La figura del fotografo è oggi più sfaccettata

Il primo elemento “esterno” che può influenzare le scelte di un operatore fotografico è certamente la committenza.
Il committente (un imprenditore edile, un editore, un architetto, etc.) richiede delle immagini fotografiche per scopi ben precisi, di conseguenza la struttura formale delle fotografie deve necessariamente corrispondere alle sue esigenze, in questi casi il ruolo dell’esecutore viene apparentemente sminuito, ma la qualità di un fotografo si misura anche nel saper gestire queste situazioni, nel “personalizzare”, nel rendere proprie anche fotografie scattate per conto d’altri.
L’assenza di un committente rende certamente l’operatore fotografico più libero di sperimentare e di scegliere soggetti e composizioni narrative autonome, come dice Luigi Ghiri: “Il fotografo, come accade nel mio caso, non è chiamato ad eseguire un compito semplice e definito, a svolgere un incarico o un lavoro, ad esempio a riprendere una natura morta o a fare uno still life per una campagna pubblicitaria, oppure a documentare l’interno del Duomo di Reggio Emilia o di Milano per scopi editoriali o divulgativi dell’immagine. La figura del fotografo è oggi più sfaccettata, più attiva nella creazione globale dell’immagine di comunicazione. Il fotografo non ha più un ruolo passivo, di esecutore, ma diventa anch’egli un progettista, un soggetto che partecipa alla stesura di un progetto di comunicazione inteso in senso molto più vasto rispetto al passato.” <3.
Ecco allora che con le parole di Luigi Ghiri ritorniamo al concetto accennato sopra, ossia una consapevolezza di sè, del proprio valore artistico, creativo e progettuale, che solo con il tempo si è sviluppato concretamente nella cultura dei fotografi che, per molto tempo, soprattutto nei circuiti degli studi fotografici, rimanevano relegati al semplice ruolo di operatori tecnici, al limite, sapienti utilizzatori dei procedimenti chimico – fisici alla base della fotografia.
Gli studi fotografici però rivestono un ruolo fondamentale nella cultura fotografica italiana, guidati spesso da fotografi animati da grande passione ma soprattutto di grande cultura, che hanno elaborato dei veri e propri codici narrativi e hanno influito sulla vita culturale ma soprattutto sociale del nostro Paese.
“Proviamo a riflettere: studio fotografico ha voluto dire, dal secolo XIX in poi e per tutto il ‘900, e dunque per intere generazioni, un punto d’incontro, di riferimento, di dialogo fra la città e una figura singolare, a metà strada tra il tecnico (fisico e chimico insieme) di cui non si conoscono fino in fondo le misteriose capacità, l’amico che ti accompagna nei matrimoni e nei battesimi, e infine il ritrattista che evoca la pittura e i suoi sfondi. I fotografi, i più importanti, i più attenti, sono stati per lunghi decenni i custodi della memoria, non di un singolo o una famiglia, ma della memoria collettiva. I fotografi hanno documentato tempi e figure, scontri politici e momenti del loisir che, oggi, non potremmo neppure pensare di ricostruire senza di loro, e li hanno documentati, per generazioni intere, in bianco e nero.” [4.
In ogni città italiana è presente almeno uno studio fotografico che l’ha raccontata, archivi della memoria che solo in parte sono stati salvati e conservati nella loro interezza, perché l’archivio mantiene la sua funzione solamente intatto, con i suoi registri vergati a penna e la fila di scatole di lastre ordinata per numero e per committente.
Il valore culturale degli archivi fotografici non è sempre considerato ovvio perché: “La contraddizione di fondo della storiografia sulla fotografia, o almeno della sua gran parte, sta tutta qui, nella concezione idealistica che la vicenda fotografica sia costruita per punte, per vette, per figure chiave, per geni, e che il tessuto, il contesto sia da rimuovere, anzi che sia di fatto, rimosso.” <5.
Solo in tempi recenti e ad opera di poche strutture al concetto di archivio (che sia esso fotografico o di progetto) viene attribuito il ruolo di documento in sè, nella sua interezza.
L’ultimo elemento che compone la natura della fotografia è l’oggetto. La lastra fotografica, la pellicola, la stampa su carta, sono questi gli oggetti finali, ciò che rimane del soggetto mediato dal mezzo. L’uso che si fa delle immagini è infinito e come in un diagramma di flusso ritorniamo al secondo step, al mezzo, perché è in quel momento che si decide, consapevolmente, spinti da chissà quale motivazione, a realizzare un’immagine fotografica.
Carlo Cresti a proposito delle storie dell’arte scrive: “In passato le storie dell’architettura classica e italiana, prevalentemente compilate da storici, sono state scritte servendosi della lettura delle fotografie di Anderson, Brogi e Alinari, evitando cioè l’osservazione dal vero dei monumenti dei quali si scrive… immagini fotografiche di un’apparente Italia felix, ordinata, serena, perbenista, orgogliosa e rispettosa dei propri monumenti architettonici, immagini capaci di offrirci una realtà improbabile.” <6.
[NOTE]
3 Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet, Macerata 2010.
4 Arturo Carlo Quintavalle, Il bianco e nero della memoria, p.1, in: Romano Rosati, Luigi e Bruno Vaghi, Grafiche Step, Parma 2011.
5 Arturo Carlo Quintavalle, Tempo dell’archivio, archivio del tempo, p.7, In: Arturo Carlo Quintavalle (a cura di), Studio Villani, Università di Parma 1980.
6 Carlo Cresti, Architettura e fotografia, p.8, In: Carlo Cresti (a cura di), Fotografia e architettura, Angelo pontecorboli, Firenze 2004.
Marco Libero Pezzotti, La fotografia nel lavoro di Pier Luigi Nervi, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Parma, 2012