In seguito, la collaborazione tra Pucci e l’OVRA rallentò

Dai documenti ritrovati dopo il conflitto emergono le collusioni, le situazioni non chiare e l’interazione con il fascismo di esponenti legati agli ambienti della Santa Sede.
Dal 1926 al 1940 (anno della sua morte) il capo della Polizia fascista fu il prefetto Arturo Bocchini.[1] Nell’espletamento del suo mandato, volle anche annotare in un registro i nominativi dei confidenti che fornivano segretamente dati riservati su persone e movimenti politici avversi al regime. [2] In questo registro vennero indicati anche i nomi di copertura e i numeri in codice delle singole spie. Si tratta di una grossa rubrica rilegata in pelle nera, con angoli e dorso verde, sul cui frontespizio è stampigliato il timbro ‘segreto’. In 230 pagine sono elencati 374 nominativi di fiduciari diretti della Divisione Polizia Politica (Popol) con i recapiti ufficiali e clandestini. Il periodo considerato va dalla conquista dell’Abissinia (1935-1936) fino all’occupazione tedesca (1943). La rete dei confidenti era seguita da alcuni funzionari del Ministero dell’Interno. Anche loro erano iscritti nel registro (con la precisazione: ‘Non è fiduciario’).
Da Bocchini a Senise
Dopo la morte di Bocchini, il registro fu acquisito dal suo successore: il prefetto Carmine Senise.[3] Quest’ultimo, esercitò il ruolo di capo della Polizia dal 1940 al 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il 26 luglio 1943 il gen. Pietro Badoglio, nuovo capo del governo, lo restituì alle sue funzioni (mantenute fino all’8 settembre 1943). Con la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), l’allora capo dell’OVRA[4], dott. Guido Leto[5], aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), e si trasferì a Valdagno, nella casa del conte Gaetano Marzotto.[6] Con sé, trasportò una parte notevole dell’archivio dell’OVRA. A fine conflitto, Leto fu indicato dalle autorità alleate quale conservatore e responsabile del suddetto archivio. In seguito, riprendendo le carte dell’OVRA, il registro venne ritrovato. II 31 ottobre 1945 il capo della Polizia Luigi Ferrari[7] lo consegnò all’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti. Tale organismo aveva il compito di epurare dalla pubblica amministrazione quanti avevano interagito di nascosto con gli uffici del regime fascista addetti alle repressioni. In seguito, il registro fu custodito prima negli archivi del Ministero dell’Interno e venne poi consegnato all’Archivio Centrale dello Stato.[8] Nell’attuale periodo, una volta desecretato, è stato oggetto di studi. Il materiale riguardante la rete dello spionaggio fascista (OVRA)[9] è significativo a livello storico perché fornisce numerose indicazioni. Tra queste, rende noti gli articolati criteri d’inoltro della corrispondenza e delle ricompense, al fine di proteggere l’anonimato dei collaboratori, le tecniche adoperate per raccogliere notizie, e – in alcuni casi – gli ordini impartiti per attuare delle provocazioni.
1946: la pubblicazione dell’elenco dei confidenti dell’OVRA
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri[10], il 6 febbraio 1946 venne nominata una speciale Commissione. Tale organismo doveva, sulla base dei documenti ritrovati, pubblicare un elenco nominativo dei confidenti dell’OVRA. Erano esclusi da tale lista i deceduti e i funzionari, impiegati, sottufficiali e guardie di pubblica sicurezza, e le persone non individuate. Ai sensi dell’art. 2 del R.D.L. 25.5.1946, n. 424, venne data facoltà di ricorrere contro tale inclusione.
Tra i confidenti prevalevano nelle categorie professionali i giornalisti e, dal punto di vista della religione, gli ebrei.[11] In tale contesto, si mossero più persone per far eliminare il proprio nominativo dall’elenco. Da un totale di 900 nomi si arrivò alla fine (con doppia scrematura) a divulgare 622 nominativi. Diverse persone erano riuscite a non far pubblicare il proprio nome. Per questo motivo non mancarono le polemiche. Queste ultime, fecero riferimento a omissioni compiacenti, a ‘salvataggi’ di vari personaggi. Le illazioni, poi, aumentarono perché ai ricercatori non fu permesso di accedere al «documento principe».
Tra i nomi ‘salvati’ (che fecero scalpore) c’era quello, ad esempio, dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Gesualdo Barletta. Era stato il capo della nona zona OVRA (Lazio meridionale-Roma). Malgrado ciò, dopo un periodo di internamento e una fase di latitanza, fu promosso nel settembre del 1948 direttore della neo-costituita Divisione affari generali e riservati della Polizia, quindi vicecapo della Polizia (fino al gennaio 1956).[12] Era affiancato dall’ispettore Domenico Rotondano (responsabile servizio 1), anche lui di provenienza OVRA. È pure da ricordare che, tra il 1946 e il 1953, fu questore di Roma il commissario Saverio Polito che aveva in precedenza operato nell’OVRA.
Nel recente periodo, confrontando più elenchi[13], ci si è accorti che diversi giornalisti riuscirono a non essere inseriti nella lista dei fiduciari del regime. Pur segnati nella rubrica dei confidenti, furono ignorati dalla lista pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Si possono ricordare alcuni nominativi: Gian Carlo Govoni, Ubaldo Silvestri e Alberto Giannini.
Govoni (fiduciario n. 770, nome in codice ‘Pisa’): riceveva i compensi presso l’abitazione romana di via Pisanelli. Direttore della Agenzia International News Service, era corrispondente dei quotidiani ‘Tribuna’, ‘Sera’ e ‘Gazzetta del Popolo’.[14] Ubaldo Silvestri (n. 796), già redattore della ‘Giustizia’ e del ‘Resto del Carlino’, nonché collaboratore del ‘Messaggero’, nel dopoguerra fu segretario di redazione del ‘Popolo’.[15] Alberto Giannini[16], fondatore nel 1924 del settimanale satirico antimussoliniano ‘Il becco giallo’, durante l’esilio in Francia aveva mutato orientamento politico e finì sul libro paga di Bocchini, insieme alla sua convivente. I compensi venivano pagati a Roma, in corso Trieste 171.[17]
L’individuazione dei confidenti operanti in Vaticano
Lo studio delle carte dell’OVRA ha permesso di comprendere meglio anche il disegno spionistico che il governo fascista attuò a danno della Santa Sede.[18] Sono così emersi i nominativi dei fiduciari dell’OVRA operanti in Vaticano. Uno di essi altro non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza.[19] Ciò spiega, tra l’altro, perché il governo italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede. D’altra parte, lo stesso ministro Galeazzo Ciano, nel 1940, disse a monsignor Borgoncini Duca[20]: “Non vi fidate dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede, i quali, nei loro telegrammi e rapporti, danno notizie dell’Italia come apprese in Vaticano e fanno anche il mio nome. Noi leggiamo tutto ed anche Mussolini legge tutto. Bisogna che teniate conto della mia posizione, se no, non vi dico più niente”.[21]
Il governo italiano seguiva quindi con particolare attenzione quanto avveniva all’interno del territorio vaticano. I motivi erano evidenti: interazione della Santa Sede con diplomatici di più Paesi, presenza di tipo residenziale (durante il Secondo conflitto mondiale) di rappresentanti delle Forze Alleate nemiche dell’Asse, comunicazioni della Segreteria di Stato con i centri ecclesiali dislocati nei territori ove era in corso la guerra, promozione di iniziative umanitarie (a favore di ebrei, perseguitati politici, sfollati, profughi, internati). In tale contesto, le azioni di spionaggio furono continue. Ciò fu possibile per i comportamenti posti in essere da: monsignori[22], personale laico vaticano, giornalisti. Tale manovra occulta si indirizzò anche nei confronti dei diplomatici accolti in Vaticano. Ad esempio, nel 1943, il Servizio Informazioni Militari (SIM) fece in modo che l’ambasciatore inglese, sir Francis d’Arcy Osborne[23], assumesse uno dei suoi agenti in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi (un italiano) rubò dal suo nascondiglio il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre Osborne era uscito con il cane.[24]
La figura della Pupeschi
Uno dei punti di collegamento tra spie e funzionari del regime fu costituito da due donne: la Pupeschi e la Scala. Poco più che trentenne, la fiorentina Bice Pupeschi (di Pupo e di Pini Cesira, nata il 5 marzo 1894) era di gradevole aspetto. Possedeva una discreta intelligenza e cultura. Amava il teatro. Scrittrice. Poetessa.[25] Aspirante attrice. Di lei si conserva una foto da cavallerizza.[26] Bocchini era il suo amante.[27] Risiedeva in viale del Littorio, Grottaferrata (Roma). Si spostò poi a via Marcello Prestinari 7 (Roma). Dalla metà degli anni Venti ai Trenta (XX secolo) interagì, con il ruolo di capo gruppo[28], con i fiduciari del regime fascista infiltrati in Vaticano. Il suo nome in codice era: ‘Diana’ (informatore n. 35). Riceveva 20mila lire al mese. Ottenne dati riservati grazie ad alcuni prelati, tra questi i monsignori Benigni[29] e Pucci.[30] Di tali ecclesiastici, nelle carte dell’OVRA, non sono stati trovati appunti autografi. Essi riferivano infatti le informazioni a voce. Per vie brevi erano consegnati all’attrice i documenti. Il compito di mettere per iscritto i rapporti sul Vaticano spettava alla Pupeschi (anche con riferimenti a pettegolezzi e da voci prive di riscontro). Dalla scrivania di Bocchini le relazioni finivano su quella di Mussolini. A fine guerra, la Pupeschi fu liberata per amnistia il 26 giugno 1946.[31]
Maria Luisa Scala
Maria Luisa Scala (nome d’arte: Fulvia, Marisa Romano; informatore n. 56) nacque a Palermo l’11 febbraio del 1903. Aspirante attrice, di non debole professionalità, fu in diretto rapporto con il capo della Polizia. Pure il suo amante, il giornalista Giuseppe Mascioli, era al servizio dell’OVRA. La Scala ebbe anche un legame sentimentale con Jacopo Comin.[32] Con quest’ultimo conviveva in un palazzo al Foro Traiano n. 1. Per la sua attività spionistica la Scala acquisiva notizie dai giornalisti Gaspare Fortini[33] e Icilio Bucci.[34] A soli 22 anni, nel 1925, aveva svolto un ruolo importante nello sventare un attentato a Mussolini organizzato da Tito Zaniboni e dal generale Luigi Capello. In tale occasione si infiltrò negli ambienti massonici francesi e nel gruppo dei cospiratori. Informò a tempo la Polizia fascista su quanto si stava tramando.[35]
Monsignor Pucci

Mussolini, tra i suoi fiduciari segreti, poté contare fino al 1931 su monsignor Enrico Pucci. Si trattava del prelato domestico di Pio XI, direttore dell’Ufficio stampa della Santa Sede, collaboratore del ‘Corriere d’Italia’, e corrispondente di altri giornali. Nell’ottobre del 1927 fu inizialmente reclutato da Bocchini come fiduciario diretto (informatore n. 96). Venne poi aggregato alla rete della Pupeschi. Per la sua collaborazione riceveva ogni mese tremila lire. Nel 1946, il nome del monsignore fu pubblicato nell’elenco dei confidenti dell’OVRA. In seguito, Pucci fece ricorso all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. E venne prosciolto da ogni accusa (G.U. della Repubblica Italiana, n. 13, 17 gennaio 1947, p. 147). In tempi recenti, però, alcuni documenti ritrovati nell’Archivio Centrale dello Stato confermano che Pucci era un confidente di Bocchini. Alcuni studiosi ipotizzano che il prelato potrebbe aver operato d’intesa con la Santa Sede per acquisire informazioni sulla politica fascista utili al Vaticano.[36] In tale contesto, dai documenti conservati nel suo fascicolo personale, risulta anche che Pucci avrebbe offerto informazioni ad ambasciate straniere a 200 lire a notizia, comunicando ai governi esteri testi di trattati della Santa Sede prima che ne avvenisse la firma.
In seguito, la collaborazione tra Pucci e l’OVRA rallentò. Il prelato, infatti, era sotto controllo in Vaticano. Malgrado ciò, il monsignore rimase in contatto con l’Ufficio stampa di Mussolini. Dall’inizio della Seconda guerra mondiale in poi l’attività del monsignore si orientò a favore della Santa Sede e degli Stati Uniti. Il buon rapporto con il cardinale Spellmann[37] gli permise di collaborare (1941) con periodici cattolici americani (es. il National Catholic).[38]
Monsignor Caterini e monsignor Stoppa
L’Ufficio sanzioni contro il fascismo individuò pure, tra i sub-fiduciari di Bice Pupeschi, due monsignori: Caterini e Stoppa. È da sottolineare, però, che il Caterini a cui allude l’Ufficio sanzioni, cioè monsignor Ernesto Caterini (1860-1926), era membro del Collegio dei Protonotari Apostolici e non minutante di Congregazione ecclesiastica come viene erroneamente indicato. Ciò fa pensare che l’informatore della Polizia politica (assunto nel 1929) non dovrebbe essere stato questo prelato, bensì il nipote, conte Stanislao Caterini. Stoppa era invece addetto all’archivio della corrispondenza dei dicasteri pontifici. Si tratta di figura minore ma in collegamento con la Pupeschi.[39]
Il conte Stanislao Caterini
Per diversi anni un fiduciario del regime fascista fu il conte Stanislao Caterini. Era impiegato presso la Segreteria di Stato vaticana. Lavorò in Archivio, e fu addetto anche al reparto crittografico. Tenente della Guardia Nobile Pontificia. Nipote di monsignor Ernesto Caterini. Reclutato dall’OVRA nel 1929, interagiva con la Pupeschi e con Pucci. Nel 1931 fu bruscamente allontanato dal Vaticano per l’attività spionistica che svolgeva.[40]
Monsignor Benigni
Nel suo disegno spionistico l’OVRA poté contare anche su monsignor Umberto Benigni (numero 42).[41] Questo sacerdote operava con un proprio nucleo autonomo, sostenuto dalla segretaria e da un nipote (il giornalista Pietro Mataloni[42], attivo in Vaticano). Negli anni del pontificato di Pio X la sua figura emerse in negativo per gli attacchi contro i cosiddetti ‘modernisti’ e per l’avversione alla comunità ebraica. Nella Segreteria di Stato vaticana arrivò al ruolo di Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari. Fondò il settimanale ‘Corrispondenza Romana’ e l’organizzazione Sodalitium Pianum i cui membri agivano in incognito. Quest’ultimo organismo fu sciolto da Benedetto XV nel 1921. Proseguì comunque privatamente la sua attività (con sede dislocata fuori del Vaticano, in via del Corso, ‘Casa San Pietro’). Nel 1923 il monsignore fondò l’Intesa Romana di Difesa Sociale. Tale associazione internazionale era anticomunista e antisemita. Tra i suoi obiettivi l’appoggio al fascismo e alle forze nazionaliste di altri Paesi. Dal 1924 si concretizzò un deciso sostegno a Mussolini. Fu poi Bocchini a mettere in collegamento Benigni con la Pupeschi. Essendo deceduto nel febbraio del 1934, Benigni non venne inserito (1946) nell’elenco dei fiduciari dell’OVRA. Il lavoro intrapreso, però, non si fermò. Lo proseguì la D’Ambrosio, ex segretaria del monsignore. Mussolini, comunque, non accolse la domanda della D’Ambrosio di sistemazione finanziaria (i debiti erano di 250mila lire).[43]
Bianca D’Ambrosio
Il nome della partenopea Bianca D’Ambrosio, inserito nell’elenco dei fiduciari dell’OVRA (nome in codice: ‘Didone’), lo si ritrova pure in un fascicolo verde della Polizia politica. Fu la segretaria di monsignor Benigni. Lavorava presso la Radio Vaticana.[44] Era lei a mantenere i collegamenti tra la rete del monsignore e i funzionari dell’OVRA. Alla morte del prelato, la D’Ambrosio assunse il coordinamento della rete, e intensificò i contatti con la Polizia politica. Nella sua attività spionistica rilevò inoltre il numero già attribuito a Benigni (informatrice n. 42).
Virginio Troiani
Una delle reti spionistiche legata all’OVRA fu coordinata dal giornalista Virginio Troiani, sedicente marchese di Nerfa (alias ‘Capranica’, informatore n. 40). Nacque a Roma nel 1882. La sua carriera nel mondo della stampa fu modesta. Scrisse per il ‘Popolo Romano’. Divenne cronista-capo de ‘Il Paese’ e del ‘Sereno’. Venne reclutato nel novembre del 1919 dai servizi politici. Troiani arrivò a interagire anche con monsignor Fogàr. Dipendevano da lui altri giornalisti (sub-fiduciari), come Setaccioli e Fortini. Spettò, tra l’altro, a Troiani il compito di agganciare l’avvocato Bruno Cassinelli.[45] Quest’ultimo operò (senza esito) per compromettere l’ex-segretario del Partito Comunista d’Italia Amadeo Bordiga[46] in prese di posizione filofasciste.[47]
Monsignor Fogàr
Monsignor Luigi Fogàr nacque a Gorizia nel 1882 (morì a Roma nel 1971). Divenne vescovo di Trieste e di Capodistria nel 1923. Questo presule fece della difesa dei diritti delle minoranze etniche (Croati e Sloveni) uno dei capisaldi del suo episcopato. Fu aiutato anche da monsignor Francesco Borgia Sedej, vescovo di Gorizia, e da monsignor Trifone Pederzolli, vescovo di Parenzo e Pola. Già nel 1928, sul Bollettino della diocesi, pubblicò una direttiva con la quale vietava mutamenti di lingua nelle funzioni sacre. Nel 1932 compilò un memorandum e lo indirizzò alla Corte d’Appello di Trieste per denunciare i soprusi praticati dai rappresentanti del regime ai danni dei cattolici slavi. A seguito di contrasti con il prefetto Carlo Tiengo (ex squadrista), Fogar fu nominato arcivescovo di Patrasso nel 1936 e trasferito a Roma. Nell’Urbe svolse funzioni di vicario del cardinale Benedetto Aloisi Masella, arciprete di San Giovanni in Laterano. Alla morte di questo (1970) divenne canonico lateranense. Fogàr lo si ritrova anche come predicatore presso la chiesa di San Giuseppe al Trionfale, membro di tribunali ecclesiastici per le cause di beatificazione, ed assistente al soglio pontificio.
Dai documenti dell’Alto Commissario per i reati fascisti risulta che l’alto prelato collaborò con la Polizia politica fascista dal 1939 al 1943 (informatore n. 90).[48] In particolare, risulta una interazione con il giornalista Troiani di Nerfa.
A conclusione dell’esame della documentazione presente nel fascicolo dell’OVRA, il magistrato elencò i principali capi di accusa. In base a tale documento è scritto che Fogar, nel solo 1943, aveva fornito alla Polizia fascista, tra l’altro, informazioni riguardanti i sentimenti filo-inglesi e antifascisti di monsignor Luigi Santa[49], vicario apostolico di Gimma (Etiopia); aveva segnalato l’arrivo alla Segreteria di Stato vaticana di dispacci segreti sui rapporti tra Londra e Ankara e riferito sull’avversione verso il regime fascista di vari alti prelati vaticani tra cui monsignor Andrea Spada, il cardinale Pietro Fumasoni Biondi, monsignor Pio Rossignani[50], monsignor Carlo Respighi[51].
Fogàr, secondo il magistrato, aveva inoltre fornito informazioni sul conto di monsignor Antonio Santin, dei cardinali Giuseppe Pizzardo e Carlo Salotti, e su un tentativo di mediazione diplomatica condotto dal Vaticano tra USA e Giappone. Aveva infine riferito a Bocchini le impressioni e i commenti raccolti in Vaticano sulle frequenti perquisizioni della Polizia presso persone e negli uffici dell’Azione Cattolica.
Sempre secondo il magistrato, l’attività informativa di Fogàr proseguì anche dopo il 25 luglio 1943, quando, ad esempio, trasmise alla Polizia politica “una lista di tedeschi antinazisti residenti a Roma”. L’11 settembre 1943, aveva riferito le “dichiarazioni rese dall’ex deputato De Gasperi sull’andamento della guerra”. L’attività di Fogàr era proseguita nel periodo della Repubblica Sociale Italiana. Egli aveva informato sulle reazioni in Vaticano alla notizia delle “atrocità tedesche” e di quelle “commesse a Ferrara dai fascisti repubblicani”, e aveva rivelato “l’ingresso in Vaticano di tre soldati fuggiaschi”, accolti da Osborne, ministro plenipotenziario inglese presso la Santa Sede. Aveva inoltre riferito “sui propositi degli Alleati per la punizione dei criminali di guerra e le spie dell’OVRA”.
Denunziato all’Autorità giudiziaria con l’imputazione “di aver contribuito con atti rilevanti, quale confidente dell’OVRA, a mantenere in vigore il regime fascista”, Fogàr poté usufruire dell’amnistia decisa da Togliatti (1946).
Lo studio di Guido Botteri su Fogàr
In tempi recenti la posizione di monsignor Fogàr è stata ripresentata in termini diversi rispetto ai resoconti della magistratura del dopoguerra. Lo studioso Guido Botteri[52], in particolare, ha dimostrato che sulla figura di questo prelato sono state create delle fumosità con notevoli errori storici. A smentire l’accusa di ‘spia fascista’, infatti, sottolinea Botteri, fu lo stesso Virginio Troiani. E ciò, malgrado il fatto che questi anche con i suoi superiori si fosse vantato di poter contare sulla ‘collaborazione’ del vescovo.
Il Troiani, processato dalla Commissione speciale contro i crimini fascisti, fece solo il nome di dieci suoi ‘sub-fiduciari’ stipendiati (nei suoi elenchi del periodo fascista ne aveva elencati 50), e in un memoriale autografo del 17 aprile 1945 chiese al giudice istruttore di interrogare monsignor Fogàr: «(…) egli potrà illustrare alle autorità quello che io ho fatto in 15 anni nella Venezia Giulia a favore dei cattolici, degli sloveni e di tutti i martiri della violenza fascista. Credo che S.E. mons. Fogàr in questo periodo di tempo mi abbia consegnato oltre duemila lettere da raccomandare a S.E. Bocchini e a S.E. Senise e allo stesso Mussolini. Si trattava di confinati, di condannati, di perseguitati, di ammoniti, di mandati in campo di concentramento, di ebrei perseguitati e di tanti infelici, vittime della demenza fascista».
Il 14 giugno del 1945, monsignor Fogàr trasmise al giudice De Martino, che stava istruendo la causa Cassinelli-Troiani, un memoriale di otto pagine per «fare il mio dovere, impostomi dalla coscienza, dalla riconoscenza e dallo spirito di giustizia». L’ultimo punto, il quinto, è dedicato al «conte V. Troiani»: «Conosco il Troiani da circa venti anni. Sapevo di lui che era addetto alla Polizia e che aveva degli incarichi delicati. Credo mio dovere di coscienza di dichiarare che il Troiani, durante questo lungo periodo, mi ha aiutato per difendere tantissimi perseguitati dal fascismo, slavi e italiani, sacerdoti e laici e ultimamente gli ebrei. Il dottor Kralj[53] (leader degli sloveni cattolici di Gorizia, ndr) e io stesso siamo ricorsi a lui in innumerevoli casi e molte volte con successo. Il Troiani mai ebbe la minima retribuzione. Egli dimostrava a noi sempre i suoi sentimenti antifascisti».
A questo punto, Guido Botteri afferma che le presunte informazioni e illazioni citate da Mauro Canali nel suo volume Le spie del regime, a proposito di monsignor Fogàr, sono tutte prive di riscontro nei documenti, pur richiamati nelle note. Sostiene Botteri che Canali fa credere che monsignor Fogàr «riferisse», «trasmettesse» direttamente «ai funzionari della Polizia Politica» informazioni e delazioni. I documenti rivelano, però, che non c’è alcun rapporto di monsignor Fogàr nei vari fascicoli della Polizia, né tantomeno ricevute di compensi o di rimborso spese di viaggi: le relazioni sono sempre delle varie spie, che «riferiscono».
Nei documenti esaminati compaiono anche i nomi di Guido Gonella e di Alcide De Gasperi, il primo come «accompagnatore» di una dama di corte che, il 7 settembre del 1943 (cioè il giorno prima dell’armistizio) volle conoscere monsignor Fogàr («Il prof. Gonnella – scrive il Troiani – non ha voluto assistere per delicatezza al colloquio»). Il vescovo le elencò «tutti gli orrori commessi dal defunto regime nella provincia di Lubiana». De Gasperi è citato in un rapporto di quattro giorni dopo, perché commentando le reazioni alla firma dell’armistizio «l’ex deputato De Gasperi dichiarava che la classe operaia si è comportata come l’ora che attraversiamo impone».
Nella documentazione su Fogàr, vescovo di Trieste dal 1939 al 1945, fornita dalla rete spionistica fascista, sono conservati anche i rapporti di ‘Cirius’. Si trattava dell’ex combattente Mario Rossi.[54] Questi, era stato direttore del settimanale cattolico di Gorizia. Passò poi al fascismo.
In una prima informativa del 14 ottobre 1936, Rossi-Cirius rilevò che del vescovo dimissionario (lasciò Trieste a fine guerra) sono «amici e simpatizzanti ebrei, socialisti e comunque dissidenti, i quali, come già è accaduto altre volte, prenderebbero questa occasione per acclamare il Vescovo e trarne una dimostrazione antifascista e anti-italiana». Tre anni dopo Rossi-Cirius, commentando anche una visita a Gorizia del «famigerato» monsignor Fogàr, lo definisce «capo della ribellione» dei preti slavi della diocesi isontina nei confronti dell’arcivescovo Margotti[55], ritenendo «inutile sottolineare la sua personalità anti-italiana e antifascista».
L’ultimo documento di ‘accusa’, datato 8 ottobre 1942, venne intitolato dallo stesso Rossi-Cirius: «Mons. Fogàr confessa di essere il protettore dei preti ribelli slavi». «Il prelato – scrive il confidente dell’OVRA recatosi a Roma per visitarlo “a seguito delle istruzioni impartitegli” – che accoglie nella sua casa gli alti papaveri antifascisti del mondo cattolico romano e i preti slavi del Goriziano e del Triestino, di cui, dal giorno della sua cacciata da Trieste si è fatto protettore, parlando con Cirius ha confermato di essere lui il protettore degli slavi. Lo si sapeva, ma non per questo la sua ammissione non è meno preziosa».
Sempre in argomento di slavi, ma al di là del confine, egli osservò ancora: «Certo che gli sloveni di Lubiana desideravano un’occupazione dell’Italia perché altrimenti sarebbero stati invasi dalla Germania, ma essi non possono darsi una ragione dell’annessione. E poi lo sbaglio è stato quello di voler fascistizzare subito quella popolazione, che del fascismo ha avuto sempre un gran terrore».[56]
Zanetti
Nella rete informativa, coordinata da Troiani, operò pure Francesco Zanetti. Nel 1911 entrò nella redazione dell’Osservatore Romano. In precedenza, aveva già collaborato con diverse testate giornalistiche (Osservatore Cattolico, Momento di Torino). Era noto per essere anche autore di poesie. Divenne alla fine caporedattore del quotidiano della Santa Sede. Nel suo cursus poté contare sul sostegno di un prelato importante: monsignor Nicola Canali[57], vicino alla linea fascista. Negli archivi dell’OVRA è indicato come uno degli informatori più attivi. Interagiva con la Pupeschi e con la D’Ambrosio.
Fortini
Accanto a Zanetti, nella sede dell’Osservatore Romano, lavorò per il Duce anche il redattore e amministratore Gaspare Fortini (pure il fratello Gabriele lavorava per l’OVRA). Il 26 settembre 1929 un’informativa anonima, manoscritta su carta intestata dell’Osservatore Romano[58], denunciava alla Segreteria di Stato di Sua Santità «l’atteggiamento poco encomiabile» di uno dei redattori del giornale.[59] «La condotta del signor Gaspare Fortini – è detto testualmente – a riguardo del segreto d’ufficio che deve essere osservato in posto così delicato è tale da non lasciare soverchie assicurazioni. Qualche volta egli, credendo la redazione deserta, è stato sorpreso ad esaminare affannosamente i manoscritti originali e le bozze di stampa che si è soliti conservare. Frequenti sue domande in gran segretezza, a questo ed a quello, intorno a fatti ed a persone, sono tali da ingenerare sospetti. Recentemente, ad esempio, ebbe a chiedere, previa offerta di un compenso, a persona degna di fede che me ne riferì poi, dati e notizie riguardanti le personalità più in vista del movimento cattolico. Alla domanda che cosa intendesse farne rispose evasivamente che si trattava di notizie per uso personale e per un’Agenzia di cui non volle dichiarare né il nome, né la qualità.
Si aggiunge che il Fortini – prosegue l’ignoto informatore – a parere concorde della Redazione, rappresenta un perfetto ingombro, essendo la sua prestazione assolutamente nulla per incapacità mentale e colturale. Certo è che la qualifica di Redattore dell’Osservatore Romano gli torna utile per una serie non breve di affari e di relazioni di svariato genere. Di qui la sua persistenza a non abbandonare il posto nonostante il minimo stipendio percepito.
Altro fatto degno di attenzione è l’atteggiamento dell’usciere Crescenzi Iginio che risulta essere stato assunto quale informatore dell’Agenzia l’Informazione, notoriamente emanazione più o meno diretta della Questura.
Così è che il contegno del giovane è niente rassicurante per il segreto che deve essere mantenuto in simili incarichi redazionali. L’impressione che elementi estranei – conclude l’informativa anti-spionistica – si possano comunque servire di personale addetto sia alla redazione che alla tipografia del giornale per carpire segreti ed informazioni è precisa. Un provvedimento si rende quindi urgente onde prevenire ogni increscioso incidente, tanto più alla vigilia del definitivo ingresso dell’Osservatore Romano nella Città del Vaticano». La riorganizzazione del giornale, di lì a poco trasferito definitivamente entro le mura vaticane previde la rimozione del Fortini. Una rimozione che come risulta da documenti successivi, presenti nel citato fascicolo della Segreteria di Stato, si limitò all’allontanamento dalla redazione.[60]
Bucci e Pozzi
Altri fiduciari dell’OVRA furono i giornalisti Bucci e Pozzi. Il dottor Icilio Bucci (di Marco e Janni Virginia) nacque a Roma l’11 novembre 1881. Nel 1929 era domiciliato in via Giulia 147. Collaborò con le redazioni di diversi periodici e riviste.[61]
Tommaso Arrigo Pozzi ebbe una buona capacità di movimento all’interno della Santa Sede. Si mantenne vicino a monsignor Celso Costantini.[62] Quest’ultimo, dal 1935, fu il Segretario della Congregazione vaticana di Propaganda Fide. Pozzi poté contare su un referente molto attivo. Si trattava di monsignor Antonio Pellizzola. Era il consigliere ecclesiastico dell’ambasciata di Italia presso la Santa Sede (dal 1929 al 1933).[63]
Tavolato
Tra i giornalisti fiduciari dell’OVRA ci fu anche il triestino Italo Tavolato[64]. Scrittore, fu esponente italiano del Futurismo. Nel 1925 curò un numero della rivista berlinese ‘Roland’ sull’Italia di Mussolini, intitolato Das vierte Italien e sponsorizzato dall’ambasciata italiana di Berlino. A partire dalla primavera-estate del 1925 operò a Berlino come pubblicista. Collaborò anche con ‘Das Kunstblatt’, scrisse recensioni per ‘Die literarische Welt’. Dalla capitale tedesca collaborò con il quotidiano romano fascista ‘Il Tevere’, diretto da Telesio Interlandi.[65] Verso la metà del 1926 tornò in Italia e si iscrisse al partito fascista. Nel 1933 venne arruolato dalla Polizia Politica fascista come spia (alias ‘Tiberio’, informatore n. 571). Nel dicembre dello stesso anno fu inviato in Germania per indagare sull’organizzazione della GESTAPO, di cui individuò alcuni agenti attivi in Italia; segnalò anche diversi giornalisti dell’Associazione stampa estera. Fu corrispondente romano della rivista italo-tedesca ‘Berlin Rom Tokio’. Dopo la guerra fece richiesta, con esito negativo, di essere cancellato dalle liste degli informatori dell’OVRA.[66]
Lolli
Cesidio Lolli ricoprì il ruolo di vice direttore dell’Osservatore Romano. Chiamato in modo scherzoso ‘padre Lolli’, non era né prete né genitore. Doveva correggere i discorsi del Papa, divulgati poi a livello internazionale. Concluse la sua carriera durante il pontificato di Giovanni XXIII. Venne sospettato di doppio gioco. Riguardo a questo giornalista è difficile stabilire i confini tra l’attività spionistica e la collaborazione con media sospetti. Per molti anni nel dopoguerra fu pagato dall’agenzia americana United Press. Era certamente in grado di avere in anticipo i discorsi dei Papi, o i documenti destinati a essere pubblicati dall’Osservatore Romano. Negli anni di Pio XII era incaricato di andare dal Pontefice per ritirare i testi dei discorsi papali. Pacelli, poi, lo chiamava talvolta al telefono per le ultime correzioni.[67]
Scattolini
Virgilio Scattolini fu un giornalista che lavorò come assistente di monsignor Mario Boehm[68], redattore capo dell’Osservatore Romano (controllato dal suo collaboratore Bronzini). Monsignor Boehm, pur non essendo inserito tra i fiduciari dell’OVRA, fu in ogni caso responsabile sul piano morale dell’introduzione di Scattolini in Vaticano. Questi, all’inizio del 1930, venne reclutato dai servizi segreti italiani e inserito nella rete di Pucci. Era protetto dal gerarca fascista Roberto Farinacci.[69] Ricevette all’inizio fiducia negli ambienti vaticani. Nel 1936, ebbe pure il compito di dirigere l’ufficio stampa all’Esposizione mondiale della stampa cattolica organizzata per i 75 anni dell’Osservatore Romano. Nel 1943, individuate le sue manovre, Scattolini fu allontanato dall’Osservatore Romano. Dopo tale episodio iniziò a promuovere una campagna denigratoria contro la Santa Sede diffondendo falsi dossier. I suoi dispacci arrivarono all’Associated Press, al New York Times, all’agenzia Havas, ad autorità statali apicali. Nell’autunno del 1944, questo giornalista fu identificato come soggetto che forniva, insieme a Filippo Setaccioli, dati spuri sul Vaticano a diversi agenti dell’Office of Strategic Services. L’OSS acquisì le sue informazioni da due fonti separate che alla fine permisero all’agente di controspionaggio OSS James Angleton di determinarne la natura fraudolenta, ma non prima che al presidente Roosevelt fossero fornite le relazioni come autentiche.[70] Nel 1948 un tribunale romano condannò Scattolini per aver scritto i falsi ‘Documenti segreti della diplomazia vaticana’.[71]
Bronzini
Carlo Bronzini lavorò come collaboratore di monsignor Bohem presso l’Osservatore Romano. Esplicò anche compiti di ragioniere. Il suo nome in codice era ‘Calò’: informatore n. 303.[72]
Fazio
Giovanni Fazio fu il segretario dell’Ufficio di Polizia (facente parte della Gendarmeria Pontificia) della Città del Vaticano. Era il genero del colonnello Arcangelo De Mandato della Gendarmeria. Operò come fiduciario dell’OVRA (nome in codice ‘Tassara’, informatore n. 751). La sua posizione gli consentiva di avere accesso ai fascicoli relativi al personale religioso e laico dello Stato vaticano. Interagiva con Pucci. Con lui operavano anche il gendarme altoatesino Anton Call e il barbiere della Gendarmeria Andrea Mondelli. Quando si arrivò a scoprire il suo ruolo di collaboratore dell’OVRA (inizio anni Quaranta), Fazio fu destituito dall’incarico ed espulso con disonore dal Corpo di sicurezza del Papa e dal territorio vaticano. Lo stesso avvenne per Call. L’Ufficio di Polizia fu soppresso. Comunque Fazio proseguì l’attività di spionaggio presso l’intelligence italiana fino al 1942, anno in cui fu trovato impiccato nella sua casa.[73]
Filippi
Luigi Filippi (alias Filippo) era un maggiore inquadrato nell’Arma dei Carabinieri. Divenne in seguito tenente colonnello. Prestava servizio nei pressi di San Pietro. Informatore n. 515.[74] Occorre ricordare, al riguardo, che l’OVRA raccoglieva e regolava anche i servizi fiduciari e informativi dei Carabinieri.
Villa
Achille Villa lavorò presso la Radio Vaticana. Fece parte dell’OVRA (informatore n. 752). Era collegato alla rete spionistica di Troiani.[75] […]
[NOTE]
1 Arturo Bocchini (1880-1940). Laureato in legge. Entrò nella carriera prefettizia nel 1903.
2 Bocchini disponeva per gli informatori di 150.000 lire mensili. Durante il fascismo furono diverse le agenzie di intelligence: Polizia Politica (Polpol, sorta nel 1926), l’OVRA (braccio operativo della Polpol, 1927), Servizio Informativo Militare (SIM), l’Ufficio Politico delle Questure (UPI) e l’organizzazione spionistica del partito fascista (OCI).
3 Carmine Senise (1883-1958). Fu capo della Polizia dal 1940 al 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il 26 luglio 1943 il gen. Pietro Badoglio, nuovo capo del governo, lo restituì alle sue funzioni che mantenne fino all’8 settembre 1943.
4 O.V.R.A.: acronimo (non ufficiale) di Opera Vigilanza Repressione Antifascismo. Polizia segreta del regime fascista.
5 Guido Leto (1895-1956).
6 Gaetano Marzotto jr (1894-1972). Cf anche: S. Setta, Profughi di lusso. Industriali e manager di Stato dal fascismo alla epurazione mancata, Franco Angeli, Milano 1993.
7 Luigi Ferrari (1888-1955). Nominato capo della Polizia il 1 agosto del 1944. Terminò il suo mandato nel 1948.
8 Rimasto a lungo fuori consultazione.
9 O.V.R.A.: acronimo (non stabilito in modo ufficiale) di ‘Opera Vigilanza Repressione Antifascismo’. L’OVRA fu la Polizia segreta del governo fascista.
10 Presieduto dall’on. Alcide De Gasperi (1881-1954).
11 “(…) il che risulta naturale, se si considera che fra i giornalisti in tutti i Paesi e tempi sono sempre esistiti informatori e che per sorvegliare gli ebrei vittime delle persecuzioni razziali molto servivano i loro correligionari” (cit. G. Cosmo, I servizi di polizia politica durante il fascismo, in: ‘Il Movimento di Liberazione in Italia’, fasc. 16, 1952, p. 47.
12 Ministro dell’Interno era l’on. Mario Scelba (1901-1991). La Divisione Affari Riservati fu istituita nel 1948.
13 Quello ufficiale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, quello conservato presso l’Archivio di Stato, e altri elenchi che si trovano presso fondazioni.
14 Cf anche: M. Forno, Fascismo e informazione. Ermanno Amicucci e la rivoluzione giornalistica incompiuta (1922-1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria 2003, p. 141.
15 Cf anche: L’Osservatore politico letterario, volume 17, seconda edizione, 1971, p. 118.
16 Alberto Giannini (1885-1952).
17 Cf anche: S. Urso, Alberto Giannini, in: ‘Dizionario biografico degli italiani’, vol. 54, Istituto dell’ Enciclopedia Italiana, Roma 2000.
18 C.M. Fiorentino, Spie di Mussolini all’ombra di San Pietro. L’attività informativa fascista in Vaticano, in: ‘Nuova Storia Contemporanea’, 2, 1998.
19 R.A. Graham, Il Vaticano e lo spionaggio, in: ‘La Civiltà Cattolica’, 1991, IV, pp. 350-361.
20 Mons. Francesco Borgoncini Duca (1884-1954). Nel 1940 era arcivescovo. Divenne poi cardinale.
21 Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, vol. I, n. 274, pp. 412-413.
22 I sacerdoti più compromessi, anche se rinviati a giudizio, si salvarono grazie all´amnistia di Togliatti del 1946.
23 Lord Francis D’Arcy Godolphin Osborne, XII duca di Leeds (1884-1964).
24 R.A. Graham, Il Vaticano e lo spionaggio, op. cit.
25 http://www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Strumenti/Strumenti CLX 2.pdf. Cf anche: B. Pupeschi, Vibrazioni, Maglione Editore, Roma 1930.
26 https:// www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/ Portraits/HTML/BicePupeschi.html.
27 La Pupeschi era stata già l’amante di Valerio Benuzzi, un funzionario dell’I.N.A. che lavorava per conto del segretario del Partito Nazionale Fascista Augusto Turati. Cf: A. Orlando – A. Pagliaro, Chico il professore.Vita e morte di Francesco Barbieri, l’anarchico dei due mondi, Associazione Culturale Zero in condotta (Milano) – Edizioni La fiaccola (Noto), p. 291.
28 Fu responsabile di una quarantina di informatori attivi in patria e all’estero. Un’altra donna capo gruppo fu Caterina Ricci (‘Florinda’), nata a Roma il 5 ottobre del 1912. Cf anche: R. Canosa, Storia dell’epurazionein Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Baldini&Castoldi, Milano 1999, p. 432.
29 Mons. Umberto Benigni (1862-1934).
30 Mons. Enrico Pucci. Su questo aspetto cf: M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
31 Cf anche: M. Canali, Le spie del regime, il Mulino, Bologna 2004, pp. 283-284.
32 Jacopo Comin (1901-1973). Regista e sceneggiatore. Cf anche: S. Corvisieri, Il mago dei generali. Poteri occulti nella crisi del fascismo e della monarchia, Odradek, Roma 2001, p. 32.
33 Gaspare Fortini era un giornalista dell’Osservatore Romano.
34 Icilio Bucci prestava la sua opera per diversi giornali cattolici.
35 G. Leto, Ovra: fascismo, antifascismo, Cappelli, Bologna 1951, p. 19.
36 C.M. Fiorentino, Spie di Mussolini all’ombra di San Pietro …, op. cit.
37 Mons. Francis Joseph Spellman (1889-1967). Fu consacrato vescovo di New York nel 1939. Divenne cardinale nel 1946.
38 Su Pucci cf anche: M. Canali, Le spie del regime, il Mulino, Bologna 2004.
39 C.M. Fiorentino, Spie di Mussolini all’ombra di San Pietro …, op. cit., p. 77.
40 C.M. Fiorentino, All’ombra di Pietro. La Chiesa cattolica e lo spionaggio fascista in Vaticano, Le Lettere, Firenze 1999, p. 20.
41 Mons. Umberto Benigni (1862-1934). Insegnò storia della Chiesa.
42 Pietro Mataloni: nato a Roma il 26 luglio 1899.
43 G. Perri, Il caso Lichtner. Gli ebrei stranieri, il fascismo e la guerra, Jaca Book, Milano 2010, p. 138.
44 C.M. Fiorentino, Spie di Mussolini all’ombra di San Pietro …, op. cit.
45 Penalista, già deputato socialista.
46 Amadeo Bordiga (1889-1970).
47 M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, op. cit., pp. 16-17, 49, 168, 421, 455, 683.
48 M. Canali, I preti spie del regime, in: ‘La Repubblica’, 10 gennaio 2007.
49 Mons. Luigi Santa (1885-1953), missionario della Consolata, nacque a Castelrosso, vicino a Torino. Operò in Kenya e in Etiopia. Divenne infine vescovo di Rimini subito dopo la seconda guerra mondiale.
50 Cognato della sorella di Pio XII Elisabetta.
51 Tra il 1918 e il 1947 fu il prefetto delle cerimonie. Coordinò i riti che riguardarono Benedetto XV, Pio XI e Pio XII. Si occupò inoltre delle esequie dei Pontefici (1922 e 1939), dei relativi Conclavi. Seguì, ancora, 21 concistori per la creazione di nuovi cardinali (3 di Benedetto XV, 17 di Pio XI, 1 di Pio XII). Coordinò i riti per gli Anni Santi (1925, 1933), e le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione di più figure rilevanti.
52 Guido Botteri (1928-2016). Giornalista e scrittore, fu direttore della sede RAI del Friuli-Venezia Giulia.
53 Janko Kralj (1898-1944).
54 Mario Rossi nacque a Pienza (Toscana) il 25 ottobre del 1892. A Gorizia aveva sposato la ex fotografa Frida Hoffmann, ma non avevano avuto figli. Dopo il 1945, Rossi si trasferì a Pesaro per dirigere il ‘Collegio R. Zandonai – Villaggio del Fanciullo’ dell’Opera Padre Damiani.
55 Arcivescovo Carlo Margotti (1891-1951). Gli venne assegnata Gorizia (1934-1951).
56 G. Botteri, Luigi Fogàr, Ed. Studio Tesi, Trento 1995.
57 Mons. Nicola Canali (1874-1961). Fu ordinato sacerdote nel 1900. Creato cardinale nel 1935 (non fu consacrato vescovo).
58 La cui redazione era, in quel tempo, in via Silla 35 (Roma).
59 Cf Archivio Segreto Vaticano, Fondo Segreteria di Stato 1929, rubrica 243, fascicolo 1, ff. 20, 21r, 22 r.
60 R. Alessandrini, Controspionaggio all’Osservatore Romano, in: L’Osservatore Romano, 19 agosto 2011.
61 Su Icilio Bucci cf: M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra…, op. cit., p. 649.
62 Mons. Celso Costantini (1876-1958).
63 Su Tommaso Arrigo Pozzi cf: M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra…, op. cit., p. 642.
64 Italo Tavolato (1889-1963).
65 Telesio Interlandi (1894-1965). Razzista e antisemita.
66 M. Canali, op. cit., pp. 191-194.
67 Si rimanda a: B. Bartoloni, Le orecchie del Vaticano, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2012.
68 Mons. Mario Boehm non operò nell’OVRA.
69 Roberto Farinacci (1892-1945). Divenne Segretario del Partito Nazionale Fascista.
70 Si rimanda a: M. Canali, Le spie del regime, op. cit.
71 Cf anche: Comitato Civico (a cura), FRO-DE. Il più grande scandalo editoriale. Identificato l’autore delle falsità diffuse dal Fronte Democratico con il famigerato volume ‘Documenti segreti della diplomazia vaticana’. Si tratta del giornalista Virgilio Scattolini, Tip. Borello e Ottone, Torino 1948.
72 Su Carlo Bronzini cf: M. Canali, op. cit., p. 648. Cf pure B. Bartoloni, Le orecchie del Vaticano, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2012.
73 Cf anche: O. Chadwick, Britain and the Vatican during the Second World War, Cambridge University Press, Cambridge 1986, p. 170.
74 C.M. Fiorentino, All’ombra di Pietro, Le Lettere, Firenze 1999, p. 36.
75 M. Franzinelli, I tentacoli dell’OVRA, op. cit., p. 685.
Pier Luigi Guiducci, La rete dell’OVRA in Vaticano, Storia in Network, 1 settembre 2020

La posizione geografica del Vaticano, situato nel cuore di Roma, rappresentava al tempo stesso un vantaggio e uno svantaggio per i servizi segreti. La Città del Vaticano era un’autentica vasca per pesci. Dopo l’ultima guerra è stata pubblicata la lista degli agenti della polizia, che ha permesso di verificare quanti uomini dell’OVRA (l’organizzazione di spionaggio del regime fascista) fossero all’opera in Vaticano. Uno di esse altri non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza. Con il suo aiuto sarebbe stato un gioco da ragazzi per il SIM (Servizio Informazioni Militare) mandare, per esempio, propri uomini nella stanza dei cifrari della Segreteria di Stato pontificia durante la notte. Un fatto è certo: il Governo italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede.
Gli ambasciatori dei Paesi in guerra con l’Italia (negli anni tra il 1940 e il 1944) correvano anche loro dei rischi. Infatti il SIM reclutava senza difficoltà personale tra i domestici dei diplomatici nemici. Essi erano in grado di riferire quali ospiti venivano ricevuti a colazione e anche i brani di conversazione che riuscivano a cogliere. Nel 1943, il SIM fece in modo che l’ambasciatore inglese, sir d’Arcy Osborne, prendesse al suo servizio uno dei suoi uomini in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi – un italiano – rubò dal suo nascondiglio tutto il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre il suo padrone era uscito per portare a passeggio il cane. Poi lo consegnò a un agente del SIM che ne fotografò i contenuti. Informato (come?) che i suoi messaggi indirizzati a Londra non erano “sicuri”, Osborne rese la pariglia agli avversari, inserendo nei suoi dispacci al Ministero degli Affari Esteri affermazioni false e fuorvianti, sapendo che sarebbero state lette dagli italiani. Questi telegrammi volutamente menzogneri sono ancora conservati nel Public Record Office e rappresentano una trappola per gli storici alle prime armi, i quali troppo facilmente sono pronti ad accettare i documenti ufficiali per ciò che sembrano, senza essere consapevoli del loro background o dei trucchi usati dai servizi segreti.
Oreste Grani, Cosa c’è da spiare in Vaticano, Leo Rugens, 11 febbraio 2013

Uno scorcio del Vaticano. Foto: D.L.

Lo studio delle carte dell’OVRA ha permesso di comprendere meglio anche il disegno spionistico che il Governo fascista attuò a danno della Santa Sede. Sono così emersi i nominativi dei fiduciari dell’OVRA operanti in Vaticano. Uno di essi altro non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza. Ciò spiega, tra l’altro, perché il Governo Italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede. D’altra parte, lo stesso Ministro Galeazzo Ciano, nel 1940, disse a Monsignor Borgoncini Duca: «Non vi fidate dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede, i quali, nei loro telegrammi e rapporti, danno notizie dell’Italia come apprese in Vaticano e fanno anche il mio nome. Noi leggiamo tutto ed anche Mussolini legge tutto. Bisogna che teniate conto della mia posizione, se no, non vi dico più niente».
Il Governo Italiano seguiva quindi con particolare attenzione quanto avveniva all’interno del territorio vaticano. I motivi erano evidenti: interazione della Santa Sede con diplomatici di più Paesi, presenza di tipo residenziale (durante il Secondo Conflitto Mondiale) di rappresentanti delle Forze Alleate nemiche dell’Asse, comunicazioni della Segreteria di Stato con i centri ecclesiali dislocati nei territori ove era in corso la guerra, promozione di iniziative umanitarie (a favore di Ebrei, perseguitati politici, sfollati, profughi, internati). In tale contesto, le azioni di spionaggio furono continue. Ciò fu possibile per i comportamenti posti in essere da Monsignori, personale laico vaticano, giornalisti. Tale manovra occulta si indirizzò anche nei confronti dei diplomatici accolti in Vaticano. Ad esempio, nel 1943 il Servizio Informazioni Militari (SIM) fece in modo che l’Ambasciatore Inglese, Sir Francis d’Arcy Osborne, assumesse uno dei suoi agenti in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi (un Italiano) rubò dal suo nascondiglio il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre Osborne era uscito con il cane.
La figura della Pupeschi
In tale contesto, uno dei punti di collegamento tra spie e funzionari del regime fu costituito da due donne: la Pupeschi e la Scala. Poco più che trentenne, la Fiorentina Bice Pupeschi (di Pupo e di Pini Cesira, nata il 5 marzo 1894) era di gradevole aspetto. Possedeva una discreta intelligenza e cultura. Amava il teatro. Scrittrice. Poetessa. Aspirante attrice. Di lei si conserva una foto da cavallerizza. Bocchini era il suo amante. Risiedeva in Viale del Littorio, Grottaferrata (Roma). Si spostò poi in Via Marcello Prestinari 7 (Roma). Dalla metà degli anni Venti ai Trenta (XX secolo) interagì, con il ruolo di capogruppo, con i fiduciari del regime fascista infiltrati in Vaticano. Il suo nome in codice era: «Diana» (informatore numero 35). Riceveva 20.000 lire al mese. Ottenne dati riservati grazie ad alcuni prelati, tra questi i Monsignori Benigni e Pucci. Di tali ecclesiastici, nelle carte dell’OVRA, non sono stati trovati appunti autografi. Essi riferivano infatti le informazioni a voce. Per vie brevi erano consegnati all’attrice i documenti. Il compito di mettere per iscritto i rapporti sul Vaticano spettava alla Pupeschi (anche con riferimenti a pettegolezzi e a voci prive di riscontro). Dalla scrivania di Bocchini le relazioni finivano su quella di Mussolini. A fine guerra, la Pupeschi fu liberata per amnistia il 26 giugno 1946.
Maria Luisa Scala
Maria Luisa Scala (nome d’arte: Fulvia, Marisa Romano; informatore numero 56) nacque a Palermo l’11 febbraio del 1903. Aspirante attrice, di non debole professionalità, fu in diretto rapporto con il capo della Polizia. Pure il suo amante, il giornalista Giuseppe Mascioli, era al servizio dell’OVRA. La Scala ebbe anche un legame sentimentale con Jacopo Comin. Con quest’ultimo conviveva in un palazzo al Foro Traiano numero 1. Per la sua attività spionistica la Scala acquisiva notizie dai giornalisti Gaspare Fortini e Icilio Bucci. A soli 22 anni, nel 1925, aveva svolto un ruolo importante nello sventare un attentato a Mussolini organizzato da Tito Zaniboni e dal Generale Luigi Capello. In tale occasione si infiltrò negli ambienti massonici francesi, e nel gruppo dei cospiratori. Informò a tempo la Polizia fascista su quanto si stava tramando.
Monsignor Pucci
Mussolini, tra i suoi fiduciari segreti, poté contare fino al 1931 su Monsignor Enrico Pucci. Si trattava del prelato domestico di Pio XI, direttore dell’Ufficio stampa della Santa Sede, collaboratore del «Corriere d’Italia», e corrispondente di altri giornali. Nell’ottobre del 1927 fu inizialmente reclutato da Bocchini come fiduciario diretto (informatore numero 96). Venne poi aggregato alla rete della Pupeschi. Per la sua collaborazione riceveva ogni mese 3.000 lire. Nel 1946, il nome del Monsignore fu pubblicato nell’elenco dei confidenti dell’OVRA. In seguito, Pucci fece ricorso all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. E venne prosciolto da ogni accusa («Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana», numero 13, 17 gennaio 1947, pagina 147). In tempi ravvicinati, però, alcuni documenti ritrovati nell’Archivio Centrale dello Stato confermano che Pucci era un confidente di Bocchini. Alcuni studiosi ipotizzano che il prelato potrebbe aver operato d’intesa con la Santa Sede per acquisire informazioni sulla politica fascista utili al Vaticano. In tale contesto, dai documenti conservati nel suo fascicolo personale, risulta anche che Pucci avrebbe offerto informazioni ad Ambasciate straniere a 200 lire a notizia, comunicando ai Governi esteri testi di trattati della Santa Sede prima che ne avvenisse la firma.
In seguito, la collaborazione tra Pucci e l’OVRA rallentò. Il prelato, infatti, era sotto controllo in Vaticano. Malgrado ciò, il Monsignore rimase in contatto con l’Ufficio stampa di Mussolini. Dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale in poi l’attività del Monsignore si orientò a favore della Santa Sede e degli Stati Uniti. Il buon rapporto con il Cardinale Spellmann gli permise di collaborare (1941) con periodici cattolici americani (per esempio, il «National Catholic»).
Pier Luigi Guiducci, Spionaggio fascista in Vaticano. I riscontri. I fiduciari dell’OVRA. I collegamenti con l’intelligence nazista, Storico.org, luglio 2020

La vera storia dell’intelligence – sia in Vaticano sia altrove – non sarebbe completa senza la storia dei suoi fallimenti e delle sue umiliazioni. Dopotutto, di chi ci si può fidare in questo gioco delle parti? Più la fonte delle informazioni è segreta, più è difficile verificarne autenticità e attendibilità. Gli agenti che fanno il doppio gioco e i semplici informatori sono lo spauracchio degli operatori dell’intelligence. Prendiamo ad esempio la mortificazione che subì James Jesus Angleton, capo dell’OSS a Roma dal 1944. A un certo punto del suo compito di vigilanza del Vaticano, Angleton individuò un italiano che passava ai giornalisti americani presunti dispacci arrivati in Vaticano, che sarebbero stati inviati dal Giappone.
Esisteva dunque la possibilità che i messaggi del Papa potessero essere acquistati? Angleton agì rapidamente in modo da assicurarsi l’esclusiva di questa grande scoperta. Erano gli anni in cui le informazioni provenienti dal Giappone erano particolarmente ambite. La fonte misteriosa fu ben felice di ottemperare alle richieste del suo cliente. Il risultato fu un voluminosissimo incartamento di “dispacci” indirizzati al Vaticano, riguardanti avvenimenti di ogni genere, comprese informazioni militari. A Washington, Angleton venne considerato un maestro. I suoi “documenti” vennero inviati al presidente Roosevelt, caldamente raccomandati dal generale Donovan. La bomba esplose dopo alcuni mesi. Tutti quei “preziosi” documenti erano frutto della sbrigativa fantasia di un giornalista italiano di nome Virgilio Scattolini. A poco a poco, ma con un incredibile ritardo, i destinatari di quegli incartamenti si resero conto di aver ricevuto del materiale chiaramente falso e inattendibile. I documenti di Scattolini,
scoperti negli archivi dell’OSS e ora resi pubblici, riempiono una capiente valigia. Scattolini veniva ben remunerato per i suoi sforzi e non poteva abbandonare un attimo la macchina da scrivere. In seguito egli ingannò in modo similare la stampa italiana, i politici e gi uomini di affari, così ansiosi di avere informazioni “segrete” sul Vaticano da non preoccuparsi affatto di verificare la loro attendibilità.
Angleton poi, anche dopo la scoperta dell’inganno perpetrato ai suoi danni, continuò il suo servizio con il pretesto di occuparsi del controspionaggio. È possibile che anche i russi avessero avuto le stesse informazioni? Il capo dell’OSS di Roma fece in seguito una brillante carriera nella CIA come direttore del controspionaggio. Indubbiamente l’esperienza romana gli aveva insegnato molte cose.
Robert A. Graham, Il Vaticano e lo spionaggio, Detti e scritti

Mimmo Franzinelli (I tentacoli dell’Ovra, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 103) afferma l’impossibilità di stabilire l’esatta origine del termine OVRA. Egli riporta come documento più attendibile la testimonianza di Carmine Senise, capo della polizia di Milano (cfr. Franzinelli, op. cit., p.103, n.38: Carmine Senise, Quando ero capo della polizia, Ruffolo, Roma, 1946, p.84) che predispose il comunicato da dare alla stampa della retata di Milano del 29 e 30 ottobre 1930 contro il gruppo antifascista di Giustizia e Libertà. Tutto avviene nel momento in cui il comunicato viene sottoposto alla attenzione dello stesso Mussolini, questi, di suo pugno e con atto di imperio indiscusso, sostituisce alla parola “polizia” la parola OVRA. Il comunicato verrà diffuso dalla Agenzia Stefani. Continua Senise (cfr. Martinelli, op. cit., p. 241) “se con questa trovata egli volle impressionare il paese, non poteva meglio riuscirvi: per giorni e giorni, infatti, alla direzione generale fummo bersagliati da telefonate a getto continuo di amici e personalità di ogni genere e rango; e quelli che apparivano maggiormente allarmati erano proprio coloro che si trovavano più in alto nella scala sociale. Tutti volevano conoscere che cosa significassero quelle quattro lettere che avevano turbato la loro serenità, e noi non sapevamo che cosa rispondere, perché, in fondo, il loro arcano significato non l’abbiamo saputo neppure noi”.
Non diversamente, ma con maggiore precisione, F. Martinelli in “L’OVRA. Fatti e retroscena della polizia politica fascista, Milano, De Vecchi, 1967, alle pagine 240-41 offre anche la testimonianza di Guido Leto (in: G. Leto, OVRA. Fascismo-Antifascismo, Bologna, 1952), braccio destro di Di Stefano, il quale ricorda: “Egli (Mussolini) corresse il termine ‘ispettorato generale di pubblica sicurezza’, che era indicato come l’organo operante, e lo sostituì con la frase: ‘L’OVRA di Milano…’. Aggiunse Mussolini che il termine che aveva scelto doveva sempre essere adoperato nei comunicati, e che, certamente avrebbe destato curiosità, timore, senso d’inafferrabile sorveglianza e di onnipotenza”. Sempre Leto ricorda che Bocchini, capo della polizia, riferì a lui ed ad altri stretti collaboratori che, durante il rapporto giornaliero del 30 ottobre 1931, Mussolini gli suggerì “di allargare i quadri degli ispettorati e di estenderli anche in altre regioni, perché desiderava che la polizia avesse un serio controllo – ‘tentacolare come una piovra’ – in tutto il territorio del paese”.
OVRA forse come Opera Volontaria di Repressione Antifascista, la spiegazione adottata da Martinelli essendo la più corrente all’epoca, o come Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali, o, su suggerimento di Franzinelli, con un fantasioso calembour mussoliniano, come assonanza con piOVRA o con Ochrana, la polizia segreta zarista.
Redazione, Il misterioso acronimo OVRA, Pitigrilli

L’alone di leggenda e di mistero che avvolge da sempre i servizi segreti, non risparmia la tenebrosa OVRA e le polizie ufficiali e parallele del regime fascista, impegnate nella repressione del dissenso a tutti i livelli. Gli studiosi hanno accesso ai documenti originali che spesso offrono sconvolgenti scoperte. Le ultime si debbono all’opera di Mauro Canali, le cui rivelazioni hanno scatenato nuove polemiche. Al contrario di Donald Gurrey che ha il merito di condurci su una strada poco conosciuta: lo spionaggio italo-tedesco, la rete di sabotatori e l’organizzazione sovversiva nell’Italia liberata.
Sessant’anni sono trascorsi invano. Nel Paese del passato che non passa, i tentacoli dell’OVRA e delle polizie fasciste continuano ad avviluppare il nostro ricordo. Per gli storici del Fascismo gli archivi della polizia del regime sono una miniera inesauribile. Di notizie e di polemiche.
Infaticabili talpe spulciano buste e faldoni, leggono fogli, foglietti, appunti. Nomi si aggiungono a nomi. Già pubblicate addirittura sulla Gazzetta Ufficiale, subito dopo la fine della guerra, a eterno ludibrio, continuano a gonfiarsi le liste dei confidenti, delle spie, dei delatori e dei sicofanti della Polizia Politica (POLPOL) e dell’OVRA, acronimo misterioso dall’incerta origine.
[…] Furono le ristrettezze economiche (come per Vasco Pratolini); un malinteso patriottismo (il caso di Max Salvadori); altre ragioni, forse addirittura precedenti l’avvento del Fascismo (la situazione di Ignazio Silone), fatto è che nell’elenco dei “Fiduciari e confidenti degli uffici politici delle questure” sono finite più di ottocento persone, tutte puntualmente elencate da Mauro Canali, che si aggiungono a quelle altre che in qualche modo ascoltavano, riferivano, provocavano, dando con i loro rapporti il polso dell’antifascismo, lo stato d’animo della popolazione.
Finché il regime fascista resse. Poi, con il 25 luglio e l’8 settembre e lo sfascio successivo, per molti scattò il “si salvi chi può”. Incominciarono le prese di distanza e l’OVRA da ‘Organizzazione volontaria repressione antifascismo’, che implicava la ‘scelta politica’ soprattutto dei funzionari di carriera che vi erano transitati dai ranghi della polizia, cominciò a sbiadirsi nel più neutro ‘Organizzazione vigilanza reati antistatali’. Come dire: nulla di politico, il funzionario era solo e comunque al servizio dello Stato, non del fascismo, anche se all’epoca erano un tutt’uno.
Funzionari e confidenti si divisero fra il Regno del Sud e la Repubblica del Nord. Alcuni offrirono i loro servizi alle SS e alla Gestapo. Altri si misero al lavoro per gli Alleati. Fatto è che pochi, alla resa dei conti, pagarono le conseguenze delle loro delazioni, dei ricatti, della corruzione e dell’azione repressiva. E ancora una volta volarono gli stracci.
Mauro Canali ricostruisce questi momenti con attenzione e puntigliosità. Segue alcuni personaggi anche nel dopoguerra, ma soprattutto porta alla luce episodi e fatti che spiegano a chiariscono passaggi di campo, salvataggi, carriere.
Uno per tutti: gli ex confidenti della POLPOL che giocarono a lungo l’OSS, fabbricando informative dal Vaticano: Virgilio Scattolini e Filippo Setaccioli.
Appena liberata Roma, il 4 giugno 1944, i due cominciarono a fornire notizie provenienti da Oltretevere a giornali e agenzie di stampa. Alcune settimane dopo, tramite il responsabile per l’area mediterranea della ‘Sezione S I’ dell’OSS, Vincent Scamporino, da Roma cominciano ad arrivare a Washington notizie provenienti dal Vaticano, considerate attendibili, fornite da una fonte denominata ‘Vessel’. Nello stesso tempo anche l’ufficio X-2, il controspionaggio dell’OSS, diretto da James Angleton, inviava informazioni dello stesso tenore, fornite da altra fonte, indicata come ‘Dusty’. Non ci volle molto a scoprire che la fonte di Scamporino era la stessa di Angleton e cioè Virgilio Scattolini che si serviva di Setaccioli, terminale di una rete che dall’interno del Vaticano forniva informazioni a chiunque avesse avuto voglia e denaro per comprarle. L’OSS riteneva importante mettere le mani sulla rete e indirizzarla verso l’ambasciatore giapponese Ken Harada, al quale Scattolini sembrava in grado di carpire preziose informazioni.
Così Setaccioli e Scattolini trasmettevano ad Angleton, che le passava a Scamporino, notizie sulla politica giapponese in Estremo Oriente. Le informazioni, all’apparenza autentiche e ricche di dettagli, finivano direttamente sulle scrivanie di Roosvelt e Truman che ad esse uniformarono alcune loro decisioni.
La collaborazione durò fino al 1947, nonostante un certa diffidenza fosse sorta nei confronti delle fonti ‘Vessel’ e ‘Dusty’, a causa di una gaffe commessa da Scattolini e Setaccioli. Avevano riferito di un abboccamento fra l’ambasciatore giapponese Harada e l’omologo americano Myron Taylor. Incontro mai avvenuto. Da quel momento i documenti non approdarono più alla Casa Bianca, i due italiani furono messi sotto controllo, ma non licenziati.
Sarebbe stata la rivalità fra ‘S I’ e ‘X-2’ dell’OSS, cioè fra Scamporino e Angleton, a permettere che la truffa continuasse, poiché uno impediva all’altro di infiltrare agenti in Vaticano, se non altro per verificare sul campo gli eventi riferiti da Scattolini e Setaccioli.
Ma le spie sono spie e non vanno tanto per il sottile. Scaricato dagli Americani, Scattolini passò tranquillamente al servizio del Partito Comunista, al quale fornì false informazioni per la pubblicazione in Svizzera di due opuscoli che parlavano di intrighi vaticani in Italia e all’estero.
Se c’era chi collaborava con gli Alleati, c’era anche chi continuava a credere nel Fascismo e s’impegnava in missioni di sabotaggio o per raccogliere informazioni nell’Italia liberata per conto del servizio segreto della RSI oppure per conto dell’Abwher o dell’SD tedeschi. Quasi tutti gli agenti, maschi e femmine, furono catturati subito dopo aver passato le linee o essere approdati sulle coste controllate dagli Alleati. Molti furono condannati a morte e fucilati.
La loro storia, le loro azioni, sono state ricostruite nel libro di Donald Gurrey La Guerra Segreta nell’Italia Liberata, (Libreria Editrice Goriziana, pp. 307, ottobre 2004), traduzione a cura del giornalista Gianfranco Simone, esperto di armi e questioni militari.
Il libro di Gurrey si basa su documenti inediti e sulla sua esperienza sul campo: faceva parte del controspionaggio inglese in Italia, prima al Quartier Generale di Caserta e poi al Comando del 15° Gruppo di Armate, a Firenze.
Diciannove capitoli e sei appendici per spiegare le tecniche della sicurezza militare, le operazioni e i metodi dei servizi segreti tedeschi fino a maggio del 1945, la cattura delle spie, i processi e le condanne a morte. Ma anche le reti sovversive, quasi un’anticipazione di ‘Gladio’ e delle tecniche di stay-behind, lasciate dietro le linee per operare nei territori conquistati dagli alleati e passati sotto il controllo del governo italiano.
A parte le storie, il libro di Donald Gurrey si rivela interessante per come illustra i sistemi usati dal controspionaggio alleato per individuare e smascherare gli agenti nemici, sposati all’intuizione e al lavoro di squadra. Si confrontavano con la perseveranza tedesca nei modi di infiltrazione dietro le linee, nell’equipaggiamento degli agenti, anche quando i loro predecessori erano stati palesemente catturati e quindi si doveva considerare ‘bruciato’ tutto quello che sapevano e potevano rivelare.
Nei venti mesi di guerra, successivi all’8 Settembre, molti uomini e donne vennero sacrificati. La loro memoria riemerge dalle pagine di questo libro. Alcuni che si sono salvati hanno raccontato la loro guerra in libri di memorie, come Carla Costa, una delle più note agenti delle RSI. Nonostante fosse giovanissima, diede filo da torcere al controspionaggio alleato e si guadagnò l’ammirazione e il rispetto dei nemici. Gurrey la cita appena, solo con il cognome, a pagina 179: “Una coraggiosa agente che lavorava per i tedeschi era una ragazza chiamata Costa, arrestata in quel mese di ottobre (1944 n.d.r.). Aveva solo 17 anni, ma sotto interrogatorio si dimostrò un osso duro. Ci vollero cinque giorni per convincerla a parlare….. era stata arrestata alla sua terza missione, mentre tornava nel territorio occupato dai tedeschi. Era già stata decorata con la Croce di Ferro e Mussolini l’aveva ricevuta per congratularsi”.
Difesa dall’avvocato inglese W.T.Filding, Carla Costa scampò alla pena capitale per la giovane età, ma fu condannata a una lunga pena detentiva. Restò in carcere dalla fine del 1944 al 1950.
Alain Charbonnier, Recensioni. Spie, delatori e polemiche, Gnosis, 2 – 2005