Il regime fascista volle in Spagna nel 1936 una guerra “italiana”

Il successivo coinvolgimento diretto fascista trasformò la guerra spagnola in un evento dai toni trionfalistici dove gli insorti nazionalisti rappresentavano “il bene” mentre la massoneria e il comunismo erano le “forze del male”.
Il fascismo, nel tentativo di consolidare ed esportare il suo modello politico, esaltò l’aspetto ideologico del conflitto ponendo l’accento sulle similitudini tra il regime italiano e il nuovo stato nazionalista.
Ma l’analisi dei fatti spagnoli non era univoca. Persino riviste di partito come «Critica fascista» o «Civiltà fascista» sottolineavano le profonde differenze tra i due paesi come la mancanza in Spagna di una consolidata e matura classe dirigente e una strutturale debolezza della piccola e media borghesia, oltre al nodo irrisolto della questione della riforma agraria, arrivando a formulare pesanti critiche soprattutto attraverso gli scritti di Sergio Panunzio e di Nello Quilici che riprendevano la preoccupazione espressa da Vittorini nel 1934, di non confondere il fascismo con il conservatorismo e la bieca reazione. Senza troppe perifrasi, le colpe non erano attribuibili solo alle “menti occulte” che erano alla testa di un “complotto giudeo-massonico-comunista” ma anche dell’incapacità politica della classe dirigente aristocratica e borghese in un contesto sociale dominato dall’oscurantismo delle gerarchie cattoliche.
Tra il 1936 e l’inizio della seconda guerra mondiale si ebbero i primi segnali di una crisi di consensi verso il regime fascista da parte dell’opinione pubblica italiana e gli echi della guerra spagnola ebbero un ruolo non indifferente in questa crisi come segnalano i rapporti di polizia secondo cui la ripresa di attività antifasciste era sicuramente collegabile alle notizie che arrivavano dalla Spagna.
Marco Novarino, Il ruolo della guerra civile spagnola nella presa di coscienza antifascista dei giovani intellettuali italiani, Centro Studi Piero Gobetti

Gli effetti su Barcellona di un bombardamento aereo effettuato dal corpo di spedizione voluto dal regime fascista italiano – Fonte: Francesco Mattesini, Op. cit. infra

Dominatore incontrastato in Marocco, Franco non possedeva invece il controllo del mare che lo separava dalla penisola iberica. La Marina spagnola, come vedremo, era rimasta in massima parte sotto il controllo del fronte popolare, e le sue navi fin dalla fine di luglio si dislocarono nelle acque di Tangeri, con il compito di impedire alle truppe nazionaliste di passare lo Stretto di Gibilterra per dare un valido aiuto agli insorti in Spagna.
Il 22 luglio Franco fece conoscere pubblicamente alle autorità della zona internazionale di Tangeri la sua opposizione al rifornimento delle navi della Marina da guerra repubblicana, che si servivano di quel porto per svolgere incursioni nel Marocco spagnolo. Egli minacciò azioni di rappresaglia, mediante attacchi aerei, se la sua richiesta non fosse stata accolta.
Per impedire incidenti, e per stabilire un efficace controllo della neutralità di Tangeri, il comitato di controllo si rivolse alle potenze europee garanti, fra cui l’Italia, invitandole a mandare navi e truppe. In seguito a tale richiesta, e su incarico del proprio governo, la Regia Marina inviò a Tangeri l’ammiraglio Mario Falangola con l’incrociatore Eugenio Di Savoia e con la nave trasporto Città di Milano.
L’ammiraglio Falangola, in accordo con i comandanti delle navi delle altre nazioni, provvide ad assicurare la sorveglianza del porto, secondo quanto stabilito dal Comitato di Controllo Internazionale. La sua opera venne continuata dall’ammiraglio Silvio Salza, che lo sostituì in un secondo tempo con l’incrociatore Bande Nere (capitano di vascello Ferdinando Casardi), e con i cacciatorpediniere Da Noli e Tarigo, per poi iniziare un intenso servizio di scorta ai transatlantici italiani (Rex, Conte Di Savoia, Conte Biancamano, Oceania, Vulcania, Neptunia, Augustus e Duilio), durante la loro navigazione di attraversamento dello Stretto di Gibilterra.
Nel frattempo, per proteggere i connazionali residenti in Spagna e anche per salvare cittadini di altre nazioni – in particolare profughi spagnoli d’idee contrarie a quelle dei governativi – fin dal 23 luglio il governo italiano aveva mandato a Barcellona gli incrociatori Fiume (capitano di vascello Luigi Sansonetti) e Raimondo Montecuccoli, (capitano di vascello Mario Bonetti), al comando dell’ammiraglio Ildebrando Goiran, assieme al piroscafo Principessa Maria e alle navi ospedale Tevere e Urania. Nello stesso tempo l’incrociatore Muzio Attendolo (capitano di vascello Manlio Tarantini) era stato inviato a Malaga. Provvedimenti dello stesso genere furono presi dalle altre grandi potenze europee.
[…] Ancora oggi, a oltre ottant’anni dall’inizio della guerra civile di Spagna, si discute sul motivo per cui Benito Mussolini dette il suo aiuto alla causa dei nazionalisti. Ossia se lo fece per puro calcolo politico, tendente a favorire l’instaurazione di un’altra dittatura di destra in Spagna scalzando il fronte popolare andato al potere il 16 febbraio 1936, oppure per ottenere il possesso di basi nelle Isole Baleari, necessarie per bloccare in caso di guerra le comunicazioni tra l’Africa Settentrionale e la Francia, paese al quale il governo fascista intendeva contendere il dominio del Mediterraneo centro-occidentale, e chiedere rivendicazioni territoriali.
Lo storico americano John F. Coverdale ha fornito nella sua intelligente opera “I fascisti italiani nella guerra di Spagna” una risposta abbastanza convincente a tale quesito, arrivando alla conclusione che l’atteggiamento del Duce, dapprima determinato da “fattori ideologici”, finì poi per poggiare soprattutto sulle considerazioni di “politica estera” e sul “bisogno dell’Italia di ottenere libero accesso al mare”.1 Su ciò influì, ha scritto Lucio Ceva nel volume Le guerre fasciste, “l’ansia di non essere scavalcati dalla Germania, anch’essa pronta a schierarsi, e lo sfruttamento del motivo anticomunista fonte di consensi troppo importanti per essere trascurati dal fascismo”.2
Comunque, una volta impegnatosi a fornire il suo appoggio a quella che riteneva “una piccola operazione di scarso impegno” – come ha sottolineato Pietro Pastorelli in L’Italia tra tedeschi e alleati – il Duce si trovò invece sempre più impantanato in una guerra lunga e dispendiosa quasi senza accorgersene e, fatto il primo passo, senza possibilità di uscirne senza perdere la faccia e senza pregiudicare la vittoria franchista”. <3
Ma vediamo come Mussolini si decise ad aiutare i nazionalisti.
Il 19 luglio 1936 il capo del fronte popolare spagnolo, Jose Giral, inviò un telegramma in chiaro al capo del governo francese, Leon Blum, anch’esso di sinistra, in cui era detto: “Colto di sorpresa da un pericoloso colpo militare. La prego di aiutarci immediatamente con armi ed aeroplani. Fraternamente suo Giral”. <4
Leon Blum annunciò che avrebbe respinto la richiesta di cedere armi, mentre invece ne inviò ai repubblicani spagnoli servendosi del Messico come intermediario, e poi egli stesso fece in modo, ai primi di agosto, di spedire oltre i Pirenei cinquantacinque aerei, dei quali trenta da ricognizione e da bombardamento, quindici da caccia e dieci da trasporto e da addestramento.
Nel frattempo, trovandosi a corto di velivoli da trasporto e da bombardamento, indispensabili per trasferire e proteggere le truppe nazionaliste del Marocco in Spagna, poiché i nazionalisti disponevano soltanto di una decina di velivoli Niuport-Delage NiD-52, anche Franco richiese aiuti all’estero. Il primo passo lo fece inviando a Roma Luis Bolin, corrispondente del quotidiano monarchico ABC, il quale arrivò nella capitale italiana la sera del 21 luglio per chiedere ufficialmente al governo fascista dodici bombardieri, tre caccia e un certo quantitativo di bombe.
Bolin si incontrò con il Ministro degli Esteri italiano, conte Galeazzo Ciano, che si dimostrò entusiasta di appoggiare la causa dei nazionalisti spagnoli. Tuttavia, prima di impegnarsi a concedere gli aiuti richiesti si consultò con il Capo del governo. Mussolini, che non aveva ben chiaro quali rapporti ci fossero tra Franco e i generali monarchici, cui aveva già promesso e poi concesso aiuti nella rivolta del 1934, si decise a fornire gli aerei ai rivoltosi spagnoli soltanto alla loro terza richiesta. Ciò avvenne il 25 luglio, quando il generale Emilio Mola, che comandava le truppe nazionaliste della Castiglia e Navarra, mandò a Roma Antonio Goicoechea, un monarchico che Mussolini conosceva personalmente.
Tre giorni dopo che il Duce aveva accordato il suo aiuto alla rivolta dei militari spagnoli, per ordine del generale Giuseppe Valle, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, dodici velivoli da bombardamento del tipo Savoia 81 (S. 81), al comando del colonnello Ruggero Bonomi decollarono dall’aeroporto di Elmas (Cagliari), in Sardegna, diretti nel Marocco Spagnolo, preceduti da un idrovolante Cant. Z. 506, nel ruolo di accertatore meteorologico. Ma, essendo incappati durante la rotta in una violenta tempesta, e per l’eccessivo consumo del carburante volando in formazione con vento contrario, un velivolo (capitano Lo Forte) fu costretto ad atterrare per guasti a Berkane, nel Marocco Francese dove fu internato, un altro (tenente Angelini) precipitò in mare presso Orano perdendosi con l’intero equipaggio, e un terzo (tenente Mattalia) si schiantò al suolo a Saida, in Algeria. Pertanto soltanto nove S. 81 arrivarono a destinazione sull’aeroporto di Nador, nel Marocco Spagnolo.
[…] Il 1° novembre Roma impartì l’ordine di effettuare una serie di movimenti navali che comportarono il trasferimento a Palermo degli incrociatori leggeri Da Giussano e Diaz; il trasferimento a Trapani dei quattro cacciatorpediniere della 7a squadriglia “Freccia”, il trasferimento da Palermo ad Augusta degli incrociatori pesanti della 3a Divisione Trento e Bolzano, i quali raggiunsero la nuova sede passando per il Canale di Sicilia.Nel corso delle missioni di vigilanza i cacciatorpediniere Turbine, Nembo, Borea, Saetta e Dardo avvistarono numerose navi di varie nazionalità dirette a ponente, tra le quali il piroscafo sovietico Komsomol trasportante grandi e lunghi cassoni che si ritenne contenessero carlinghe e ali di grossi aeroplani.
[…] La riunione di Roma del 17 novembre 1936 per fissare le norme di collaborazione tra le Marine italiana e tedesca nell’azione di blocco alla Spagna repubblicana
Il 19 novembre il generale Efisio Marras, Addetto Militare italiano a Berlino, ebbe un colloquio con il Ministro della Guerra della Germania, feldmaresciallo Werner von Blomberg, il quale espose il suo pensiero sull’aiuto che occorreva fornire a Franco e sull’interpretazione da dare alle intenzioni di Stalin per appoggiare militarmente la causa repubblicana. Quindi Marras spedì al S.I.M la lettera n. 1470, che fu poi portata alla visione di Mussolini […]
[NOTE]
1 J. F. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Bari, Laterza, 1977, p. 71.
2 L. Ceva, “Le guerre fasciste”, in Le forze armate, Torino, 1981, p. 237.
3 P. Pastorelli, . “La politica estera fascista e la seconda guerra mondiale”, in L’Italia fra tedeschi e alleati, a cura di Renzo De Felice, Bologna, Il Molino 1973.
4 H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1963 p. 226.
Francesco Mattesini, Il blocco aeronavale italiano nella guerra di Spagna (ottobre 1936 – marzo 1939), Academia.edu

Un’altra immagine relativa ad un bombardamento italiano su Barcellona – Fonte: Francesco Mattesini, Op. cit.

Nella guerra di Spagna è possibile rintracciare le caratteristiche di quella fortunata sperimentazione che prevede l’utilizzazione massiccia di tutti i nuovi mezzi audiovisivi: dalla radio che trasmette le cronache di guerra alle fotografie che illustrano gli eventi sui periodici e sui quotidiani del mondo intero, ai filmati sonori proiettati nelle sale cinematografiche.
L’esperienza spagnola è per eccellenza il primo conflitto del Novecento in cui l’uso di questi mass media conosce un successo fino ad allora sconosciuto, presentando all’opinione pubblica internazionale un’informazione quotidiana accurata e puntuale.
Anna Scicolone, La rappresentazione della guerra civile spagnola nei notiziari cinematografici. Studio comparato delle strategie di comunicazione e propaganda sul caso spagnolo e francese, Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia di Viterbo, 2009

Se da principio gli aiuti italiani consistevano in mezzi e personale tecnico (artiglieri, carristi, aviatori, alcuni dei quali avevano partecipato anche a combattimenti), alla fine di dicembre del 1936, sopravvalutando la capacità operativa e organizzativa dell’esercito, reduce dalla vittoria in Africa, e forse su pressione della Milizia fascista, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, <338 Mussolini decise di inviare i primi contingenti di “volontari”, blocchi di tremila uomini, senza consultare Franco, che ne era contrario.
Se si esclude una parte di ex squadristi e giovani fascisti infatuati dal regime, la maggioranza dell’esercito italiano venne costituita da soldati di leva e da “volontari” per lo più mandati in Spagna «a loro insaputa», spesso reclutati con il pretesto di formare i “battaglioni dei lavoratori” nell’impero appena conquistato. Si trattava soprattutto di poveri braccianti e disoccupati attratti «dal soldo promesso dai gerarchi fascisti». <339
Molti di questi lavoratori, o aspiranti tali, pensavano di andare in Abissinia e si ritrovarono invece, senza volerlo, nella Penisola Iberica durante la stagione invernale, con equipaggiamento coloniale. Per tutti c’era la divisa kaki senza stellette e senza alcun contrassegno di gradi. Sulle divise venivano poi «applicati in viaggio o dopo l’arrivo a destinazione, i segni distintivi della “Legione straniera” spagnola». <340
[NOTE]
338 Ciano, convinto sostenitore della partecipazione italiana con l’invio di mezzi e truppe, aveva concentrato, con il consenso di Mussolini, la gestione delle operazioni in un apposito Ufficio Spagna nel Ministero degli Esteri (cfr. R. De Felice, op. cit., p. 385).
339 P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., p.139.
340 Mussolini mette a disposizione di Franco diciotto battaglioni, “Nuovo Avanti”, 5 dicembre 1936.
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia https://www.giornalismoestoria.it/

L’incrociatore Raimondo Montecuccoli, impiegato dall’Italia fascista nel blocco navale contro la Spagna repubblicana – Fonte: Francesco Mattesini, Op. cit.

Battaglie navali. Violenza su donne indifese. Preti umiliati da una popolazione inferocita. Donne disperate nei cunicoli dell’Alcazar assediato. Scontri a fuoco tra le strade di città ridotte in rovina. Violenze su uomini soli ed indifesi. Camion pieni di viveri per uomini e donne ridotti alla fame. Palazzi sventrati. Bombe che esplodono durante una funzione religiosa. Spettacolari duelli nei cieli. Legionari cha avanzano dinanzi al nemico impaurito. Legionari all’arma bianca. Legionari a cavallo. Italiani impavidi che combattono. Italiani disposti a morire dinanzi ad una pistola pronta a far fuoco. Uomini contro macchine. Cavalli contro carri armati. Italiani nella neve. Italiani accolti da eroi. Donne derise perchè combattenti. Un cimitero di impiccati in un bosco. Sacerdoti martiri che perdonano i propri aguzzini. Un repubblicano che cerca Dio nel momento della morte. E ancora legionari che avanzano. Legionari che tornano in Italia. Legionari che muoiono in gesta eroiche. Le truppe che entrano in città, accolte da una popolazione sollevata e festosa. A seguire l’attenzione e la perseveranza con cui la guerra civile spagnola è stata trasmessa alla popolazione italiana non restano dubbi di sorta: essa fu una lunga carrellata di temi e di immagini, ripetuti e reinterpretati in tutte le loro sfaccettature, ed in grado di cristallizzarsi nella psicologia della massa che ne fu destinataria. Non poco spazio, nel periodo di questo conflitto, aveva la fresca conquista etiopica, né furono tempi di relativa tranquillità sullo scacchiere europeo. L’argomento della guerra di Spagna però, si ritaglia un suo preciso ed ampio spazio nella comunicazione del regime, attento a seguire una vicenda tutt’altro che secondaria per impegno di uomini e mezzi, e per le ricadute effettive e potenziali per l’immagine ed il prestigio del fascismo stesso, all’estero come in patria. La guerra civile che scoppia in terra iberica offre, nel lungo periodo, la possibilità di alimentare temi cari al regime, e che, nelle sue intenzioni, non fanno che portare acqua al proprio mulino, rafforzando ciò che già si era fatto in parte per l’Etiopia. Abbiamo visto che la vicenda comunicativa sulla Spagna risulta molto legata alle azioni effettive dell’intervento italiano, considerate dal punto di vista degli umori di Mussolini, e di conseguenza della capacità di percepire la reale sostanza dello scontro, e senza trascurare le conseguenze diplomatiche di una dimensione più europea.
Abbiamo visto come al principio del conflitto la propaganda esprimesse una vicinanza istintiva per il fronte nazionale, e come nel corso delle prime settimane questa scelta istintiva si sia trasformata in un’adesione convinta e certa per la causa dei ribelli. Non è un caso che tale consapevolezza si sia accompagnata alla fiducia e all’impegno che Mussolini decise di dedicare a questa guerra, una volta che ebbe compreso la serietà del golpe in atto e le problematiche che si sarebbero affrontate. Il Duce si impegnò in questa guerra per motivazioni inizialmente non ideologiche. È nota l’analisi di De Felice sulla importanza strategica delle Baleari, per una futura potenziale guerra con la Francia. Ed è noto che Mussolini non aveva né all’inizio né avrebbe avuto mai, la volontà di occuparsi, politicamente ed ideologicamente, del futuro della Spagna. Allora torna il discorso di una propaganda attenta soprattutto a mostrare la giustezza di uno scontro armato contro un governo solo formalmente legittimo, ma che manifestava quotidianamente una natura inumana e assolutamente da estirpare. È interessante seguire, all’inizio come tra l’altro in seguito, la presenza diremmo particolare degli avversari, questo variegato e confuso fronte repubblicano indicato e comodamente definito con il termine di -rossi?, termine che ne presenta in ogni occasione il richiamo ad una natura comunista, bolscevica, anarchica, e che annulla ogni possibile, ed esistente, differenziazione al suo interno.
La presenza di questo nemico si manifesta in modi diversi, ma tutti ugualmente forti. Certo, in tanti casi, dall’inizio, il nemico è rappresentato, è raffigurato, nell’atto di compiere le sue azione violente contro gente inerme. La sua vigliaccheria si esplica proprio in misura maggiore proponendolo come un aguzzino, come un vile che compie le sue gesta spregevoli contro i più deboli: sono i sacerdoti, le donne, gli anziani, gli uomini soli ed inermi, ad essere le vittime preferite dei “rossi”. Oltre però a questo primo tipo di rappresentazione, noi ne troviamo un’altra, più sottile, meno immediata, in qualche modo subliminale, che forse alla lunga assume una potenza maggiore, nella sua capacità di convogliare sentimenti di repulsione, di partecipazione, di condanna e quindi di approvazione dell’intervento franchista. Parliamo di un nemico rappresentato, potremmo dire, in assenza. Un nemico che è presente attraverso le sue azioni. Attraverso i suoi orrori. All’inizio, infatti, abbondano le distruzioni, i palazzi sventrati, le chiese violentate e svuotate. Non vediamo direttamente i repubblicani, ma li sentiamo, sono presenti nell’aria attraverso ciò che hanno distrutto. Anche in seguito, l’avanzata sempre più veloce dei nazionali, non farà altro che riproporre questo schema, vale a dire l’ingresso dei -liberatori? nelle zone precedentemente in mano al nemico, zone nelle quali il nemico c’è ancora. C’è, ma soltanto per le conseguenze della sua precedente presenza. C’è nei volti disperati della gente. Nella miseria e nella fame che ha provocato. Nello sconforto che prende a guardare un paesaggio di distruzione e di guerra. Risulta un’operazione facile, consequenziale, automatica, a quel punto, addebitare ogni distruzione al nemico. Le città conquistate dai nazionali non sono mai vittime di bombardamenti a tappeto. Ricordiamo che persino Guernica fu addebitata, all’epoca, ai dinamitardi baschi in fuga. E quindi i palazzi sventrati, le rovine che riempiono le strade, le chiese da ricostruire: tutto è facilmente addebitabile alla “furia” repubblicana. È un nemico violento, vile, che aumenta i propri tratti negativi quanto più prende atto della propria sconfitta e del proprio isolamento. Isolamento che ci porta ad un altro tema interessante. L’isolamento che nella propaganda fascista si manifesta soprattutto come isolamento dalla propria, presunta, popolazione. È infatti questo uno dei tanti -miracoli? della propaganda fascista sull’argomento. Assistiamo ad una serie di ribaltamenti veri e propri della realtà, che appaiono tanto più credibili quanto più essi sono presentati con naturalezza ed assoluto spregio delle dinamiche reali. Non solo gli iniziali -ribelli? assurgono al ruolo di protettori della vera Spagna, della Spagna cattolica e monarchica, azzerando completamente la situazione di partenza, e minando di quando in quando la già debole legittimità del governo repubblicano. In più, questa multiforme e variegata massa di uomini, che abbiamo visto semplificare con la definizione di “rossi”, viene sempre più a configurarsi come una presenza aliena dalla Spagna, una sorta di esercito straniero che va non solo cacciato, ma che non ha né rapporti con la popolazione, né consenso da parte di questa. C’è un virus, il virus comunista, che ha infettato gli animi e i cuori, un virus che va estirpato. In base a questa premessa, come emerge dalla raffigurazione dei prigionieri, gli spagnoli che combattono nelle fila repubblicane sono poveri disgraziati, privi di difese culturali e valori cristiani, deboli, ed ingannati da una propaganda misera e distruttrice. E l’isolamento dell’esercito repubblicano vuole essere sempre sottolineato attraverso l’immancabile accoglienza festosa ed entusiasta delle popolazioni all’arrivo dei nazionali, in qualsiasi città o paesino. Risulta fondamentale infatti questo tipo di scena, molto sfruttata ad esempio dalle immagine dell’Istituto Luce, anche per riproporre di continuo la legittimità dell’azione bellica in corso. E questo tema si presenta con un altro tipo ancora di sfaccettatura, nel momento in cui vediamo, soprattutto nei mesi finali, il ricorrere frequente delle “quinte colonne”, masse di cittadini pronti ad armarsi e sollevarsi contro il controllo repubblicano, e che partecipano, nella rappresentazione degli eventi, alla liberazione delle proprie città. Ne emerge, ovviamente, la considerazione di un controllo dei “rossi” che, quando c’è, non gode mai di un vero consenso, ma si fonda sull’imposizione e la violenza.
È dalla raffigurazione di un nemico straniero, usurpatore, violento, spesso inumano e privo di ogni dignità morale, che scatta la distinzione netta, precisa, inesorabile, tra i due fronti. Ed è da questa parte, dalla parte fascista, che troviamo un’altra tempra d’uomini. Azioni di coraggio, in pochi contro un nemico meglio armato, spettacolari duelli aerei nel cielo di Spagna, la pietà verso i prigionieri ed i propri caduti. Tutto concorre a rappresentare un’immagine consona e coerente a ciò che più stava a cuore al regime: proporre l’idea di una guerra in difesa dei valori comuni ai due popoli, alla comune tradizione latina e mediterranea, ai valori cristiani e di fede messi in pericolo dal “barbaro”. Il barbaro di oggi che non cala più da nord a distruggere l’impero romano, ma viene dall’oriente, portatore di un’ideologia malata e abominevole. Dicevamo di una lenta presa di coscienza, da parte italiana, dell’effettiva portata degli eventi, e non possiamo dunque mancare di sottolineare tra gli aspetti fondamentali di tutta la vicenda, lo snodo imprescindibile rappresentato da Guadalajara e dalle sue conseguenze. Una sconfitta inattesa, che arriva subito dopo la presa di Malaga, laddove fu sopravvalutata la resistenza nemica e la effettiva preparazione del corpo militare italiano. Una sconfitta tanto più cocente quanto più si considera innanzitutto la presenza italiana sul fronte repubblicano, ed in secondo luogo l’eco che tale vicenda ebbe a livello internazionale. Se fino ad allora il tema del prestigio non era stato decisamente il più presente, da quel momento, il regime fascista cercherà una sua personale vendetta, sul campo, e quindi a livello propagandistico. Un regime che forte della conquista etiopica e del ruolo di mediazione di Mussolini in Europa, trova con Guadalajara una sua prima battuta d’arresto. I resoconti ed in parte l’umiliazione provenienti dall’estero su questa sconfitta porteranno rabbia e necessità di rifarsi. Lo stesso Mussolini torna al suo mestiere di giornalista, con un articolo denso di contenuti e di riflessioni, molto indicativo per temi e passione ad indicare il peso di Guadalajara. Si arriverà sempre più dunque ad esaltare la figura del legionario in terra di Spagna, attribuendogli meriti non suoi, come nel caso di Bilbao, o finalmente celebrandolo in tutta la sua potenza, quando avrà un ruolo importante nella presa di Santander, la vera e propria rivincita tanto attesa. È insomma questa una guerra italiana, una guerra sempre più italiana, con la quale la Spagna sta lottando per la propria libertà come fece il fascismo nel ‘22, e nella quale si fortifica, si rinsalda, non solo la vicinanza tra i due regimi, ma la fratellanza tra i due popoli. Il fronte franchista rappresenta la vera Spagna, ed è ad essa che l’Italia di Mussolini offre il proprio petto. Nella celebrazione dei propri caduti si esalta il tema del martirio di giovani italiani, giunti in Spagna a difendere i propri valori, e quelli di tutta l’Europa cristiana, minacciata dalla bestia bolscevica. La comunicazione sulla guerra di Spagna è stata ampia, imponente, variegata nei temi e nelle modalità di trasmissione, molto più costante e approfondita di quanto sia stata spesso considerata.
Non è un caso che nel 1937 venga fondato il Minculpop, ultima tappa nel processo di sviluppo e perfezionamento della politica propagandistica del regime fascista. La guerra di Spagna infatti cade proprio nel momento della piena presa di coscienza, da parte di Mussolini, della necessità di attuare una politica di propaganda diffusa sul territorio italiano. Parliamo di una maturazione che avviene sia a livello di coesione dell’apparato comunicativo, sia a livello dell’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione: “Il discorso di fondo deve svilupparsi sul controllo esercitato dal fascismo su tutte le forme di comunicazione, quindi sull’enorme importanza che assunsero non solo i tradizionali strumenti di informazione – la stampa, ecc. -, ma ancor più, direi, il cinema, la radio, che sono i veri veicoli dell’informazione di massa” <1222.
Alcuni temi ricorrenti nella propaganda sul conflitto spagnolo si sposano perfettamente con le direttive e le finalità dell’intera propaganda fascista degli ultimi anni Trenta, per non parlare del peso che in questa fase aveva la contrapposizione al comunismo: <<Mentre all’inizio degli anni Trenta il fascismo veniva contrapposto al liberalismo, al comunismo e al nazionalsocialismo, nel 1937 il contrasto principale era col comunismo>>1223.
Come già detto in precedenza, Cannistraro considera i temi di questo periodo “la reazione estrema, irrealistica e irrazionale di una politica culturale in bancarotta” <1224.
In questo quadro torna utile richiamare un’affermazione netta e senza attenuanti di De Felice: “Fallito il tentativo di fascistizzare veramente il popolo italiano negli anni Venti e nei primi anni Trenta, il fascismo tentò così di rendere progressivamente più totalitario il regime e di bruciare i tempi del processo di fascistizzazione delle masse, ricorrendo alla molla della politica estera. Così, a partire dalla guerra d’Etiopia, la politica estera divenne sempre più il fulcro di tutta la politica fascista” <1225.
Emerge fortissimo il legame tra propaganda e politica estera: “La ragione fondamentale del crollo del movimento per un’internazionale fascista resta il cambiamento nella politica estera italiana avvenuto negli anni Trenta. Il crescente impegno internazionale di Mussolini, prima in Etiopia, poi in Spagna, significava che le attività propagandistiche dovevano essere coordinate con le avventure dell’Italia all‘estero piuttosto che muoversi liberamente alla ricerca di dichiarazioni di adesione da parte degli altri movimenti fascisti” <1226.
[…]
Il regime italiano volle una guerra “italiana”, e non ebbe difficoltà nel proporre questo tipo di racconto. È un racconto che prende forma attraverso tutte le fonti che ho utilizzato. Le ben note disposizioni alla stampa sono state numerosissime, e danno l‘idea di come il regime abbia seguito le vicende di Spagna e intendesse farle rappresentare in Italia. I quotidiani sono stati fedeli alla linea indicata, alimentando o attenuando l‘eco della guerra civile a seconda delle contingenze e dell‘interesse del regime. I cinegiornali dall’inizio, affiancati più tardi da veri e propri lungometraggi, hanno riportato agli spettatori immagini e ricostruzioni dal fronte, coinvolgendo gli italiani nelle battaglie del corpo legionario e nella progressiva avanzata contro i nemici.
Infine, le molteplici illustrazioni, dalle cartoline alle copertine dei principali inserti settimanali, hanno raffigurato la violenza repubblicana, il dolore di donne e bambini, lo spregio per la fede e la Chiesa, il coraggio e le impavide azioni dei ragazzi italiani in Spagna: tante vicende nel quotidiano dispiegarsi del conflitto, tanti racconti nel racconto generale della guerra civile spagnola.
[NOTE]
1222 Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, a cura di Michael A. Ledeen, Saggi Tascabili Laterza, Roma – Bari, 1975, pag. 64
1223 Michael Arthur Ledeen, L’internazionale fascista, Saggi Tascabili Laterza, Roma – Bari, 1973, pagg. 198
1224 Philip V. Cannistraro, op. cit., pag. 148 1225 Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, cit., pag. 69
1226 Michael Arthur Ledeen, L’internazionale fascista, cit., pagg. 175-176
Riccardo Notari, Il fascismo e la guerra civile spagnola. Propaganda e comunicazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2009-2010