La poesia, che è nell’arte, vive nell’ineffabile abbraccio delle due nature

Massimo Faccini, Aky Vetere – Foto: Aky Vetere

Si dice che la poesia e la musica siano arti spiritualmente adamantine, tali da essere assimilabili per vocazione alle scienze esatte come la matematica.
Mi soffermerò in particolare sulla intuizione, virtù ereditata con tutti i limiti della opinabilità, da un ancestrale “contatto” che l’uomo ha avuto col mondo spirituale.
Più complesso è invece definire lo spirituale.
Alberto Savinio lo assimila alla metafisica, una parola complessa, che attraverso l’etimo indica qualcosa che và oltre, al di là della natura, nascondendosi nell’eccesso della sua stessa visibilità. Eraclito, intuendone il carattere pudico, ci dice che la natura ama nascondersi. Savinio aggiunge che è proprio l’artista colui che intuisce il mistero che Ella nasconde. Ma la domanda è: la poesia, elettivamente chiamata ad assolvere questo compito, può realmente portare a una mediazione tra realtà fisica e spirito? L’oltre, è il solo mistero della natura, che come la faccia buia della luna si nasconde dietro l’occhio dell’uomo? Ancora, arte e scienza hanno lo stesso ruolo di mediazione?
Io credo che nel dare a Cesare, sia errato immaginare una separazione tra fisica e metafisica intesa come separazione tra materia e spirito. Due realtà opposte, possono essere il risultato di una cultura miope che ha riposto il “vero” in ciò che è dimostrabile solo con la legge e lo spazio eccedente, la soggettività, viene data in pasto all’immaginario dei folli . Se pensiamo allo spazio curvo pensato da Einstein, si capisce che l’intuizione scientifica ci insegna l’esistenza di una realtà dentro la stessa realtà fisica, ma il poeta và oltre; egli porta a conoscenza l’opera inserendo lo spirituale entro la sua stessa realtà soggettiva, utilizzando quindi gli stessi correlati fatti a immagine e somiglianza del divino.
L’emozione che ha provato Einstein di fronte alla funzione matematica dello spazio curvo, deve essere stata grande tanto quanto l’emozione di Giacomo Leopardi di fronte al suo Infinito. Ma è un inno alla creazione il canto del poeta; il soggetto, è l’oggetto della sua ricerca, perchè rivolge a se stesso l’urlo contro la legge, e vede nella unicità dell’arte ed in peculiare modo della poesia, la realtà non-finita, il divenire. Egli viene ad essere assimilato erroneamente al Separatore, parafrasando un concetto biblico, colui che per un atto di presunzione ricusa la legge divina. Legge matematica, e legge divina, definiscono invece, ciò che di per sé è indefinito e proprio dentro quella ricusazione interpretata come azione ribelle, il poeta trova il Dio-Io. Il Dio soggetto è il Cristo poetico, l’opposto del Dio di Abramo, il Dio della legge; quindi, solo in apparenza il poeta utilizza gli stessi strumenti del matematico. Anche le parole sono numeri (ecco perché poesia, musica e matematica spesso sono rappresentate in un unico corpo), ma il fine è diverso. L’artista trova la creazione, che come tale è infinita. Perciò la natura si nasconde, se fosse rivelata, sarebbe finita. Il luogo poetico è questo, è un “non de- finire” il reale; è dove si situa l’uomo-poeta.
Solo allora possiamo parlare di mistica della spiritualità e della materia entro il reale, visto che due nature fanno parte della stessa sostanza; sono reali, non opposte.
La poesia che è nell’arte, vive nell’ineffabile abbraccio delle due nature. Di più; è una fuggevole intuizione fondata sulla coscienza della loro impossibile separazione.
Il poeta nell’inno a se stesso, percepisce lo stupore altrimenti non percepibile del pleroma tra materia e spirito. Questa estasi, che si dice propria degli eretici, in realtà è propria di tutti gli artisti, che pur partendo da espressioni differenti e senza necessariamente avere fede, credono nella integrità del reale.
A questo punto caro Fabiano, possiamo sederci a tavola dove gli iniziati sono gli artisti, iniziati al mistero reale, come reali sono il pane e il vino della mensa eucaristica. Ora arrivo alla tua domanda, anzi, concludo dando per esposto ciò che mi domandi: parla di te stesso, della tua poesia, l’approccio col verso, le tue parole e i sentimenti.
Troverai qui dentro tutto quanto mi chiedi, perché quello che penso, è dentro il mio modo di essere poeta.
Non te lo dice un uomo di chiesa, anzi, il Cristo (sommo artista) può spezzare il pane conviviale dell’arte con tutti noi e con tutti gli uomini di buona volontà.
Aky Vetere (1), Angelo senza cielo (2), LietoColle, 2007

(1) [ Ha partecipato anche a:

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(2) Il titolo è un ossimoro che sottolinea il paradosso della vita umana, 
dove bene e male si annullano nel complesso dialogo tra natura e Dio.
Come può un Angelo essere senza cielo?
Come può un Angelo, creatura solare, non essere nella luce di Dio?
Perché Dio lo ha abbandonato?
Le risposte, ci dice il poeta con un singolare accostamento di due testi biblici, 
si trovano nella stessa esegesi sacra.
LietoColle