militare. Di fatto le sue unità furono impiegate nella repressione della Resistenza.
17 Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e di Storia Contemporanea di Modena, Fondo Mario Galanti, Carte Bruno Piva, b. 1, fasc. 15, 27 novembre 1950.
18 Ibidem, 27 novembre 1950.
19 Il Movimento italiano femminile fu creato per fornire aiuto legale e materiale ai fascisti in carcere, ma operò anche per favorire l’emigrazione clandestina di criminali in fuga ed ex detenuti. Cfr. Federica Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, prefazione di Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2006 (traduzione spagnola: La inmigración fascista en la Argentina, Buenos Aires, Siglo XXI, 2007), pp. 103-136.
20 Archivio di Stato di Cosenza, Movimento italiano femminile, busta 37, fascicolo 6.
21 La strage nella prigione di Schio, in provincia di Vicenza, fu compiuta nella notte tra il 6 e 7 luglio del 1945 da una dozzina di partigiani comunisti. Cfr. Ezio Maria Simini. …e Abele uccise Caino. Elementi per una rilettura critica del bimestre della “resa dei conti” Schio 29 aprile – 7 luglio 1945, Grafiche Marcolin, Schio, 2000; ed Emilio Franzina e Ezio Maria Simini. “Romero”. Igino Piva, memorie di un internazionalista. Schio: Odeon libri, 2001.
22 Bruno Caneva fu amnistiato nel 1954 per la condanna subita nel 1947. Nel 1996 la stampa prima e la procura militare poi andarono a rintracciarlo nella provincia di Mendoza, dove si era stabilito, riprendendo un’ipotesi dell’accusa al processo – non provata in tribunale – che riteneva Bruno Caneva presente a Pedescala e complice della strage dei nazisti che costò la vita a 74 persone il 30 aprile 1945. Cfr. Pierantonio Gios. Controversie sulla Resistenza ad Asiago e in Altipiano. Asiago: Tipografia Moderna, 1999.
23 Cfr. Federica Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, prefazione di Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2006 (traduzione spagnola: La inmigración fascista en la Argentina, Buenos Aires, Siglo XXI, 2007).
Federica Bertagna, Vinti o emigranti? Le memorie dei fascisti italiani in Argentina e Brasile nel secondo dopoguerra, História: Debates e Tendências – v. 13, n. 2, jul./dez. 2013

[…] Gelli tornerà in Argentina molti anni dopo, nel 1973, sullo stesso aereo che riporta Perón a Buenos Aires dopo 18 anni di esilio. I due sono vecchi amici, si sono conosciuti nel 1939 durante il soggiorno di Perón a Roma. Assieme a Perón, viaggiano decine di militanti del justicialismo argentino, come l’ustascia Milo De Bogetic e Hans Ulrich Rudel, l’ex asso dell’aviazione nazista. Poche settimane dopo, sarà Peròn in persona a consegnare a Gelli la Gran Cruz de la Orden de San Martín Libertador, la massima onorificenza della repubblica argentina. <831
Ma è interessante capire come i neofascisti vengano descritti dagli osservatori che ebbero la possibilità di visitare l’Argentina dopo la fine della guerra e tra questi c’era Carlo Sforza, prossimo ministro degli Affari Esteri e, come si è visto primo inviato della Repubblica italiana nella regione. Egli fu tra i primi a intuire le divisioni tra il campo dei fascisti e quello degli antifascisti militanti, causa della disunione della collettività. Nella relazione stesa dopo il viaggio nell’estate del 1946, egli notò come il nucleo di estremisti neofascisti era isolato dai moderati della sue stessa parte, e che anzi, paradossalmente, con la loro azione i “repubblichini”, favorivano la riconciliazione tra gli antifascisti e “i fascisti di buona fede”.
Queste analisi per quanto schematiche, coglievano un aspetto non secondario. La distanza tra fascisti “coloniali” e i camerati provenienti dall’Italia che avevano aderito a Salò. Da un lato, essa era simile a quella che si crea ogniqualvolta un nuovo strato migratorio si aggiunge a un gruppo amalgamato di persone residenti all’estero da tanto tempo. Dopo il 1945, essa si produsse infatti tra gli italiani stabilitisi in Argentina da vent’anni o arrivati addirittura prima della Grande Guerra e gli “ingegneri” dell’ondata postbellica, perché gli antichi immigrati conservavano un’acuta nostalgia per un’Italia che immaginavano però identica alla patria conosciuta nel momento in cui erano partiti o addirittura al paese raccontato loro dai genitori, ignorando quanto radicalmente si fosse nel frattempo trasformata e con essa i connazionali. <832
Dall’altro lato, tra i fascisti c’era la complicazione rappresentata dal diverso tipo di militanza: i repubblichini avevano infatti alle spalle un’esperienza di guerra e di guerra civile e con il loro oltranzismo creavano in pratica gli stessi problemi che dopo il primo conflitto mondiale erano sorti all’arrivo oltreoceano degli ex combattenti e degli squadristi, osteggiati non solo dagli antifascisti ma anche spesso dai maggiorenti delle comunità italiane, che solo più tardi avrebbero aderito e sostenuto entusiasticamente il regime mussoliniano. <833
Inoltre c’erano differenze importanti sotto il profilo ideologico, come ha osservato il giornalista e pubblicista argentino Pablo Giussani, che era figlio di un italiano e da adolescente, alla fine degli anni trenta, aveva frequentato, con assiduità gli ambienti dell’elite fascista di Buenos Aires, sviluppando tra l’altro una vera e propria infatuazione per la liturgia e i rituali del regime, in verità non così usuale all’estero. <834
Naturalmente tra i fascisti della vecchia e della nuova generazione, c’erano degli anelli di congiunzione che erano rappresentati da personaggi come Carlo Scorza, squadrista e ras di Lucca, nonché ultimo segretario del Pnf e capo provincia in diverse città durante la Rsi, il quale, giunto nella capitale argentina dopo una lunga serie di peripezie, dapprima si affidò ad alcuni connazionali, quindi nel maggio del 1949 fu presentato a Valdani <835 leader dei fascisti locali.
Cominciò un sodalizio sostanziato dai finanziamenti erogati a favore delle attività in campo editoriale dell’ex gerarca, di cui la biografia di Valdani che questi scrisse nel 1955 fu una sorta di suggello. Chiara ad esempio era l’allusione alle scelte giudicate disinteressate e coraggiose di Valdani, che si era iscritto al PNF nel momento della sua crisi peggiore, dopo l’assassinio di Matteotti, rifondando il Fascio di Buenos Aires, ma poi soprattutto aveva abbracciato nel 1943 la causa della Repubblica di Salò, rimanendone il rappresentante del Plata, nonostante il mancato riconoscimento argentino e nonostante gli Alleati lo avessero incluso nella “lista nera” degli industriali sottoposti a boicottaggio, costringendolo a rinunciare alle cariche nei consigli di amministrazione delle sue aziende. In considerazione di questo schierarsi a fianco di Mussolini nei momenti più difficili, era facile prevedere che Valdani diventasse dopo il 1945 il punto di riferimento degli esuli in arrivo dall’Italia e che fosse pronto ad appoggiare le loro iniziative, come sarà appunto per la rivista politico-culturale di Scorza, “Dinámica Social”. <836
La presenza di movimenti e giornali neofascisti in Sudamerica legati al MSI era confermata da alcuni rapporti consolari come quello del console a Valparaiso, Natoli, che in una nota inviata al ministero degli Affari Esteri del dicembre del 1947, riferiva di un “giornaletto fascista di Valparaiso ‘Le Campane di S. Giusto’ che aveva iniziato la sua pubblicazione con scopi patriottici e irredentistici, ma che in questi ultimi mesi ha assunto un atteggiamento neo-fascista e di diffamazione contro il Capo del Governo, i suoi membri e le nostre Istituzioni democratiche” <837.
E più avanti il console aggiungeva: ‘Se pur trattasi di una pubblicazione di scarso rilievo, di carattere provinciale e coloniale con una diffusione limitata a qualche centinaio di copie aveva ritenuto opportuno di attirare su di esso l’attenzione del Sottosegretario agli Esteri’ <838.
In un altro Telespresso dell’aprile del 1948, il console Natoli riferiva ancora di come il quindicinale fascista edito appunto a Valparaiso “ha continuato la sua truculenta campagna diffamatoria e calunniosa contro il Presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il Ministro degli Esteri e contro tutti” <839. E poco più avanti presentava altri numeri della rivista, dimostrando l’intenzione calunniosa e la mala fede del giornale per la falsità delle informazioni che venivano pubblicate, parlando di Natoli come “miliziano delle brigate rosse che sul fronte di Madrid ebbe il nobile titolo di Sicario per la gentilezza, impegno e decisione con le quali spediva al Creatore i poveri diavoli delle legioni italiane che avevano la brutta idea di cadere vivi nelle sue mani” <840. Nella stessa comunicazione aggiungeva anche che i neofascisti cileni erano in continuo rapporto con quelli argentini. Riferiva Natoli che, nel mese di febbraio del 1948, il gruppo del foglio quindicinale, cioè quello che si riuniva intorno al gruppo di “Villa Italia” di Valparaiso, aveva invitato il direttore del “Risorgimento” di Buenos Aires e organizzatore del MSI in Argentina. Di quest’ultimo Natoli riferiva: “prima di Di Giglio era arrivato un ispettore delle organizzazioni fasciste. La manifestazione e il banchetto offerto al Di Giglio riunirono una cinquantina di uomini e una sessantina di donne,
ma fra queste soltanto una parte italiane. Gli animatori del gruppo e del quindicinale sono, oltre il Carnio Perich Rodolfo, tenutario della pensione, Anziani Rizzieri, la cui posizione è molto scossa nel suo stesso ambiente da quando una pubblicazione fatta da un suo nemico gli rese pubblici i precedenti penali; un certo Forno, il quale scrive nel quindicinale di essere “malgrado l’origine europea sudamericano fino al midolle”, un certo Catino di Mendoza, Argentina, espulso da Associazioni Italiane per scorrettezze amministrative, accusato di altre scorrettezze amministrative ed espulso dal locale Fascio, querelò i dirigenti di questo, che vennero assolti avendo provate le loro accuse. Il Catino non è cittadino italiano e ha pessima fama”. <841
Tutto ciò testimoniava come il governo italiano monitorasse continuamente la presenza di movimenti neofascisti all’estero. In effetti il Movimento Sociale aveva sezioni in Sudamerica: oltre a Di Giglio, che come detto presenziò ad alcuni dei primi congressi in qualità di rappresentante nella capitale argentina del MSI, in Argentina era all’opera come delegato per la città di Córdoba uno degli esuli, Davide Fossa. Non sappiamo però quanti fossero gli iscritti che facevano politica fuori dai momenti classici di mobilitazione (le collette e le petizioni). <842
La possibilità che i neofascisti in Argentina potessero costituire una rete efficace di finanziamento per il MSI in Italia e che questo quindi potesse costituire una minaccia per la democrazia in Italia, venne avvalorata da un articolo pubblicato negli Stati Uniti sulla rivista “The Reporter” apparso nel marzo del 1951, di cui riferiva al Ministero degli Esteri il console Casardi, a sua volta informato dalla nostra Ambasciata a Washington. In questo articolo il giornalista Leo Wollemboerg sostenne che i neofascisti ricevevano finanziamenti dall’Argentina. L’ambasciata italiana a Buenos Aires, interrogata da Roma, sostenne che ciò era esagerato e che, innanzitutto, era necessario fare una prima distinzione tra i fascisti veri e propri, i cosiddetti “puri”, i neofascisti” e infine semplicemente gli ex-fascisti […]
[NOTE]
831 Ibidem. Nel libro intervista riportato dai due autori, Gelli nega di aver soggiornato in Argentina tra il 1946 e il 1948.
832 F. BERTAGNA, cit, pag. 223-224.
833 Ibidem.
834 Ibidem. In questa testimonianza si fa riferimento al comportamento dei gerarchi fascisti giunti dopo la caduta del fascismo, in cui albergava un forte risentimento per il tradimento dei Savoia e dell’aristocrazia nobiliare ed economica italiana, che abbracciava ora gli invasori anglosassoni con lo stesso fervore con cui un quarto di secolo prima, aveva trovato nelle camicie nere una scialuppa di salvataggio. Su questo cfr. P.GIUSSANI, Montoneros. La soberbia armada, Tiempo de ideas, Buenos Aires, 1992, pag.115.
835 Vittorio Valdani (1870-1964), ingegnere milanese, lavorò in capo minerario negli Stati Uniti e in Russia prima di essere assunto come segretario particolare di Pirelli nel 1899. A partire dal 1908 prese a dirigere per conto della casa madre milanese lo stabilimento della Compañia General de Fosforos in Argentina e poi passò da altre attività imprenditoriali. Nel 1925 rifondò il Fascio di Buenos Aires e dal 1930 finanziò “Il Mattino d’Italia”. Nel dopoguerra s’impegnò per la riconciliazione tra fascisti e antifascisti nella collettività, accogliendo le proposte in tal senso della controparte e in particolare di Dionisio Petriella. Cfr, D.PETRIELLA-S.SOSA MIATELLO, Diccionario Biográfico ItaloArgentino, Asociación Dante Alighieri, Buenos Aires, 1976.
836 F.BERTAGNA, cit, pagg. 225-226.
837 ASDMAE, AP.1946-50, Argentina, b. 6, f.4, Neofascismo in Argentina, Telespresso n. 2409/565, Natoli a MAE, Santiago, 29 dicembre 1947
838 Ibidem.
839 ASDMAE, AP, 1946-50, Argentina, b. 6, f.4, Neofascismo in Argentina, Telespresso n. 892/89, Natoli al MAE, Valparaiso, 25 aprile 1948.
840 Ibidem.
841 Ibidem.
842 F.BERTAGNA, cit, pag. 223.
Emanuel Quintas, I rapporti politici tra Italia e Argentina negli anni del peronismo (1946-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011