La Parsons controversy chiama dunque in causa le relazioni tra Stati durante la Guerra Fredda

«Tra il 1937 e il 1951 Talcott Parsons si impegnò a mettere in salvo diversi emigrati tedeschi e rifugiati austriaci, contrastando la propaganda tedesca e lavorando senza tregua alla causa antifascista», scrive Jack N. Porter, nel 1994, su «Sociological Forum».
In realtà sono in pochi a conoscere l’interesse di studio del sociologo di Harvard per il nazionalsocialismo; il suo nome, infatti, è più legato ad altre opere, come The Structure of Social Action (1937) o The Social System (1951).
Nato a Colorado Springs, il 13 dicembre 1902, dopo gli studi in biologia e medicina all’Amherst College del Massachusetts, Parsons si reca alla London School of Economics, per trasferirsi infine, nel 1925, grazie a una borsa di studio in sociologia ed economia, all’Università di Heidelberg, dove consegue il dottorato con una tesi sull’origine del capitalismo in Weber e Sombart. Tornato negli Stati Uniti, insegna ad Harvard dal 1927 al 1973.
Gli anni per noi di maggiore interesse sono quelli in cui risulta impegnato pubblicamente nella battaglia che molti intellettuali portano avanti contro il fascismo (1937-1946). A partire dal 1946 invece si riscontra un suo certo distacco nei confronti del totalitarismo tedesco, fino ad assistere, dopo il 1948, alla scomparsa definitiva di ogni attenzione per tale tematica.
[…] Dopo gli encomi su «Sociological Forum», nel 1994, per la dedizione e la cura con cui Parsons sceglie determinati concetti sociologici nell’analizzare il nazionalsocialismo, Jack N. Porter ha messo in luce, nel 1996, alcuni momenti peculiari della vita accademica di Parsons. Di certo – come ha osservato Martin Oppenheimer -, egli ignorava in quel momento parecchi aspetti della vita dello studioso, in particolare, gli anni in cui si era messo ad aiutare dei collaboratori nazisti.
[…] Si apre così un appassionato dibattito sui quattordici saggi editi dalla Gerhardt e sulla sociologia che Parsons ha elaborato attorno al totalitarismo nazista. Tutto è rimesso in discussione, e per l’occasione, viene coniata l’espressione «Parsons controversy»: la scoperta dei tentativi di Parsons di mettere in sicurezza dei collaboratori nazisti accende (inflame) il dibattito sul significato politico della sua teoria sociologica.
Ad aprire la discussione è una lettera inviata da Oppenheimer a Porter, l’8 febbraio del 1995, nella quale si mette in evidenza che la Gerhardt, nell’edizione dei saggi da lei curata, non menziona gli argomenti di natura contraddittoria (controversial issues) riguardanti Parsons e tralascia un misterioso carteggio di dieci lettere (the case of ten mysterious missing letters), dalla cui lettura emerge l’aiuto che il sociologo presta a diversi ex collaborazionisti nazisti facendoli entrare negli USA per ricoprire dei ruoli accademici. Porter intende subito correggere la sua precedente valutazione critica con una nuova versione, più corretta, e che riesca allo stesso tempo a rispondere alle questioni sollevate da Oppenheimer. Ma l’editore di «Sociological Forum», che aveva già pubblicato il suo primo intervento, rifiuta di ospitare il dibattito, ritenendo lo scambio espistolare tra Porter e Oppenheimer inappropriato (inappropriate) e il luogo non idoneo ad affrontare la questione.
Solo due anni dopo, nel dicembre 1996, quando alla direzione scientifica della rivista arriva un nuovo editore, Richard Hall, Porter riesce a riportare l’attenzione sulla “vicenda Parsons”, rispondendo finalmente al trambusto (brouhaha) che si era sollevato. Non è sua intenzione mettere in cattiva luce lo studioso, quanto piuttosto avviare una riflessione sull’olocausto, sulle relazioni politiche durante il periodo nazista e dopo il conflitto, negli anni della Guerra Fredda. Egli dichiara inoltre di nutrire una profonda fiducia nella possibilità di un confronto che non è destinato a colpevolizzare Parsons per il suo coinvolgimento nella politica della Guerra Fredda (in the bluteh (Yiddish for “mud”) of Cold War politics ), una politica “sporca” che ha finito per deviarlo.
La controversia si arricchirà di nuove tensioni per il fatto che, nello stesso numero in cui viene pubblicata la errata corrige – se così si può chiamarla – di Porter, compaiono, nelle pagine immediatamente successive, due articoli di sostegno a Parsons (two lengthy defenses of Parsons, li definisce Oppenheimer): Truth, Misinterpretation, or Left-wing McCarthyism? di Dennis H. Wrong, e, Not Scandal, di Uta Gerhardt. Fin qui il giudizio della critica è dunque lungi dal proporre una linea interpretativa chiara ed esaustiva.
[…] Nella sua dissertazione O’Connell fa luce sulle attività di Parsons negli anni della Guerra Fredda e studia il momento in cui nasce l’Harvard Russian Research Center (HRRC). In particolare, si fonda sul ritrovamento, negli archivi di Harvard, di dieci lettere scritte dal sociologo, nel 1948, al collega Clyde Kluckhohn, che si trovava a capo dell’HRRC. L’inedito carteggio svela l’impegno di Parsons nel reclutare in Germania diversi collaboratori nazisti per il Russian Research Center di Harvard. Si tratta, in particolare, di esperti conoscitori delle lingue dei territori sotto potere sovietico, che possiedono informazioni sull’URSS utili al Centro di Ricerca di Harvard. Il contatto più importante è quello con Nikolaj (Nicholas) Poppe, studioso di lingue dell’Estremo oriente (Soviet Asia) e professore di lingua mongola all’Università di Leningrado dal 1925 al 1941. Parsons si impegna con tutte le forze per ottenere per lui un visto di entrata negli Stati Uniti e un incarico a Harvard (Harvard appointment), un’impresa certamente difficile, visto che a Poppe, ex-collaboratore nazista, è già stato vietato l’ingresso nel paese ed è in corso una procedura per la sua estradizione in Unione Sovietica.
Poppe era un profondo conoscitore delle nazionalità sovietiche (Soviet nationality groups). Profondamente antistalinista, aveva deciso che l’unico modo per fuggire dall’Unione Sovietica era quello di unirsi ai tedeschi. Pensava che, alla fine, avrebbero perso la guerra, ma che, se fosse riuscito a partire con loro al momento della ritirata, avrebbe potuto trovare rifugio in Gran Bretagna o negli Usa al termine del conflitto. Aveva così accettato di diventare “interprete” per loro e li aveva seguiti nel momento in cui i sovietici avevano ripreso possesso dell’area di occupazione. Sapeva bene, come scrive nelle sue Memorie pubblicate nel 1983, che le sue traduzioni erano una forma di collaborazionismo, sufficiente per renderlo reo di tradimento agli occhi dei comunisti.
Assieme a Poppe, bisogna poi ricordare l’ex linguista Leo Dudin, dell’Università di Kiev, trasferitosi a Berlino nel 1943. Durante l’occupazione tedesca di Kiev, Dudin aveva collaborato alla pubblicazione di due giornali di propaganda nazista, uno in ucraino, l’altro in russo. A Berlino, aveva lavorato per Goebbels, cioè per il Ministero della Propaganda, scrivendo testi radiofonici per le trasmissioni destinate all’Unione Sovietica. Era però soprattutto un vlasovista, nel senso che aveva aderito all’Armata Vlasov, e per tale ragione era ricercato dai sovietici. Aveva dunque vissuto per un certo periodo come semiclandestino nella Germania occidentale, dove si erano rifugiati un largo numero di suoi compagni, sfuggiti ai plotoni di esecuzione. A partire dal 1948, Dudin inizia a lavorare per il corpo militare degli Usa (US Army Intelligence) con funzioni politiche. Infine, vi era il colonnello Vladimir Pozdnjakov, che era stato aiutante campo del Generale Vlasov e a capo della sicurezza nella Commissione di Liberazione della Russia (Committee for the Liberation of Russia), l’armata politica di Vlasov.
Per gli Stati Uniti, che conoscono una «seconda paura rossa» soprattutto dalla fine degli anni Quaranta fino al 1954, le conoscenze di questi esperti rappresentavano un bacino prezioso di informazioni per fare fronte all’egemonia sovietica.
La vicenda più emblematica è proprio quella del linguista Poppe, visto che era stato, a partire dal 1943, tra i più attivi collaboratori dell’Istituto nazista di Wannsee. Poppe non viene accettato subito dal Dipartimento di Stato Americano. A permettere il suo ingresso negli USA è Edward Mason, professore a Harvard, contattato da Parsons. Mason, che fa parte dell’esecutivo del Russian Center ed è consulente per il Dipartimento di Stato, ha relazioni con l’esecutivo politico del Warfare-State Department, in particolare con il membro anziano George F. Kennan, sostenitore della «politica di contenimento». Grazie all’amicizia tra Mason e Kennan, Poppe riesce ad arrivare a Washington, nel 1949, sotto il falso nome di Joseph Alexandros, e qui viene interrogato dal Carmel Office.
A fine guerra Poppe si era rifugiato nella zona d’occupazione britannica con grande imbarazzo del governo militare inglese, visto che i sovietici ne richiedevano il ritorno in quanto “criminale di guerra”. Poiché il governo britannico lo considera una preziosa fonte di informazioni, ne viene sollecitata l’accoglienza alle autorità dei Servizi di controspionaggio dell’esercito (Army Counter Intelligence Corps) («if it is possible for U. S. intelligence authorities to take him off their hands and see that he is sent to the U. S. where he can be “lost”», si dice in un memorandum segreto del maggio 1947, ritrovato da Simpson).
In questo periodo Parsons lavora presso il Russian Research Center. Dopo la seconda guerra mondiale egli è infatti impegnato per conto dei Servizi Segreti (Army Intelligence Officers) e del Dipartimento di Stato (State Department Officials) in un’operazione volta a scovare alcuni degli ex militari sovietici sostenitori dei nazisti. Il sociologo sarebbe ben presto entrato in contatto con Poppe e avrebbe poi riferito sull’«our friend Poppe» al collega Clyde Kluckhohn.
Gli ex soldati sovietici ricercati in patria per crimini di guerra si ritrovano a ricevere protezione dagli USA in cambio delle informazioni che scambiano col Russian Research Center di Harvard.
La lettera che ci aiuta a capire meglio la controversia su Parsons è datata «giugno 1948». Prima di questa lettera, esiste però un’altra missiva del Dipartimento Segreto di Stato riguardante Poppe, e datata «aprile 1948», in cui si apprende che il Consiglio statunitense per gli Affari tedeschi (Political Adviser on German Affairs) a Francoforte è incaricato di preparare la sua protezione. Un mese più tardi, un telegramma del Dipartimento di Stato per la pianificazione politica del personale (State Department policy planning staff) faceva sapere che Harvard era ansiosa di accoglierlo.
Questo primo tentativo di ospitalità, come vedremo meglio in una successiva lettera del giugno 1948, non avrà esito: solo nell’autunno del 1949 Poppe otterrà un posto come professore di lingue dell’Estremo oriente (Far Eastern languages) presso la Washington University, dove finirà la sua carriera tenendo anche dei corsi per molti agenti dei Servizi.
Il dibattito sui saggi di Parsons pone dunque in discussione il comportamento degli Stati Uniti durante il periodo della Guerra Fredda: «E’ lecito che gli USA, per combattere il comunismo, siano ricorsi alla collaborazione di nazisti o di simpatizzanti nazisti? Da qui una profonda paranoia».
Nell’ambito della “controversia su Parsons” si delineano due filoni: da un lato, gli studiosi che si schierano pro-Parsons, cioè coloro che, come Gerhardt, Wrong e Nielsen, tendono a ignorare le attività politiche del sociologo di Harvard negli anni della Guerra Fredda; dall’altro, gli studiosi che, come Simpson, Wiener, O’Connell, Oppenheimer, Porter, al contrario mettono in luce un aspetto poco conosciuto delle sue missioni in Europa alla fine della guerra. Oppenheimer e Porter mostrano poi un certo interesse anche per le ragioni che hanno fatto ritardare la diffusione degli scritti sul nazionalsocialismo fino al 1993, fino a quando cioè Uta Gerhardt li ha raccolti in un’unica edizione.
Tra gli studiosi pro-Parsons, ad esempio, Jens K. Nielsen, nel 1991, ha presentato il sociologo di Harvard come un appassionato oppositore del fascismo, del nazismo e del maccartismo, criticando aspramente le posizioni espresse da Wiener nel suo Talcott Parsons. Bringing Nazi Sympathizers to the U.S. (1989). In primo luogo, Nielsen ha contestato la tesi che Parsons fosse una persona senza scrupoli che aveva fatto entrare clandestinamente nazisti e criminali di guerra negli USA; in secondo luogo, ha negato che i vlasovisti abbiano mai assunto posizioni o comportamenti di natura collaborazionista; per ultimo, ha affermato che Parsons non aveva mai incontrato o parlato con Poppe, e neppure gli aveva mai scritto, diversamente da quanto sostenuto nella tesi di O’Connell, secondo il quale Parsons non solo conosceva Poppe, ma era anche a corrente del suo passato nazista.
Quale delle due tesi è vera? Come sottolinea Porter, la risposta la si può trovare solo nei «Fainsod Papers», oggi inaccessibili, che Nielsen non ha mai preso in visione e a cui invece O’Connell, durante la stesura della sua tesi dottorale, è riuscito ad accedere. In una lettera del 30 giugno 1948, che si trova nella «Feinsold Collection», Parsons parla infatti a Kluckhohn del caso di Poppe. Tra gli studiosi che invece hanno portato alla luce aspetti inediti della biografica politica e intellettuale di Parsons, soprattutto Jack Porter ha dato una serie di importanti informazioni sulla sua attività negli anni 1947-1949, quando il sociologo è a capo del Dipartimento di Relazioni Sociali di Harvard e assume, nel 1949, la presidenza dell’American Sociological Society, più tardi American Sociological Association (mentre il collega Clyde Kluckhohn, nel 1947, è Presidente dell’American Anthropological Association); e sugli aiuti finanziari ($150,000 e $125,000) che il Dipartimento di Relazioni Sociali riceve dalla Carnegie Corporation.
Certo è che a Parsons non mancavano né le sovvenzioni né i garanti per pubblicare i suoi scritti sul nazionalsocialismo, rimasti invece inediti; anzi, il sociologo di Harvard non scriverà più nulla sull’argomento.
Nel dopoguerra, in un clima di grande tensione tra le due maggiori potenze mondiali, la sua elaborazione viene dunque «congelata» e accantonata. Pesa la riduzione dell’analisi del nazionalsocialismo a favore di altre questioni privilegiate da Harvard e dalla classe dirigente politica, in vista del sostegno alla lotta contro il comunismo.
In larga parte, le ricerche di questo periodo sono al servizio dell’Office of Strategic Services (OSS) i cui fini sono per lo più orientati al contrasto del comunismo; in secondo luogo, vengono privilegiate quelle che accolgono le politiche di denazificazione a seguito della sconfitta della Germania.
La Parsons controversy chiama dunque in causa le relazioni tra Stati durante la Guerra Fredda; in particolare, mostra le difficoltà che si incontrano, nella seconda fase del conflitto e, poi nel periodo, immediatamente successivo, nell’affrontare lo studio del nazionalsocialismo e delle sue politiche antisemite. Solo la libera consultazione, e ancor di più la pubblicazione, della documentazione ancora inaccessibile potrebbe trovare una soluzione all’acceso dibattito.
Adele Valeria Messina, La distruzione degli ebrei e la sociologia. Dal 1933 ad oggi, Tesi di dottorato, Università della Calabria, Anno accademico 2011/2012